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Osservazioni e critiche a “Catastrofe o rivoluzione” di Emiliano Brancaccio
di Gianni De Bellis e Mario Fragnito
Cerchiamo di fare alcune osservazioni e alcune critiche al lavoro di Emiliano Brancaccio “Catastrofe o rivoluzione”, tenendo conto che, essendo il compagno un accademico, il lavoro è stato scritto, appunto, con “linguaggio accademico”. Ci scusiamo in anticipo della nostra ripetitività, ma è dovuta alle osservazioni da noi fatte punto per punto, e al ribattere di certi concetti da parte di Brancaccio.
Iniziamo dal prologo, in cui Brancaccio, anticipando una sua tesi, dice:
<< la libertà del capitale e la sua tendenza a centralizzarsi in sempre meno mani costituiscono una minaccia per le altre libertà e per le istituzioni liberaldemocratiche del nostro tempo. Dinanzi a una simile prospettiva Keynes non basta, come non basta invocare un reddito. L’unica rivoluzione in grado di scongiurare una catastrofe dei diritti risiede nel recupero e nel rilancio della più forte leva nella storia delle lotte politiche: la pianificazione collettiva >>.
Ora, punto primo:
Marx, in relazione al modo di produzione capitalistico, ha sempre parlato, per quanto ne sappiamo, di “libertà per il borghese (innanzitutto libertà di sfruttare i proletari)” e di “schiavitù del lavoro salariato” per il proletario. Più estesamente: la libertà in ambito borghese è in ultima istanza libertà per il capitale; tutte le altre libertà devono, all’occorrenza, essere ad essa sacrificate, manifestando così la loro falsità, la loro apparenza soltanto, di verità.
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La tempesta perfetta
di Il Pedante
Leggi qui la prima parte dell'articolo
Perché allestire una pandemia di legge che rende pandemica una lunga serie di malattie altrimenti contenibili? E perché un'idea così pericolosa raccoglie i consensi di una parte importante della popolazione, specialmente ai suoi vertici? E ancora, perché una civiltà che si dichiara fedele al metodo e ai risultati delle scienze sceglie di ignorare i danni scientificamente misurabili (come le sindromi da «lockdown») e misurati (come la dubbia utilità dei «lockdown») delle sue condotte, e nel fare ciò pretende persino di agire secondo i «dettami» di una scienza che dice, impone e prescrive? Non è purtroppo possibile fornire una sola risposta a questi interrogativi, perché la contraddizione di oggi amplifica e porta a un livello (finora) mai visto una lunga serie di condizioni che già da prima agivano sull'esercizio e sulla rappresentazione della vita sociale. Essa è nuova nell'intensità, ma non nelle premesse e nei modi. La sua critica dovrebbe perciò strutturarsi nell'alveo di una più ampia critica delle contraddizioni e dei paradossi moderni nel loro sviluppo prima secolare e poi sempre più rapido, degli ultimi pochi decenni. È una critica che qui possiamo affrontare solo disordinatamente e in antologia, offrendo spunti di analisi che convergono da livelli diversi per indovinare le radici lontane del fenomeno esaminando i suoi frutti.
Nel citato articolo di maggio mi concentravo sulle suggestioni religiose di un altrimenti assurdo olocausto di sé con cui la civiltà contemporanea sembra voler propiziare la propria risurrezione scrollandosi di dosso le delusioni, le paure e i problemi irrisolti di un modello spiritualmente esausto e materialmente insostenibile.
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La religione del debito
Dario Gentili, Elettra Stimilli, Antonio Montefusco, Paolo Napoli
Solitamente capitalismo e cristianesimo sono considerati due ambiti opposti, ma in questo dialogo intorno al libro di Elettra Stimilli emergono le fonti cristiane del modo di produzione capitalista, a partire dal concetto di «colpa»
Il saggio di Elettra Stimilli, Il debito del vivente. Ascesi e capitalismo, ripubblicato da poco, ha un obiettivo allo stesso tempo radicale e ambizioso: da che cosa deriva, da un punto di vista filosofico e culturale, il sentimento onnipresente, così tipico del nostro tempo, per il quale ci sentiamo in difetto e in colpa? Il nome che diamo a questo sentimento – debito – si riallaccia a concetti culturalmente stratificati (in tedesco, per esempio, la parola Schuld indica insieme sia la colpa sia il debito, in una confusione che è comune a diverse lingue). Il debito è stato in verità anche uno strumento di governo della vita dei singoli e della costruzione di rapporti geopolitici (sappiamo bene, ormai, come quello «sovrano» e quello «privato» siano intrecciati). Soprattutto, esso si rivela uno strumento che induce a sottrarre agli uomini il controllo del loro destino. L’analisi di Stimilli riesce a individuare in questo elemento un punto cruciale che permette di comprendere le concrete modalità con le quali il capitalismo ha innestato la sua totale presa sul mondo, e sugli esseri umani: porre l’accento sulla condotta di vita individuale, che è considerata di per sé, quasi naturalmente, mancante e in difetto, permette di articolare una forma di fede nel capitalismo, che lo rende, sotto molti aspetti, indiscutibile. Consumare non è più uno obiettivo godibile. Quel deficit originario comporta soprattutto che la nostra vita sia vissuta naturalmente come una rinuncia. Rinuncia che caratterizza la nostra compartecipazione al consumo e all’ordine neoliberale, mascherando sotto l’aspetto dell’imprenditore di sé stesso un’autodisciplina feroce, priva di scopi, che permette al capitalismo di metterci a valore come esseri viventi, come, infine, «capitale umano».
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Competizione per sopravvivere, il nero destino della UE
di Claudio Conti
In calce un articolo di Guido Salerno Aletta
Sepolta sotto la coltre mediatica delle notizie sulla pandemia, la crisi economica marcia trionfale. Esaltata dalla stessa architettura dell’Unione Europea, fissata in trattati pensati in un’epoca di “vacche grasse”, quando la parola crisi era immediatamente associata alla “colpa” di qualcuno.
Perché si viveva “nel migliore dei mondi possibili”, e dunque se qualcosa andava storto doveva esserci per forza qualcuno che aveva “vissuto al di sopra delle proprie possibilità”, accumulando debiti invece che produrre ricchezza.
Quel mondo perfetto, del capitalismo neoliberista, non è mai esistito, se non nella retorica (qualcuno lo spieghi ai Giannini e ai Mario Monti, che non continuino ignari di tutto!). Ma adesso è la realtà a prendere a martellate in testa chiunque provi a immaginare “misure correttive” per un sistema che non sta in piedi.
L’Unione Europea, dopo dieci mesi di pandemia, non è ancora riuscita a prendere alcuna decisione sensata o comunque pratica. L’unica mezza cosetta è il fondo Sure, garantito dalla Ue, per finanziare – molto parzialmente – la cassa integrazione straordinaria decisa da tutti gli Stati membri.
Per il resto, ognun per sé, come vuole la logica mercantilista dei trattati. Tranne che per quanto riguarda la politica di bilancio, ovviamente improntata all’austerità.
Anche questa è stata presa a martellate dalla pandemia, visto che tutti i Paesi membri hanno dovuto ingigantire i rispettivi debiti pubblici per far fronte all’emergenza. Ma la “sospensione” del Patto di Stabilità non significa affatto revisione delle strategie adottate fin qui.
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Il cittadino criminale e il “grande internamento” del lockdown
Adesso più che mai è necessario rileggere Foucault
di Guy Van Stratten
Per descrivere i più svariati fenomeni di tipo sociale e politico che avvengono nella società è utile, in alcuni casi, rivolgersi al pensiero di studiosi e filosofi, che funziona come una vera e propria lente di ingrandimento, come un filtro attraverso il quale possiamo leggere la realtà che ci circonda. Michel Foucault è sicuramente uno di questi: egli stesso considerava le sue opere come una vera e propria “cassetta degli attrezzi” che metteva a disposizione per chi volesse avviarsi sulle piste di ricerca da lui iniziate. I suoi studi sulle dinamiche attraverso le quali il potere si insinua negli interstizi della società moderna e contemporanea rappresentano un importante strumento che non dovremmo mai dimenticare. Adesso più che mai è necessario riprenderlo in mano per tentare di analizzare, in modo lucido e disincantato, i fenomeni sociali e politici scaturiti dall’emergenza della pandemia da Covid-19.
Da più parti, durante il lockdown di marzo-aprile, è stato richiamato il concetto di “criminalizzazione del cittadino”. Adesso, che vengono nuovamente messe in atto pratiche più o meno restrittive della libertà individuale sull’intero territorio nazionale, è interessante recuperare questo concetto. Perché criminalizzazione o, detto altrimenti, colpevolizzazione? Perché – si diceva – gli organi di governo, invece di mettere il dito sulla piaga di un sistema sanitario inefficiente e ridotto al collasso da una cattiva gestione nel corso di lunghi anni, colpevolizzavano diffusamente i cittadini indisciplinati che ‘si assembravano’ e assumevano dei comportamenti sbagliati.
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Infanzia e capitalismo
di Laura Pigozzi
Il nostro capitalismo, che è indubitabilmente aggressivo, è anche un capitalismo bambino. Uno dei passaggi dall’età infantile a quella adulta consiste nel legare la pulsione aggressiva in una formazione che abbia carattere di sublimazione, che possa, cioè, costruire un ponte simbolico tra gli esseri umani, come il pensiero, l’invenzione. Possiamo chiamare il nostro capitalismo infantile anche “capitalismo pulsionale”, dato che la sua pulsionalità appare slegata, indisciplinata e disinvolta nel gioco del libero mercato. Le parole non sono mai innocenti: definire “gioco” il sistema che regge economicamente il mondo è rivelatore. Eppure, persino il gioco dei bambini ha bisogno di regole imposte da un terzo, esterno alla partita. Al contrario, per quanto riguarda gli scambi economici del nostro mondo industrializzato, si è creduto di poterli lasciare senza una disciplina, senza la guida di un terzo che, estraneo al gioco, dettasse le regole. Si è creduto che un gioco auto-amministrato potesse “dar vita di per sé a una società funzionante ed efficiente [dato che] la teoria neoclassica è stata ampiamente collaudata e ha mostrato il suo valore”, come recita uno dei testi di Peter Ferdinand Drucker, ritenuto l’inventore della scienza del management. Drucker è considerato uno dei pensatori di economia sociale e organizzazione aziendale tra i più illuminati e, mentre scriveva “credo fermamente nei liberi mercati”, sosteneva anche che le attività economiche sono il mezzo “per il raggiungimento di fini non economici (cioè umani o sociali), anziché essere fini in quanto tali”.
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Bozze per un'analisi della teoria dello Stato in Marx (breve risposta a Riccardo Dal Ferro)
di Bollettino Culturale
Riflettere su un argomento così complesso come lo Stato in Marx comporta diversi tipi di problemi. Un primo problema è la vastità dell'opera di Marx, un altro la complessità del suo pensiero e l'erudizione delle sue esemplificazioni. Tuttavia, questi problemi possono diventare secondari o minori rispetto ad altri di dimensioni maggiori: cosa intendiamo cercare e trovare quando parliamo di "Stato in Marx"? Un problema teorico della massima importanza, poiché riguarda la definizione dell'oggetto da indagare.
Partendo da una prima approssimazione potremmo, ad esempio, dire: l'oggetto di questa indagine è il concetto di Stato che esiste nell'opera di K. Marx. Ma poi, poco dopo, ci imbattiamo in un problema: se c'è un “concetto” è chiaro che si tratta necessariamente di una teoria. Quindi l'"oggetto" della nostra ricerca non è semplice. È complesso e potrebbe essere una "cosa" diversa da come pensavamo che fosse. Appaiono una serie di domande sollevate anche da Riccardo Dal Ferro nella sua riflessione critica sul pensiero di Marx, a cui proverò a rispondere, e che grosso modo sono: esiste una teoria dello Stato in Marx? E se sì, di quale "tipo" di teoria stiamo parlando? Qual è il suo grado di sviluppo? Implica un "concetto" di Stato?
Le preoccupazioni per il problema dello Stato in Marx avevano forse raggiunto il loro culmine negli anni Sessanta con l'affermazione di Bobbio che non solo Marx non aveva elaborato una teoria dello Stato capitalista, ma non l'aveva nemmeno fatto in relazione al futuro Stato socialista, questo perché il suo interesse centrale era stato il problema del partito.
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L’importanza del comando capitalistico sulla riproduzione sociale
di Federico Chicchi
Note a margine sullo sfruttamento a partire da alcune preziose suggestioni di Christian Marazzi
I feel so extraordinary
Something’s got a hold on me
I get this feeling I'm in motion
A sudden sense of liberty
The chances are we’ve gone too far
You took my time and you took my money
Now I fear you've left me standing
True Faith, New Order, 1987
Sporgenze inesauribili della teoria militante
Ci sono luoghi della produzione militante, siano questi teorici o pratici, che non si lasciano assorbire dal crepaccio che lo scorrere del tempo cronologico genera dietro di sé. Tale dimostrazione di vitalità, ad esempio, è quella che illumina il sapere dei cosiddetti insegnamenti classici, quel sapere che continua a interpellarci nonostante tutto, quel sapere resistente ai cambiamenti, ancora necessario a pensare il presente nelle e con le sue contraddizioni. Ma non solo. Esistono a mio avviso frammenti, contributi, lamelle, schegge più difficili da scovare e levigare ma che per questo non sono meno preziosi (quando non indispensabili) per tentare di costruire un bagaglio di sapere militante all’altezza delle sfide del presente. Questo mi porta anche ad affermare che il valore teorico e politico di un sapere militante non è mai definito una volta per tutte e che per questo non può neanche essere approcciato da un fare meramente archeologico. Tra le svariate e possibili motivazioni a sostegno di questa affermazione, ce n’è una credo fondamentale, che voglio provare, molto brevemente, a proporvi di seguito.
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Assassinio Kakhrizadeh, un'altra guerra?
di Fulvio Grimaldi
Nagorno Karabakh – Iran: obiettivo Mosca. Chi, come, perché
Il Mossad è un’organizzazione criminale con la licenza”
(Tamir Pardo, ex-capo del Mossad)
Attentato, com’è andata davvero
Tra le tante versioni che circolano, quello più attendibile in base a fonti non interessate è esemplificata nella mappa. Per certo non è credibile la fesseria di una mitragliatrice automatica, su un mezzo poi fatto saltare in aria. Operazione in grande stile, invece, con la partecipazione di 62 persone delle quali 12 in azione armata. 1) Il convoglio dello scienziato di tre vetture blindate entra nella rotonda da cui si arriva alla cittadina di Asbard. 2) Salta per aria un’autobomba che abbatte un traliccio, provoca un blackout nell’area e colpisce la vettura di coda. 3) Un’auto Hyundai Santa Fè con 4 passeggeri, quattro motociclette e due cecchini, è appostata al lato opposto. Da qui si apre il fuoco dopo l’esplosione che ha bloccato le macchine.4) Uno del commando trascina Fakhrizadeh dalla macchina e lo finisce sulla strada, dove, infatti, resta una larga pozza di sangue.
Perché il governo di Ahmed Rouhani parla di un’operazione assai meno complessa? Perché si tratta di occultare l’inefficienza dei servizi di sicurezza a protezione dello scienziato, denunciata anche dagli ambienti militari, e l’impressionante grado di infiltrazione di elementi nemici e di collaborazionismo interno. Una debolezza che contrassegna l’intero mandato dell’attuale presidente, espressione, dopo gli anni di Ahmadinejad e nonostante i tentativi di contrasto dei cosiddetti “radicali”, o “conservatori”, di quelli che in Occidente vengono magnificati come “”moderati”. Come spesso succede, la divisione di classe si traduce in divisione geopolitica: da una parte il popolo, antimperialista e per la sua sovranità, dall’altra l’élite, propensa alla consociazione nel segno del mercato senza confini.
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I vizi e le virtù del determinismo marxiano
di Alessandro Barile*
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 1/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, pp. 58-69, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
«Il diciottesimo secolo ha messo in discussione ogni cosa, il diciannovesimo ha il compito di concludere; e conclude con delle realtà; ma realtà che vivono e camminano»
(Balzac, Illusioni perdute, 1837-1843)
Attorno al grande problema dell’oggettività, tanto della realtà quanto dei suoi processi sociali, si è istituito un confronto che ha attraversato tutto il marxismo. Oggi il problema ha perso di rilevanza: il campo del marxismo, di per sé residuale, è profondamente venato di soggettivismo nelle sue proposizioni teoriche, e la militanza pensata tutta all’interno di una prassi politica contingente. Un recente volume di Luigi Vinci1 ci ricorda che così non fu per una lunga epoca del movimento operaio. Da Marx fino (almeno) allo scoppio della Grande guerra — e soprattutto lungo tutta l’esperienza della II Internazionale — la teoria politica della socialdemocrazia costruiva la propria forza organizzativa e narrativa pienamente dentro il campo del determinismo storico. Il famigerato “crollismo” altro non era che la fiducia in processi sociali teleologici: il capitalismo era destinato ad essere superato, a prescindere dall’azione del movimento operaio. È quanto asseriva candidamente un marxista rivoluzionario come Plechanov, laddove indicava come «la sociologia non diventa scienza che nella misura in cui perviene a comprendere la comparsa di fini nell’uomo sociale (“teleologia” sociale) come una conseguenza necessaria del processo sociale, condizionato in ultima istanza dal corso dello sviluppo economico»2.
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Ritorna la critica dell'economia politica
di Carlo Magnani
Emiliano Brancaccio, “Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione”, Meltemi 2020
Ci sono molte ragioni, specie per chi intende ancora oggi perseguire la via del pensiero critico, per trovare assai utile la lettura dell’ultimo libro dell’economista Emiliano Brancaccio. Il testo è costruito in modo tale da potere essere apprezzato anche da chi non possiede specifiche conoscenze di economia: non si tratta del solito “papers”, come sfotte la categoria Giulio Sapelli, infarcito di inglese e di tabelle micragnose. Siamo convinti che Brancaccio sia anche un ottimo analista economico ma fortunatamente qui non ce lo dimostra, preferendo concentrarsi sui principali nodi di politica economica che attanagliano il presente. Dopo la chiara introduzione del curatore, Giacomo Russo Spena, il lettore incontra tre parti: in primo luogo, una serie di interviste che datano dal 2007 al 2020; poi, i resoconti di confronti che Brancaccio ha intrattenuto in occasioni pubbliche con alcuni autorevoli economisti (spicca su tutti per valore quello con Olivier Blanchard, ex capo economista del Fondo Monetario Internazionale, ma figurano anche dialoghi con Mario Monti e Romano Prodi); ed infine, un terzo momento è costituito da un recente saggio che costituisce una ideale chiusura teorica di tutto il lavoro.
Dovendo sintetizzare in una sola battuta l’intero libro verrebbe da dire: “finalmente ritorna la critica dell’economia politica”, intendendola proprio nel senso più genuinamente marxiano del termine. Si ha l’impressione, ascoltando e leggendo Brancaccio, di ritornare in quei luoghi dove tutto cominciò, di riascoltare quel gergo al contempo scientifico e politico che produsse la critica di classe al capitalismo; di riconnettersi cioè con la consapevolezza teorica che fu alla base di quel vasto mondo che si chiamava movimento operaio.
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Il debito italiano è sostenibile? Facciamo un po’ di chiarezza
di Serena Ionta
1. Introduzione
La crisi sanitaria innescata dal coronavirus è divenuta velocemente una crisi economica, facendo sì che molti Stati avessero la necessità di erogare ingenti risorse per finanziare la spesa pubblica e indirizzare la liquidità necessaria al sistema sanitario e agli operatori economici colpiti.
Come già evidenziato in un articolo precedente, la spesa pubblica può essere finanziata in due modi:
(1) Imposte, tendendo quindi verso un pareggio di bilancio.
(2) Deficit, finanziato da un aumento di debito pubblico o della base monetaria, operazione quest’ultima che rappresenterebbe la cosiddetta monetizzazione.
In questa sede ci si concentrerà principalmente sulla sostenibilità del debito pubblico italiano, attraverso un’analisi basata sui dati sino ad oggi disponibili. L’intento finale è quello di demistificare alcuni luoghi comuni poco fondati.
2. La situazione italiana pre-crisi
Nel caso in cui perdurino deficit non finanziati da moneta appositamente emessa è molto probabile che si presenti nel tempo un’accumulazione di debito: questo è quanto avvenuto in Italia e in altri paesi europei.
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2001-2016: Centralizzazione del capitale e crisi finanziaria, oppure Crisi, da cui centralizzazione del capitale?
di Gianni De Bellis e Mario Fragnito
Osservazioni e critiche sull’omonimo lavoro di Emiliano Brancaccio, docente dell’Università del Sannio, ed altri (Centralization of capital and financial crisis: a global network analysisof corporate control).
Nella letteratura non solo marxista, a partire almeno da mezzo secolo fa, non sono rare affermazioni come: “quasi 3 miliardi di persone .. quasi metà della popolazione terrestre vive con meno di 2 dollari al giorno” .. “il 20% delle persone più ricche detiene l’80% della ricchezza mondiale”; e, successivamente: “il 15% delle persone più ricche detiene l’85% della ricchezza mondiale”. E, più recentemente, a gennaio 2016, un rapporto di Oxfam diffuso in occasione del Forum economico mondiale di Davos: “Nel mondo 62 persone detengono la ricchezza di metà della popolazione più povera, mentre solo 6 anni fa erano 388 .. l’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99% .. l’1% più ricco degli italiani .. in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale” ..
Certo, ricchezza e capitale non si identificano perfettamente; capitale è quella “ricchezza” che è in grado di produrne altra: una villa o uno yacht di lusso sono ricchezza ma non capitale. Però la ricchezza è sempre legata al capitale. Quindi l’idea che il capitale vada sempre concentrandosi nelle mani di chi è già ricco, mentre la maggior parte della popolazione del mondo impoverisce (al di la delle illusioni dei ludopatici e di quanti vengono influenzati fortemente dalle illusioni che il capitalismo potentemente semina ad ogni piè sospinto) soprattutto dopo la crisi di un decennio e mezzo fa, ormai appartiene non solo agli ambienti marxisti, ma va abbastanza oltre. E ciò anche nelle ricche nazioni imperialiste, dove ormai la povertà colpisce strati sempre più ampi della popolazione. Il fenomeno sembra così evidente che sembrano strane le prime parole con cui Emiliano Brancaccio e gli altri ricercatori aprono il loro scritto:
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Il ritorno di Engels
di John Bellamy Foster
Friedrich Engels spesso viene accusato di aver dirottato il marxismo su un terreno troppo deterministico. Ma le sue analisi su rapporto tra evoluzione, lotta di classe e ambiente ne hanno fatto un anticipatore dell'eco-socialismo
Pochi sodalizi politici e intellettuali possono competere con quello di Karl Marx e Friedrich Engels. Divennero famosi come co-autori del Manifesto del Partito comunista nel 1848, entrambi prendendo parte alle rivoluzioni sociali di quell’anno, ma anche di due opere precedenti: La Sacra Famiglia nel 1845 e L’ideologia tedesca nel 1846.
Verso la fine degli anni Settanta dell’Ottocento, quando i due socialisti scientifici finalmente poterono vivere in stretta vicinanza e discutere tra loro ogni giorno, spesso camminavano avanti e indietro nello studio di Marx, ciascuno dalla propria parte della stanza, solcando ripetutamente il pavimento mentre giravano sui tacchi e discutevano di idee, piani e progetti.
Spesso leggevano insieme brani dai loro lavori in corso. Engels lesse a Marx l’intero manoscritto del suo Anti-Dühring (al quale Marx contribuì con un capitolo) prima della sua pubblicazione. Marx scrisse un’introduzione a L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza di Engels. Dopo la morte di Marx nel 1883, Engels preparò i volumi due e tre del Capitale per la pubblicazione dalle bozze che il suo amico aveva lasciato. Se Engels, come riconobbe per primo, si trovava all’ombra di Marx, era nondimeno un gigante intellettuale e politico a pieno titolo.
Eppure per decenni gli accademici hanno suggerito che Engels avesse declassato e distorto il pensiero di Marx. Come ha osservato criticamente lo scienziato politico John L. Stanley nel suo postumo Mainlining Marx nel 2002, i tentativi di separare Marx da Engels – al di là del fatto ovvio che erano due individui diversi con interessi e talenti differenti – hanno teso sempre più a dissociare Engels, visto come la fonte di tutto ciò che è riprovevole nel marxismo, da Marx, visto come l’epitome dell’uomo di lettere civilizzato, e lui stesso un non-marxista.
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Sulla metafora del nemico invisibile
di Flavio Luzi
Nel chiasso mediatico generatosi negli ultimi mesi, è difficile non accorgersi della diffusa tendenza della classe dirigente e dell’opinione pubblica a ricorrere al lessico militare in riferimento alla situazione scaturita dalla diffusione del Covid-19: l’epidemia – o, meglio, la pandemia – non sarebbe altro che una “guerra” nella quale si trova coinvolto l’intero pianeta (la “terza o quarta guerra mondiale” o la “prima guerra globale”); le zone ad alto potenziale di rischio, sottoposte a limitazioni, non sarebbero altro che delle “zone rosse” e i reparti di terapia intensiva, a loro volta, delle “trincee”. Si è addirittura arrivati a concepire gli operatori sanitari come degli “eserciti” con i loro feriti e il loro caduti. È una vecchia abitudine: già Susan Sontag l’aveva messa in evidenza tra la fine degli anni Settanta e la conclusione degli anni Ottanta, nei testi Illness as Metaphor e Aids and its Metaphors, datando l’esordio delle metafore belliche in ambito bio-medico alla seconda metà dell’Ottocento. L’inizio del pensiero bio-medico moderno andrebbe ricondotto proprio al focalizzarsi di queste metafore non più, genericamente, sulla malattia in quanto tale, bensì su determinati organismi patogeni visibili all’occhio umano solo con l’ausilio di particolari strumenti, per esempio un microscopio.
Ma che tipo di guerra potrà mai essere una guerra condotta contro un virus? Come si nota leggendo Carl Schmitt, la guerra si trova all’interno di una relazione circolare, di presupposizione reciproca, con l’inimicizia.
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Frenano i salari e corre l’export: la crisi accelera il cambiamento
di coniarerivolta
In questi giorni, sfogliando le pagine dei giornali, capita di imbattersi in due notizie, apparentemente slegate tra loro. Alla base di queste due notizie ci sono due numeri, uno negativo ed uno positivo: -8,1% e +2,1%.
Il primo numero fotografa il crollo dei consumi registrato a settembre, rispetto allo scorso anno, dai radar di Confcommercio: l’associazione che unisce oltre 700.000 imprese del terziario rileva una forte caduta delle vendite che si concentra nei servizi ricreativi (-73%), nel turismo (-60%) e in bar e ristoranti (-38%). È l’immagine di una flessione economica che si protrae dal mese di marzo e che inizia ad assumere i connotati di una lunga depressione, con effetti potenzialmente devastanti per il tessuto produttivo. Piangono i piccoli commerci, molti dei quali non avranno la forza finanziaria per riaprire i battenti quando sarà passata la tempesta, ma non ridono i grandi centri commerciali, terrorizzati dalla prospettiva di veder sfumare le vendite natalizie, che rappresentano circa il 40% del loro budget annuale.
Voltiamo pagina e leggiamo l’altra notizia. Questa volta un dato, che sembrerebbe incoraggiante, proveniente dall’Istat: nel contesto della crisi scatenata dalla pandemia, le esportazioni del nostro Paese si muovono in controtendenza e crescono su base annua del 2,1%, con un’espansione più forte al di fuori dell’area dell’euro (+2,8%) in cui spiccano il +11,1% verso gli USA e il +33% verso la Cina, ma in aumento anche all’interno dell’Unione Europea (+1,4%) con importanti sbocchi verso la Germania (+6%).
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Materialismo dialettico e meccanica quantistica relazionale
In difesa di Lenin
di Andrea Evangelista
L'empiriomonismo
Nell'ultimo libro1 del fisico Carlo Rovelli c'è un capitolo, il V, dal titolo: La descrizione non ambigua di un fenomeno include gli oggetti a cui il fenomeno si manifesta - Dove ci si chiede cosa implichi tutto ciò, per le nostre idee sulla realtà, e si trova che la novità della teoria dei quanti non è poi così nuova. I primi due paragrafi del capitolo sono dedicati alla disputa tra Alexander Bogdanov e Vladimir Lenin. Vi si racconta come, dopo che Bogdanov ebbe pubblicato la sua opera in tre volumi2 , Lenin pubblicò la sua nota opera filosofica Materialismo ed empiriocriticismo. Note critiche su una filosofia reazionaria3, con l'obiettivo di criticare (ferocemente per Rovelli) l'empiriocriticismo, usando per la filosofia di Bogdanov il termine usato da Ernst Mach, il fisico e filosofo austriaco del XIX secolo (ispiratore di entrambe le grandi rivoluzioni della fisica del XX secolo, padrino di Wolfgang Pauli e filosofo preferito di Schrödinger riporta Rovelli).
Rovelli illustra il pensiero di Mach:
Mach insiste che la scienza si deve liberare da ogni assunzione «metafisica». Basare la conoscenza solo su ciò che è «osservabile». [...] La conoscenza non è quindi vista da Mach come dedurre o indovinare un'ipotetica realtà al di là delle sensazioni, ma come la ricerca di un'organizzazione efficiente del nostro modo di organizzare le sensazioni. [...] Per Mach non vi è distinzione tra mondo fisico e mondo mentale: la «sensazione» è ugualmente fisica e mentale.
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Alibaba, il fintech e il sistema finanziario
di Vincenzo Comito
Con lo scoppio della pandemia, le attività del settore del fintech hanno fatto un grande balzo in avanti, e il colosso Ant ha aiutato la Cina a diventare il leader globale indiscusso nel settore. Perché Pechino ha bloccato dunque la quotazione in Borsa del colosso di Jack Ma?
La curiosa quotazione in Borsa di Ant Group
L’annuncio della quotazione in Borsa di Ant Group, braccio finanziario di Alibaba, nonchè la successiva sospensione della stessa da parte delle autorità cinesi, ci spingono ad analizzare le molte, importanti, questioni che sono in ballo nella vicenda, dall’avanzamento tecnologico e finanziario cinese e dalla lotta per il predominio con gli Stati Uniti, al problema del controllo pubblico dei giganti dell’economia numerica, al rapporto più generale tra pubblico e privato, al futuro infine delle banche tradizionali, in Cina come nel resto del mondo.
Dunque, nell’ottobre del 2020 il gruppo Alibaba annuncia che la sua controllata Ant Group sarà quotata alle borse di Shanghai e di Hong Kong attraverso l’emissione di titoli azionari per un valore di circa 37 miliardi di dollari; tutta Ant viene a questo punto valutata 313 miliardi di dollari, un valore superiore a quello di tutte le grandi banche internazionali, compresa, sia pure di poco, a quello del più grande gruppo finanziario occidentale, la JPMorgan Chase.
Se la quotazione fosse stata portata avanti, si sarebbe trattato del più grande collocamento in Borsa della storia. L’emissione è stata in linea di principio un grandissimo successo: sono arrivate richieste di sottoscrizione pari a circa 800 volte il valore dei titoli immessi sul mercato.
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Il ricatto del Recovery Fund
di Leonardo Mazzei
Abbiamo già spiegato quanto sia infondata la leggenda del Recovery Fund. L’analisi del funzionamento tecnico di questo nuovo strumento europeo non lascia spazio ai dubbi. In esso non c’è nulla di virtuoso, tantomeno di risolutivo rispetto alla crisi in corso.
Ma limitarsi a vederne la sostanziale inefficacia economica sarebbe un grave errore. Dedichiamo perciò questo nuovo articolo agli aspetti più propriamente politici. Il tentativo è quello di capire quale sia il vero accordo che sta dietro il Recovery Fund. Impresa in verità non troppo difficile.
Lo choc di primavera
Di fronte alla crisi innescata dal Covid, e più ancora dalla sua disastrosa gestione, l’UE ha dovuto prendere atto del baratro che gli si parava davanti. Un baratro che avrebbe potuto aprire la strada alla disintegrazione. Sulla base di questa banale constatazione i soliti illusi hanno perfino immaginato la tanto sognata “riforma” dell’Unione. Ma la riforma di ciò che è irriformabile è per definizione impossibile. Nel caso dell’UE le dimostrazioni in tal senso sono talmente tante che non è necessario insistervi.
La cupola eurista ha dovuto perciò inventarsi l’ennesima soluzione che serve a prender tempo, che non risolve i problemi ma che è utile intanto a salvare la baracca. Tutti sanno che, di fronte al drammatico crollo dell’economia, l’unica misura sensata ed efficace sarebbe stata la monetizzazione del debito. Lo hanno fatto i più importanti stati del pianeta, ma l’UE non può farlo. E, cosa ancora più importante, chi al suo interno detiene le leve del comando non vuole farlo.
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Su le mascherine. Ma giù la maschera dell’ipocrisia
Lettera aperta a Ennio Abate
di Rita Simonitto
Le denunce circostanziate e non ideologiche, le analisi puntuali e problematiche, i tentativi di interrogarsi sulle strategie politiche messe in atto per la gestione di una pandemia da Covid, che appare a molti contraddittoria e a tratti insensata, sono numerose anche sul Web. (Solo alcuni esempi: qui, qui, qui, qui, qui). Questi scritti richiederebbero letture impegnative e gruppi di riflessione che oggi sono quasi inesistenti. Vengono perciò presto dimenticati o sono facilmente sovrastati dal rumore di fondo dei mass media. Questi forniscono esclusivamente valanghe di notizie emotive tese ora a rassicurare ora a impaurire. E sono queste purtroppo che i social riecheggiano o entrano nei discorsi quotidiani. Poliscritture ha pubblicato vari contributi sul tema della pandemia ma si fatica – è bene dirlo – a ragionare e a comprendere in profondità i mutamenti che stanno avvenendo a tutti i livelli esterni e interni alla vita organizzata delle popolazioni. La Lettera aperta di Rita Simonitto è un generoso tentativo di rilanciare una riflessione intermittente. Ricostruisce criticamente la cronaca degli ultimi mesi, denuncia le responsabilità politiche di governo e opposizione, testimonia vivacemente un disagio che è di molti e la volontà di non rassegnarsi. Ripropone anche, senza farla esplicitamente, la domanda più difficile: cosa si può fare di più e meglio? [E. A.]
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Caro Ennio, tre le impellenze che mi hanno spinto a riprendere (in ritardo, oggi siamo al 24.11) il tuo post “Ancora nella gabbia del Lockdown” del 5.11.2020.
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Recalcati lettore di Fachinelli. L’oceano al di là dell’Edipo
di Rocco Ronchi
Elvio Fachinelli ha avuto il grande merito di portare la psicoanalisi dentro il dibattito politico e culturale dell’Italia degli anni ’60 – ‘80, quando il vento del rinnovamento soffiava forte sulla società italiana. Psicoanalista eterodosso, ma non dissidente, sospettoso delle dinamiche autoritarie dei gruppi, anche quando questi erano fondati su buone cause, si era sottratto all’invito formulatogli da Jacques Lacan di rappresentarlo in Italia, preferendo mantenere una posizione da libero battitore. A trent’anni dalla prematura scomparsa, uno dei maggiori “eredi” italiani di Jacques Lacan, Massimo Recalcati, gli ha dedicato un piccolo densissimo volume, articolato in tre saggi e in una Appendice, dal titolo significativo e assai impegnativo: Critica della ragione psicoanalitica.
Di Fachinelli, il suo esegeta condivide non solo una matrice intellettuale lacaniana, che è certamente più sfumata nel caso di Fachinelli, ma anche quella che si potrebbe definire una comune vocazione all’“impegno”. Per entrambi, infatti, la psicoanalisi è una prassi interamente calata nell’attualità, che non teme di sporcarsi le mani con il conflitto. Certamente diversissimi sono gli sfondi nei quali prende rilievo la loro riflessione. La temperie sociale, politica e culturale che caratterizzava gli anni di Fachinelli non ha quasi più rapporto con quella attuale. Le urgenze sono altre, anche se non meno drammatiche. Comune a entrambi è tuttavia la persuasione che la psicoanalisi, che nella sua pratica resta sostanzialmente una faccenda privata, sia, quanto al suo senso, parte integrante del discorso pubblico. Essa deve fungere da criterio di orientamento nel reale e da principio della sua trasformazione.
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Per il 200° anniversario della nascita di Friedrich Engels
di Eros Barone
L’effettivo contenuto della rivendicazione proletaria dell’eguaglianza è la rivendicazione della soppressione delle classi. Ogni rivendicazione di eguaglianza che esce da questi limiti va necessariamente a finire nell’assurdo.
F. Engels, Antidühring. 1
1. Il punto sulla “questione di Engels”
Friedrich Engel nacque il 28 novembre 1820 a Barmen, oggi distretto del comune di Wuppertal, città tedesca della Renania Settentrionale-Vestfalia. Il 28 novembre 2020 cade pertanto il duecentesimo anniversario della sua nascita. È questa un’occasione per fare il punto sulla “questione di Engels”, unendo la necessaria difesa di un patrimonio gigantesco – la teoria marx-engelsiana -, oggetto di tentativi ricorrenti di deformazione, falsificazione e financo liquidazione condotti dai più disparati avversari (ma anche da taluni falsi amici), alla vigorosa riaffermazione della sua forza esplicativa e della sua potenza predittiva, concernenti il carattere ciclico dell’economia capitalistica e le leggi dello sviluppo, della crisi e della transizione che ne derivano. Si tratta allora, prendendo spunto dall’anniversario, sia di promuovere la conoscenza di una figura ricca di fascino intellettuale e morale, appartenente a quella generazione di titani che ha impresso un’orma indelebile nella storia del proletariato mondiale, sia di ribadire l’istanza per cui la natura scientifica della teoria marx-engelsiana, costantemente verificata e da verificare sul terreno dell’“analisi concreta della situazione concreta”, 2 non viene compromessa, bensì rafforzata dal legame inscindibile con la concezione materialistica del mondo, della natura, della storia e dell’uomo.
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Per una critica del concetto di lavoro riproduttivo in Silvia Federici
di Bollettino Culturale
Nel 2004 Silvia Federici pubblica Calibano e la strega. Le donne, il corpo e l'accumulazione originaria, in cui si propone di analizzare gli sviluppi del capitalismo da una prospettiva femminista. Considera il concetto di accumulazione primitiva criticando l'analisi di Marx, che è partito dal punto di vista del proletariato salariato maschile e dello sviluppo della produzione di merci.
L'autrice attinge dalle teorie marxiste (in special modo operaiste), dalle teorie femministe e dalla teoria foucaultiana per ridefinire le categorie storiche di strutture che, secondo Federici, sono nascoste nelle discussioni sul dominio e lo sfruttamento.
Il titolo è ispirato a “La tempesta” di Shakespeare e riflette il desiderio di ripensare lo sviluppo del capitalismo, recuperando le radici dello sfruttamento sociale ed economico delle donne. Inoltre, l'autrice Silvia Federici analizza la caccia alle streghe del XVI e XVII secolo, rivisitando il modo in cui la storia delle donne si intreccia con la storia dello sviluppo capitalista. È degno di nota, quindi, che non è possibile comprendere una tale storia occupandosi solo dei terreni classici della lotta di classe, ma piuttosto dando visibilità allo sviluppo di una nuova divisione sessuale del lavoro, una divisione che ha potenziato la svalutazione delle donne.
La pensatrice italiana sottolinea, sin dall'inizio della sua analisi, quanto raramente sia apparsa nella storia del proletariato la caccia alle streghe, e tale assenza rende invisibile la forza e la resistenza delle donne nel processo di consolidamento del capitalismo in Europa, e come tale caccia abbia livellato il terreno per la costruzione di un nuovo ordine patriarcale basato sull'esclusione delle donne dal lavoro salariato e sulla loro subordinazione agli uomini.
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‘Roma, la città che vogliamo’
Alba Vastano intervista Paolo Berdini, candidato sindaco Roma capitale
“In questi mesi deve partire un’azione di coinvolgimento delle migliori esperienze delle periferie, di tutte le vertenze aperte. Mi auguro che in tempi brevi in ogni municipio si formino comitati guidati dai giovani che in questi anni hanno combattuto contro le speculazioni per un’idea di città inclusiva. Se ci riusciamo, avremo fatto un grande passo avanti. Saremmo in grado di proporre concretamente alla città intera che esiste un’alternativa ai furbetti che utilizzano sempre il trucco del voto utile…Al governo di Roma si affermerà, dunque, chi saprà dare un speranza a questa città ripiegata su se stessa. Ѐ una sfida che dobbiamo saper cogliere” (Paolo Berdini).
Città nel buio, esercizi pubblici che si aprano e si chiudono a intermittenza, strade spente. Gente mascherata e isolata, tampinata da un virus balordo a caccia di respiri. Ѐ la pandemia. Ci tocca viverla fino in fondo. Anche Roma, come le altre città del mondo, è spenta. Non da mesi, da anni. Non è solo a causa della pandemia. La città è spenta da molto tempo. Dai tempi che si sono susseguiti dopo la giunta Petroselli e Nicolini. Da quando di mano in mano, di giunta in giunta, da sindaco a sindaco, da assessore ad assessore sono state rimpallate le responsabilità per ripristinare un welfare a misura di cittadino, a misura di una città fantastica che tutto il pianeta, per la storia, per l’arte, per la cultura conosce e ama.
La città è stata abbandonata e vive un degrado urbanistico spaventoso. Come riportarla agli antichi splendori, pensando all’era post pandemia? L’occasione potrebbero essere, presumibilmente, le prossime amministrative del mese di giugno del 2021, con una svolta eccezionale sulla scelta del nuovo primo cittadino e sulla sua futura giunta.
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Onda su onda
di Lanfranco Binni
Si susseguono, devastanti e a ritmo incalzante, le “ondate” delle quattro grandi crisi connesse con la Covid-19: la crisi sanitaria provocata da una pandemia fuori controllo in gran parte del mondo; la crisi economica che accentua le derive malthusiane del capitalismo in tutte le sue forme, arcaiche e neoliberiste; la crisi politica delle “democrazie” liberali occidentali; la crisi climatica del pianeta. Su ognuno di questi terreni i processi in corso sono tumultuosi, complessi e “caotici”. La pandemia ha accelerato e messo a nudo le vere realtà, concrete e drammatiche, di una storia catastrofica. In questo numero del «Ponte» di fine anno ne scrivono Giuliano e Piergiovanni Pelfer (Il Coronavirus e la fine delle certezze), Emiliano Brancaccio (Catastrofe o rivoluzione), Giancarlo Scarpari (Che ve ne sembra dell’America?). In particolare il testo di Brancaccio sollecita un aperto confronto teorico-politico sulle necessarie e radicali alternative alla “catastrofe” dell’antropocene capitalistico.
Cattive nuove dal fronte dei virus
Sostiene la microbiologa e virologa Maria Rita Gismondo, nella sua rubrica Antivirus su «il Fatto Quotidiano» del 12 novembre, che stanno circolando in Italia e in Europa, “fuori controllo”, almeno sei varianti di SarsCoV2. Il titolo dell’articolo: Virus, la mutazione è più “cattiva”. Ne riporto integralmente il testo.
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