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L’energia non è una merce ma una infrastruttura pubblica
di Davide Gionco
Tutti i danni che subiamo dalle privatizzazioni nel mercato dell’energia
L’acqua, le infrastrutture pubbliche e l’energia
Nel 2011 gli italiani votarono a larga maggioranza (95,8%) a favore del referendum per il mantenimento del controllo pubblico sui servizi idrici.
La maggioranza degli italiani aveva capito che l’acqua è un bene comune fondamentale, senza del quale non possiamo vivere, la cui disponibilità non può dipendere dagli interessi economici di soggetti privati.
Senza acqua non possiamo sopravvivere come esseri umani e non possiamo produrre il cibo che mangiamo. Senza acqua molte aziende dovrebbero fermare la loro produzione, non avremmo il turismo, non avremmo i servizi pubblici. Senza acqua non potremmo neppure produrre energia elettrica tramite la combustione di gas, idrocarburi o carbone.
Se venisse a mancare l’acqua in un certo territorio del paese, quel territorio si spopolerebbe in brevissimo tempo, obbligando gli abitanti ad emigrare verso altri territori.
La disponibilità di acqua è un bene comune, una infrastruttura fondamentale da cui dipende la vivibilità e la sostenibilità economica del nostro Paese.
Analogamente alla disponibilità di acqua, un paese moderno non può sussistere senza disporre dell’accesso comune, a prezzi abbordabili, ai prodotti alimentari fondamentali, ad una rete stradale, ai servizi sanitari, all’istruzione di base, alle telecomunicazioni.
L’accessibilità ai servizi energetici, intesi come disponibilità di energia elettrica e come disponibilità di combustibile per produzione di energia termica, è con ogni evidenza una questione fondamentale per la sussistenza del nostro paese.
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L’Occidente totalitario getta la maschera
di Norberto Fragiacomo
Se gettano la maschera non è per sbadataggine, né per imperizia o imprudenza: le “grandi firme” nostrane sono agitprop che sanno il fatto loro e conoscono benissimo il mestiere – quello di propagandista dei presunti valori occidentali s’intende, perché il giornalismo libero è tutt’altra cosa, ed è comunque una specie in via di estinzione.
Ormai sui quotidiani di regime (cioè tutti, eccezion fatta per La Verità e Il Fatto Quotidiano, su cui residuano spazi di riflessione e dibattito) si dà per scontato e pienamente accettabile che la guerra in corso, dapprincipio presentataci come “difensiva”, sia un’operazione NATO per interposta Ucraina, e il 28 aprile, durante la trasmissione Otto e Mezzo, Massimo Franco ha seraficamente affermato che anche se la Russia fosse effettivamente caduta in una trappola tesale dagli americani (vale a dire: anche ammesso che sia stata indotta/forzata ad attaccare l’Ucraina) giudizi e valutazioni non cambierebbero. Può farmi piacere che un “saggista di fama, membro dell’International Institute for Strategic Studies di Londra (IISS)”, definito “un istituto di ricerca britannico (o think tank) nel campo degli affari internazionali” da Wikipedia, confermi quanto ho scritto in alcuni pezzi per l’interferenza a partire da fine febbraio, ma mi domando cosa motivi questo soprassalto di sincerità. Quando, il 25 febbraio scorso, azzardai che “In questa vicenda sin dall’inizio Joe Biden e i suoi “diplomatici” hanno alimentato le tensioni soffiando quotidianamente sul fuoco: non puntavano a un accordo, ma a provocare l’antagonista spingendolo a un’umiliante resa o a gesti inconsulti. Messo all’angolo dall’intransigenza statunitense Vladimir Putin ha soppesato le poche opzioni sul tavolo, propendendo infine per l’attacco militare – scelta dolorosa e gravida di pericoli anzitutto per la Russia.
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Noi non siamo niente, siamo tutto!
di Serge Quadruppani
Serge Quadruppani ricorda Valerio Evangelisti e i suoi personaggi abietti a cominciare dal più popolare: Eymerich. La descrizione delle forme più atroci di dominazione come incitamento alla ribellione
Valerio Evangelisti è morto lunedì 18 aprile. Non potremmo parlare della sua opera senza cominciare da quella che è sia la parte maledetta che la più visibile, la più conosciuta: Eymerich, quel personaggio storico, Inquisitore Generale del Regno d’Aragona nel 1357, «predicatore di verità», «dottore di prim’ordine», divenuto un personaggio di finzione, antenato di due delle figure archetipiche della nostra modernità, il poliziotto e lo scienziato. Eymerich, dice San Malvagio, imperversa nella sua epoca ma viaggia nel tempo. Le sue avventure sono state raccolte in una saga di dodici volumi di successo internazionale, pubblicate e ripubblicate anche in Francia prima da Rivages/Fantasy, poi da La Volte, in una traduzione a opera del sottoscritto per quanto riguarda i primi volumi, e dell’eccellente Daniel Barberi per i successivi.
Mischiando diversi generi letterari, horror, fantascienza, giallo, avventura, ogni episodio della saga è costruito sull’intrecciarsi di tre temporalità: il medioevo dell’Eymerich storico, un presente o passato recente, e un futuro distopico. Le quarte di copertina, che cercano di restituire la ricchezza di questi intrecci, compongono una sorta di poema barocco che dà le vertigini: «Qual è il legame tra l’indagine di Eymerich sulla rinascita dell’eresia catara in Savoia, la manipolazione genetica dei ricercatori dementi a metà degli anni Trenta e le fosse comuni di Timisoara, in Romania?»; «1358, Castres. Nicolas Eymerich conduce una terribile vendetta contro la setta dei Masc, bevitori di sangue. Ventesimo secolo, Usa. Il Ku Klux Klan, la Cia e l’Oas sono coinvolti da un biologo fanatico di esperimenti su persone di colore.
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Verso la guerra ad oltranza in Ucraina
di Gianandrea Gaiani
Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu (apparso nei giorni scorsi in pubblico dopo le voci di presunti problemi di salute dovuti addirittura ad avvelenamento) ha confermato gli obiettivi militari dell’operazione speciale già annunciati da Vladimir Putin all’inizio delle ostilità due mesi or sono.
Shoigu ha sottolineato “il coraggio e l’eroismo” dimostrato dai militari dopo l’annuncio con cui, il 19 aprile, lo stato maggiore ucraino aveva reso noto l’inizio dell’offensiva russa nel Donbass lungo un fronte di 480 chilometri in quella che ha definito “una nuova fase della guerra”.
Mosca del resto aveva annunciato il completamento della concentrazione di forze in vista dell’offensiva nell’est dell’Ucraina mentre il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in un’intervista ha confermato che l’operazione russa mira “alla completa liberazione delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, come annunciato inizialmente”.
Il 22 aprile il generale Rustam Minnekayev, vice comandante delle forze del distretto militare della Russia Centrale, citato dalle agenzie di stampa russe ha detto espressamente che “dall’inizio della seconda fase dell’operazione speciale, uno degli obiettivi è stabilire il pieno controllo del Donbass e dell’Ucraina meridionale. Ciò garantirà un corridoio terrestre verso la Crimea, oltre a pesare sulle infrastrutture vitali dell’economia Ucraina, i porti del Mar Nero attraverso i quali vengono effettuate le consegne di prodotti agricoli e metallurgici.
Il controllo dell’Ucraina meridionale è anche un corridoio per la Transnistria, dove ci sono anche casi di oppressione della popolazione di lingua russa”, ha concluso il generale Minnekayev lasciando così intendere che le offensive proseguiranno anche nel settore di Odessa.
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I Gigacapitalisti
di Riccardo Staglianò
A distanza di tempo il ricordo più vivido che ho della passeggiata sulla versione nautica di Versailles è la schiena di una donna. All’apparenza magrebina, china per terra ad appiccicare pezzetti di nastro adesivo azzurro su scalfitture nel parquet di rovere. Guasti che io, pur sforzandomi, non riuscivo a vedere. Lei sì. Il suo mestiere era di individuare i graffi impercettibili nel pavimento patrizio di quella nave da 160 milioni di euro. E poi quelli sui lavandini in travertino, sulle boiserie alle pareti e così via. A bordo anche la più piccola imperfezione era bandita. Lei doveva denunciarla, appiccicandoci sopra un nastro adesivo blu, e qualche specialista sarebbe intervenuto per sanarla. Mentre camminavo con soprascarpe di gomma per non peggiorare la situazione mi sono chiesto quanto guadagnasse per quel lavoro parossistico e ho provato a immaginarmi che casa avesse lei e quanta acribia potesse permettersi nella sua manutenzione. Milleduecento euro, il suo stipendio mensile, era quanto quella sontuosa abitazione marina consumava di cherosene in mezza giornata per tenere accese le luci. Lo sapeva? Ci pensava mai? E che effetto le faceva questa pantagruelica sproporzione? Centosessanta milioni di euro. Fermatevi un attimo a pensare. In equivalenze al tempo del Covid significano mascherine per tutta l’Africa o prime dosi Astrazeneca per quasi 90 milioni di esseri umani. (…)
Una ricchezza pericolosa (per la democrazia)
La parabola nautica, con i suoi record di business pandemico, serviva solo come location (dove piazzare i nostri eroi) e metafora (dell’andamento strepitosamente anticiclico dei loro portafogli).
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Diserzione, guerra e comando sul mondo
di Massimo De Angelis
In questo approfondito contributo, Massimo De Angelis riflette sulle ragioni della guerra in corso in Europa, a seguito dell’invasione dell’esercito russo in Ucraina. Una guerra che accentua una situazione socio-economica e politica, già provata da due anni di pandemia e di malessere sociale crescente. Di fronte alla nocività della guerra, pur tenendo ben conto delle colpe dirette e delle immediate responsabilità, l’unica possibile risposta che ci si sente di dare è: diserzione. L’autore la rilancia, ricordando i contributi di Franco Berardi e Sandro Mezzadra sul tema. Tale parola può suonare indigesta alle letture che forzosamente contrappongono i (presunti) “valori occidentali” all’aggressione dei “barbari”. La storia ci insegna che quando scoppia una guerra di questa entità, finalizzata (come spiega l’autore), a ridisegnare l’attuale (dis)ordine geo-politico e geo-economico, non esistono poteri buoni.
L’Ucraina è vittima delle tentazioni egemoniche del disegno panrusso di Putin, da un lato, e nella necessità Usa (che comanda la Nato) di mantenere una supremazia militare ed economica fortemente compromessa, dall’altro. Questo sono i pilastri centrali dell’attuale crisi. E tutto ciò con la Cina sullo sfondo. In questo quadro, l’Europa non è in grado, o meglio non vuole, ritagliarsi un ruolo autonomo, andando così incontro al proprio suicidio. Gli eccidi e le morti civili in Ucraina sono il prezzo cinico che deve essere pagato, mentre le potenze imperiali rinfocolano lo scontro, affondando qualsiasi tentativo diplomatico, e i mercanti di guerra festeggiano.
Per questo, disertare non è vigliaccheria, ma l’unico vero atto di coraggio possibile. Perché “disertare la guerra è disertare il comando sul mondo”.
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Oltre la claustrofobia della guerra, la diserzione
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Lo spettacolo della guerra
di Giovanna Cracco
Debord e McLuhan per capire dove siamo: ben oltre la propaganda, la costruzione di un mondo e di una nuova modalità di vita che dobbiamo consumare
“‘Seppellite il mio cuore a Wounded Knee’, che vuol dire? / Wounded Knee è dove morì il generale Custer con tutti i suoi. / Sì, ma che aveva combinato per finire così? / Beh, esattamente io... / Aveva trucidato migliaia di indiani. Quindi lei conosce il personaggio ma non ha una visione globale della vicenda. E sa perché? / Perché? / Per i film che ha visto. Ecco perché siamo qui. / Capisco. / Le faccio altri esempi: la bambina vietnamita; la V di vittoria; i cinque marines che innalzano la bandiera sul monte Suribachi. Fra cinquant’anni anni avrà scordato quelle guerre ma non quelle immagini. / Vero. / Guerra del Golfo: un missile intelligente si infila in un camino. 2.500 missioni al giorno per oltre 100 giorni: sono bastate le immagini di una sola bomba e gli americani hanno accettato quella guerra. La guerra è spettacolo. Ecco perché siamo qui.” Wag the dog, regia di Barry Levinson, 1997
“Là dove il mondo reale si cambia in semplici immagini, le semplici immagini divengono degli esseri reali, e le motivazioni efficienti di un comportamento ipnotico.” Guy Debord, La società dello spettacolo
“Il medium è il messaggio perché è il medium che controlla e plasma le proporzioni e la forma dell’associazione e dell’azione umana.” Marshall McLuhan, Capire i media. Gli strumenti del comunicare
Raccontata dai principali media italiani (carta stampata, televisione e radio), la guerra in Ucraina è – fin dai primi giorni – massacri, pioggia incessante di bombe e stragi di civili; a margine, andando a cercare soprattutto in rete, si riescono a trovare analisi differenti. Il 22 marzo Newsweek – una testata che non può certo essere accusata di ‘simpatie putiniane’ – pubblica un articolo dai toni molto diversi (1).
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Chi ha ucciso il cervo? Della guerra tra moneta e merci
di Alessandro Visalli
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, il filoccidentale ma fedelissimo di Putin ex Presidente ed ex Primo ministro fino al 2020 Dmitrij Anatol'evič Medvedev[1], ha dichiarato sulla stampa russa che le sanzioni (congelamento delle riserve, misure sui capitali privati all’estero, esclusione dallo Swift) violano la sacralità della proprietà privata e lo stato di diritto, apparentemente cari all’occidente, e dunque manifestano una ‘guerra senza regole’ che ‘distruggerà tutto l’ordine economico mondiale’. Ne abbiamo già parlato[2].
Ma queste misure colpiscono principalmente la credibilità stessa di chi le promuove, stracciando leggi e regolamenti, con ciò mostrando la natura del potere, e determinano l’arrivo di un nuovo “Ordine finanziario mondiale” nel quale chi non è credibile non avrà più voce in capitolo. Chi farebbe patti con un baro? La risposta russa a questa mossa è stata di capovolgere il principio di base denaro-per-merci. L’idea è di connettere merci di base, petrolio, gas naturale, materie prime minerarie e oro, al rublo.
La guerra valutaria lanciata contro la Russia, fondata sull’inibizione della liquidità in modo che resti impedita sia la funzione di riserva di valore, sia quella di mezzo di scambio della moneta internazionale detenuta dal sistema economico russo, viene tradotta da questa mossa (alla quale lavora la Banca centrale Russa e la diplomazia economica altamente attiva verso i paesi ‘non allineati’, che crescono ogni giorno) in guerra di merci e monete. Ovvero in un confronto a tutto campo tra ‘merci’ cruciali e monete sovrane ad esse ancorate.
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Responsabilità di Piergiorgio Bellocchio
di Eugenio Gazzola
Un principio di responsabilità ha orientato il lavoro di Piergiorgio Bellocchio lungo tutta la sua esistenza. Un passo ulteriore, credo, rispetto al profilo del moderno intellettuale moralista richiamato dopo la sua improvvisa scomparsa, il 18 aprile scorso a Piacenza. Si intende la responsabilità dell’intellettuale disposto a testimoniare con la militanza diretta i principi etici e morali nei quali si riconosce e quindi a “pagare di persona” questa sua testimonianza, cioè a rischiare l’isolamento, l’incomprensione, così come in passato si rischiava il bando, il carcere o la vita. E tanto maggiore è il peso di una militanza vissuta, quanto più è attuata al di fuori dei partiti politici e delle schermaglie giornalistiche, cioè «al di sotto della mischia» (il titolo della sua raccolta Scheiwiller del 2007). Conservare la chiarezza dello sguardo.
In un saggio pubblicato ormai più di venti anni fa, poche righe che non riesco più a individuare nei vecchi libri, Bellocchio indicava alcune figure eccellenti del Novecento sul piano della responsabilità, e alcune le ricordo: George Orwell, Simone Weil, Céline, persino Bernanòs, forse Karl Kraus. Mentre conosciamo, del pari, la sua dedizione a scrittori come Fenoglio, Ginzburg, Bianciardi; a una figura come Danilo Montaldi, l’intellettuale marxista cremonese maestro dell’inchiesta sociale, di cui Bellocchio elogia la naturalezza con cui sapeva essere a un tempo intellettuale e politico senza separazione (quella separazione criticata negli intellettuali italiani dal suo maestro Franco Fortini), come due lati del medesimo lavoro.
Ha scritto Bellocchio che Montaldi, «nato proletario, aveva scelto di restarlo», che il prestigio pubblico non lo allettava, né gli agi o il potere che avrebbero potuto derivarne: «non valeva certo la pena, per quei risibili vantaggi, di perdere il lusso dell’indipendenza, la libertà di fare il lavoro che preferisci, nel modo e per lo scopo che ritieni più giusti.
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La metamorfosi dell’Impero e le sue vittime
di Andrea Zhok
1. Il riflusso dell’imperialismo globalista USA
Nella frenesia angosciosa degli ultimi due anni, prima con la pandemia e ora con la guerra russo-ucraina, molti processi stanno accelerando e prendendo forme inedite.
Per comprendere gli eventi recenti bisogna partire da una constatazione, ovvero dall’esaurimento della spinta globalizzante dell’economia capitalistica mondiale. Come noto, il sistema capitalistico si conserva in equilibrio soltanto se e nella misura in cui può garantire ai detentori di capitale (investitori) una crescita futura del proprio capitale. Uno stato stazionario perdurante equivale senza resti ad un collasso per il sistema capitalistico, a partire dal fallimento degli istituti finanziari, che possono esistere soltanto sulla base di questo assunto di crescita.
La globalizzazione è stata la forma principale della crescita capitalistica (e delle promesse di crescita) a partire dagli anni ’70 del XX secolo. Dopo la caduta dell’URSS l’espansione globalizzante ha iniziato ad accelerare.
La globalizzazione tuttavia non è semplicemente un moto acefalo del capitale, per quanto essa esprima tendenze strutturali del capitalismo in quanto tale. Nell’ultimo mezzo secolo la globalizzazione è stata la forma presa dall’espansionismo “imperiale” americano.
La narrazione liberista per cui l’ampliamento e l’intensificazione degli scambi creerebbero automaticamente benessere per tutti i transattori è soltanto una fiaba per gonzi, che nasconde un punto cruciale: in ogni scambio è sempre decisivo il rapporto tra i poteri contrattuali dei contraenti.
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Navigare nel mare del nostro scontento
di Giovanni Iozzoli
C’era una volta un reame felice e pacifico, guidato da un presidente-giullare. Un giorno un re-orco, che dominava su un vicino regno barbarico, decise di invadere il paese felice…
Dentro il contesto terribile che stiamo attraversando, la cosa più importante è cercare di cogliere e interpretare le correnti sotteranee che orientano la coscienza collettiva – soprattutto su una webzine che si occupa di politiche dell’immaginario. Lo schieramento pro-Nato e anti russo, in Italia, è stato particolarmente solerte, univoco e organizzato, fin dall’inizio delle ostilità: praticamente tutte le testate giornalistiche e le agenzie di coumicazione hanno abbracciato simultaneamente – a mò di stormo – la stessa versione farlocca e ipersemplificata dei fatti di Ucraina. Il simpatico comico con elmetto, il dittatore pazzo, la barbarie asiatica contro la civiltà europea: una specie di favola post-moderna, raccontata mediante cospicui investimenti in termini di uomini e mezzi. Un flusso potentissimo di immagini, commenti, invettive, inchieste, emozioni a distanza, che non ha molti precedenti.
Alla base di questa onda di comunicazione unidirezionale, c’è l’osso di una schema narrativo che gli italiani stanno subendo da 2 mesi, nel quadro di una strategia di infantilizzazione del cittadino-spettatore, che ormai è diventata prassi collaudata. Quando si parla di “infanzia abbandonata” non si dovrebbero compiangere solo i piccoli ucraini preda di trafficanti al confine polacco, ma anche i destini dello spettatore italiano medio, ridotto ad una condizione puerile, senza guida, privato di ogni capacità di giudizio, senza quei minimi elementi di conoscenza che possono permettere l’esercizio delle prerogative dell’età adulta.
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Verso una nuova rivoluzione culturale in Cina?
di Andrew Ross
Proponiamo qui un testo scritto da Andrew Ross nel 2009 e pubblicato per la prima volta in italiano nel volume «La testa del drago. Lavoro cognitivo ed economia della conoscenza in Cina», curato da Gigi Roggero (ombre corte, 2010). Basandosi su un’importante ricerca sul campo, Ross analizza la transizione da un’economia «Made in China», imperniata sullo sfruttamento intensivo di lavoro, a un’economia «Created in China», basata sull’innovazione e con il controllo di brevetti e diritti di proprietà intellettuale da parte delle imprese locali. Secondo l’autore, è questa la direzione intrapresa dalla rapidissima crescita della Repubblica popolare cinese, pienamente sostenuta dall’autorità di uno Stato potente e centralizzato, saldamente impegnato in una politica definita di tecno-nazionalismo. In questo processo Ross incentra la propria attenzione sui «colletti grigi» (incorporanti elementi del lavoro sia dei colletti bianchi sia dei colletti blu), ossia i lavoratori delle cosiddette «industrie creative».
* * * *
I paesi di recente industrializzazione nel Sud globale non se la sono certo presa con calma nello sperimentare un modello di politica delle industrie creative. Alcuni di quelli più avanzati stanno velocemente registrando una perdita di occupazione nel settore manifatturiero rispetto alla Cina continentale e al sud-est asiatico, e necessitano di servizi ad alto skill per creare valore aggiunto alle proprie economie. Tuttavia, è talmente impetuosa la crescita economica della Repubblica popolare cinese che i policymaker del Partito comunista cinese (Pcc) sono già competitivi nella gara della creatività, sperando di guidare l’economia nazionale verso i frutti più appetibili della proprietà intellettuale al top della catena del valore, massimizzando il proprio monopolio nel vasto mercato linguistico cinese, sia all’interno sia all’estero.
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La forza della democrazia ovvero la democrazia della forza
di Michele Castaldo
Ad ogni crisi tra l’Occidente e gli altri paesi ricorre la necessità di ribadire che si tratta di uno scontro tra la democrazia e la non democrazia di paesi governati da autocrati o dittatori. Che si tratti di paesi islamici, o di varianti di sinistra oppure di destra, la prima qualifica che viene ad essi affibbiata è che sono regimi dittatoriali. Ovviamente il personaggio che dirige in quel momento il paese, come ad esempio Putin in Russia, viene descritto sempre con appellativi poco lusinghieri. Insomma si parte – in quanto occidentali – dalla forza della democrazia per combattere quei paesi e popoli per l’incapacità di essere democratici, che finiscono per seguire l’uomo simbolo del momento che ad essi si sovrapporrebbe quasi come un corpo estraneo. Se poi si scopre che un personaggio come Putin viene eletto più volte con una maggioranza del 70/75/80%, beh, si dice a quel punto, il popolo non capisce, e avanti così.
Cerchiamo di sfatare il tabù: l’Occidente parte da un presupposto non del tutto sbagliato, perché butta sul piatto della bilancia una serie di argomenti non peregrini come la libertà individuale, i diritti umani, ma innanzitutto un patrimonio storico ricco di successi in tutti i campi, dunque non solo la potenza, quella distruttiva, quella criminale dei bombardamenti, delle guerre, delle occupazioni, del dominio di popoli, del razzismo, dello sfruttamento brutale di intere aree geografiche ecc., ma porta in dote, per così dire, anche altro, cioè l’idea della democrazia e innanzitutto un modello di sviluppo che si è affermato ormai in tutto il mondo; e chi frappone ad esso ostacoli non fa altro che ritardare in molti paesi lo stesso livello di benessere economico, dei costumi, della cultura e così via, come da noi in Occidente. Altrimenti detto il ritornello che viene ripetuto come un mantra ogni volta è: temono la forza della nostra democrazia, del nostro sviluppo, dei nostri consumi e dunque dei nostri valori.
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La guerra per procura degli Stati Uniti in Ucraina
di John Belamy Foster
Una relazione importante tenuta da John Belamy Foster, professore di sociologia all'Università dell'Oregon e direttore della storica rivista americana Monthly Review, fa chiarezza su un aspetto finora poco esplorato della guerra per procura che si sta svolgendo in Ucraina, quello relativo al rischio nucleare. Questo aspetto della guerra in corso si inquadra nella 'strategia della controforza' e del 'First Strike' pericolosamente esplorata dagli Usa fin dagli anni '60 e poi abbandonata, anche grazie a movimenti pacifisti di massa. Ripescata dopo il crollo dell'Urss e la fine della guerra fredda nell'ambito della strategia del grande impero americano, oggi si sta giocando una partita del cui possibile finale - il grande inverno nucleare e l'omnicidio - bisognerebbe essere tutti consapevoli. Come dice Foster, 'c'è molto da capire, in poco tempo.' (preziosa segnalazione di Vladimiro Giacché)
* * * *
Quello che segue è il testo di una presentazione di John Bellamy Foster all'Advisory Board del Tricontinental Institute for Social Research del 31 marzo 2022
Grazie per avermi invitato a fare questa presentazione. Parlando della guerra in Ucraina, la cosa essenziale da riconoscere in primo luogo è che questa è una guerra per procura. A questo proposito, nientemeno che Leon Panetta, che è stato direttore della CIA e poi segretario alla difesa sotto l'amministrazione Obama, ha recentemente riconosciuto che la guerra in Ucraina è una "guerra per procura" degli Stati Uniti, sebbene la cosa venga raramente ammessa. Per essere espliciti, gli Stati Uniti (appoggiati dall'intera NATO) sono impegnati da lungo tempo in una guerra per procura contro la Russia, con l'Ucraina come campo di battaglia.
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Introduzione a “Il capitale mondo”
di Massimo Maggini
La fase terminale volge sempre in farsa,
anche se, in ultima analisi, in una farsa sanguinosa
Robert Kurz
Con la pubblicazione de Il capitale mondo esce finalmente in Italia uno dei libri più interessanti ed importanti di Robert Kurz.
Kurz, insieme a pochi altri (fra cui Roswitha Scholz, Norbert Trenkle e Ernst Lohoff), è stato il fondatore della corrente di pensiero chiamata Wertkritik (Critica del valore),1 una rilettura del pensiero marxiano che privilegia gli aspetti rimasti in ombra nella ricezione di Marx da parte del marxismo classico. Quest’ultimo, infatti, ha focalizzato l’attenzione sulla lotta di classe, sulla soggettività operaia e sulla richiesta di una più equa distribuzione del prodotto e della redditività sociale – tutti temi sicuramente presenti nell’opera marxiana – trascurando però quasi completamente, tranne qualche insufficiente e temporanea eccezione, una parte altrettanto presente ed importante, se non anche più dell’altra, che analizza la struttura di fondo del sistema del capitale e ne rintraccia le contraddizioni interne e i limiti invalicabili, verso i quali questo sistema è necessariamente indirizzato per un proprio moto interno ineludibile.
Non è un caso, infatti che Kurz parli di un “duplice Marx”,2 distinguendo fra un Marx “essoterico”, quello appunto della “lotta di classe” (un “rampollo e dissidente del liberalismo, il politico socialista della sua epoca ed il mentore del movimento operaio, che si limitava ad esigere diritti di cittadinanza e un ‘equo salario per una giornata di lavoro equa’ ”, come lo definisce Kurz),3 dove il capitale non è letto come un rapporto sociale storicamente determinato ma viene “ontologizzato”, e l’obiettivo principale diventa il rovesciamento dei rapporti di potere, non del sistema nelle sue fondamenta, e quello “esoterico”, critico impietoso della struttura capitalistica e del suo ottuso feticismo, della forma-valore, che presiede al movimento del capitale, e del tanto osannato – specie dai paladini del marxismo classico – “lavoro astratto” che ne è, diciamo, l’“esecutore materiale”.4
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Pandemia, stato, capitale. Qualche bilancio
di Osvaldo Costantini
Sebbene la nuova emergenza bellica abbia soppiantato quella del covid, mutuandone il linguaggio, nel palcoscenico mediatico, la gestione della circolazione del virus mediante un determinato approccio è ancora attivo. Al contrario, invece, sembrano in fase di risacca le mobilitazioni contro gli aspetti autoritari di quella vicenda, le cui caratteristiche sembravano aprire scenari in parte inediti.
A fronte di una annunciata volontà di allentare le misure, restano alcuni degli aspetti della gestione autoritaria della pandemia, a cui si aggiungono assurdi strascichi punitivi, tra cui quello nei confronti dei docenti sospesi: in virtù del nuovo decreto, essi possono rientrare a scuola ma, se non vaccinati, preclusi dall’insegnamento e quindi destinati ad altre mansioni. Al netto della valutazione sul demansionamento, che, per una cultura sindacale, è estremamente grave, ciò che colpisce è la messa in atto, nel piccolo, della dinamica greenpassista: mettere chi non ha obbedito, chi ha fatto una cosa diversa dalla massa (non importa qui se la valutiamo giusta o sbagliata), alla gogna. La persona in questione entrerà a scuola e sarà osservata dagli alunni nel suo nuovo ruolo (temporaneo?), messa in vetrina cioè come docente “novax” che non ha i requisiti (morali?) per l’insegnamento. Il dissenso in questo modo viene allontanato dalla possibilità di formare gli studenti e usato come monito per coloro ai quali venisse in mente, nella vita, di fare una cosa diversa da quella che gli dice il potere, da ciò che pensa la massa. A questo aspetto punitivo, si aggiungono alcune inquietanti dichiarazioni di Draghi e Colao che sembrano confermare alcune delle più nere ipotesi dei mesi passati, spesso bollate come complottismi.
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Disconnessioni e fìne del sistema-mondo occidentale
Circa il rapporto della Banca di Russia alla Duma
di Alessandro Visalli
Mentre il lockdown di Shangai crea un ciclopico ingorgo di navi mercantili davanti alla città e interrompe ulteriormente le catene di approvvigionamento globali, con colli di bottiglia che per il Frankfurter Allgemeine[1] inducono riduzioni di oltre il 40% e si faranno sentire fino in Germania, la Bundesbank[2] stima che l’embargo totale dell’energia la farebbe precipitare in recessione già quest’anno. Si stima una riduzione del Pil del 2% ed effetti trascinati per i due anni successivi. Inoltre, un incremento di lungo periodo del tasso di inflazione. In una intervista il Cancelliere tedesco ha inoltre spiegato per quale motivo non consegnerà armi pesanti e ritiene che l’embargo al gas russo non sia utile a fermare la guerra, e comunque non vada fatto.
Spostiamoci, la Banca di Russia ha presentato alla Duma il suo Rapporto 2021 e il suo Presidente, Elvira Nabiullina, che è stata confermata alla guida dell’ente, ha spiegato che il Pil è cresciuto nell’anno del Covid del 4,7% con un livello di disoccupazione ai minimi storici. Inoltre, nel 2021 i prestiti alle imprese sono cresciuti del 21%, i mutui del 30% e i prestiti al dettaglio del 20%. La Izvestia racconta[3] che la Nabiullina si è soffermata in particolare sulle misure assunte nel 2022 per contrastare le sanzioni occidentali. A febbraio/marzo la Banca centrale ha infatti alzato il tasso al 20% allo scopo di preservare la liquidità delle banche e ha sviluppato un corrispondente allentamento normativo. La Presidente ha spiegato che presenza di riserve in dollari ed euro, presso istituti europei, per 300 miliardi era necessaria per avere un termine di stabilizzazione in caso di crisi nazionale, ciò le ha rese attaccabili; tuttavia già dal 2014 la diversificazione delle riserve in moneta estera era andata avanti. La quota del dollaro Usa era scesa ad un quarto, mentre la quota di oro era salita di due volte e mezzo e quella di yuan al 17%.
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Dal punto di vista di Zelensky
di Pierluigi Fagan
Avrete notato forse che Zelensky ha un preciso entourage e sono tutti mediamente giovani. Molti hanno studiato o lavorato in Gran Bretagna, qualcuno in America. Alcuni di loro zampillano dalle nostre reti televisive o in video on line e sono tutti dotati di capacità argomentativa non banale, sono molto decisi e cosa più importante, sono coordinati nel senso che sembrano usciti da una riunione di briefing in cui hanno condiviso tutti una unica linea. Si può ipotizzare esista una sorta di Zelensky & Partners, un gruppo coeso ed omogeneo di persone che condividono una precisa strategia politica per tenere il potere in Ucraina al fine di …?
Isoliamo questo soggetto collettivo, dimentichiamoci chi ha intorno come partner interessato (USA, UK, una parte dell’Europa orientale e dei vertici della burocrazia euro-unionista, l’oligarca Kolomoyskyi) concentriamoci sulle sue proprie ipotetiche intenzioni. Come forse saprete, questo gruppo è diventato un partito poco prima finisse la terza stagione della serie televisiva che vedeva Zelensky come protagonista. Si è presentato alle elezioni del 2019 e secondo quanto scriveva the Guardian tre anni fa quando ancora non eravamo arruolati: … con “poche informazioni sulle sue politiche o sui piani per la presidenza, basandosi su video virali, concerti di cabaret e battute al posto della tradizionale campagna elettorale” ottenendo un insperato 30%.
La geografia del voto di questo primo turno, lo collocava al “centro”, sia geografico che politico. Ad ovest i nazionalismi di Poroshenko-Timoshenko, ad est i filo-russi confezionati in partiti apparentemente più di “sinistra”. Un gruppo di giovani ben intenzionati, con tecniche di marketing e comunicazione mediatica molto “occidentali” ha incarnato una possibile speranza. Sappiamo che questa speranza stava scemando prima del 24 febbraio, gli indici di gradimento della Zelensky e Partners (Z&P) erano in discesa e la rielezione fra due anni era data come improbabile.
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La Nato e Aiace Telamonio
L'esigenza dell'unità dei comunisti e delle forze antimperialiste nella lotta contro la guerra
di Fosco Giannini*
Riceviamo e con grande piacere rilanciamo l'ultimo bellissimo editoriale di Fosco Giannini, direttore di Cumpanis: Segnaliamo anche questa importante iniziativa
La guerra incombe. Ben la di là dell'Ucraina, la sua ombra cupa si allarga su ogni Paese e su ogni popolo. Con la follia di un Aiace Telamonio al quale la dea Atena ha ottenebrato la mente per poi spingerlo alle più violente fantasie distruttive e indurlo a credere che i capi di bestiame siano gli odiatissimi comandanti degli Atridi da massacrare senza pietà, così – con la stessa hybris della tragedia greca – gli Usa e la Nato hanno abbandonato ogni residua prudenza umana e politica, ogni ponderazione militare teorizzata da von Clausewitz, persino ogni paura dell'ignoto e considerazione del proprio stesso destino, spingendo le loro Basi, le loro testate nucleari, le loro truppe nel cuore profondo dell'Europa dell'Est, là dove non si doveva andare, dove nessun Ettore sagace si sarebbe spinto.
Giungendo, la Nato-Aiace Telamonio, sino al Circolo Polare Artico, nelle Basi militari norvegesi al confine russo di Evenes e Rasmund, tra le città di Narvik e Harstad; ad Ämari, nella lontana e sconosciuta contea di Harjumaa, nei pressi del lago Klooga, in Estonia; nella terra di Šiauliai, in Lituania, ove prende misteriosamente corpo la missione di guerra americana “Baltic Air Policing”; ad Arazil, in Lettonia, dove la Nato trascina dietro sé le Penne Nere, gli alpini italiani del “Task Group Baltic”, minacciosamente operativi col Fronte degli Alleati nell'ambito dell'“Enhanced Forward Presence”. Per poi, attraverso un raptus incontrollabile, installarsi in territorio polacco, lungo lo stesso confine dell'enclave russa di Kaliningrad. Spingendosi sino a Krtsanisi, in Georgia, a 20 chilometri dalla capitale, Tiblisi, collocando lì una nuova Base militare, inaugurata direttamente dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, a braccetto dell'allora presidente georgiano Margvelashvili, nel settembre del 2015.
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Behemoth e Leviathan exsistent. Carl Schmitt e l’arcano
di Ludovico Cantisani
Il giurista tedesco Carl Schmitt rappresenta una delle pietre angolari del pensiero del Novecento. Non solo e non tanto perché sulle sue tesi, e soprattutto sulla sua nozione di “stato d’eccezione”, sono stati pubblicati innumerevoli libri, saggi e riflessioni, l’ultimo, di poche settimane fa, Che cos’è lo stato di eccezione? secondo Mariano Croce e Andrea Salvatore (Nottetempo, 2022). Schmitt è una pietra angolare anche e soprattutto in virtù della sua non sopita capacità di fare scandalo, uno scandalo che solo in parte si giustifica con la sua momentanea adesione e partecipazione ai primi anni del potere hitleriano in Germania. Ma sfogliare le sue pagine tuttora dona un brivido inesplicabilmente panico, come se in opere di filosofia del diritto in parte datate sia rimasto oscuramente celato qualcosa di grandioso, come un segreto antichissimo che si sporge alla luce.
Giudicata “ai limiti dell’escatologico”, e dello gnostico, da Franco Volpi, ogni pagina di Schmitt è prima di ogni altra cosa una grande lezione di eleganza di pensiero, e di stile. La prosa di Schmitt è segretamente ossessiva, come tutte le grandi prose, quando non lo sono apertamente. Senza dubbio, si tratta di un inseguimento: di riga in riga, di pagina in pagina, Schmitt insegue come un cacciatore sacro le “parole originarie” – il conio è suo – su cui intessere una griglia di interpretazione del politico, e del giuridico. Nihil aliud. Ogni fondazione parte dal tracciare una linea di confine, lo sa fin troppo bene Remo. Ecco allora i confini di Schmitt.
“Un intrigante amalgama di interpretazione storica e teoria politica, mitografia e teologia, filosofia ed esoterismo”, venne definito da Franco Volpi il fortunato saggio di Schmitt Terra e mare, in un’elencazione che potrebbe facilmente essere estesa all’intero corpus schmittiano, e a ogni discorso potenziale sulla sua prosa.
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Dal Grande Gioco triangolare alla polarizzazione
Circa la posizione diplomatica e strategica cinese: Qin Gang e Yongnian Zheng
di Alessandro Visalli
Sulla rivista cinese Guancha è presente[1] la notizia che il 18 aprile 2022 l’ambasciata cinese a Washington ha pubblicato sulla rivista “The National Interest” un articolo[2] a firma dell’ambasciatore Qin Gang. Nell’articolo l’ambasciatore definisce la posizione del paese.
La crisi e le sue ragioni
In primo luogo, la Cina afferma di amare la pace e opporsi alla guerra in ogni possibile circostanza, quindi di sostenere il rispetto del diritto internazionale e le norme che proteggono sovranità ed integrità territoriale di tutti i paesi, incluso l’Ucraina. La posizione cinese è dunque “westfaliana”, incardinata sul principio di sovranità (mentre quella Usa è, almeno dal tempo della crisi Jugoslava, ovvero dalla fine della Guerra Fredda “non vestfaliana”[3] ed imperniata sull’affermazione di una guida unica del mondo). Questa è la principale linea di divergenza che la nota, scritta in un misurato linguaggio diplomatico, esprime. Come risulta anche da precedenti esternazioni dell’ambasciatore si intravede l’interesse della Cina per la prosecuzione di un Grande Gioco triangolare, tra Russia, Usa e Cina ed il forte disappunto per il tentativo americano di semplificare il quadro polarizzandolo in uno ‘scontro di civiltà’ con fortissime connotazioni ideologiche.
Il secondo capoverso entra nella questione centrale delle lezioni che dalla crisi devono essere apprese. Riferendosi non per caso al “sistema internazionale del dopoguerra” (imperniato sull’Onu e quindi sul principio vestfaliano di autodeterminazione dei popoli e sovranità delle nazioni) l’ambasciatore denuncia come si trovi ora a dover fronteggiare la pressione più pesante dal tempo della Guerra Fredda (ovvero dal 1991).
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L'Holodomor, la propaganda liberale e le rimozioni storiche dell'Occidente
di Domenico Losurdo [1]
1. L’olocausto ucraino quale bilanciamento dell’olocausto ebraico
Le due personalità criminali [Hitler e Stalin ndr], reciprocamente legate da affinità elettive, producono due universi concentrazionari tra loro assai simili: così procede la costruzione della mitologia politica ai giorni nostri imperversante. Per la verità, pur inaugurando questa linea di pensiero, Arendt fa un discorso più problematico. Per un verso accenna, sia pure in modo assai sommario, ai «metodi totalitari» preannunciati dai campi di concentramento in cui l’Inghilterra liberale rinchiude i boeri ovvero agli elementi «totalitari» presenti nei campi di concentramento che la Francia della Terza Repubblica istituisce «dopo la guerra civile spagnola». Per un altro verso, nell’istituire il confronto tra Urss staliniana e Germania hitleriana, Arendt fa valere alcune importanti distinzioni: solo a proposito del secondo paese parla di «campi di sterminio».
C’è di più: «nell’Urss i sorveglianti non erano, come le SS, una speciale élite addestrata a commettere delitti». Com’è confermato dall’analisi di una testimone passata attraverso la tragica esperienza di entrambi gli universi concentrazionari: «I russi […] non manifestarono mai il sadismo dei nazisti […] Le nostre guardie russe erano persone per bene, e non dei sadici, ma osservavano scrupolosamente le regole dell’inumano sistema»[2]. Ai giorni nostri, invece, dileguati il sia pur sommario riferimento all’Occidente liberale e l’accenno alle diverse configurazioni dell’universo concentrazionario, tutto il discorso ruota attorno all’assimilazione di Gulag e Konzentrationslager.
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Belligeranza senza ideali
di Giovanni Dursi
Pensieri sul “riconoscimento sociale” della lotta di classe e sulla tossicità del pensée unique capitalista
La tragica ed aspra spirale del conflitto bellico paneuroasiatico – che, ad oggi, vede nel territorio ucraino il più recente avamposto - è “coinvolgente”. Interroga tutti gli “uomini di buona volontà”. Terminato il secondo ventennio del XXI secolo, ci sono le condizioni psicologiche, per le giovani generazioni – sia d'ispirazione nerd che “Stúrm und Dráng” - e per le donne e gli uomini nati tra il 1945 ed il 1965 (dai 77 ai 57 anni oggi), per decidere come riorientare anche le proprie esistenze. È giunto il momento di fare i conti con la coscienza e scegliere. Alle stessa stregua di come agirono i partigiani che, per un impulso prepolitico, morale, compirono una scelta di campo e decisero di impegnarsi, mettendo a repentaglio la vita, e combattere con le armi per liberare il mondo dal nazifascismo. Analogamente, è possibile, con consapevole rammemorazione, rievocare il dilemma di Ἀντιγόνη, protagonista della tragedia di Sofocle, rappresentata per la prima volta ad Atene alle Grandi Dionisie del 442 a.C., come utile sollecitazione alla riflessione che si propone ed all'auspicabile agire collettivo.
Si, è indifferibilmente etico intervenire. È una chance che i contemporanei hanno, ob torto collo. Con le armi della “critica”, politicamente e culturalmente. Innanzitutto, dimostrando di comprendere la genesi e l'attuale scenario degli scontri militari in corso. In secondo luogo, perché quando la situazione è atroce, ciò che non si è ancora realizzato, può esserlo. In termini diversi: va esperito il tentativo di affrontare la situazione con un'adeguata disamina ed altrettanto inerente valutazione circa il “da farsi”. Infine, l'auspicata doverosa partecipazione è necessaria anche per contrastare le unilaterali “narrazioni sulla guerra”, le interpretazioni e manipolazioni informative erogate con altrettanta “potenza di fuoco” dal mainstream media subalterno e dagli “utili idioti”, insigni protagonisti del perturbante scenario transdemocratico e al servizio di dissimulate, emergenti cheirocrazie o oclocrazie. (rif. a “L’utile idiota. La cultura nel tempo dell’oclocrazia”, Antimo Cesaro, MIMESIS EDIZIONI, 2020).
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Salvare la dittatura del dollaro: la vera guerra di resistenza USA
di Redazione Contropiano - gen. Fabio Mini*
Sono tempi davvero strani, questi. Tempi in cui politici da quattro soldi, comici e gazzettieri si infilano l’elmetto e chiamano alla “bella guerra”. Soprattutto perché sono altri a combatterla.
Tempi in cui, il nome della “libertà” e del “pluralismo”, è ammessa una sola opinione – quella dominante – altrimenti “stai con il nemico” (oggi Putin, ma altri si delineano all’orizzonte).
Tempi in cui si ragiona per “assoluti” (l'”autodeterminazione” – se ci torna utile, se no cippa -, la “sovranità” dello Stato – se ci torna utile, se non cippa, sei un “sovranista” -, la “resistenza” – se sono i nostri servi a doverla fare, se no è “terrorismo”).
Tempi in cui le conseguenze di ogni scelta, specie se bellica, sono ignorate. Come se “il nemico” fosse una bersaglio di carta, che si può colpire a piacere, senza riceverne risposta “proporzionata”.
Sappiamo da dove viene questa stolida convinzione. Da trenta anni di guerre fatte “da noi” contro stati incompleti, deboli militarmente ed economicamente, bombardabili a piacere.
Non che le risposte, anche in qui casi, non ci siano tornate indietro sotto forma di bombe ed attentati. Ma, appunto, il termine “terrorismo” serviva a maledire gli autori e soprattutto a non porsi alcuna domanda sul “perché”. “Pazzi”, “invasati”, “sanguinari”, “demoni”, e via infiorettando epiteti non bisognosi di approfondimento, ma perfetti per alzare cortine fumogene.
Ora, invece, abbiamo davanti un “nemico simmetrico”, dotato anch’esso di aviazione, marina, ecc. E armi nucleari. In numero e quantità grosso modo equivalenti alle “nostre” (in realtà degli Usa, ma si sa che i tifosi pensano sempre di essere quasi proprietari della squadra per cui spendono soldi…).
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Federico Caffè. Sono passati 35 anni
di Maurizio Franzini
“La mia indipendenza, che è la mia forza,
implica la solitudine, che è la mia debolezza”
Pier Paolo Pasolini
La mattina del 15 aprile di 35 anni fa il telefono fisso di casa mia squillò molto presto, mentre ancora dormivo. Alzai la cornetta e a parlarmi era il mio amico e un po’ più anziano collega Giorgio Gagliani, che purtroppo ci ha lasciato da molti anni. Con voce calma mi chiese se fossi sveglio e prima ancora che potessi dirgli ‘fino a un minuto fa, no’ mi resi conto che nella calma della sua voce c’era qualcosa di strano. ‘Senti, Caffè è scomparso’ ‘Scomparso? Mi stai dicendo che è morto’ ‘No, non è morto è scomparso, sparito non sappiamo dove sia andato’. Giorgio credo sia stato l’ultimo di noi a vederlo, il giorno prima della scomparsa, ma questo di certo non gli fu d’aiuto per fare ipotesi su dove potesse essere. Poco dopo, tutti noi, suoi ‘allievi’, eravamo lì, a casa di Caffè in via Cadlolo, alla ricerca di idee sul da farsi. Quella che prevalse fu di cercarlo sulla collina di Monte Mario nella angosciosa speranza che fosse finito lì sospinto da un momento di cedimento alla sensazione che la vita gli stesse sfuggendo di mano. Non fu una buona idea, come tutte quelle che le fecero seguito. La sequenza presto si esaurì e abbandonare la speranza di recuperarlo al nostro affetto e alla nostra gratitudine non fu facile. Certo fu impossibile – io credo, per ognuno di noi – smettere di interrogarsi sulle ragioni ultime e sul significato di quel suo gesto smisurato.
Sapevamo della sua sofferenza per il venir meno di essenziali affetti, sospettavamo che fosse stato se non raggiunto almeno lambito dal social despair per il percorso che il mondo aveva imboccato e sapevamo – dovrei dire meglio: credevamo di sapere – quanti intralci alla sua vitalità creava quella stagione della vita in cui gioie e soddisfazioni quasi dimenticano di germogliare.
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