Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Nona parte. I profsojuz durante la NEP: il settore socializzato (parte I)
Torniamo ai nostri profsojuz e alla loro duplice funzione in questa fase. Oltre a far venire i sorci verdi al nepman NEL SETTORE PRIVATO, erano presenti anche NEL SETTORE PUBBLICO per con un ruolo decisamente più attivo.
Aziende, quelle socializzate negli anni precedenti, che volenti o nolenti erano coinvolte in un altro tipico frutto della NEP: il cosiddetto “calcolo economico” (chozjajsvtennyj razčët da cui la contrazione chozrazčët хозразчёт), che non è solo “bilancio” e basta, ma tutto ciò che a esso concerneva, in un’ottica di crescente “autonomia finanziaria”: ciascuna unità produttiva, piccola o grande che fosse, doveva essere in grado di stare in piedi da sola, dovendo progressivamente fare a meno di sovvenzioni, aiuti economici esterni e, per farlo, doveva avere anzi tutto un bilancio non in perdita e, prima ancora... un bilancio fatto come si deve.
A tutto questo, però, si arrivò PER GRADI e NON SENZA CONFLITTO FRA LE PARTI. Il passaggio delle aziende allo chozrazčët, all’autonomia di bilancio, mise tutti di fronte a un guado, al classico “Hic Rhodus, hic salta!”, profsojuz compresi. Uno dei primi passaggi critici fu proprio LO STESSO ENTRARE in questa nuova visione, ovvero di-visione dei compiti.
SI PROVENIVA DA UN COMUNISMO DI GUERRA, QUINDI EMERGENZIALE dove l’importante era
- restare in piedi, non importa come
- regolare conti in qualsiasi maniera, in natura, in soldi, sulla parola, bastava raggiungere l’obbiettivo primario di cui sopra;
- che quei pochi rimasti in fabbrica (ovvero non deceduti, ovvero non impegnati al fronte, ovvero non tornati nelle campagne... dove un po’ di boršč lo si rimediava sempre e si faceva meno fame che nelle città), fossero in grado di “fare tutto” (e lo facessero poi per davvero! ARRANGIANDOSI, nel bene o nel male… ma lo facessero!).
Ora invece, finita la guerra civile, si partiva con una Nuova Politica Economica, o NEP. I cambiamenti erano anche qui non d’intenti, non una tantum, non sulla carta, MA STRUTTURALI:
- la prodnalog, l’imposta in natura, aveva sostituito il prelievo forzoso, e le campagne respiravano.
- pian piano si raccoglievano macerie e si riempivano casseforme di cemento, rimettendo in moto i macchinari rimasti e costruendone, o importandone, di nuovi per far ripartire le aziende distrutte
- il tutto non solo con le proprie forze ma, data la scarsa dimestichezza con i ferri del mestiere che andava ad aggravare la già pesante scarsità di risorse,
- chiedendo aiuto non solo ai privati ma al capitale estero, magari di quelli che pochi mesi prima erano ancora lì, ma con i propri eserciti e ad “aiutare” i bianchi contro di loro.
Un netto, brusco, cambio di passo
In tali condizioni, I COMPAGNI RIVOLUZIONARI, AL PARI DEI COMUNI CITTADINI DEL PAESE DEI SOVIET, NEL TROVARSI DI FRONTE ALLA NEP, DOVETTERO AFFRONTARE LA TIPICA, NECESSARIA, “TERAPIA D’URTO”, causa di bruschi e sempre maggiori mutamenti e contraddizioni, come:
1. crescita quantitativa e qualitativa dei rapporti di produzione (maggiore complessità degli stessi, mescolando forme di produzione, strutture proprietarie, settori a sfruttamento capitalistico e settori completamente socializzati),
2. loro integrazione entro un’unica trama macroeconomica e sociale,
3. NETTO (E BRUSCO) CAMBIO DI PASSO RICHIESTO AI COMUNISTI, A LIVELLO DI ATTEGGIAMENTO E, ANCOR PIÙ, DI MENTALITÀ,
- a partire dallo sforzo immane di ACQUISIRE COMPETENZE – e in fretta! – anche per mansioni in ambiti restati sino ad allora totalmente estranei o quasi E
- CREARE – altrettanto in fretta! – QUADRI in grado di sostituire quelli morti a centinaia di migliaia nel conflitto;
- dotarsi di una STRATEGIA, a breve, medio e lungo termine di
a. contenimento della controffensiva capitalistica sul versante economico;
b. sviluppo parallelo di una propria alternativa economica, politica, sociale, culturale;
c. risoluzione dialettica delle contraddizioni fra i due settori IN FAVORE DEL PROPRIO e
d. creazione progressiva delle condizioni per una
e. transizione a un’economia pienamente socializzata e pianifica-BILE (prima ancora che pianifica-TA)
4. COSTRUZIONE (A VOLTE EX NOVO) E IMPLEMENTAZIONE DI UN SISTEMA ORGANICO, QUINDI COMPLESSO, ARTICOLATO E COORDINATO DI DEFINIZIONE E TRASMISSIONE - A DOPPIO SENSO DI MARCIA! - DI
a. INFORMAZIONI, ovvero,
- ISTRUZIONI OPERATIVE
- RISULTATI OPERATIVI E STATISTICHE,
b. RAPPORTI FRA I VARI CENTRI E PERIFERIE, ovvero:
- fra vertice e base,
- fra le amministrazioni locali e quelle provinciali e regionali
- fra queste ultime e il Consiglio supremo dell’economia (ВСНХ / VSNCh) a Mosca e, parallelamente,
- fra questi centri decisionali e le organizzazioni economiche socializzate a esse collegate a ciascun livello (dall’organizzazione di categoria, sindacale e di settore, all’ultima officina dell’ultimo paese nella steppa più remota).
Chiedo scusa per l’eccessivo schematismo di quanto sopra riportato, ma questo vuole essere anche un quaderno operativo, una cassetta degli attrezzi dove quelli che come me non si ricordano se han chiuso la finestra o meno subito dopo essere usciti di casa possano subito ritrovare e ritrovarsi. È un metodo che usa come pietra di paragone lo scrivente, colgo quindi l’occasione per chiedere nuovamente scusa ai lettori infastiditi da queste invenzioni grafiche.
Importanza di questo cambio di passo, ieri e oggi
In questo caso, la “cassetta degli attrezzi” si arricchisce di elementi MOLTO importanti. E pone questioni a dir poco DIRIMENTI anche sull’oggi. Esistono, OGGI, movimenti che propendono per una TRANSIZIONE a un modo socialistico di produzione, ovvero inteso in questi termini di PROPRIETÀ INTERAMENTE SOCIALE dei mezzi di produzione e CONDUZIONE PIANIFICATA degli stessi? Badate la domanda non è per nulla retorica. Non si chiede se esiste tale modo di produzione, temporaneamente sepolto insieme all’URSS (attenzione, borghesi, al terzo giorno...), ma se esistono MOVIMENTI che vanno OGGI in tale direzione. A PRESCINDERE DALLE FOGLIE DI FICO DI PRESUNTE “SPECIFICITÀ” LOCALI DIETRO ALLE QUALI MASCHERARE TUTTO… ANCHE IL FATTO CHE NON VI È NESSUNA TRANSIZIONE E CHE IL MODELLO DI CAPITALISMO MONOPOLISTICO DI STATO VA GIÀ BENE COSÌ COM’È. “ARMONICO” NEL SUO DISARMONICO PRODURRE RICCHEZZA E, SOPRATTUTTO, NEL DISTRIBUIRLA. “ARMONICO”, IN ULTIMA ANALISI, PER
- FARLO IN UN CONTESTO “STABILE” SIA PER I NUMERI CHE PER LA DISCIPLINA, OVVERO IL CONTROLLO SOCIALE (CARTA A PUNTI...)
- IN ALTRE PAROLE, SENZA DISORDINI NEGLI INDICATORI MACROECONOMICI E NELLE STRADE (TELECAMERATE E A RICONOSCIMENTO FACCIALE).
IN QUESTO, IL RECUPERO DELLE NOZIONI CONFUCIANE DI “DISORDINE”, luan 乱, E “ARMONIA”, HE 和, non in contrapposizione – che quello lo fa la Schlein – ma in SUPERAMENTO, in quanto RISPOSTA, SOLUZIONE PIÙ ADEGUATA HIC (soprattutto) ET NUNC (ma direi anche “sempre”… kaputt!) alla “obsoleta” (superata, per l’appunto!), “eurocentrica”, estranea alla “millenaria cultura cinese”, LOTTA DI CLASSE jieji douzheng 阶级斗争, costituisce
- L’UNICA, REALE CILIEGINA SULLA TORTA IDEOLOGICA, E INSIEME PIETRA TOMBALE, SU TUTTO QUELLO CHE LA HA PRECEDUTA COME PENSIERO GUIDA (e che in qualche modo, sia pur “sinizzato” zhongguohuade 中国化的, si richiamava al marxismo-leninismo).
- PRINCIPIO ORDINATORE DI TUTTO L’APPARATO DI POTERE DEL CELESTE IMPERO. OGNUNO STATICAMENTE E, SOPRATTUTTO, SENZA USCIRE DALLE RIGHE, AL SUO POSTO: “PARTITO”, “SINDACATO”, “INFORMAZIONE”, “CULTURA”, ECCETERA.
C’è NEP e “NEP”, teniamolo sempre a mente, mentre lasciamo volentieri questi accostamenti ai corifei di Pechino, a cui fa comodo paragonare questi cinque anni all’ormai quasi mezzo secolo di transizione al capitalismo con caratteristiche cinesi, un capitalismo di cui la cancellazione del diritto di sciopero già dalla Costituzione del 19821 rappresenta – non a caso! - un momento emblematico. Troppo comodo crogiolarsi su indicatori economici che di per sé voglion dire tutto e niente, o interventi sociali che un secolo fa sarebbero stati chiamati filantropia (paternalistica), e continuare a far finta di nulla sul resto: o, peggio ancora, dire “è così perché è così”. Le tautologie lasciamole ai padroni, di qualsiasi colore essi abbiano la carrozzeria. E torniamo al Paese dei Soviet.
La guerra civile è finita, gli imperialisti, sempre gli stessi di oggi, sono stati scacciati, il Paese è allo stremo. In questa situazione i comunisti DA UN LATO aprono all’unico modo che conoscevano di rimettere in moto tutto, ovvero RICORRENDO ALLO STESSO, ODIATO, MODO DI PRODUZIONE DA SUPERARE, CERCANDO DI LIMITARNE I DANNI, DI EVITARE CHE IMPESTASSE NUOVAMENTE IL TUTTO, TRAMITE LA LOTTA DI CLASSE. DALL’ALTRO, non perdono tempo e CERCANO DI DOTARSI DI TUTTI GLI STRUMENTI NECESSARI A CREARE IL NUOVO MODO DI PRODUZIONE, SPERIMENTANDOLI SUL CAMPO, VERIFICANDO RISULTATI, PRENDENDO NOTA DI ERRORI, CERCANDO DI NON RIPETERLI, E INSERENDO QUANTO OTTENUTO IN UNA TABELLA DI MARCIA IN GRADO, REALMENTE, DI FARE LA TRANSIZIONE, DI PORTARE A QUEL MODO DI PRODUZIONE DATO DALLA PROPRIETÀ INTERAMENTE SOCIALE DELLA PRODUZIONE E CONDUZIONE PIANIFICATA DELLA STESSA, ALTRIMENTI CHIAMATO SOCIALISMO.
TUTTO QUESTO, MENTRE I CAMPI ANCORA FUMAVANO, E NON PER IL CONCIME SPARSO, MA PER LE CARCASSE DEI PEZZI DI ARTIGLIERIA ANCORA TRA I PIEDI. Stiamo parlando di cambiamenti epocali di un intero settore economico, quello socializzato, da attuare nel giro di pochi anni, con risultati attesi già nel breve periodo per poter consentire la messa in moto dell’intero, complesso, sistema di funzionamento. Stiamo parlando di messa a regime di trest (трест), aziende di migliaia di operai, se non decine di migliaia, nazionalizzate o costruite anche dal nulla. Stiamo parlando di un lavoro titanico nelle proporzioni del quale ancora oggi noi, che nel 2020 impiegammo un mese intero (UN MESE!) per individuare l’unica fabbrica di ventilatori polmonari in Italia e provare ad ampliarne la produzione con dentro i militari del genio, mentre la gente continuava a morire negli ospedali, non abbiamo ben chiare né la portata, né – peggio ancora! - il significato.
Giustappunto, a tutti coloro che hanno puntato il dito nei confronti di questi rivoluzionari gretti, ignoranti, basici, che di Marx o Engels a malapena avevan letto qualcosa, dall’alto dei loro “economicismi” con cui liquidare questo assalto al cielo con qualche loro giudizio “tranchant”, per l’appunto, farebbe bene darsi una rinfrescata guardando all’emergenza appena passata, con quella disastrosa parodia di un pseudo-dirigismo incapace di pianificare alcunché, oltre che infarcito di incentivi a pioggia che l’unica cosa che han visto crescere, come funghi dopo la pioggia per l’appunto, sono stati movimenti speculativi. L’esempio del ventilatore polmonare è solo la punta dell’iceberg… qualora non bastasse, rinfreschiamoci ancora la memoria nel rievocare le fasi di quella penosa (e fallita!) ricerca di modi e tempi per una produzione autoctona di vaccini, o per lo stesso piano (“piano”…sic!) vaccinale o, scendendo sempre più verso il baratro, anche solo di approfondire l’ipotesi (immediatamente ritrattata) di aumentare di una ventina di giorni un calendario scolastico che tutti si rendevano conto esser stato irrimediabilmente mutilato dalla cosiddetta “DAD”, e che pure finita la festa, aperte le gabbie, gabbato lo santo, nessuno ha mosso un dito per porvi un benché minimo rimedio. A settembre, tutti a partire dal programma regolare, come prima, più di prima.
Stendiamo un velo pietoso per carità di patria (si fa per dire), su questa rievocazione il cui unico scopo è APPREZZARE, AL CONTRARIO, lo sforzo non di un manipolo di infermieri eroicamente sul pezzo, al ritmo di due turni alla volta, ma di una tanto giovanissima quanto inesperta leva di rivoluzionari che cresceva, quantitativamente e qualitativamente. E che guardava alto, altissimo rispetto a queste miserie, e cercava di tradurre quell’entusiasmo rivoluzionario in gesti concreti, ogni giorno e su una scala nazionale di oltre dieci fusi orari.
“I profsojuz hanno l’obbligo incondizionato di difendere gli interessi di classe del proletariato e delle masse lavoratrici contro i loro capi”
Una leva di rivoluzionari che non aveva perso i propri migliori uomini al fronte, che non aveva chiesto e continuato a chiedere sacrifici immani a quelli rimasti e, soprattutto, a un popolo stremato da quasi dieci anni di guerra, per gettare la spugna con la NEP. Lo stesso Lenin, a cavallo fra 1921 e 1922, in uno dei suoi ultimi lavori, sosteneva ben altro:
Lo Stato proletario, senza cambiare la propria essenza, può concedere libertà di commercio e di sviluppo al capitalismo solo entro certi limiti e solo entro i confini della regolamentazione (регулирование) statale del commercio privato e del capitalismo a proprietà privata (vigilanza, controllo, rigida determinazione di forme, modi, ecc.).
IL SUCCESSO di tale regolamentazione dipende NON SOLO DAL POTERE STATALE, MA ANCOR PIÙ DAL GRADO DI MATURITÀ DEL PROLETARIATO E DELLE MASSE LAVORATRICI NEL LORO COMPLESSO, quindi dal livello culturale, ecc.
Tuttavia, ANCHE IN CASO DI PIENO SUCCESSO di tale regolamentazione, L’ANTAGONISMO FRA GLI INTERESSI DELLE CLASSI DEL LAVORO E DEL CAPITALE RESTERÀ, non c’è il minimo dubbio.
Perciò, uno dei compiti più importanti dei sindacati sarà, D’ORA IN AVANTI, LA DIFESA TOTALE E CON OGNI MEZZO DEGLI INTERESSI DI CLASSE del proletariato nella sua lotta contro il capitale.
TALE COMPITO deve essere apertamente messo FRA I PRIMI PUNTI NEGLI ORDINI DEL GIORNO, occorre quindi RICOSTRUIRE, CAMBIARE, RINFORZARE L’APPARATO SINDACALE, creare o, meglio RICREARE FONDI DI SOLIDARIETÀ A CUI ATTINGERE IN CASO DI SCIOPERI.
La transizione delle aziende statali al cosiddetto calcolo economico è inevitabilmente e indissolubilmente collegata alla NEP, pertanto nel breve periodo questo sarà, volenti o nolenti, il modello prevalente, se non unico. In pratica questo significa, nelle condizioni di una libertà di commercio nuovamente concessa e in crescita, il passaggio delle aziende statali a un regime di tipo commerciale, capitalista2.
È questa una condizione che,
in rapporto alla necessità più impellente di
1. aumentare la produttività,
2. eliminare le perdite e
3. creare redditività per ciascuna azienda statale,
piuttosto che in rapporto
1. all’emergere di interessi di parte o corporativi o
2. ad altrettanto corporativi eccessi di zelo,
inevitabilmente genera il noto conflitto di interessi fra la classe operaia e i direttori delle aziende statali o dei reparti in cui essa lavora.
Per questo, anche in relazione alle aziende statali, i profsojuz hanno l’obbligo incondizionato di difendere gli interessi di classe del proletariato e delle masse lavoratrici contro i loro capi.3
Altro che abrogare il diritto di sciopero dalla Costituzione! Torniamo un attimo al penultimo paragrafo per un’ulteriore osservazione. Chiedo nuovamente scusa per questa tavola apparecchiata, schematizzata in punti, totalmente infedele nell’interpunzione (ma non nel testo!) dallo scritto originario.
Torno e li rileggo. L’azienda è statale. Il direttore, il CdA, l’AD, NON SONO I PADRONI. In teoria, anzi, secondo uno schema APPARENTEMENTE marxiano, non può esistere conflitto di classe tra due salariati, ancorché il primo quadro dirigente e il secondo l’ultimo dei neoassunti col più basso livello di inquadramento.
Infatti i problemi sono squisitamente OPERATIVI, non APPARENTEMENTE LEGATI a una contraddizione di classe. Lenin però VA OLTRE L’APPARENZA E RAGGIUNGE UNA SOSTANZA CHE DAVVERO COGLIE LA CONTRADDIZIONE DI CLASSE ESISTENTE, ANCHE FRA DUE LAVORATORI SALARIATI CHE TUTTAVIA SI TROVANO A ESERCITARE FUNZIONI SECONDO LOGICHE ASSOLUTAMENTE CONTRADDITTORIE, E QUESTO PROPRIO NEI PIÙ CLASSICI TERMINI DI LOTTA DI CLASSE!
A FAR EMERGERE IL CONFLITTO DI CLASSE È LA NATURA DI CLASSE ASSUNTA DALL’AZIENDA STESSA. SEPPUR STATALE, LA SUA ATTIVITÀ È MISURATA SECONDO PARAMETRI NON ORIENTATI AL BENE PUBBLICO MA ALLO “STARE NEL MERCATO”, AL MANTENIMENTO DELLA PIÙ ALTA “COMPETITIVITÀ”, ovvero ALLA CONTINUA RICERCA DI UN SEMPRE PIÙ ALTO SAGGIO DI PROFITTO COME UNICO CRITERIO DI SOPRAVVIVENZA ECONOMICA.
In altre parole, non sono gli “uomini” o i “caporali”, direbbe Totò, a rendere DI PER SÉ il loro un CONFLITTO DI CLASSE. Ma è il contesto, ovvero il modo di produzione in cui si svolge l’attività economica a SPINGERE I SECONDI, DETENTORI DELLA DIREZIONE SULL’AZIONE DEI PRIMI, A OPERARE SCELTE ECONOMICHE CHE INEVITABILMENTE DIVENGONO SCELTE DI CLASSE.
Lenin ha PERFETTAMENTE CHIARO questo punto. Ed è per questo che, PASSANDO DAL “COMUNISMO DI GUERRA” ALLA NEP, ESIGE, PRETENDE, INCORAGGIA, SPINGE PER IL RITORNO DEL SINDACATO ALLA LOTTA DI CLASSE. ALLA LOTTA CONTRO IL PADRONATO. ALLA LOTTA CONTRO CHI, PUR NON ESSENDO PADRONE, SI COMPORTA COME TALE!
QUESTO VALE, A MAGGIOR RAGIONE, PER IL DIRITTO DI SCIOPERO, che ritrova nella NEP leniniana PIENA RAGION D’ESSERE proprio perché LO STESSO STATO NON SOLO È INVESTITO DI COMPITI DIRETTIVI, DI ORIENTAMENTO, ESERCIZIO E COORDINAMENTO FRA POTERI, MA È ANCHE ATTORE ECONOMICO DIRETTO. DOVE? QUESTO È IL DATO PIÙ IMPORTANTE: IN UN AMBIENTE, UN MODO DI PRODUZIONE che non è ANCORA quello socialistico, OVVERO NON È RITAGLIATO SU MISURA PER UNO STATO SOCIALISTICO, OVVERO DETENTORE DEI MEZZI DI PRODUZIONE (statali, locali, cooperative) CON IL COMPITO, ANCOR PIÙ GRAVOSO MA AL TEMPO STESSO GRANDIOSO, DI COORDINARLI SECONDO PIANO, ma resta quello capitalistico di prima.
Da questo, per esempio, discende la necessità di “stare sul mercato” coi propri prodotti, LA CUI REALIZZAZIONE (vendita) ricordiamo essere il momento della verità anche per il plusvalore che si intasca il padrone (o cooperativa, o Stato in questo senso cambia poco). Nel capitalismo, se non si sta sul mercato, si chiude, c’è poco da girarci intorno. Ecco quindi la pressione sul costo del lavoro e l’aumento del saggio di sfruttamento, eccetera.
“Hic Rhodus, hic salta”: e se lo Stato per “far quadrare i conti”, per “restare sul mercato”, agendo sulla leva del prezzo del prodotto finito... per esempio, CONGELASSE GLI SCATTI DI ANZIANITÀ? O IMPONESSE UN PRELIEVO FORZOSO SUI SALARI? O PROCRASTINASSE sine die IL RINNOVO DEI CONTRATTI? O INTRODUCESSE QUARANTOTTO ORE SETTIMANALI DI BASE PIÙ STRAORDINARI?
CHI GLIELO IMPEDIREBBE? Il Partito? Meglio, l’opposizione alla deriva revisionistica interna allo stesso? Forse. Ma questo non può essere un dibattito che si consuma a stilettate negli angusti spazi di una segreteria o di un Comitato centrale. Occorre portare il problema nelle fabbriche. Nei luoghi di lavoro. Nelle piazze. Lenin non ha dubbi: I SINDACATI non possono che ricoprire un ruolo centrale in tutto questo! Un bello sciopero, anche se non sono contraddizioni antagonistiche, anche solo per far “tornare la memoria” a qualcuno su chi è chiamato a fare che cosa nella sua attuale posizione di amministratore della cosa pubblica, e i soldi magari saltan fuori… da altre parti, MAGARI SEPARANDO PREVIDENZA DA ASSISTENZA per non continuare a tagliare pensioni, giusto per tornare a noi… “guardando con un po’ più di attenzione”, come sempre!