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Renzi: dalla Leopolda alla Rai
di Federico Repetto
La comunicazione di Renzi
Mentre Berlusconi e Grillo sono divenuti dei politici-star in tempi relativamente lunghi, Renzi ci è riuscito in tempi straordinariamente brevi. Per poterlo fare, egli ben presto ha creato un proprio brand politico personale, usando tutti gli strumenti più aggiornati del marketing. Ingredienti simbolici di questo brand sono il primato del merito e del talento, l’autenticità, la gioventù, l’innovazione, il cambiamento, le nuove tecnologie, ecc. Lo stesso cognome di Renzi è trasformato in un logo: una r frecciata, indicante appunto la svolta e il cambiamento, che appare nel suo sito personale (cfr Barile Brand Renzi, 2014, p. 26 sgg. e 82 sgg).
Renzi, a partire almeno dalla sua partecipazione alle “Invasioni Barbariche” nel 2008, accumula capitale comunicativo anche grazie alla conoscenza di esperti di immagine e di spettacolo (p.es. Giorgio Gori, già a capo di Canale 5 e il regista Fausto Brizzi). Ma anche grazie alla sua capacità di associare la propria immagine a star come Benigni e Jovanotti.
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Quale Moneta fiscale? Un confronto tra alcune proposte
di Enrico Grazzini
Dopo aver pubblicato l’articolo sulla moneta fiscale di Bossone, Cattaneo, Costa e Sylos Labini, anche Enrico Grazzini interviene sull’argomento e commenta alcune delle diverse proposte sul campo
In questo articolo mi propongo di chiarire perché l’architettura della moneta unica europea è strutturalmente squilibrata e genera crisi. E perché la moneta fiscale, nella versione pubblicata da Micromega e promossa dal compianto Luciano Gallino, possa rappresentare la soluzione ai problemi dell’euro. Mentre altre versioni di moneta fiscale possono invece essere impraticabili.
Le cause genetiche e strutturali della fragilità dell’euro sono queste:
1. La moneta europea è diventata la leva principale per imporre l’egemonia tedesca sulle economie periferiche, ovvero lo strumento per imporre una forma di colonialismo commerciale, monetario e finanziario. E’ noto che l’euro è stato creato a Maastricht con criteri dettati dalle classi dirigenti tedesche, cioè a immagine e somiglianza del marco, una delle monete più forti e stabili al mondo insieme al franco svizzero e allo yen giapponese. L’euro, in quanto moneta creata per essere forte e stabile, come il marco, non solo contrasta l’inflazione ma è intrinsecamente deflattivo e comprime lo sviluppo della maggior parte dei paesi dell’eurozona. Tuttavia per l’industria tedesca, molto competitiva, l’euro è una moneta debole, svalutata rispetto al vecchio marco, e favorisce perciò il surplus commerciale con l’estero. Grazie all’euro, la Germania può praticare senza eccessivi vincoli la sua politica mercantilistica: e con i suoi surplus esporta disoccupazione e deflazione.
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Cosa ci insegnano le "Tesi di Lione"
di Eros Barone
Se il socialismo scientifico segnò una svolta dì portata decisiva nella storia del movimento operaio internazionale, scoprendo l'"algebra della rivoluzione", non vi è dubbio che le tesi del III congresso del P.C.d'I. (denominazione, questa, che non è affatto equivalente a quella di PCI, giacché indica non un partito nazionale, ma la sezione nazionale di un partito mondiale), tenutosi in condizioni di illegalità a Lione tra il 20 e il 26 gennaio 1926, costituiscano la più avanzata e matura formulazione, attraverso un organico sistema di equazioni, del problema della rivoluzione proletaria nella storia del movimento operaio italiano.
In effetti, a chiunque chieda quali siano i testi con cui sia possibile formarsi un'idea esatta dell'autentica tradizione comunista, proletaria ed internazionalista, del nostro Paese non si può che consigliare di leggere e rileggere, cioè studiare, questo scritto fondamentale che segnò la vera nascita teorico-politica del P.C.d'I., sia come attiva sezione dell'Internazionale Comunista sia come fattore operante della dinamica nazionale, attraverso la rottura con l'estremismo settario ed opportunista di Bordiga [1].
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L’ideologia della governance
di Olimpia Malatesta
Alcune riflessioni sull’Europa e sull’ordoliberalismo a partire da un libro recente
«Governance» è una delle parole maggiormente utilizzate nel lessico politico contemporaneo. Ricorre con frequenza nei documenti ufficiali dell’OCSE, della Banca Mondiale e dell’Unione Europea e designa il passaggio dalle forme decisionali verticistiche e «Stato-centriche del policy making (tipiche del fordismo)» a forme di coordinazione politica ed economica orizzontali in cui i programmi da attuare vengono concordati attraverso reti che intrecciano diversi livelli: locale, regionale, statale, europeo e globale. Inserendosi nell’ampio novero di studi governamentali sul neoliberalismo, il libro di Giuliana Commisso, dal titolo La genealogia della governance: Dal liberalismo all’economia sociale di mercato (Asterios, 2016), si pone l’obiettivo di far luce sul significato e i limiti della governance, espressione nient’affatto disinteressata di un mondo che si vorrebbe post-ideologico. A tale scopo l’autrice individua nelle categorie concettuali foucaultiane lo strumento più adatto per ripercorrerne l’origine e si cimenta in un impegnativo riepilogo dei principali nodi teorici del pensatore francese, riuscendo a restituire la complessità del «dispositivo potere-sapere», a ricostruire la nascita della ragion di Stato nella sua accezione di pratica di governo e ad evidenziare il passaggio da questa alla governamentalità liberale prima e a quella neoliberale poi.
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Donald Trump, «vedette» pseudopopulista della società dello spettacolo
di Michele Nobile
1. La questione Trump
È normale che le elezioni presidenziali negli Stati Uniti alimentino aspettative e timori nei confronti di questo o quel candidato al ruolo di leader della superpotenza mondiale. Tuttavia Barack Obama e Donald Trump hanno suscitato reazioni emotive fuori dell’ordinario e cariche di un’enorme valenza politica. Da Obama, il messia nero, tanti si aspettavano la liquidazione del cosiddetto neoliberismo, allora sprofondato nella più grave crisi del dopoguerra, e un nuovo New Deal. A Trump è invece imputato l’intento di voler operare un fondamentale cambiamento del sistema politico degli Stati Uniti, di voler alterare, se non la sacrosanta e più che bicentenaria Costituzione formale, la Costituzione materiale del Paese; da qui i discorsi su un nuovo regime variamente aggettivato: populista, autoritario, bonapartista, criptofascista, fascista… E ciò non soltanto per via delle sue proposte ma - forse ancor più - per l’impressione suscitata dal suo stile comunicativo, dall’immagine che egli ha voluto trasmettere.
Se la memoria non m’inganna un tale livello di emotività, che potrebbe dirsi isterico, non si verificò neanche a proposito delle elezioni di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan, una coppia che realmente segnò una discontinuità storica.
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Il lavoro ai confini dell’Europa
di Devi Sacchetto
Per un lungo periodo le analisi sulle trasformazioni produttive si sono concentrate sullo spostamento delle strutture produttive dal cosiddetto nord al sud del mondo. In particolare a partire dal 1990, lo spostamento di capitali dall’Europa occidentale, Nord America e Giappone verso l’Asia, l’Europa orientale e l’America Latina ha subito una forte accelerazione grazie soprattutto alle imprese multinazionali. Negli anni più recenti, tuttavia, alcuni studi basati sulle catene del valore e sulle reti di produzione globali (Barrientos et. al. 2011; Henderson et al. 2002) hanno sottolineato come le strutture produttive si siano articolate, anche geograficamente, in modo molto complesso. In questo articolo presentiamo i risultati di due ricerche rispettivamente sul settore elettronico e su quello delle calzature, per evidenziare come le reti produttive globali si sviluppino non solo dal nord al sud del mondo, ma anche in direzione inversa. In particolare sosteniamo che l’organizzazione di queste reti è basata sul contesto socio-istituzionale delle diverse aree mondiali e sulla composizione della forza lavoro.
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Merito fra dono e debito
di Renata Puleo
Breve biografia di una parola e del suo successo. E’ possibile meritare qualcosa, che sia premio o castigo, senza il concorso dell’Altro?
Nel mio gruppo – da quando abbiamo iniziato a lavorare sulla valutazione, sull’INVALSI, sul servizio nazionale di valutazione – ci siamo sempre mantenuti su due piani di ricerca.Con appartenenze politiche e sindacali diverse e un retroterra marxista in comune, abbiamo puntato la barra sui cambiamenti antropologico culturali indotti dal neoliberismo, cornice senza la quale è impossibile comprendere quel che è avvenuto e avviene nella scuola. In questo orizzonte di senso abbiamo lavorato agli aspetti tecnici, ai dispositivi: i test, i frameworks europei, le guide a questo e quest’altro, provando a smascherarne la falsa ideologia scientifica, oggettiva, che li ispira.
Anche oggi, nella comunicazione che segue, mi muoverò su due livelli, una disamina sul merito, come metafora funzionale alla elaborazione di un consenso idiota, nel senso che non sa le parole, e un breve commento di carattere giuridico in cui, di quelle stesse parole, proverò a dare eco.
* * * *
Due parti, diverse per registro e per riferimenti. In entrambe gli attori sono quelli che si muovono intorno alle vicissitudini del merito, come parola chiave e complesso di pratiche.
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Quanto lunghe sono le nostre radici?
di Pierluigi Fagan
Riflessioni sulla lettura di D.L.Smail, Storia profonda, Bollati Boringhieri, Torino, 2017
Daniel Lord Smail, professore ad Harvard, ha ereditato dal padre (a sua volta professore di storia) una passione istintiva per la -grande storia naturale dell’umanità-. Portata avanti l’indagine nei corsi si è risolto a buttare giù una introduzione per un volume di storia naturale che ne riportasse i contenuti ma poi si è accorto che l’una e l’altra, introduzione e storia, metodo e contenuto, avrebbero dato vita al classico mattone sulle seicento pagine. Ha quindi deciso di scrivere una libro di sola riflessione metodologica sull’ipotesi di “storia profonda”, la riunificazione di tutti i domini della storia (geologia, biologia, paleoantropologia, linguistica e storia dei fatti umani) alla ricerca di quel sfuggente oggetto che è la fenomenologia dell’umano.
Il tempo che prendiamo in esame, la sua durata o estensione, è la condizioni di pensabilità prima della profondità storica. Darwin non avrebbe mai potuto intuire e poi sviluppare la sua teoria, se poco prima i geologi non avessero cominciato a dilatare a dismisura il tempo naturale. Fu in un certo senso, lo sviluppo urbano a portare a quegli scavi da cui affiorarono resti atipici di animali che infiammarono il dibattito sulle classificazioni ai tempi di Cuvier.
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Ideologia
di Salvatore Tinè
La nozione di ideologia è una delle categorie fondamentali del pensiero di Marx e di Engels. In particolare essa svolge un ruolo molto importante nel processo di elaborazione e di genesi della concezione materialistica della storia. Il superamento e la critica da parte di Marx e di Engels delle posizioni filosofiche e politiche del gruppo della cosiddetta “sinistra hegeliana”, alla metà degli anni ’40 dell’Ottocento, prende le mosse, infatti dalla nozione di “ideologia tedesca”. Con essa i due fondatori del materialismo storico intendono evidenziare il carattere essenzialmente speculativo e soggettivistico del pensiero filosofico-politico dei “giovani hegeliani” e in particolare della loro pretesa di avviare un processo di rinnovamento sociale e politico della Germania sul mero terreno delle “idee” e della “filosofia”. Nel primato della filosofia rivendicato dalla sinistra hegeliana Marx ed Engels individuano un fondamentale elemento di continuità con l’idealismo di Hegel e insieme il riflesso della condizione di arretratezza sociale e politica della Germania rispetto alla Francia e all’Inghilterra. In realtà una critica reale, effettiva dell’ordine di cose esistente non può non presupporre per loro la fuoriuscita dal terreno della filosofia e del “pensiero puro”.
La critica tedesca – scrivono Marx ed Engels nell’Ideologia tedesca – non hai abbandonato, fino ai suoi ultimi sforzi, il terreno della filosofia.
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Il debito pubblico grava sulle generazioni future?
Molto, molto meno dell'euro, mr Moscovici
di Quarantotto
1. L'immancabile Repubblica, adiuvata criticamente dalla Stampa, riporta la ormai nota (quanto trita) replica di Moscovici all'uscita di Renzi sull'aggiramento/modifica del fiscal compact:
Accoglienza tiepida se non fredda a Bruxelles per la proposta lanciata da Matteo Renzi di tenere il deficit al 2,9% per cinque anni per liberare risorse per spingere la crescita economica. "È interesse dell'Italia continuare a ridurre il deficit per ridurre il debito pubblico che pesa sulle generazioni future e impedisce di investire: ogni euro per far fronte al debito è un euro in meno alla scuola, agli ospedali, all'economia", ha detto il commissario agli affari economici Pierre Moscovici prima di entrare all'Eurogruppo.
Soffermiamoci, per l'ennesima volta, sul concetto espresso nella parte evidenziata della dichiarazione (in automatico) di Moscovici.
C'è un punto che i giornaloni si guardano bene dal cogliere, limitandosi a lamentarsi genericamente che la reazione delle istituzioni UE sarebbe stata nettamente diversa, e ben più possibilista, se fossero stati Macron o la Merkel a sollevare la questione del "ritorno a Maastricht" (ipotesi altamente inverosimile, dato che il fiscal compact è il figlio necessitato delle programmatiche asimmetrie provocate dall'euro).
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Razzismo operaio: necessità di chiarezza
di Michele Castaldo
Non da oggi la questione degli immigrati è una questione centrale nel dibattito politico. Fiumi di inchiostro per “analizzare” il fenomeno e non mancano, ovviamente, proposte per risolvere il problema. Ma sempre dal punto di vista di chi quel fenomeno lo “subisce”. Il mio punto di vista differisce anche da chi da sinistra e dall’estrema sinistra lo affronta con la testa per terra e le gambe all’aria.
E’ noto anche a chi ha frequentato poco o per niente le università che fin dall’Impero Romano venivano fatti affluire nelle città che si espandevano centinaia di migliaia di schiavi dal Nord Africa, cioè operai che dovevano erigere opere colossali senza mai comparire per il loro contributo nella storia in quella fiorente civiltà. La cosa è proseguita per tutti i secoli successivi sempre con lo stesso criterio: pagare il meno possibile la mano d’opera perché risultasse meno costoso il prodotto finito. Citerei per tutti l’esempio di quel Brunelleschi che licenziò tutti gli operai che costruivano la cupola della Basilica di Santa Maria del Fiore a Firenze semplicemente perché chiedevano maggiore protezione per le impalcature, visto che morivano tutti i giorni per cadute dovute alle precarie condizioni di lavoro e ricevevano come premio una bara di legno per la sepoltura.
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Sulla confusione fra le funzioni di "misurazione dei valori" e di "modello dei prezzi"
di Eleutério F. S. Prado
La questione del denaro, nell'opera matura di Marx, è stata oggetto di grandi controversie. E non sembra che siano arrivate alla fine. Si cerca qui di compiere uno sforzo per chiarire la confusione fra il denaro inteso come "misura del valore" ed il denaro visto come "modello per i prezzi". Si ritiene che questo qui pro quo si trovi all'origine della tesi secondo cui la teoria del denaro di quest'autore sia diventata anacronistica. Da una parte, si pensa che, per Marx, il denaro si configuri soprattutto, necessariamente, come una merce reale, ad esempio l'oro. E che la cartamoneta, per il fatto di non essere niente di più che una rappresentazione del denaro-oro in circolazione, dev'essere per questo ufficialmente convertibile in quello. Dall'altro lato, si vede che il denaro circolante oggi risulta essere puramente fiduciario, vale a dire, come non convertibile in oro. Il testo che segue sostiene non solo che quest'opinione è sbagliata, ma afferma anche che gli argomenti sostenuti da Marx vengono in generale equivocati
1. Introduzione
La questione del denaro nell'opera matura di Marx è stata al centro di controversie che non appaiono essere arrivate ad una conclusione positiva. Lo stesso denaro, in quanto una delle categorie più centrali delle teorie che si sforzano di cogliere il capitalismo, è stato al centro di polemiche interminabili. Marx stesso sottolinea nella sua opera maggiore, facendo riferimento al suo stesso tempo ed ai migliori autori, che in generale mancava chiarezza nella comprensione di questo oggetto misterioso. Ora, sembra che il passare del tempo non abbia migliorato tale situazione che - sembra, al contrario - è peggiorata e di molto.
È noto che esistono autori non marxisti e perfino autori marxisti che ritengono inadeguata, per la comprensione di questa forma sociale nel capitalismo contemporaneo, la teoria del denaro che si trova nel Capitale.
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Eurostop e i tre No
di Alba Vastano
La Piattaforma Eurostop diventa un movimento sociale e politico. La sfida è “cambiare il Paese con i tre No all’Euro, all’Unione Europea, alla Nato”: analizziamo come e perché
E’ il primo Luglio e al CSOA Intifada di Roma si parla di euro, di Ue e di Nato. Tre spine nel fianco per la libertà dei popoli e per la loro sovranità, a cui rispondere No, perentoriamente NO. Tra i relatori, Giorgio Cremaschi (ex Fiom), Manuela Palermi (Pci), Sergio Cararo (Rete dei comunisti) e Paola Palmieri (USB). Alle cui analisi sul tema si sono susseguiti numerosi interventi di alcuni protagonisti del mondo politico, giuridico, sindacale e sociale fra cui il giurista Paolo Maddalena, Ugo Boghetta e Bruno Steri (ex Prc) e il sociologo Carlo Formenti, nel corso della lunga mattinata che termina con la votazione degli aderenti ad Eurostop sulle carte costituenti vertenti su identità, programma e modello organizzativo.
L’atto costituente ha trasformato quella che era una Piattaforma Sociale nata già due anni fa in un movimento sociale e politico che si batte per l’abbandono dell’Euro e la rottura della UE e della NATO. Temi centrali che spaccano l’opinione pubblica dando adito ad alcune domande. La questione della sovranità popolare ha ancora senso oppure è “superata” dall’Unione Europea? L’economia capitalistica mondializzata ha prodotto il sorgere anche di un polo imperialista europeo?
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Cose degli altri mondi. Saperi e pratiche del divenire umani
di Lelio Demichelis
Proponiamo, per gentile concessione dell’Editore Colibrì, l’introduzione di Lelio Demichelis (sociologo e studioso del fenomeno tecno-capitalista nei suoi molteplici aspetti) al nuovo libro a sei mani di Piero Coppo, Stefania Consigliere e Paolo Bartolini “Cose degli altri mondi. Saperi e pratiche del divenire umani”.
Piero Coppo è medico, neuropsichiatra e padre dell’etnopsichiatria in Italia, Stefania Consigliere è filosofa e ricercatrice in Antropologia presso l’Università di Genova, Paolo Bartolini è analista filosofo e collaboratore di Megachip.
Buona lettura!
«Perché mai gli sfruttati non si ribellano? E se la radice di ogni valore (e in primis proprio quello del denaro) sta nell’immaginario degli umani, perché sembra impossibile uscire dall’orizzonte capitalista? L’elemento più inquietante di tutti è, infatti, proprio quest’adesione collettiva alla catastrofe, l’assenso alla nostra servitù», scrive Stefania Consigliere.
E ancora: «C’è un divenire capitale degli umani (e un prender forma umana da parte del capitale) che è la parte più temibile di tutta questa storia (…): siamo la punta più avanzata di un colossale esperimento di cattura delle anime, che non passa più solo per l’imposizione violenta, come avveniva nel dominio classico, ma per l’adesione – rassegnata o entusiasta – a un regime pulsionale e concettuale molto soft, che si presenta come la quintessenza della libertà stessa. (…). Qualcosa che, svuotando i soggetti delle loro forze, li assoggetta a un volere esterno e malevolo.
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Introduzione al «Capitale»*
di Karl Korsch
I. Come l’opera di Platone sullo Stato, il libro di Machiavelli sul Principe, il Contratto sociale di Rousseau, anche l’opera di Marx, Il capitale deve la sua grande e duratura efficacia al fatto che ad una svolta storica ha colto ed espresso in tutta la sua pienezza e profondità il nuovo principio irrompente nell’antica configurazione del mondo. Tutti i problemi economici, politici e sociali, attorno ai quali si muove teoricamente l’analisi marxiana del Capitale, sono oggi problemi pratici che muovono il mondo e intorno ai quali viene condotta in tutti i paesi la lotta reale delle grandi potenze sociali, gli Stati e le classi. Per aver compreso a tempo che questi problemi costituivano la problematica determinante per la svolta mondiale allora imminente, Karl Marx si è rivelato ai posteri come il grande spirito preveggente del suo tempo. Ma neppure come massimo spirito del suo tempo egli avrebbe potuto cogliere teoricamente questi problemi e incorporarli nella sua opera, se essi non fossero già stati nello stesso tempo posti in qualche modo anche nella realtà di allora, come problemi reali. Il destino singolare di questo tedesco del Quarantotto fece sì che egli, scagliato fuori dalla sua sfera d’azione pratica dai governi assoluti e repubblicani d’Europa, grazie a questo tempestivo allontanamento dalla retriva e limitata situazione tedesca, venisse inserito proprio nel suo autentico peculiare spazio storico d’azione.
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Imperialismo USA: cambio di direzione?
di Zoltan Zigedy
Gli sviluppi delle ultime settimane rimuovono la nebbia che oscurava gli obiettivi di politica estera della classe dominante USA. Una serie di eventi apparentemente non correlati fanno luce sulle finalità dei responsabili politici in un'era di intensificazione delle rivalità internazionali. Più oltre, sta diventando chiaro che il Presidente Trump sta ora parametrando la politica estera al consenso della classe dirigente; il suo allontanarsi dalla linea è stato sostanzialmente posto sotto controllo.
In febbraio scrissi sulle implicazioni del cambiamento largamente ignorato dello status degli USA, da paese in cerca di energia ed importatore di petrolio, a paese esportatore netto e commerciante in tutte le risorse energetiche.
Gli USA hanno ancora una posizione significativa, ma in contrazione, nell'esportazione internazionale del carbone. Naturalmente, l'uso del carbone è sia terzo in importanza tra gli idrocarburi, sia in contrazione (la produzione del carbone ha avuto la caduta internazionale con la percentuale più alta nelle statistiche del 2016). Tuttavia, le importazioni di petrolio sono diventate essenziali per rifornire i critici bisogni di trasporto degli USA, così come la massiccia macchina militare nella metà del ventesimo secolo.
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Lacan. Il Seminario. L’antifilosofia 1994-1995
Recensione di Caterina Marino
Alain Badiou: Lacan. Il Seminario. L’antifilosofia 1994-1995, Ed. it. a cura di Luigi Francesco Clemente, Napoli-Salerno, Orthotes, 2016, pp. 212, euro 20, ISBN 978-88-9314-027-0
Nel 2016 è stato pubblicato in traduzione italiana il seminario tenuto da Alain Badiou nell’anno accademico 1994-1995 sull’antifilosofia di Lacan. Questo terzo momento di una “tetralogia antifilosofica” (p. 5), che ha visto come protagonisti autori quali Nietzsche, Wittgenstein e san Paolo, non fa che confermare la profonda convinzione di Badiou per cui ogni filosofo contemporaneo che si rispetti debba necessariamente misurarsi, nel corso del proprio itinerario filosofico, con lo psicoanalista francese e, soprattutto, con la sua interpretazione della filosofia (p. 8).
Fu Lacan stesso a dichiarare di essere un “antifilosofo”, e questo è certamente all’origine del debito reale di Badiou nei suoi confronti. La ricerca di Badiou, infatti, oltre a delineare un’autonoma ed originale ontologia, proprio a partire da quell’affermazione lacaniana è stata indotta, in modo sistematico, alla chiarificazione di ciò che caratterizza un pensiero antifilosofico.
A conferma di ciò questo seminario non presenta un’esposizione organica dell’opera lacaniana, ma si concentra soprattutto sull’analisi dei fondamenti della sua antifilosofia.
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La crisi delle banche venete e il fallimento del governo e dell'Unione Bancaria Europea
di Enrico Grazzini
Qualche insegnamento dalla crisi bancaria della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca:
1) Il governo italiano, la Banca d'Italia e la Regione Veneto (a guida leghista) si sono dimostrati clamorosamente incapaci prima di vigilare e di prevedere tempestivamente la crisi, e poi di gestirla. Hanno perso tempo molto prezioso. Il risultato è che la crisi delle due banche è peggiorata rapidamente, che le due banche sono state costrette a chiudere, che lo stato ha sborsato e sborserà molti miliardi in più di quanto previsto, usando ovviamente i soldi dei contribuenti. Alla fine le banche venete sono fallite e le loro attività - quelle buone - sono state cedute (regalate?) per un euro a un'altra banca privata, Banca Intesa. Mentre lo stato si è sobbarcato tutte le attività negative e deteriorate. E' difficile che potesse andare peggio di così.
2) Occorreva nazionalizzare prontamente le banche venete e gestirle come banche pubbliche di sviluppo per rilanciare l'economia nazionale e i territori. Il governo invece ha gettato le perdite sulle spalle dei contribuenti per lasciare tutti i vantaggi e i profitti a Banca Intesa.
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Teorie del valore
Giorgio Lunghini e Fabio Ranchetti*
Introduzione
Per 'teoria del valore' si possono intendere due cose distinte: la determinazione quantitativa dei rapporti secondo cui le merci vengono scambiate sul mercato, cioè dei loro prezzi relativi; oppure la ricerca dell'origine del valore delle merci, dunque l'indagine circa il fondamento stesso, l'oggetto e il metodo del discorso economico. Circa la sostanza che conferisce valore alle merci, le due spiegazioni rivali possono essere definite l'una 'oggettiva', l'altra 'soggettiva'. La prima riconduce il valore delle merci al lavoro che direttamente o indirettamente è stato impiegato per produrle: essa sarebbe oggettiva in quanto il lavoro impiegato per produrre una merce dipende dalle tecniche di produzione adottate, e queste in ogni dato momento sono date. La seconda spiegazione del valore delle merci nega che questo dipenda da loro proprietà intrinseche: il valore delle merci dipenderebbe dall'apprezzamento, da parte dei singoli soggetti, dell'attitudine dei beni economici a soddisfare i bisogni.
La teoria del valore utilità intende spiegare i prezzi delle merci a partire da quanto appare sul mercato; la teoria del valore lavoro, a partire da quanto avviene nella sfera della produzione.
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Il giovane Marx. Un film
di Federica Gregoratto
Sono già passati circa dieci anni dall’inizio dell’ultima crisi finanziaria che ha messo in ginocchio l’economia mondiale, soprattutto occidentale. Una delle trasformazioni sociali, politiche e culturali più evidenti che sta segnando la fase attuale (e terminale?)[1] della società capitalista è la presa di coscienza dei limiti, intrascendibili, e dei fallimenti, irreversibili, del progetto social-democratico e liberale. Le procedure democratiche e il sistema dei diritti non sembrano più soluzioni adeguate, o quantomeno sufficienti, per domare la volontà di potenza e violenza delle classi dominanti, mediare le relazioni con il “diverso”, godere delle libertà rese disponibili dal capitalismo tenendone sotto controllo, allo stesso tempo, le derive (auto)-distruttrici.
A destra, si cercano nuove ricette appellandosi a rozzi demagoghi o a nuove ladies di ferro. L’obiettivo principale è quello di rimuovere tutto ciò che appare sopraggiunto solo di recente: nuove forme di vita e religione arrivate con gli ultimi copiosi flussi migratori, nuove preoccupazioni, per esempio sul futuro del pianeta, cui la scienza ci mette ora di fronte, o nuovi generi sessuali, fluidi, aperti, negoziabili.
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Contro l’Antropocene : il Capitalocene
di Caterina Molteni
Il legame tra le origini del capitalismo e lo sviluppo della crisi ambientale. Una rilettura dell’Antropocene attraverso l’analisi di Jason W. Moore e la proposta di una lettura storica, e non solo geologica, delle relazioni che co-costituiscono uomo e natura
In una recente conferenza, Donna Haraway ripropone un’espressione di Virginia Woolf, «Think we must! We must think!»,[1] per chiedere di osservare le proprie abitudini di pensiero e di linguaggio poiché, velate da un’apparente normalità, sono alla base delle principali discriminazioni di genere e semplificazioni che rendono impossibile pensare il presente. Nel corso della conferenza, la propulsiva spinta che accompagna il discorso di Haraway la condurrà a parlare di Chthulucene, argomento che verrà ripreso nella seconda parte di questo saggio. La riflessione qui presentata comincia invece dall’osservazione, grazie alle analisi di Jason W. Moore, teorico del Capitalocene, delle problematiche sorte dall’avvento dell’Antropocene: un’era geologica ormai accettata dal sentire comune, in cui l’uomo diventa attore principale di cambiamenti irreversibili sulla natura.
«Shut down a coal plant, and you can slow global warming for a day;
shut down the relations that made the coal plant, and you can stop it for good»
Jason W. Moore
La periodizzazione storica dell’Antropocene vede al suo inizio la progettazione della macchina a vapore.
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Karl Korsch
di Riccardo Bellofiore
Breve premessa (2017). Gli amici, e compagni, di PalermoGrad mi chiedono un testo che ‘introduca’ all’incontro del 11 luglio sull’attualità del Capitale (qui i dettagli dell’incontro), a 150 anni dalla pubblicazione del primo libro. Scartabellando tra vecchie cose, è saltato fuori questo mio pezzo su Karl Korsch: testimonianza di un interesse e (per molti versi) di una sintonia mai rinnegati per il consiliarismo, e per quel filone marxiano e non marxista (la distinzione si deve a Maximilien Rubel) che da Luxemburg va a Paul Mattick e, appunto, Korsch. È un testo scritto per un gruppo di studio a Torino, a Palazzo Nuovo (non ricordo in che corso), quando l’università era aperta fino alle 23 per facilitare la frequenza degli studenti-lavoratori, nel lontano 1976 (fanno giusti giusti 41 anni …). Le mie pagine possono forse utilmente fungere da ‘apripista’ ad una ben più sostanziosa “Introduzione” di Karl Korsch alla ripubblicazione in Germania del primo libro del Capitale nel 1932. Il testo venne tradotto da Gian Enrico Rusconi nella raccolta di scritti di Korsch intitolata Dialettica e scienza nel marxismo. Molte delle tesi di quella “Introduzione”, come anche del Karl Marx di pochi anni dopo, hanno retto al tempo, e rimane da chiedersi in che misura sia vero che il Capitale “per molti aspetti solo ora inizia a vivere il suo tempo”. Altre, com’è naturale, vanno messe in discussione, come cerco di accennare nel mio scritto. Quello che è certo è che, come anche Korsch non manca di rilevare, la teoria di Marx non è strettamente economica, è più propriamente di scienza sociale in senso lato eppure profondo,‘una teoria storica e sociologica’ che mal sopporta gli steccati disciplinari, che certo non si superano con un vuoto stile inter-disciplinare (vale qui la lezione di Adorno).
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Estendere la democrazia per erodere il capitalismo
intervista a Erik Olin Wright
Nell'ambito della riattivazione contemporanea delle risorse critiche interne all'analisi marxista del capitalismo, un posto preminente spetta alla ricerca di Erik Olin Wright, per la sua attenzione al problema della definizione e della registrabilità empirica delle classi. Per agevolare la comprensione del lavoro di Olin Wright, pubblichiamo, accanto a un'intervista recentemente effettuata a cura di Lorenzo Zamponi e Marta Fana, anche una presentazione complessiva di Denise Celentano della sua figura intellettuale
Che fine ha fatto oggi, la classe operaia, e quali speranze ha di costruire un’alternativa al capitalismo? Ne parliamo con Erik Olin Wright, docente di sociologia all’Università del Wisconsin, importante marxista americano contemporaneo, nonché studioso, da oltre 40 anni, delle classi sociali e delle loro trasformazioni. Wright è stato a Firenze per un seminario organizzato da COSMOS, il centro studi sui movimenti sociali della Scuola Normale Superiore, dove ha presentato la sua proposta strategica: dimenticare sia il gradualismo socialdemocratico sia la rottura comunista, e investire su un lungo processo di erosione del capitalismo, che permetta di costruire nel tempo alternative in grado di sostituirlo.
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Secondo l’ultimo rapporto Istat, la classe operaia in Italia è morta. Lei pensa che sia così? La classe operaia è morta, nel XXI secolo?
Molto dipende da ciò che si intende per “la classe operaia”. Ci sono modi di definire la classe operaia secondo cui effettivamente è in declino in termini di percentuale della popolazione. Se si definisce la classe operaia come i lavoratori manuali dell’industria, allora la classe operaia è indubitabilmente in calo in termini di numeri, e forse lo è al punto che la sua morte può essere annunciata dal vostro istituto di statistica. Ma quella è una definizione particolare della classe operaia in un’economia capitalistica.
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“Sulle orme di Marx. Lavoro mentale e classe operaia”
Prefazione
di Mauro Casadio
E’ disponibile il quaderno di Guglielmo Carchedi dedicato a “Lavoro mentale e classe operaia”, per una analisi marxista di Internet. Pubblichiamo qui di seguito la prefazione Mauro Casadio al volume curato dalla Rete dei Comunisti e da Noi restiamo. Per l’acquisto dell’opuscolo è richiesta una sottoscrizione di 5 euro scrivendo a: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it..
Lo scontro di classe internazionale ha prodotto nel ‘900 una rivoluzione ed una trasformazione radicale delle classi e del capitalismo. Prima con le rivoluzioni, che hanno cambiato il mondo aprendo una prospettiva socialista in Russia, in Cina, e poi nelle “campagne” che hanno circondato le città ovvero Cuba, Vietnam e tutte le altre esperienze antimperialiste. Uno scontro vero dove una alternativa sociale è emersa e si è imposta anche se con i limiti di una trasformazione che doveva fare i conti con un’assenza di esperienze storiche precedenti.
A questo pericolo “mortale” per l’imperialismo vissuto come la “grande paura” del secondo novecento, perchè cosi era percepito e cosi era effettivamente, il capitalismo ha risposto sul piano politico, militare, ideologico. Solo però, di fronte alla crisi di sovrapproduzione degli anni ’70 si è cominciato a reagire anche sul piano di un cambiamento strutturale del modo di operare del capitale che ha avviato a sua volta una propria “rivoluzione” produttiva e sociale.
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La crisi marxista del Novecento: un’ipotesi d’interpretazione
di Stefano Garroni

ma perché quell’angoscia
s’è fatta chiaro cosciente dolore.
O tempo, scatena ancora
Le parole d’ordine leniniste.
Dobbiamo forse affondare
In uno stagno di lacrime?”
(Majakovskij)
Quelle che qui seguono sono schematiche osservazioni, spero raccolte con una certa logica e sistematicità, il cui scopo è prospettare una possibilità di lettura d’un groviglio di eventi, quanto mai complicato e dalle molte sfaccettature, che – nonostante certa uggiosa retorica <novista> – costituiscono tuttora la nostra contemporaneità. Che si tratti di una possibilità di lettura significa non solo il limite della mia cultura (ad es., non sono un economista, né uno storico), ma anche che la cosa stessa si dispone secondo diverse prospettive e angolazioni (aspetto questo che certamente non meraviglia chi abbia qualche familiarità con la dialetticità della storia).
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