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La Francia, l’Argentina, il Venezuela e noi
di Renato Caputo
Nuovi scenari e nuove sfide si aprono per la sinistra di classe in Italia alla luce delle recenti elezioni in Francia, Argentina e Venezuela. È necessario comprendere i limiti e gli errori, anche inconsapevoli, che hanno portato le sinistre di queste nazioni a delle sconfitte che avranno conseguenze nefaste sui loro paesi e più in generale sugli equilibri internazionali. La tragedia ha senso solo se si conclude con la catarsi, ossia con la capacità del pubblico, attraverso la compassione e il terrore dinanzi alla sconfitta dei personaggi in cui si impersona, di non ripeterne gli errori superandone i limiti
I risultati dei ballottaggi delle regionali francesi hanno fatto tirare un sospiro di sollievo a molti, la destra radicale del Fronte nazionale non è riuscita a conquistare nessuna regione trovandosi dinanzi dove era più forte un fronte delle altre principali forze politiche in nome dei valori della Repubblica. La rotta della “sinistra” di governo è stata inoltre arginata in cinque macroregioni dalla ricostruzione dell’unità delle “sinistre”. In tal modo i valori repubblicani appaiono salvi, l’incubo che pareva mettere in discussione lo stesso processo di unificazione europea sembra esorcizzato. Così già prima dei ballottaggi anche in Italia si sono levate le voci dei sindaci eletti grazie all’unità delle “sinistre” che auspicano, per evitare il grave errore di una separazione fra “sinistra radicale” e “sinistra moderata”, che favorirebbe i populisti di destra, un’alleanza elettorale con il Pd. Tale soluzione è stata al momento scartata dai principali esponenti di “Sinistra italiana”, in quanto resa impraticabile dalla volontà di Renzi di rompere i ponti alla sua sinistra, per costruire con forze di destra il Partito della nazione. Ciò non toglie che, a loro avviso, quandunque e ovunque prevalga invece lo spirito del centro-sinistra sia necessario sfruttare l’occasione per rilanciare la prospettiva ulivista. A tale scopo vi sarebbe bisogno di costruire una “sinistra di governo”, che favorisca la ricostruzione dell’alleanza con la sinistra moderata e il centro democratico per sconfiggere anche in Italia i populismi.
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Terrorismo e guerra: conflitto di civiltà o strategia imperiale del caos?
di Lorenzo Dorato
E' ormai trascorso quasi un mese dagli attentati di Parigi! La distanza temporale consente di osservare con maggior lucidità i fatti e il contesto politico che li circonda.
La forza dell'evento è stata con tutta evidenza enorme, sia per la sua estrema brutalità oggettiva, sia per la gigantesca enfasi mediatica dedicata cui si accompagna l'alto livello di allerta esasperato in queste settimane dalle autorità politiche di molti paesi europei.
A ciò si è aggiunta la concatenazione convulsa e contraddittoria di reazioni internazionali e più di recente il cruento episodio della strage di San Bernardino in California dai contorni ancora assai poco chiari.
Uno scenario confuso che lascia spiazzati e rivela il caos politico internazionale in cui da ormai molti anni siamo immersi.
In questi giorni è stato possibile misurare il tenore delle reazioni espresse dal governo francese e dai governi dei vari paesi europei e di tutto il mondo. Lo scenario internazionale che si sta delineando è decisamente fosco e vede simultaneamente apparenti azioni concertate da parte di un’immaginaria e retorica alleanza internazionale anti-terrorismo e la realtà di una guerra più o meno silente tra potenze giocata a colpi di provocazioni (la più clamorosa delle quali è stata sicuramente l’abbattimento dell’aereo russo da parte della contraerea turca).
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Ci siamo! Feld sull'esproprio (con backstage e un abbraccio ai veneti)
di Alberto Bagnai
(...pubblico al volo. Ci saranno refusi...)
L'intervista rilasciata oggi a Fubini (tanto nomini...) da Lars Feld chiarisce finalmente una volta per tutte qual è il bivio di fronte al quale siamo. Feld dice chiaro e tondo che dobbiamo rivolgerci alla Troika per ricapitalizzare le nostre banche.
Il ragionamento passa per alcuni semplici e prevedibili snodi:
1) le banche italiane sono in crisi ("restano correzioni da fare nei bilanci delle banche");
2) questi problemi devono essere risolti col bail-in perché così prevede l'Unione Bancaria (è il SRM, Single Resolution Mechanism, secondo pilastro dell'unione);
3) l'Unione Bancaria prevede anche un fondo di garanzia europeo (è l'EDIS, European Deposit Insurance Scheme), ma quello la Germania non lo vuole perché "sarebbe un modo di esternalizzare i problemi delle banche di certi paesi verso altri paesi" (leggi: i tedeschi non vogliono pagare);
4) resta quindi solo la strada del bail-in, leggi esproprio;
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Expo 2015. Lo spettacolo, il kitsch, la violenza
di Giovanna Cracco
“Il kitsch è la negazione assoluta della merda, in senso tanto letterale quanto figurato: il kitsch elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che nell’esistenza umana è essenzialmente inaccettabile.”
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere
L’Expo di Milano si è concluso. Prima dell’inaugurazione e durante l’apertura è stato criticato, seppur da una minoranza di persone e dell’opinione pubblica, da diverse angolazioni: le inchieste della magistratura per corruzione, la quantità di denaro pubblico speso, la gestione del lavoro, con la creazione della figura del ‘lavoratore volontario’. Dopo sei mesi, la chiusura ha registrato un trionfo di dichiarazioni positive, per il numero di biglietti staccati e la carrellata di ospiti illustri, politici e non, che nei 180 giorni hanno varcato l’ingresso, e la Rai non si è fatta mancare uno spot finale celebrativo.
Di fatto, Expo è stato politicamente, culturalmente e mediaticamente un successo: che i visitatori siano stati realmente 21,5 milioni oppure meno, che l’incasso della vendita dei biglietti abbia davvero coperto i costi o prodotto una perdita, non ha importanza. Una enorme massa di persone ha innanzitutto deciso di andarci, e in secondo luogo ne è uscita, nella grande maggioranza, entusiasta. Ogni criticità legata all’Esposizione (che anche Paginauno ha espresso sulle sue pagine), ogni pensiero negativo opposto alla sua stessa realizzazione, sul piano valoriale o economico, sono stati spazzati via dal consenso che ha raccolto.
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Jobs Act: cronaca di un fallimento annunciato
Valeria Cirillo, Dario Guarascio, Marta Fana
Gli incentivi monetari forniti alle imprese non si sono concretizzati in nuova occupazione a tempo indeterminato, ma hanno piuttosto favorito la trasformazione di contratti temporanei in contratti ‘permanenti’
Come risposta alla crisi del 2008, le economie della periferia europea hanno adottato politiche deflattive con l’obiettivo di recuperare competitività e far ripartire crescita ed occupazione. Il tutto in completa ottemperanza ai dettami della visione neoliberista che egemonizza l’agenda di politica economia europea. In Italia, la legge 183 del 2014, evocativamente denominata ‘Jobs Act’, ha svolto un ruolo chiave determinando uno storico cambiamento nell’equilibrio delle relazioni industriali. Portando a completamento il percorso di riforma cominciato all’inizio degli anni 90, il Jobs Act ha sancito un definitivo livellamento verso il basso delle tutele dei lavoratori. Le più rilevanti modifiche introdotte dalla legge riguardano: i) l’introduzione di una nuova tipologia contrattuale a ‘tempo indeterminato’, pensata per divenire la forma prevalente nel sistema italiano, che elimina ogni obbligo di reintegro del lavoratore nel caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo oggettivo (tranne nei casi di dimostrata discriminazione o di licenziamento comunicato oralmente); ii) l’introduzione della videosorveglianza per mezzo di dispositivi elettronici – misura che ha dato adito a forti polemiche circa la violazione della privacy e delle libertà individuali; iii) la completa liberalizzazione dell’uso dei contratti atipici.
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Le vere cause della crisi delle Banche Popolari
Domenico Moro e Marco Rosati
La tragica vicenda del pensionato suicida di Civitavecchia e la disperazione di centinaia di obbligazionisti delle quattro banche (Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca Etruria, Banca Marche e Cassa di Risparmio di Chieti) che, a seguito del Decreto “Salva Banche “ del Governo Renzi, hanno visto azzerati i loro risparmi costituiti da obbligazioni subordinate, hanno suscitato un forte dibattito politico ed economico. In assenza di una analisi più approfondita tale dibattito rischia di rimanere schiacciato nella cronaca mediatica e nella polemica funzionale alla Lega di Salvini, che, non a caso, ha immediatamente organizzato una manifestazione ad Arezzo, sede della Banca Etruria, a difesa dei risparmiatori danneggiati. Questa vicenda, a nostro avviso, non parla solo di speculazione finanziaria o di comportamenti perseguibili penalmente, ma soprattutto dei profondi cambiamenti che interessano ed interesseranno il sistema bancario italiano ed europeo da qui al 2019, data di nascita di quella Capital Market Union che è un altro pilastro della integrazione valutaria, economica e finanziaria dell'area Euro.
A maggio del 2015, nelle sue Considerazioni finali il Governatore di Banca d'Italia elencava chiaramente i cambiamenti epocali a cui sarebbe andato incontro il sistema bancario e finanziario italiano: dall'accelerazione delle aggregazioni delle banche popolari e di credito cooperativo, alla nascita di una o più bad bank per la gestione dei crediti deteriorati o in sofferenza, stimati in circa 350mld di euro; dalla velocizzazione delle procedure di recupero dei crediti, alla nuova funzione finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti (che ricordiamo utilizza il risparmio postale) e infine al meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie, il cosiddetto Bail-in, appunto.
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Il nemico non è più astratto
di Sandro Chignola
«La guerra d’aggressione come crimine internazionale»: è il libro uscito postumo di Carl Schmitt. Edito in Italia dal Mulino, nasce dal parere che il giurista scrisse su richiesta dell’industriale Flick, uno dei principali esponenti economici del regime nazista
Si dice che solo dal punto di vista di chi sia sconfitto sia dato comprendere i processi di lunga durata. Solo chi abbia perso tutto si volge all’onda che lo ha travolto cercando di scorgerne le profondità e di identificarne i ritmi e le correnti. Non è il respiro breve del vincitore, inebriato del presente della conquista, quello capace di confrontarsi con i tempi dilatati della storia. Reinhart Koselleck, la cui biografia annovera anni di prigionia in Urss dopo lo sbandamento della Wehrmacht, ha scritto pagine importanti a questo proposito.
Uno dei suoi maestri, Carl Schmitt, è nel 1945 uno di questi sconfitti assoluti. Da tempo in rotta con il nazismo, cui imputa di aver approfondito il solco tra legalità e legittimità per aver ridotto il diritto a «un’arma velenosa» nelle mani del Partito, preda di una quotidiantà estremamente difficile – non riceve da mesi lo stipendio, vive in una Berlino devastata dai bombardamenti, subisce un primo arresto da parte dei militari sovietici -, si definisce allora, non senza una certa auto accondiscendenza, «annientato e calpestato» come «lo sconfitto della guerra giusta degli altri». I suoi interessi teorici si sono spostati sul terreno del diritto internazionale. Da mesi sta portando avanti la stesura del Nomos della terra. Rimane comunque un grande professore di diritto.
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La nemesi migratoria
di Dino Raiteri
Il fatto nuovo circa gli ormai decennali flussi di migranti e rifugiati sta nell’essersi trasformati in vero e proprio esodo. Ad un certo punto è esploso un impulso collettivo verso un determinato obiettivo, come quando, ad esempio, una popolazione, prima passiva insorge tutta insieme, contro una certa situazione. Qui l’impulso è di fuggire da qualcosa, guerra, miseria o, semplicemente, vita quotidiana che non si vuol più vivere nel luogo d’origine: la guerra in Siria non è scoppiata ieri, né i migranti dal Mediterraneo o dalle porte orientali dell’Europa sono apparsi ieri. Ma oggi ha preso corpo un’ansia(quasi una frenesia) corale: verso l’Europa e il suo nord, terra promessa! Da pochi mesi un’improvvisa fiumana di Siriani si sta riversando in Europa. I movimenti sono caotici(gli stati e le varie organizzazioni internazionali paiono impotenti) e non si trova nessun Mosè a guidare l’esodo. C’è poi spazio per dietrologie? Ad es. la fiumana dei Siriani è manovrata da qualcuno? Fantasie? Come sempre lo rivelerà la storia.
Lasciamo stare il ruolo miserevole dell’Europa in questi ultimi anni, connotato da provvedimenti campanilistici, decisioni “Europee” confuse, accordi operativi controversi e di incerta efficacia(non si è stati in grado approntare, questo già da tempo, campi Europei di accoglienza alle frontiere del nostro continente ove far sostare in modo decente i migranti per controllarli e smistarli), paura di affrontare l’organizzazione dei trafficanti di esseri umani(non parliamo di affrontar l'Isis attestato in Libia; forse si arriverà, al massimo, a un accordo per far instaurare là un improbabile governo unitario). Evidentemente l’Europa non è una grande potenza: meno male che non ha forti nemici, altrimenti rischierebbe di venir conquistata!
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Arrigo Cervetto a cinquant'anni dalla nascita di Lotta Comunista
Attilio Folliero intervista Dante Lepore
Cinquant'anni fa, nel dicembre del 1965, usciva il primo numero di Lotta Comunista, l'organo ufficiale dell'omonimo partito fondato da Arrigo Cervetto assieme a Lorenzo Parodi. Per parlare di Arrigo Cervetto, delle sue idee, della concezione del partito abbiamo intervistato Dante Lepore, che per anni è stato militante di Lotta Comunista; ha conoscito Arrigo Cervetto e collaborato con lui nella fondazione della sede torinese di Lotta Comunista.
Ricordiamo che Arrigo Cervetto T nato a Buenos Aires, Argentina, il 16 aprile del 1927 ed è morto a Savona il 23 Febbraio 1995. Nella foto a lato, Arrigo Cervetto durante la partecipazione alla Terza Conferenza Nazionale dei GAAP, svoltasi a Livorno il 26 e 27 settembre 1953.
D. Il Partito, la formazione del partito del proletariato, del partito di classe è uno degli aspetti fondamentali del marxismo. Arrigo Cervetto ha affrontato tale questione. Qual è la concezione del partito in Arrigo Cervetto?
R. Questa domanda, pur nell’apparente semplicità, è complessa, dato che riconduce alla genesi e maturazione di un problema, quello del partito di classe, che non è una mera astrazione concettuale e mai era stato precedentemente posto allo stesso modo e che lo stesso Cervetto dovette sviluppare in una complessa vicenda storica.
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Ttip e Tppa: accerchiare la Cina
di Maurizio Brignoli
Viaggio nella crisi. Parte VIII. Uno scenario importante dello scontro interimperialistico in atto si sta in questo momento giocando nella realizzazione di alcuni grandi trattati sovranazionali in cui la strategia statunitense punta a realizzare l’accerchiamento della Cina, la subordinazione dell’Ue e l’isolamento della Russia, con tutta una serie di conseguenze nel processo di ulteriore subordinazione della classe lavoratrice in tutto il mondo
Accordi di libero scambio, barriere non tariffarie e Isds
Lo scontro interimperialistico fra i principali attori (Usa, Ue, Cina, Russia) si va sempre più delineando attraverso un processo di potenziale “concentrazione imperialistica” attorno ad alcune aree imperialistiche sovranazionali. Scontro a livello transnazionale con un grande processo di ricollocazione della divisione internazionale del lavoro. Le trattative relative al Transatlantic trade and investment partnership (Ttip) e al Trans-Pacific partnership agreement (Tppa) sono espressione rilevante di questo scontro. Per comprenderne la reale portata e gli obiettivi questi accordi vanno collocati all’interno della strategia statunitense di scontro con la Cina.
Il Ttip ha come obiettivo di realizzare l’unione di due delle economie più ricche al mondo e delle rispettive aree valutarie, quella del dollaro e quella, maggiormente in difficoltà, legata all’euro. Le consultazioni Usa-Ue sono iniziate più di due anni fa, ma lo scontro interimperialistico all’interno dello stesso Ttip è forte, nonostante gli Usa abbiano cercato di sfruttare il momento di debolezza dell’Ue per la realizzazione di un progetto che torna soprattutto a loro vantaggio. Le trattative sono segrete e condotte dai funzionari della Commissione europea e da quelli del Ministero del commercio statunitense con le lobby delle grandi multinazionali.
Gli obiettivi finali del Ttip (e dello speculare Tppa) sono riassumibili fondamentalmente in tre punti principali:
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Perché il governo d’unità nazionale libico fallirà
Washington e Londra tifano per una nuova Somalia
di Federico Dezzani
Nel resort marocchino di Skhirat è stato firmato il 17 dicembre l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico: il documento, non ratificato dai parlamenti di Tobruk e di Tripoli ha il valore della carta straccia ed il nuovo esecutivo patrocinato dagli angloamericani attraverso l’ONU ha l’unico scopo di chiedere un intervento militare internazionale in Libia. Washington e Londra non hanno alcun desiderio di pacificare il Paese e lavorano per la propagazione dell’ISIS nell’intero Nord Africa: come in Siria, Ankara e Doha collaborano introducendo i miliziani e contrabbandando petrolio. Solo l’Egitto e la Russia hanno l’interesse ad evitare l’implosione dell’ex-colonia italiana, mentre una coalizione internazionale a guida ONU la trasformerebbe in una nuova Somalia.
***
Un accordo di facciata, per coprire le vere intenzioni di Londra e Washington
Ha il sapore di una stanca riproposizione di un film già visto e rivisto, della messa in onda di un programma trito e ritrito, lo spettacolo proiettato il 17 dicembre nelle sale del resort di Skhirat, località balneare della Marocco bene: dopo mesi di estenuanti trattative è firmato l’accordo per la nascita di un governo d’unità nazionale libico, presieduto dal premier Faiez Al-Serraj.
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Banche, credito e risparmio: l’Europa viola la Costituzione
di Alessandro Somma
Dopo l’unione monetaria, un’altra sciagura incombe sull’Europa: l’unione bancaria, il sistema unificato di vigilanza sulle banche nazionali.
Il suo avvio è stato preceduto lo scorso anno da una misura destinata a stimare lo stato di salute delle varie banche, a tal fine sottoposte a uno stress test. L’idea non era malvagia, giacché la speculazione finanziaria cui si sono dedicate, e tutt’ora si dedicano, costituisce una delle principali cause della drammatica crisi che stiamo vivendo. Stupisce però che l’Europa sia molto preoccupata della tenuta delle banche, ma nel contempo conduca politiche che portano al dissesto dei sistemi di sicurezza sociale, almeno altrettanto indispensabili a fronteggiare la crisi. Se quei sistemi fossero sottoposti a stress test, emergerebbe ciò che si vede a occhio nudo: che la perdita di posti di lavoro, incredibilmente affrontata con la precarizzazione e la svalutazione del lavoro, richiede di lenire la macelleria sociale con risorse decisamente più ambiziose di quelle contemplate dal culto dell’austerità.
Stupisce poi che, per fronteggiare la finanziarizzazione dell’economia, la politica richieda la solidità patrimoniale di chi la incalza, invece di vietare le pratiche che si reputano dannose. Evidentemente si sconta qui uno dei principali limiti ideologici del neoliberalismo, che non ammette ostacoli alla libertà di mercato, pensando che per tutelare i cittadini sia sufficiente imporre freddi standard qualitativi o meri obblighi informativi.
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Mario Mineo e il modo di produzione statuale
di Giovanni Di Benedetto
È probabile che le profonde contraddizioni interne al capitalismo precipiteranno l’intero pianeta in una crisi sempre più drammatica, segnata da un intensificarsi ulteriore di guerre, terrorismi, oppressione e sfruttamento. Gli sviluppi dell’aggressione militare in Medio Oriente per il controllo delle risorse energetiche e della guerra al terrorismo dell’Isis non promettono nulla di buono. La natura costituente della crisi, che sta originando una radicale riorganizzazione dei processi produttivi, è dimostrata dall’impossibilità, da parte degli interessi delle forze dominanti, a operare, a livello nazionale e internazionale, forme di mediazione sul terreno della redistribuzione della ricchezza sociale o della stessa gestione dei rapporti di potere economico e politico. D’altra parte, è pur vero che possono aprirsi, all’interno di questo scenario catastrofico, tenui spiragli alla critica al sistema capitalistico, sebbene i rischi di derive reazionarie e regressive (si veda il voto tributato a Marie Le Pen alle ultime elezioni regionali in Francia) non possano essere per nulla sottovalutati. A patto che, una volta elaborata l’analisi sulle cause della crisi economica e di civiltà, si sia in grado di avanzare un progetto alternativo di società capace di unificare i conflitti, le lotte e i numerosi focolai di rivolta per dare luogo a forme nuove e vitali di aggregazione sociale.
Si tratta allora di lavorare alla costruzione di un progetto razionale che prenda atto, in primo luogo, della necessità di uno sforzo conoscitivo, per così dire di lunga durata, con il fine di costruire un’ipotesi di lavoro che sappia proporre uno sbocco produttivo, da una prospettiva democratica e comunista, alla questione del che fare. E dunque, è ancora possibile pensare a un’uscita dal capitalismo e alla costruzione di formazioni sociali che possano vivere e realizzare un processo di transizione verso il socialismo? E se sì, non è forse doveroso porre come condizione preliminare quella di riconoscere, senza per questo ricadere in attese messianiche come quelle in auge ai tempi della Seconda Internazionale, che questa urgenza deve essere un’ipotesi strategica capace di interessare tutta un’epoca storica? Gli scritti teorici di Mario Mineo (1920-1987), intellettuale di vaglia del panorama politico siciliano e palermitano della seconda metà del Novecento, si rivelano, da questo punto di vista, di inaspettata attualità.
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La remontada di Podemos
La sfida della radicalità democratica e plurinazionale
di Andrea Moresco
Alla fine la remontada che si respirava e invocava da settimane c’è stata. Il verdetto uscito ieri delle urne di tutta Spagna ci consegna una parziale ma decisiva remontada da parte di Podemos, che supera il 20% dei voti totali ma non il PSOE (22,11%), raggiungendo soltanto uno dei due obiettivi che la rincorsa delle ultime settimane poteva porsi e ritrovandosi così un gradino sotto alla tradizionale forza di centro-sinistra nella trattativa – improbabile – per un eventuale governo di coalizione con gli stessi socialisti. D’altra parte, la significativa attestazione elettorale della formazione guidata da Pablo Iglesias è a tutti gli effetti decisiva nel sancire la fine del bipartitismo e dei meccanismi della rappresentanza tradizionale che caratterizzano la Spagna dal ’78 ad oggi. Se il PP (Partito Popular) e PSOE vorranno ora governare potranno farlo solo con un governo di larghe intese, magari comprensivo di un appoggio più esteso al centro, per esempio di Ciudadanos, sulla scia di quanto accaduto in Italia nel febbraio 2013: un’opzione sicuramente da “ultima spiaggia”, dato l’esplicito rifiuto di questa possibilità dichiarato in campagna elettorale da ambo, ma ad oggi quanto meno valutata da fazioni dell’uno e dell’altro partito – a patto che Mariano Rajoy sia disposto a lasciare alla guida di un governo di Grosse Koalition la sua attuale vice-presidente Sorana Saez de Santamaria. E’ Podemos e non Ciudadanos a segnare la crisi definitiva della “vecchia politica” spagnola e metterne a nudo la comune vocazione neoliberale mascherata dalla chimera della stabilità nazionale: la riforma della legge elettorale, l’indiscutibile appartenenza della Catalogna alla Spagna, il rigoroso rispetto dei vincoli di bilancio europei e il sostegno nella guerra anti-IS sarebbero i punti d’incontro per un governo di transizione a larghe intese.
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La grande tranvata
La vera Europa dei veri trasferimenti al tempo dell'Unione Bancaria
di Quarantotto
1. Oggi ho comprato il FQ per leggermi l'articolo di Alberto Bagnai sul salvataggio delle ormai famose "4 banche".
Con l'occasione, nello sfogliare, con un comprensibile filo di angoscia, le pagine del giornale, mi sono imbattuto in un articolo che rappresenta il complemento del pezzo di Alberto, in quanto prospetta lo scenario molto più ampio del nostro futuro all'interno dell'Unione bancaria. Cioè, ben al di là delle "4-banche-4".
Di questo scenario abbiamo ampiamente parlato qui e qui (almeno...).
L'articolo in questione, non casualmente, è di Marco Palombi (pag.5): un giornalista fra i meno versati nella tiritera autorazzista e moralista che tende a nascondere, in tutti i modi, le assolutamente prevalenti cause euro-necessitate dell'attuale (strisciante e innescata) crisi bancaria diffusa.
Questa, come è utile sempre ripetere, è determinata dalla contrazione ("distruzione montiana"), per via di politiche fiscali €uroimposte, della domanda interna, e dalle conseguenti insolvenze nell'economia "reale",effettivamente alla base dell'attuale prospettiva di crisi sistemica bancaria, da sanare, appunto, con il bail-in (a carico nostro).
2. L'articolo di Palombi è "eloquente" perchè, in essenza, si limita a riportare (criticamente) alcuni significativi passaggi dell'audizione di Carmelo Barbagallo alla commissione finanze della Camera, svoltasi lo scorso 9 dicembre.
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Crisi economica e deflazione salariale: la ricetta della BCE
di Luca Fantuzzi
Come vi ricorderete, abbiamo già visto che il Jobs Act, lungi dall'essere un'idea di Matteo, è in realtà tutto made in BCE. Molto succintamente - e rimandando a chi ha spiegato con stupefacente chiarezza la questione: per esempio qui - abbiamo anche notato come ciò derivi dalla circostanza che, in caso di perdita di competitività relativa di un Paese, l'impossibilità di una svalutazione della moneta comporta la necessità di una svalutazione del lavoro.
Non a caso, quando vedo nelle sedi sindacali la bandiera con le stelline (il manto della Madonna: cosa che a me fa doppiamente male) reagisco così:
Siccome so che siete miscredenti e quando si afferma senza prove tendete ad alzare il sopracciglio, peggio di un San Tommaso qualunque, oggi porto le prove. Traduco, qui di seguito, un breve estratto del Bollettino Economico BCE n. 8 del 2015 (l'originale, lo trovate qui: guardatelo tutti, anche chi l'inglese lo fischia, perché nella traduzione - in quanto incapace informatico - non ho riportato i grafici e le tabelle. Ora una versione completa è pubblicata da "voci dall'estero").
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Il naufragio della «modernità» del capitalismo
di Lanfranco Binni
Ormai siamo ai bollettini di guerra, di una guerra postmoderna in cui implode il cortocircuito tra «antico» e «moderno», tra mezzi convenzionali (i bombardamenti, il terrorismo, le rappresaglie, la propaganda, la disinformazione) e nuove tecnologie di distruzione (le campagne di comunicazione, i nuovi armamenti hi-tech). Dietro la «strategia del caos», della guerra di tutti contro tutti (dalla geopolitica all’esercizio quotidiano del dominio di potere sulle singole esistenze), un lucido e «antico» disegno di natura esclusivamente economica: la tenace resistenza del modo di produzione capitalistico alla crisi del suo insostenibile «modello di sviluppo» che sta devastando il pianeta. Le devastazioni strutturali, in nome delle necessità dei mercati finanziari (l’«uovo del serpente»), procedono in stretto rapporto con devastazioni politico-culturali sempre più rabbiose: la supremazia indiscutibile (da non mettere in discussione) della «civiltà» dell’imperialismo occidentale, lo svuotamento della democrazia formale a cui contrapporre i «valori» della predazione economica e del consumo forzato di merci, del malthusianesimo, della xenofobia, la divisione profonda tra le vittime della guerra economica e militare, schierate come complici subalterni e «rifiuti» da schiacciare.
La guerra è apparentemente «a pezzi», in scenari geografici diversi, ma in realtà è globale, unificata da un modo di produzione complesso e articolato, con differenze al suo interno e retroterra storici che determinano strategie diverse.
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La posta in gioco della guerra tra capitali: il risparmio italiano
di Pasquale Cicalese
“..si deve concludere che la disciplina del bail in non è sostenibile. Una prima prova di una parziale applicazione di essa – solo cioè per quel che attiene alla risoluzione delle quattro banche, richiesta dalla Commissione Europea e che comporta il previo addossamento delle perdite ad azionisti e obbligazionisti subordinati - dovrebbe essere idonea a farci capire quel che può avvenire in un prossimo caso. La tutela del risparmio non viene in tal modo pienamente assicurata, in contrasto con l’art. 47 della Costituzione, e, con tale mancanza, può essere travolta anche la tutela della stabilità sistemica”.
Angelo De Mattia, “Le norme Ue sulle risoluzioni bancarie vanno riviste. Il bail in è contrario alla Costituzione”. Milano Finanza 15 dicembre 2015.
“Vedo invece un’Europa che cresce con contraddizioni e che quindi si muove un po’ a zig-zag con figli e figliastri, una specie di Europa matrigna”.
Antonio Patuelli, Presidente ABI (Associazione Banche Italiane), “Tempi lunghi per le fusioni”, Milano Finanza 16 dicembre.
Chi pensa che la vicenda delle quattro banche fallite sia una questione di truffe, malversazioni e raggiri si sbaglia di grosso. Non è solo questo, è ben altro. Ha a che fare con l’assetto europeo, con l’hausmanizzazione monetaria e con il predominio tedesco nell’eurozona.
Partiamo da una decisione presa circa due anni fa, vale a dire l’Unione Bancaria. Con questo nuovo assetto, la Vigilanza è passata alla Banca Centrale Europea, con l’eccezione, guarda caso, delle Sparkassen e delle Landesbanken tedesche, al vortice della crisi bancaria del 2009.
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Maometto e Robespierre
di Giovanni Tomasin
«L’ateismo è aristocratico».
Maximilien de Robespierre
«È tempo di sottrarre queste armi alla reazione. Ancor più, è tempo di mobilitare contro il capitalismo, sotto la guida socialista, le contraddizioni dei ceti non contemporanei. Non si pensi qui di farsi beffe in blocco dell’irratio, ma piuttosto a occuparla, e da una posizione che si intende di irratio un po’ più seriamente dei nazisti e dei loro grandi capitalisti».
Ernst Bloch
«L’Islam per sua natura non è compatibile con i valori di una società laica e moderna». Le diverse incarnazioni di questa massima vengono riproposte con costanza ciclica da schiere di improvvisati esperti di Medio oriente almeno dal 2001 a oggi, in una lunga sequela di facce da Oriana Fallaci fino a Michelle Houellebecq. L’affermazione viene sempre pronunciata con inoppugnabile certezza e supportata da stralci del Corano. Dopo i fatti di Parigi il mantra si è fatto ossessivo.
Un metodo efficace per testare la validità della tesi è sostituire la parola «Islam» con «ebraismo» e «Corano» con «Antico testamento», testo non privo di passaggi sanguinari atti al gioco: il più delle volte si otterrà un’affermazione schiettamente antisemita, che verrebbe condannata con fermezza nelle trasmissioni televisive e sulle pagine dei giornali che non si pongono il problema di ospitarla quand’è riferita alla fede islamica. Tanto per concludere il gioco, qualunque lettore oggettivo del Vangelo saprà facilmente applicare il medesimo ragionamento anche al cristianesimo.
È superfluo specificare che la tesi non è del tutto infondata: in tutte le religioni abramitiche si trovano forme di conflittualità con la modernità e con la visione del mondo scaturita dal secolo dei Lumi. Pensare però che delle tre l’Islam sia l’unica portatrice di una refrattarietà incurabile al moderno impedisce di comprendere i moventi della tempesta in atto.
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Dal programma minimo al fronte anticapitalista
di Renato Caputo
I comunisti hanno bisogno oggi in Italia di definire un programma massimo, sulla cui base rifondare un partito comunista all’altezza delle sfide del XXI secolo, e di un programma minimo a partire dal quale costruire un fronte unico antiliberista e anticapitalista. Tale fronte deve essere costruito a partire dai conflitti sociali e non nella prospettiva di semplice occupazione degli incarichi nelle istituzioni borghesi. Altrimenti i comunisti non potranno vincere la decisiva lotta con le forze democratiche piccolo-borghesi con cui dovranno necessariamente fare i conti nel fronte unico
Il senso comune del popolo di sinistra ritiene un valore essenziale per battere le destre, da troppi anni dominanti, l’unità della sinistra. Troppo spesso, però, il termine “sinistra” proprio perché noto non è in realtà conosciuto. Dal punto di vista empirico, al quale si ferma il senso comune sotto l’influenza dei mezzi di comunicazione di massa, è di sinistra chi si autodefinisce tale. Tanto più che storicamente il termine, come una parte significativa degli elementi costitutivi della filosofia moderna, è sorto con la consuetudine sviluppatesi durante la Rivoluzione francese, per cui gli esponenti più progressisti del parlamento occupavano l’ala dell’assemblea legislativa posta a sinistra del suo presidente.
In tal modo però l’identità della sinistra resta piuttosto incerta, in quanto è troppo soggetta ai diversi rapporti di forza fra le classi sociali e alle diverse forme di selezione dei deputati nelle assemblee legislative. Così, già nel corso della Rivoluzione francese, a seconda del prevalere nelle sue diverse fasi delle componenti più radicali o moderate e del conseguente mutare delle modalità di selezione dei rappresentanti mutava in modo sostanziale il contenuto concreto dei termini destra e sinistra. In altri termini, in fasi molto progressive anche alla destra del presidente dell’assemblea prenderanno solitamente posto esponenti del centro sinistra, mentre in fasi come la nostra di Restaurazione anche nei banchi di sinistra troveranno posto esponenti del centro destra.
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L’Europa e le terre bruciate
Michele G. Basso
Si parla, spesso a sproposito, di liberismo, mentre è in corso la più complessa operazione protezionistica di tutti i tempi. Gli Stati Uniti, autonominatisi protettori del libero commercio, in realtà hanno quasi sempre mantenuto tariffe doganali altissime e le hanno abbassate quando l’Europa era in macerie per la seconda guerra mondiale. Se nel 1945 avevano l’assoluto predominio militare, finanziario, industriale, hanno visto eroso questo vantaggio, e cercano di conservare la supremazia con ogni mezzo, sabotando rivali attuali o futuri. Non c’è, nella classe dirigente statunitense, distinzione tra falchi e colombe, perché – a parte differenze di linguaggio, più diplomatico in Obama e nella sua fazione – lo scopo è sempre l’egemonia USA. Anzi, troviamo frammenti di verità nei discorsi dei “cinici”, come Brzezinski o Luttwak, piuttosto che nelle suadenti espressioni dei presunti pacificatori.
Era chiaro, per chi non ha mai creduto a Obama, che il “pivot to China” era una formula propagandistica. Altrimenti, come spiegare questa notizia di “Il Sole 24 Ore?
“Il Fondo monetario ha approvato oggi l’inclusione dello yuan, la moneta cinese, nel paniere delle valute di riserva. La decisione è stata presa dal consiglio esecutivo, che riunisce i rappresentanti dei Paesi membri dell’istituzione di Washington, e ha aggiunto lo yuan a dollaro, euro, yen e sterlina come componente dei diritti speciali di prelievo, la valuta di riserva dello stesso Fmi.”... “…l’inserimento dello yuan nei dsp ha alcune importanti conseguenze pratiche: dovrebbe infatti produrre un graduale flusso di fondi sullo yuan da parte delle banche centrali, dei fondi sovrani e delle altre istituzioni multilaterali, flusso che in parte è già cominciato (una settantina di banche centrali hanno investito parte delle loro riserve ufficiali in yuan). La sola riallocazione di un 1% delle riserve internazionali sullo yuan significherebbe un flusso di 80 miliardi di dollari l’anno”.(1)
Se gli USA fossero stati contrari, la Cina sarebbe ancora in attesa.
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I danni della “buona scuola” e la crisi della sinistra
di Marco Magni
Inquietudine
Io sono contrario alle occupazioni delle scuole che stanno avvenendo in questi giorni (anche se ovviamente contrario anche agli sgomberi). Non ho neppure scioperato il 13 novembre con i Cobas. Non ho neanche partecipato a mobilitazioni e convegni sulla LIP. Non perché “tanto non c’è niente da fare”, e neppure perché mi sia convertito all’idea renziana di scuola.
E’ perché mi pare che, una volta perso il riferimento che coagulava la lotta, l’iter parlamentare della legge “La buona scuola”, sembra che nessuno voglia interrogarsi sulla sua insufficienza. Sì, anche quando a migliaia si scendeva in piazza, anche quando si scioperava in massa, era il nemico che ti offriva il terreno su cui agire. Era lui a porre le domande, e proprio nei confronti di quelle si agiva di riflesso. Di rimessa, quindi in modo subalterno.
Ma, adesso, il punto è che, mentre la “buona scuola”, nelle sue diverse articolazioni (quelle che necessariamente provocheranno, senza dubbio, ancora rabbia, come la perdita della titolarità di cattedra nella scuola dove si insegna, non valgono ancora per la maggioranza dei docenti) viene implementata, non è che la scuola si converta unanime al nuovo credo, anzi è il contrario, ma il malessere e il disagio si disperdono in mille rivoli. Si torna, immediatamente, ad una visione corporativa, che era quella dominante anche il 5 maggio 2015, anche se non sembrava, viste le piazze piene e le scuole chiuse.
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Armi e Bagagli, un diario dalle Brigate Rosse
Cause ed effetti
di Emanuele Trevi
Pubblichiamo di seguito la prefazione di Emanuele Trevi a Armi e Bagagli (il memoir di Enrico Fenzi ripubblicato da Egg Edizioni) e un estratto dal primo capitolo del libro. La prefazione di Emanuele Trevi, che ringraziamo, accompagnava l’edizione Costa & Nolan. L’illustrazione è di Pietro Corraini
Per introdurre Armi e bagagli di Enrico Fenzi mi sarà necessario condividere almeno in parte gli stessi rischi che l’autore ha affrontato scrivendo la sua opera. A farmi accettare questi rischi non basterebbe nemmeno la profonda amicizia che mi lega a Enrico: l’argomento decisivo, in questi casi e di fronte a una materia così spinosa, non è, non può essere che il grande valore di questo libro, non a caso arrivato alla sua terza edizione (ora alla quarta, ndr). Ma è proprio intorno e in conseguenza a questa nozione di “valore” che iniziano i guai. A primo impatto, infatti, potrebbe anche suscitare fastidio e addirittura ripugnanza l’elogio delle qualità letterarie di un libro che ha per sottotitolo Un diario dalle Brigate Rosse.
È inutile negare che su un discorso che abbia questo tipo di intenzione pende come una spada di Damocle l’accusa di un cinismo sordo al male e al dolore reali evocati in Armi e bagagli. Ma questo rischio (l’accusa infamante di “fare della letteratura” di fronte a tragedie reali) è corso, in maniera molto più radicale, dall’autore in prima persona. Che al danno fatto avrebbe pure aggiunto la beffa di scriverci su un “bel libro”. Questa diffidenza per la letteratura e per il “fare della letteratura” ha radici antiche e profonde, e può vantare anche, non costa nulla ammetterlo, dei buoni argomenti.
Scegliendo nonostante tutto la letteratura, a Enrico Fenzi non è rimasta che la più svantaggiosa delle scommesse: si è affidato alla sua opera, le ha delegato interamente il compito di parlare per lui. Il che significa, prima di tutto, rinunciare all’ombrello protettivo delle proprie intenzioni.
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Oltre l’austerità, il futuro dell’Euro
In margine a una lezione di Paul De Grauwe
di Mario Tiberi
Mario Tiberi dà un resoconto delle “Lezioni Federico Caffè 2015”, tenute da Paul De Grauwe, sul futuro dell’Eurozona. Tiberi ricorda le critiche di De Grauwe alle politiche di austerità, nate da un‘analisi inadeguata della recessione, troppo centrata sulla crisi dei debiti sovrani, e responsabili di molte conseguenze negative. L’alternativa è una politica fiscale espansiva, sorretta dalla piena affermazione della BCE come prestatore di ultima istanza. Tiberi conclude sottolineando la sintonia del ragionamento di De Grauwe con valutazioni presenti nei lavori di Caffè
Gli allievi di Federico Caffè, appartenenti al Dipartimento di Economia e Diritto della Università di Roma “La Sapienza”, hanno deciso, oramai da molti anni, di onorare la sua memoria con una serie di lezioni annuali, a lui intitolate e rivolte a studiosi e studenti. Le lezioni – che si avvalgono del contributo della Banca d’Italia, dove Caffè ha ricoperto importanti incarichi – sono tenute da autorevoli economisti stranieri ed italiani e intendono approfondire argomenti cari a Caffè: economia del benessere e teoria della politica economica; problemi epistemologici; moneta e finanza; occupazione e politiche sociali; questioni internazionali. Le lezioni sono state tenute, tra gli altri, da tre premi Nobel (Solow, Stiglitz ed Arrow) e da alcuni dei più prestigiosi economisti italiani (Sylos Labini, Graziani e Pasinetti).
Il relatore di quest’anno, è stato il Professor Paul De Grauwe. Belga di nascita, De Grauwe ha ricoperto incarichi prestigiosi, prima all’Università di Lovanio e, attualmente, come John Paulson Chair in European Political Economy, presso la London School of Economics. Egli è ben conosciuto anche in Italia, in parte grazie al suo manuale “Economia dell’Unione monetaria” che è un testo d’esame in numerosi corsi universitari. Non è un caso, quindi, che molti studenti abbiano contribuito ad affollare l’Aula della Facoltà di Economia, dove De Grauwe, il 10 e 11 dicembre, ha svolto le sue lezioni su un tema a lui congeniale: ”Il retaggio della crisi dell’Eurozona e il futuro dell’euro”.
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Considerazioni sul marxismo e la filosofia
Un piccolo tentativo
Mauro Tozzato
In Materialismo ed Empiriocriticismo Lenin cita il teorico marxista, operaio autodidatta, Joseph Dietzgen, giudicato con apprezzamento anche dallo stesso Marx:
<<All’”equivoco” degli universitari liberi pensatori, Dietzgen avrebbe preferito volentieri “l’onestà religiosa”: qua almeno “c’è un sistema”, ci sono degli uomini completi che non separano la teoria dalla pratica. Per i signori professori “la filosofia non è una scienza, bensì un mezzo di difesa contro la socialdemocrazia”. “Professori e ordinari, tutti coloro che si dicono filosofi, cadono, più o meno, malgrado la loro libertà di pensiero, nei pregiudizi, nella mistica … Nei riguardi della socialdemocrazia tutti costoro non formano che una massa reazionaria. Occorre, per seguire il buon cammino senza lasciarsi smontare dalle assurdità religiose o filosofiche, studiare la più falsa delle vie false (den Holzweg der Holzwege), la filosofia”>>.
In Lenin e la filosofia Althusser interpreta la posizione di Lenin come un modo alternativo di fare della filosofia, in corrispondenza allo spunto fornito da Marx: invece di “ruminare nella filosofia” si tratterebbe, infine, di praticarla. Questo diverso modo di “professarla” porterebbe come conseguenza a riconoscere che la filosofia non è <<altro che politica investita in un certo modo, politica proseguita in un certo modo, politica rimuginata in un certo modo>>. A questo punto Althusser pone il problema cruciale su cui ci si è scontrati innumerevoli volte che concerne la natura prevalentemente filosofica o scientifica del marxismo. Per questo blog il problema sembrerebbe ormai superato: tutti noi, che condividiamo l’impostazione di base centrata sulle riflessioni teoriche di La Grassa, pensiamo che Marx sia stato un teorico (scienziato) della società che soltanto in gioventù si è anche un pochino occupato di filosofia.
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