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La funzione del pensiero complesso nell'era della complessità

di Pierluigi Fagan

06 complessoCredo che il prossimo sarà il secolo della complessità.
S. Hawking, 2000

L’intero è qualcosa di più delle parti.
Aristotele, Metafisica, IV secolo a.e.v.

Il semplice è sempre falso, ciò che non lo è, è inutilizzabile.
P. Valery

La cultura della complessità si è sviluppata in Occidente a più ondate a partire dal dopoguerra e piano piano, si è ampliata a praticamente tutti i campi di studio nei quali di declina la nostra conoscenza, dalla fisica alla metafisica, passando invariabilmente, seppur con adattamenti specifici, dalle scienze dure a quelle umane ai saperi umanistici. Per questo la chiamiamo “cultura”, perché non è un paradigma specifico di una disciplina che vuole colonizzare le altre, ma una impostazione generale del pensiero umano qualsiasi sia l’oggetto che si dà. Ovviamente se il pensiero ha sentito questa esigenza riformista è perché i suoi oggetti hanno reclamato analisi e comprensioni adeguate alla loro natura, natura che si è disvelata nel tempo. Gli stessi oggetti (atomi, molecole, cellule, organi ed organismi, individui e loro relazioni sociali, economiche, culturali e politiche, financo stati o forme di civilizzazione, ecologie, linguaggio, storie e narrazioni e molto altro), dopo esser stati trattati per molto tempo secondo certe forme standard del pensiero moderno, ci hanno mostrato lati del loro essere statico e viepiù dinamico, che chiamavano forme più ampie di analisi ed interpretazione.

Ad esempio, non sempre è possibile o utile ridurre una cosa o un fenomeno al sottostante, le cose o i fenomeni sono il risultato di tutte le parti tra loro in relazione che le compongono così che, come già aveva intuito Aristotele “L’intero è qualcosa di più delle parti”.

Non sempre si può esser precisi in forma determinista, negli inquadramenti generali è preferibile rimanere al livello che diciamo “grana grossa”, facendo ipotesi statistiche e probabilistiche. Non sempre le cause sono della stessa intensità degli effetti, spesso le cause sono plurali ed i loro effetti possono retroagire sulla stessa causazione. I testi prendono significato diverso se messi in relazione ai contesti, il tempo – la storia – dell’esistenza di un oggetto o di manifestazione di un fenomeno è importante e spesso ha radici molto lunghe mentre altre volte il cambiamento avviene in tempi molto brevi, a salti. Oggetti e fenomeni spesso possono esser di pertinenza di diversi campi di studio, dicotomie utili inizialmente al pensiero per distinguere rischiano nel tempo e nella realtà di diventare opposizioni intrascendibili al variare delle condizioni in cui sono state originariamente pensate. Le “cose” sono importanti ma lo sono anche le relazioni interne/esterne che le compongono, spesso entità particolarmente complesse emergono proprio da questa rete di relazioni e la loro stessa complessità macro, emerge da regole di relazioni tra le sue parti molto semplici. Tutte le forme biologiche sottostanno al vincolo adattivo ad un contesto che è sempre in cambiamento, ogni essere è in divenire. Questo e molto, molto altro ancora, un condensato dei principali guadagni del recente sviluppo della cultura della complessità che va riferita alla conoscenza umana in generale.

Due impostazioni connotano questa nuova forma del pensiero più di ogni altre.

La prima è che ci siamo resi conto negli ultimi decenni che praticamente ogni oggetto fisico o mentale dato al pensiero, è pensabile e descrivibile come un sistema. Ogni oggetto o fenomeno è scomponibile in parti tra loro in relazione, spesso in relazione reciproca cioè in interrelazione. Vale andando verso il suo interno, come per l’esterno, quello che leggiamo sono sistemi fatti di sistemi e collegati ad altri sistemi in ambienti-contesti-sistemi maggiori. Ogni sistema è al contempo aperto e chiuso, se non fosse perimetrato non si distinguerebbe da ciò che ha intorno, se non fosse anche aperto sarebbe una monade che è un concetto pensabile che però non si rinviene nel mondo reale. Ogni cosa che diciamo “una” è anche molteplice al suo interno come nelle relazioni che ha al suo esterno. La prima impostazione è quindi ciò che chiamiamo “sistemica”, una rete a volte inestricabile da cui traiamo momentaneamente un oggetto o fenomeno isolandolo dalla sua condizione naturale interconnessa, per leggerlo più da vicino, in forma semplificata ed unificata. Questo è naturale per via dei limiti che hanno le nostre forme cognitive, l’importante è ricordarsi e poi tenere conto che l’atto di estrazione è arbitrario e che la reale natura di ciò che analizziamo è ben più ampia e dipendente da ciò a cui è naturalmente collegato, oltreché influita dalle forme stesse che organizzano la nostra cognizione di osservatori attivi.

La seconda è che sebbene la forma generale della umana conoscenza si sia evoluta per discipline e poi sotto-discipline e specializzazioni che riducono viepiù la dimensione e l’ampiezza di inquadramento degli oggetti o dei fenomeni, nel suo complesso, il mondo di “tutto ciò che è” non risponde a questa forma. Di per loro, oggetti e fenomeni, vivono intrecciati tra loro e mostrano spesso tanti aspetti quanti sono le discipline in cui decliniamo la conoscenza. L’essere umano, ad esempio, oltreché esser fatto di relazioni affettive, sociali, economiche, politiche, linguistico-culturali, di culto e credenza, storiche o meglio geo-storiche, oltre ad essere tanto emotivo quanto razionale, tanto nel conscio quanto nell’inconscio, volitivo non meno che condizionato, individuale quanto sociale, è fatto anche di DNA ereditato con possibili – casuali – modificazioni, cellule, chimica, elettricità, molecole ed atomi, flussi e stati. L’essere umano è l’oggetto principe di una ampia declinazione che dal fisico arriva al metafisico. La cultura della complessità, lungi dal voler negare l’utilità di separare, ridurre e cercar di determinare ove necessario ed utile, apre parallelamente all’esplorazione del riconnettere, ampliare, comprendere a gran grossa cercando di metterci dentro quanto più e possibile di ciò che è dentro e fuori all’oggetto o fenomeno per ricostruirne la sua “natura intera”.

Sistemica ed approcci multi-intra-inter-disciplinari quindi sono i due assi principali in cui si sviluppa questa cultura che intende completare con un’altra dimensione quella più tradizionale che ereditiamo dai secoli passati.

Negli ultimi decenni, si è viepiù reso evidente a tutti che il mondo complessivamente inteso sta velocemente evolvendo il suo ordine non senza qualche effetto caotico, dove il caos ed in particolare la zona intermedia tra ordine e disordine, è un fenomeno tipico di ciò di cui si occupa parte del pensiero complesso. La ricerca scientifica pura e la sua applicazione in tecniche, dalla quantistica che presto arriverà all’informatica, ai nuovi materiali, all’Intelligenza Artificiale, dalle reti a gli sciami, l’algoritmica e la computazione che evolvono la Teoria dell’informazione nata in ambiente “complesso” non meno che le evoluzioni della Teoria del caos e delle catastrofi, l’ingegneria dei sistemi, i nuovi materiali e la rivoluzione biologica delle genetica e dell’epigenetica, della biologia molecolare e lo studio dei sistemi adattivi, la grande stagione di ricerche sul cognitivo ed il bio-psichico, sono in piena evoluzione esplosiva. Ma lo sono anche certa paleontologia e paleoantropologia, l’ecologia, la sociologia sistemica, l’ economia che fa i conti col Secondo principio della termodinamica e con nuove descrizioni dell’agente dalla razionalità imperfetta, i sistemi manageriali non meno di quelli politici, la nuova scienza delle città, Internet, la geopolitica e le relazioni internazionali, il dialogo inter e multi-culturale, lo studio della storia profonda e della storia davvero mondiale, l’immancabile riflessione filosofica che accompagna sempre lo sviluppo del pensiero umano. Questa esplosione cognitiva sta accompagnando parallela il cambiamento del mondo, in molti casi vi contribuisce. Ma in che direzione il mondo sta cambiando?

Eravamo 1,5 miliardi solo ai primi del secolo scorso ed i 7,5 miliardi di oggi diverranno forse poco meno di 10 tra trenta anni. Nel mondo, erano solo cinquanta gli stati formalizzati al 1950, oggi sono duecento. Sebbene le interrelazioni tra gruppi umani esistessero già nel Paleolitico, non v’è dubbio che dal 1492 in poi, ci siano state progressive ondate di sempre crescente interconnessione e condivisione, cooperazione e competizione, fino all’esplosione delle relazioni commerciali e finanziarie che chiamiamo “globalizzazione” che nella sua precipua forma è fenomeno recente, meno di quaranta anni. Così per l’impianto e diffusione dei media mondiali ed Internet in particolare. Se dall’inizio delle prime forme di società complesse (3000 a.e.v.) al 2003 si è calcolato noi si sia prodotto cinque exabyte di dati, la stessa quantità oggi la produciamo in due soli anni. Per non parlare dello sviluppo dei mezzi meccanici (aerei, navi, treni, veicoli) che oggi ci portano da qui e lì nel tempo in cui ancora solo un secolo fa si andava da una semplice regione non oltre quella immediatamente attigua.

Per certi versi, è la prima volta che ci troviamo a dover pensare l’intero mondo come un unico sistema composto di tantissime varietà componenti (individui, comunità, gruppi, società, popoli, culture e forme di civilizzazione) e molteplici interrelazioni. Altresì, è la prima volta, che la geosfera ci appare con tutti i suoi strati interconnessi, quello della biosfera e la pedosfera, l’idrosfera e la litosfera, già fino alle profondità geologiche e su fino all’atmosfera e financo la magnetosfera e le aperture allo spazio profondo. La proprietà, controllo ed attraversabilità delle varie porzioni di spazio diventa improvvisamente problematica e più problematico ancora appare il fatto che così tanti esseri umani tutti dediti a forme di economia con un forte impatto entropico, sfidano i limiti certi del Secondo principio della termodinamica e con crescenti problemi di convivenza col resto del “vivente” da cui per altro dipendiamo in senso vitale. Questo complesso mondo materiale ha poi i suoi intrecci col non meno complesso mondo immateriale. Le geo-storie dei vari popoli che hanno tradizioni e forme di pensiero diverse, le grandi religioni sempre in tensione espansiva che ormai hanno esaurito i loro areali geo-storici di nascita e si sovrappongono in molti punti non senza attrito, le immagini di mondo che hanno ancoraggi in tradizioni nate in tempi che avevano caratteristiche molto diverse dal mondo attuale, le ideologie che intese come sistemi di pensiero organizzato non sono affatto morte né moriranno mai visto che ogni gruppo umano ne produce di default, i linguaggi e le logiche che rimangono molteplici. Il mondo umano è materiale non meno di quello naturale ma ad esso somma un intero altro mondo immateriale fatto di cultura e pensiero. Entrambi, stanno sia creando un unico macrosistema strutturale planetario, sia rinforzandosi per reazione nelle loro identità differenti.

In tutto ciò, agiscono i vari sistemi umani organizzati, etnie, popoli, stati, unioni regionali di stati, alleanze militari, plurali forme condivise di civiltà, organismi politici multilaterali, attori economici multinazionali, banco-finanziari transnazionali, network informativi, organizzazioni non governative, gruppi di criminalità organizzata, credenze religiose organizzate. Siamo tutti sempre meno in grado di rintanarci nell’isolamento locale ignorandoci l’un l’altro, siamo sempre più spinti l’un verso l’altro con differenti consistenze, demografie, necessità, desideri, sogni di maggior benessere, una spinta che ci obbligherà a decidere dove e come è possibile cooperare e dove invece si finirà col competere visto che la somma totale di tanta eterogenea volizione eccede di molti gradi la disponibilità di spazio e risorse planetarie che è fissa. Certo la tecnologia ed anche l’apertura allo spazio profondo può un po’ rilassare la pressione tra contenuto e contenitore, ma l’una e l’altra non sono patrimonio dell’umanità, a loro volta sono possibilità in mano ad attori in genere egoisti, giocatori competitivi non benefattori del sistema generale, né arbitri. In più non possiamo avere idea di quanto e per quanto potranno forse allontanare i limiti fisici. Altresì, i livelli di sviluppo tra aree planetarie rimangono asimmetrici e purtroppo lo è sempre più anche la condivisione della ricchezza generale in quell’eccesso di diseguaglianze che sembra ampliarsi in maniera ingovernabile dentro le singole società, soprattutto occidentali.

Delle tante risposte date alla domanda del perché negli umani si è evoluta la facoltà distinguente la specie, cioè la facoltà di “pensare”, la funzione adattativa del pensiero ci sembra la più precisa ed idonea.

È solo grazie alla facoltà pensante che abbiamo smesso di agire su reazione, immaginando vie meno dirette ma più proficue, non immediate ma dilazionate nel tempo, vie poi condivise in gruppo per imitazione e poi per via comunicativa più sofisticata, tra cui l’evoluzione del linguaggio, dei concetti, dei sistemi di concetti. È solo grazie al pensiero a governo dell’azione individuale ma più spesso collettiva, che abbiamo compensato la mancanza di quelle specializzazioni che però confinano altre specie in precise nicchie e la sottodotazione di armi e prestazioni biologiche. Dalla nascita delle società complesse, “solo” cinquemila anni fa, con l’aggiunta della scrittura, delle religioni, dell’approfondirsi ed il fissarsi delle gerarchie sociali e politiche, su fino alla filosofia e la scienza che affiancarono l’arte e la religione nel tentativo di comprendere il mondo, il sistema di pensiero fatto di immagini di mondo si è ulteriormente complessificato. Sempre però per comprendere il proprio spazio-tempo, tempo che dal XIX al XX e XXI secolo ha visto una vera e propria “inflazione di complessità”, forse non ancora debitamente registrata.

Oggi, viviamo appunto un altro spazio ed un altro tempo, dalla interconnessione tra locale e globale alla metrica di un cambiamento che si è fatto radicale e permanente, nonché accelerato, il mondo è entrato nell’era complessa, la nostra mentalità ancora no.

È anche per questo l’impegno profuso da un manipolo di tenaci a continuare a divulgare le forme del pensiero complesso in Italia, non la forma di un pensiero specificatamente ancorato ad una disciplina, né una forma di pensiero imperialista che vuole prender il posto della famiglia delle divisioni con specializzazioni della varie, necessarie, discipline. Piuttosto dare all’ascissa del sapere cumulato delle discipline propriamente scientifiche, scientifico umanistiche ed umanistiche separate nelle divisioni del lavoro cognitivo, una ordinata sistemico-multi-inter-trans-disciplinare che permetta di fare mappe quadridimensionali degli oggetti e dei fenomeni complessi da cui saremo sempre più circondati, inquadrandoli da più aspetti assieme ai loro contesti. Interpretare un mondo sempre più complesso semplificando, aumenta sensibilmente il rischio di fallimento adattivo e le molteplici sfide che abbiamo davanti mettono in gioco la qualità intrinseca del nostro modo di stare al mondo ed il suo stesso futuro. Di contro, non serve a nulla collassare nella olistica “mistica della complessità”, una qualche forma di ragionevole riduzione va fatta per articolare il pensiero umano che ha limiti di procedura piuttosto rigidi. Si tratta quindi di semplificare gli oggetti del mondo nel pensiero, sì, ma contemporaneamente migliorare le qualità di rappresentazione e analisi di quel pensiero. Mappa e territorio rimangono distanti quanto a risoluzione ma la loro distanza va accorciata, la risoluzione delle nostre mappe va migliorata.

Ancor una volta, il pensiero deve servire all’adattamento ed un’era complessa chiama di necessità un pensiero complesso. Promuoverlo, ampliarlo, strutturarlo, farne sintesi, condividerlo e criticarlo, evolverlo è il miglior impegno intellettuale per chi si sente parte dell’umana avventura su questa palla blu persa nel buio dell’immenso.


[ L’articolo è stato pubblicato sul nuovo sito del Festival della Complessità – QUI– che quest’anno giunge alla sua decima edizione. L’evento d’apertura del’edizione 2019, si terrà nel secondo week end di maggio a Roma al Museo d’Arte Contemporanea MACRO]

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