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Marx contro Dracula
di Marco Zerbino
In “Sangue e plusvalore”, romanzo fantahorror di Luca Cangianti, un Karl Marx sull'orlo della depressione fa la conoscenza del giovane Daniel Pieper, che diventerà il suo assistente personale. Insieme, i due si mettono sulle tracce di un industriale-vampiro, Emil Constantin, addentrandosi in un'avventura che sarà anche un'esplorazione dell'arcano della produzione capitalistica...
“Caro Frederick, il gran freddo che è sopravvenuto qui e l'assoluta mancanza di carbone nel nostro alloggio mi costringono – sebbene questa sia per me tra tutte le cose del mondo la più penosa – a chiederti di nuovo del denaro. Mi ci sono deciso soltanto in seguito alla forte pressione esterna. Preferirei stare cento tese sottoterra piuttosto che seguitare a vegetare così. Tornare sempre importuno agli altri e per di più personalmente esser tormentato di continuo dalle più meschine miserie, alla lunga è cosa insopportabile”.
A scrivere queste amare righe indirizzate all'amico Engels è un Karl Marx in preda alla depressione e allo sconforto. Siamo nel gennaio del 1858 e il filosofo, esiliato a Londra da quasi un decennio in seguito al fallimento della rivoluzione tedesca del 1848, assediato da creditori che poche settimane prima aveva descritto in un'altra lettera come “lupi famelici”, assillato dall'indigenza e da vari problemi di salute, attraversa nei primi mesi di quell'anno un periodo particolarmente duro sul piano personale, tanto da mostrare i segni di una rassegnazione che suona un po' come un disarmante contraltare simbolico all'iconografia “diamat” del quadruplice profilo trionfante.
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Prassi, prassi produttive e crisi
Gramsci, Wittgenstein e Sraffa
di Guido Seddone
1. Premessa
Lo stabilirsi di una procedura sociale dominante viene considerato spesso in ambito filosofico con sospetto per via del rischio di polarizzazione o accentramento di potere politico e finanziario da parte di forze o classi sociali spesso minoritarie. La fase successiva allo stabilirsi di una procedura sociale è la sua giustificazione che in ambito marxista è solitamente definita come Ideologia. Tale ideologia ha una base filosofica in quanto coinvolge e presuppone una coerente unità del pensiero e una concezione del reale che si differenzia dal senso comune per il fatto di non essere frammentata ed occasionale. Inoltre, l’elemento ideologico si concretizza sia attraverso teorie economiche e politiche sia attraverso un assetto istituzionale e legale che rende possibile la conservazione e stabilizzazione delle attività produttive e dei conseguenti equilibri sociali.
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Alla catena sotto una triplice cappa
di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto
Pubblichiamo l’introduzione di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto al volume da loro curato Morire per un Iphone. La Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesi, che comprende contributi di Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Selden. Il libro è uscito in questi giorni per I tipi di Jaca Book. Una lunga anteprima dell’introduzione è stata pubblicata su «il Manifesto» del 12 maggio 2015 con il titolo L’atelier infernale degli smartphone.
Se il computer potesse parlar di sé
Il computer e le sue applicazioni sono tra le prime macchine che potrebbero parlare ai loro fruitori in viva voce e in modo discreto. Potrebbero raccontare di sé, a cominciare da chi li produce. in altri termini, si tratta di macchine potenzialmente in grado di dialogare con i loro consumatori a proposito non solo delle varie fasi di lavorazione ma anche delle vite che in quelle fasi si sono consumate. Tuttavia chi è interessato a conoscere in quali condizioni è stato fabbricato il computer o il telefono che ha tra le mani si trova di fatto davanti a una cortina fumogena, quella che avvolge l’elettronica, uno dei settori industriali più segreti, insieme con quelli delle armi e del petrolio.
In genere, i fruitori dei prodotti elettronici si tengono tanto lontani dal mondo dei rapporti sociali della produzione elettronica quanto ne vengono tenuti lontani dalle imprese. Indubbiamente, il software attira qualche attenzione in più dell’hardware, poiché la storia del software è punteggiata da sorprendenti invenzioni. Per contro, l’elaborazione dei modelli di hardware appare pedestre, anche se si è dimostrata decisiva per le fortune di alcuni grandi marchi dell’elettronica, a cominciare dalla Apple. Nel software è lunga la galleria delle innovazioni presentate come colpi di genio di singoli individui. La galleria sarebbe più corta se si tenesse conto dei gruppi di ricerca non orientati al profitto, i cui risultati sono stati spesso fatti propri da predatori corporate1.
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Lavoro, reddito, genere
Che dibattito sia...
Marco Palazzotto
Reddito minimo, reddito incondizionato, reddito di dignità? Attraverso questo intervento di Marco Palazzotto – che esamina criticamente le proposte di legge attualmente in ballo - PalermoGrad entra nel dibattito in corso oggi in Italia, con l’ambizione di precisarne ulteriormente i termini e di allargarlo a tutte le realtà di movimento, sindacali, politiche etc. etc. disposte a confrontarsi. L’obiettivo politico che ci interessa è impedire che la montagna inaccessibile del Reddito Universale Incondizionato finisca col partorire il ratto di una riforma “alla tedesca”, con un mercato del lavoro spezzato in due tronconi; e, visto che siamo in Italia, col rischio tangibilissimo che il troncone “buono” cominci a gravitare verso il basso, “tanto c’è il reddito minimo”. Pensiamo che, accanto alla doverosa erogazione di un reddito sociale per i disoccupati, la crisi occupazionale vada affrontata nell’ottica del “Lavorare Meno, Lavorare Tutti”. Una logica solidale che peraltro può reggersi soltanto sulle gambe della creazione di nuovo lavoro, attraverso l’imprescindibile intervento del “pubblico”.
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Elezioni britanniche: qual è la lezione?
di Lorenzo Del Savio e Matteo Mameli
Sulla base dei sondaggi pre-elettorali, molti avevano previsto un collasso del bipartitismo britannico. Ma i Conservatori sono riusciti all'ultimo a conquistare la maggioranza assoluta in parlamento, anche se si tratta di una maggioranza risicata. Questo risultato non smentisce quelli che parlano di una crisi del sistema politico britannico. Anzi. Le elezioni confermano che le dinamiche democratiche nel Regno Unito, come accade un po’ ovunque in Europa, stanno andando incontro a profonde e rapide trasformazioni, che potrebbero addirittura essere accelerate dalla vittoria dei Conservatori e, soprattutto, dalla catastrofica sconfitta dei Laburisti.
In parte, i Conservatori hanno vinto perché, con l'aiuto cruciale dell'impero mediatico di Murdoch, sono riusciti a spaventare e quindi a mobilitare il loro elettorato tradizionale. Nonostante molti di questi elettori abbiano dubbi sui tagli ai servizi pubblici portati avanti da Cameron e colleghi nell'ultima legislatura, il voto ai Conservatori l'hanno dato comunque, così da evitare la "minaccia" di un governo laburista. A dispetto del suo timido riformismo, Miliband, il leader Labour che si è ora dimesso, è stato dipinto durante la campagna elettorale come un pericoloso sovversivo, ed è passata l'idea che una probabile coalizione tra Labour e partito indipendentista scozzese (SNP) avrebbe potuto avere conseguenze disastrose, anche sul piano economico, per le classe media inglese. Le politiche di austerità degli ultimi cinque anni sono state inoltre falsamente presentate come la causa della ripresa economica (che rimane debole), mentre molti autorevoli analisti sostengono da tempo che l’austerità ha rallentato e soffocato la ripresa.
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Macedonia, prove di golpe
di Michele Paris
La crisi politica che sta attraversando la Macedonia dall’inizio dell’anno ha fatto segnare una drammatica accelerazione in questi ultimi giorni con un violento scontro armato in una delle più importanti città del paese balcanico. Parallelamente, il panorama politico domestico continua a essere turbato dagli attacchi dell’opposizione al governo conservatore del primo ministro, Nikola Gruevsky, scosso martedì dalle dimissioni di due importanti ministri.
A partire dal mese di febbraio, il leader dell’Unione Socialdemocratica (SDSM), Zoran Zaev, ha inziato a rendere pubbliche una serie di intercettazioni di conversazioni di esponenti del governo che dimostrerebbero varie illegalità commesse dagli uomini al potere, da brogli elettorali alla manipolazione del sistema giudiziario.
Zaev continua inoltre ad accusare il premier di avere attuato una svolta autoritaria, con piani, tra l’altro, per mettere sotto controllo la stampa e sorvegliare le comunicazioni di decine di migliaia di persone.
In particolare, una delle intercettazioni diffuse dal leader socialdemocratico aveva scatenato settimana scorsa una manifestazione di protesta nella capitale, Skopje. I dimostranti si erano mobilitati per contestare il governo dopo che erano emerse le manovre delle autorità per insabbiare le indagini sulla morte nel 2011 di un 22enne dopo le percosse subite da un agente di polizia.
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Migrazione e lavoro
di Carla Filosa
Molte considerazioni politiche, e più o meno emotive, sono state già effettuate a favore o contro l’esodo di masse disgraziate verso i paesi “ricchi” dell’Europa. Il numero dei morti scandalizza più delle cause e delle sofferenze di queste morti, e nella conta – spesso impossibile – dei cadaveri, si evidenziano le paure, con reazioni difensive del “diritto” al privilegio del vivere “civile” o, all’opposto, le forme della solidarietà dell’accoglienza umana. Gli orrori della devastazione della vita, da cui questi sopravvissuti fuggono, hanno cancellato nelle loro menti perfino la difesa del diritto estremo all’esistenza, quello per cui si ha diritto ad ogni azione che ripristini l’universalità lesa del vivere individuale. A tanti di loro basta arrivare su un’altra sponda di terra, la morte o lo scempio dei loro affetti più cari è l’unico inseparabile bagaglio della loro interiorità minata per sempre. I più forti gridano alta la richiesta di aiuto. Se molti, ancora umani, rispondono a soccorrere, il potere al contrario osserva, dilaziona, si mostra compassionevole in qualche parata esteriore, organizza qualche aiuto ma poi opta per monitoraggi di polizia, interna in reclusioni forzate, ecc., da cui è fortunato chi riesce a fuggire ancora, dileguandosi nell’annullamento di un’identità “clandestina”. Di qui il rischio al rimpatrio, cioè alla morte per fame, guerre, malattie, mutilazioni, stupri, ecc., normalizzati nel superiore esercizio della “nostra” legge civile.
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Stato di minorità
di Daniele Giglioli
[In questi giorni è uscito Stato di minorità di Daniele Giglioli (Laterza, collana Solaris). Ne pubblichiamo un estratto]
Non c’era in origine un disegno unitario. Ma via via che negli anni scorsi andavo scrivendo tre saggi dedicati all’immaginario del terrore, del trauma e della vittima, mi sono accorto che la domanda attorno a cui ruotavano era sempre la stessa: quali sintomi si manifestano in una società in cui l’agire politico è sentito come qualcosa di impossibile, non perché proibito ma perché ineffettuale, senza esito, svuotato di ogni concretezza? Da quali storie, da quali simboli, da quali discorsi quella società si fa rappresentare? Nelle pagine che seguono provo a tirare le fila affrontando direttamente il problema. Non propongo diagnosi né ricette, e nemmeno mi interessa trasformare l’analisi in una sentenza. Non porto argomenti per decretare che oggi l’agire sia impossibile, e se li avessi non li direi e non scriverei; così non è, in ogni caso. Mi limiterò a mostrare cosa accade quando viene avvertito come tale. Non per questo però la descrizione sarà neutra. L’obbiettivo di questo saggio non è tanto la constatazione quanto l’elaborazione di un lutto. Elaborare un lutto comporta attraversarlo e superarlo. Compito della critica non è solo dire la verità, ma contribuire a trasformarla.
In trappola
Tre gabbie, tre topi. La scena che segue è molto triste. Alle povere bestie vengono somministrate scosse elettriche; non mortali, ma comunque dolorose. Il primo topo ha la possibilità di uscire dalla gabbia. Il secondo non può, ma gli è stato affiancato un altro topo su cui sfogare aggressività e frustrazione. Al terzo entrambe le opportunità – fuga e conflitto – sono precluse.
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Benjamin sul confine tra lavoro e amore
Fabrizio Denunzio
Il testo di Maurice de Gandillac [pubblicato in calce a questa nota] costituisce il primo confronto della filosofia francese con l’autore dei «Passages». Emergono temi che lo collocano nel solco della riflessione contemporanea sulla società del rischio
La ricezione francese dell’opera di Walter Benjamin si lega alla prima traduzione che ne fece Maurice de Gondillac nel 1959 per conto dell’editore Juillard. Come quella italiana – l’epocale Angelus Novus del 1962 curata da Renato Solmi – anche l’edizione di de Gandillac si basava su una scelta dei saggi benjaminiani più importanti che Theodor W. Adorno aveva raccolto e pubblicato con Suhrkamp di Francoforte nei due volumi che portavano come titolo lapidario Schriften. Molto più dell’Italia, la Francia era quasi naturalmente predisposta ad accogliere un’operazione editoriale di questo tipo, non solo perché Parigi era stata luogo di asilo, sebbene non troppo ospitale, di Benjamin, non solo perché questi ne aveva amato e promosso la letteratura, ma anche perché, pensando soprattutto alle tormentate vicende editoriali dell’Opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, ne aveva frequentato alcuni dei protagonisti: Raymond Aron, il grande sociologo direttore della sede parigina dell’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, sulla cui rivista vide la luce la prima versione del saggio; Pierre Klossowski, non solo traduttore di quest’ultimo, ma anche membro di quel Collegio di Sociologia di cui facevano parte Georges Bataille e Roger Caillois, ad alcune delle cui riunioni Benjamin era stato ammesso.
Il breve saggio che presentiamo alle lettrici e ai lettori de «il manifesto», qui tradotto per la prima volta in italiano, è il testo dell’intervento che de Gandillac tenne nel corso dell’importante convegno internazionale svoltosi a Parigi dal 27 al 29 giugno del 1983 e dedicato, non a caso, a «Walter Benjamin et Paris», i cui atti nel 1987 furono pubblicati dai tipi di Cerf.
Sono due i motivi d’interesse che spingono a pubblicare questo intervento: l’autore e l’interpretazione che dà della vita e dell’opera di Benjamin. Sebbene in Italia di de Gandillac non sia stato pubblicato nulla, il suo nome si lega a quello – questo sì molto più noto nei nostri ambienti culturali – di Gilles Deleuze. Esperto di filosofia antica e medioevale, de Gandillac fu direttore di tesi di Deleuze, di quella grande ricerca che conosciamo come Differenza e ripetizione.
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Sul razzismo
intervista ad Alberto Burgio
Il razzismo può apparire una questione non così cruciale nell’analisi della nostra società. In realtà la sua analisi può invece rivelare meccanismi profondi e illuminare alcuni dei tratti più importanti della nostra contemporaneità. Abbiamo deciso di rivolgerci per questo al prof. Alberto Burgio, professore di Storia della Filosofia all’Università di Bologna, che da diversi anni ormai si è occupato del fenomeno, intuendone la rilevanza e rendendolo oggetto delle sue ricerche (che hanno dato origine a libri come Studi sul razzismo italiano, a cura di e con Luciano Casali, Bologna, CLUEB, 1996; L’invenzione delle razze. Studi su razzismo e revisionismo storico, Roma, Manifestolibri, 1998; Nonostante Auschwitz. Per una storia critica del razzismo europeo, Roma, DeriveApprodi, 2010; Razzismo, con Gianluca Gabrielli, Ediesse, 2012). Per il professor Burgio il razzismo non è un elemento estemporaneo ma qualcosa che si lega alle dinamiche più profonde della contemporaneità. Analizzare questo tema sarà dunque un’occasione per riflettere sul nostro tempo.
Domanda: L’attualità ci pone in maniera sempre più drammatica davanti a fenomeni migratori di portata crescente e al rinascere di atteggiamenti razzisti all’interno delle nostre società. Per interpretare tale fenomeno lei sottolinea la necessità di comprenderne le radici storiche profonde, al riguardo sottolinea quanto sia importante indagare quella che può esserne definita la genesi. Nel fare ciò lei mette in evidenza nei suoi libri un nesso decisivo che unisce il razzismo alla modernità. In che senso il razzismo può essere definito un fenomeno moderno?
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Play the riot
di Raffaele Alberto Ventura
Imbevuti di un immaginario videoludico, i black bloc che hanno assaltato Milano il primo maggio assomigliano più a gamer che a rivoluzionari
Le scritte, bisogna leggere le scritte. Così mi ha detto Leonardo Bianchi, che il primo maggio era a Milano e che sugli scontri ha scritto un reportage per VICE. Bisogna leggere le scritte sui muri per capire chi sono questi ragazzi in felpa nera, cosa pensano, cosa vogliono. Bisogna leggere le scritte per interpretare delle pratiche di guerriglia urbana che, malgrado le evidenti analogie e continuità, in qualche modo segnano una rottura rispetto alla vecchia tradizione della sinistra extra-parlamentare. E allora ho letto le scritte. Ho cercato di trattarle come indizi, anzi come tracce di un’ideologia nuova della quale una parte degli antagonisti non è nemmeno consapevole. Espressioni enigmatiche come “AUTONOMIA DIFFUSA MONDIALE”, “WE ARE GOD”, “LIBERI E SELVAGGI”, e poi una che mi ha colpito in particolare, “PLAY THE CITY”. Le ho lette, le ho analizzate, le ho googlate, e quello che ho scoperto mi ha fatto esplodere il cervello.
Milano, 01/05/2015: Play the city (foto Ivan Carozzi).
Oltre che scritta sul muro davanti alla banca UBI di Piazza Cadorna, l’espressione “Play the city” appare su alcuni manifesti affissi in città, che rimandano a loro volta a dei banner pubblicati sulla pagina del Comitato No Expo, che rivendica senza nessuna reticenza le operazioni del primo maggio. Ma cercando su Internet “Play the city”, si capita sul sito di un’azienda vicentina che organizza itinerari turistici per “scoprire la città in modo alternativo” attraverso quelli che vengono definiti “giochi urbani”.
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Un passaggio non aggirabile
di Marino Badiale
1. La casa editrice Jaca Book ha iniziato a pubblicare una collana di brevi testi intitolata ai “precursori della decrescita”. La collana è diretta da Serge Latouche, e ogni volumetto è formato da un saggio introduttivo e da una antologia di testi. Si tratta di una iniziativa che nasce a seguito di una analoga collana francese, sempre diretta da Latouche. L'uscita più recente della collana italiana è quella dedicata a Charles Fourier, uno dei più noti fra i “socialisti utopisti” del primo Ottocento. Il libro è curato da Chantal Guillaume, una filosofa che si interessa sia di Fourier (ha partecipato alla creazione della Association d'études fourieristes) sia di decrescita (ha fatto parte fa parte del comitato di redazione di “Entropia”, rivista dedicata appunto al pensiero della decrescita), ed è quindi senz'altro la persona più adatta per discutere sul tema “Fourier e la decrescita”.
Penso che una riflessione su questo tema sia un buon modo per discutere di un problema che mi sta molto a cuore, quello della creazione di un possibile nuovo movimento anticapitalista all'altezza dei problemi attuali, e del ruolo in esso del movimento della decrescita da una parte, e del pensiero marxista dall'altra. È noto che in genere i marxisti sono ostili, o quantomeno diffidenti, nei confronti della decrescita, ritenendo che si tratti di una realtà incapace di contrastare il capitalismo, o magari connivente con esso.
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Partitura per soggetti precari e pratiche politiche
di Andrea Fumagalli
Continuiamo il dibattito post 1 maggio. Stavolta ci soffermiamo sulle questioni aperte da quella giornata, in una prospettiva che non vuole analizzare i pro e i contro del 1 maggio ma piuttosto sottolineare le questione aperte.
Preludio
A più di una settimana dal primo maggio milanese, la discussione su ciò che è successo ha perso attualità. È tempo di spostarci dalle ragioni e dai torti di questo o di quel gruppo (discussione che non ci appassiona più di tanto) ai problemi e ai nodi che ci trasciniamo da tempo e che quella giornata ha posto ancor più in risalto.
La NoExpo-Mayday del primo maggio era organizzata da una rete (a cui poco può essere addebitato) e non da un singolo gruppo/collettivo che faceva da punto riferimento. E, in quanto rete, le relazioni di partecipazione – potremmo dire di cooperazione politica – che vengono attivate difficilmente riescono a convergere verso una gestione unitaria, su un unico obiettivo, con il risultato che prevalgono le forze centrifughe. L’autoreferenzialità, da sempre malattia del centrosocialismo nostrano, non è certo mancata in questa occasione, anzi. Possiamo parlare di una black (dark) side della cooperazione politica di movimento?
Adagio
D’altro lato, tutto ciò è esattamente specchio della “cooperazione sociale” agìta dalla condizione precaria. Le generazioni precarie sono infatti attivate dai processi di rete, si riconoscono dentro la pluralità del loro essere sociale, tuttavia stentano a ammettere che la propria evoluzione può darsi solo passando attraverso azioni non identitarie.
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L’uscita dall’euro non è un tema da “oracoli”
Nadia Garbellini*
Il dibattito sugli effetti di una uscita dall’euro, promosso da economiaepolitica.it, si arricchisce con l’intervento di Nadia Garbellini, autrice di alcuni recenti saggi sul tema in collaborazione con Emiliano Brancaccio. Secondo Garbellini, i fautori della moneta unica a tutti i costi generalmente abbandonano il difficile campo della riflessione analitica e del confronto sulle evidenze empiriche per rifugiarsi in quello ben più comodo del dogmatismo
La controversia sulla possibile implosione dell’attuale eurozona e sulle conseguenze di un abbandono della moneta unica risulta tuttora pervasa da un diffuso dogmatismo. I fautori dell’uscita dall’euro sono accusati di semplificare il problema e di restare volutamente nell’ambiguità per non affrontare la questione decisiva inerente a quale politica economica adottare e quali interessi sociali difendere una volta fuori dall’Unione. In alcuni casi si tratta di una critica assolutamente fondata. Tuttavia, è soprattutto tra i sostenitori della permanenza nell’euro che sembra prevalere una retorica banalizzatrice, che in alcune circostanze rasenta la superstizione. Molti di questi, infatti, continuano ad agitare lo spauracchio della catastrofe economica in caso di uscita dall’euro senza prendersi la briga di fornire la minima evidenza scientifica a sostegno delle loro predizioni. Questa tendenza all’oracolismo caratterizza non solo i giornalisti ma sembra diffondersi anche tra alcuni economisti e policymakers coinvolti nella discussione. Un celebre esempio è fornito dal Presidente della BCE Mario Draghi, che in un’intervista del 2011 sostenne che «i paesi che lasciano l’eurozona e svalutano il cambio creano una grande inflazione» (Draghi 2011). Da queste poche parole diversi commentatori hanno tratto l’implicazione che uscire dall’eurozona determinerebbe una violenta caduta del potere d’acquisto dei redditi fissi, in particolare dei salari dei lavoratori. Nessuno, per quel che ci risulta, si è posto il problema di verificarle empiricamente.
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A che punto è l’euro-notte
Federico Dezzani
L’allentamento quantitativo varato due mesi fa da Francoforte ha generato una bolla nel mercato delle obbligazioni sovrane europee ma ha fallito nell’imprimere una svolta all’economia reale, dove al contrario si registra la caduta dell’attività di Francia e Germania. Gli insuccessi di Mario Draghi e la concomitante debacle del “piano Junker” aprono la strada allo sfaldamento dell’eurozona, scaturibile dall’imminente default di Atene. La disgregazione dell’eurozona sarà accompagnata da una escalation militare in Ucraina, dove Washington e Londra stanno convogliando uomini e mezzi con intenti provocatori. Fallito il progetto degli Stati Uniti d’Europa, la minaccia strategica più temibile per gli angloamericani è sempre l’integrazione tra Germania e Russia.
L’ultima offensiva di Francoforte e Bruxelles è fallita
Un’unione monetaria senza una parallela integrazione fiscale è inevitabilmente destinata al fallimento tra i miasmi dell’austerità. L’euro, anziché essere il coronamento di un democratico processo d’integrazione europea, votato ed approvato dai cittadini, è stato all’opposto scelto come primo passo verso l’unione politica, proprio in virtù dei suoi prevedibili effetti destabilizzanti. Un sistema a cambi fissi calato su un’area valutaria non ottimale (l’eurozona) avrebbe nell’arco di un decennio accumulato tali tensioni (la crisi del debito sovrano e l’emergenza spread) da obbligare i Parlamenti nazionali a procedere spediti verso gli Stati Uniti d’Europa, con l’acquiescenza dei cittadini ammutoliti da possibili crack finanziari e default sovrani.
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Psicochimica e psicoarchitettura
Franco Berardi Bifo
Stimolanti e tranquillanti per cognitari metropolitani
Sul New York Times del 20 aprile 2015 sono usciti casualmente in contemporanea due articoli diversi per stile e per intenzione che descrivono da prospettive opposte e complementari la psicosfera americana contemporanea. Il primo, a firma Alan Schwarz reca il titolo “Workers under pressure abuse ADHD drugs” e appare nella pagina Business. Schwarz si occupa dei nuovi risvolti di un tema che da due decenni interessa medici, psicologi e pedagoghi: i disturbi dell’attenzione. Una sindrome che si può descrivere sinteticamente come incapacità di concentrare l’attenzione sullo stesso oggetto per più di qualche secondo è chiaramente legata all’intensificazione della stimolazione infosferica, al multitasking e alla riduzione dei tempi di esposizione dei dati al sistema occhio-cervello.
In passato il deficit d’attenzione venne segnalato e diagnosticato tra i ragazzini delle scuole elementari e medie. A milioni di pre-adolescenti venne somministrato un farmaco che si chiama Ritalin, composto di metilfenidato.
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Desperate Capitalism
di Pierluigi Fagan
Diciamo subito che “Capitalismo, desiderio e servitù” di Frederic Lordon, (Derive ed Approdi 2015) ci ha interessato molto. Il capitalismo in sé ma sempre più nella più recente versione neoliberale, appare a Lordon come un macchinario del desiderio. L’essere umano è un animale desiderante sofisticato, nel senso che alle necessità e bisogni animali, aggiunge appunto la dimensione del desiderio, dimensione imprecisabile poiché animata da una instancabile meccanica della possibilità (poter desiderare questo e quello…) a fronte della quale, il desiderio esiste prima ed al netto del suo possibile oggetto (tesi già di Freud). Non è quindi detto che tale pulsione fondamentale possa mai avere una soddisfazione, se non momentanea. Molte cose della nostra natura sono fatte per svolgere una funzione ma noi, che siamo il prodotto dell’interrelazione di queste funzioni, possiamo trovarci e spesso ci troviamo alle prese col problema di armonizzarle. Ridurre il loro molteplice ad uno e convivere con le contraddizioni strutturali che ci creano è un difficile lavoro che non sempre ha felice esito.
Nel ’68, si credette che il desiderio avesse addirittura un potenziale rivoluzionario. In realtà, il macchinario che chiamiamo capitalismo, nacque proprio per produrre un ordine alimentandosi della cosa meno apparentemente ordinata che c’è, appunto, il “desiderio”. Se note sono le origine meccaniche del macchinario, le enclosures e la frantumazione dei commons, meno note sono le origini psichiche o spirituali. La variegata famiglia dei discepoli della libertà (in effetti ogni discepolo è di sua natura schiavo) che comprende il neo-liberismo, il liberismo, i libertariani, i liberali, origina storicamente da una prima elementare ma precoce manifestazione, quella dei libertini.
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L’intelligenza di John Maynard Keynes
Vittorio Capecchi
Perché bisogna sostenere Varoufakis contro la Troika? Perché bisogna attaccare il modello antisindacale di Marchionne e appoggiare Landini? Quali sono gli scenari della economia oggi? Per rispondere a queste domande si può raccontare la storia dello scontro tra l’intelligenza di Keynes, Adriano Olivetti e la FLM contro l’opacità del neoliberismo e provo a fare questo racconto utilizzando esperienze personali [1] tra gli anni ’50 e gli anni ‘70 nello stile delle 150 ore che mi piacerebbe tanto contribuire a rilanciare
John Maynard Keynes (1883-1946) è l’economista che ha rappresentato e ancora oggi rappresenta un’alternativa politica e teorica al neoliberismo. Due interrogativi: Che tipo di economista è stato Keynes e quale era il suo metodo di analisi? Le sue proposte sono ancora attuali?
1. La definizione di economia per Keynes
Keynes precisa nel 1924 che cosa intende per economia e per economista:
L’economia è una materia facile in cui però pochissimi eccellono. Il paradosso trova una spiegazione forse nel fatto che il grande economista deve possedere una rara combinazione di qualità. Deve raggiungere una certa perizia in svariati ambiti e coniugare doti che raramente si trovano nella stessa persona. Deve essere, in una certa misura, un matematico e uno storico, uno statista e un filosofo. Deve sapersi esprimere, ed essere in grado di comprendere i simboli. Deve saper cogliere il generale nel particolare, e abbracciare l’astratto e il concreto nello stesso moto del pensiero.
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Come impedire la nascita del regime renziano
Tattica e strategia
di Leonardo Mazzei
Dopo l'italicum e prima che sia troppo tardi
Le cose hanno un nome, a volte poco gradevole. Quello del futuro disegnato dall'Italicum è regime.
Più precisamente: regime renziano.
Anche se la legge elettorale non è materia direttamente costituzionale, è questa legge che disegna il sistema politico e determina in buona parte la stessa distribuzione dei poteri.
Così ha scritto il Consiglio nazionale di ORA qualche giorno fa:
Ieri l'altro questo obbrobrio è stato approvato dalla Camera. Ed oggi arriverà anche la firma dell'integerrimo Mattarella, messo lì da Renzi a far da palo.
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Sull’uso capitalistico della crisi
Stefano Lucarelli
La crisi messa a valore. Scenari geopolitici e la composizione da costruire, a cura di Commoware, Effimera e Unipop, raccoglie gli interventi sviluppatisi, prima, durante e dopo, due intense giornate dello scorso novembre tenutesi presso il Centro sociale Cantiere e lo Spazio di Mutuo Soccorso a Milano. L’occupazione dei luoghi conta, guardarsi in faccia è importante, discutere senza bastare a sé stessi e senza ridurre l’altro a una “tiro a segni” è possibile; altrimenti “la ricomposizione delle lotte... animate da soggettività diverse” rimane un pensiero lontano, un’eco mentale.
Oggi La crisi messa a valore è un ebook liberamente scaricabile dal web, concepito in un tempo che precede l’attentato parigino a Charlie Hebdo e le elezioni greche (di cui però tiene conto il dialogo fra Gigi Roggero e Christian Marazzi). “L’incapacità di fare i conti con la diversità della composizione di classe, l’ansia di armonizzare che ha come contropartita la riduzione della possibilità di produrre innovazione”, sono i due fuochi attorno ai quali si sviluppano ipotesi e narrazioni di esperienze concrete, oltre che riletture anche critiche delle categorie e delle pratiche politiche messe in campo in questi tempi duri. Leggendo si cerca di riprender fiato per uscire dall’oceano di crisi nel quale si è naufragati, fra colpi di reni insufficienti a risalire, piedi che sbattono e corpi che si agitano in un’acqua melmosa in cerca delle correnti amiche.
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Marx dietro le quinte
di Michele Basso
Ci sono compagni che, una volta compiuta un’analisi economica e politica generale delle cause delle guerre, trovano inutile e sviante la ricerca di quali stati e servizi segreti stiano dietro gli attentati con cui si cerca d’impaurire la popolazione e di renderla prona alle politiche di repressione e di guerra. Non si tratta di complottismo o dietrologia, ma di un lavoro utile per contrastare la permanente opera di disinformazione compiuta dai regimi e dai loro pennivendoli. In Marx ed Engels si possono trovare numerose denunce delle trame di Napoleone III o della diplomazia zarista, di Thiers o di Bismarck. Marx cercava di avere notizie, dai suoi contatti russi, sull’attività della “Terza divisione”, cioè della polizia segreta zarista. Giova ricordare qualche esempio: nel 1873, un reparto russo guidato dal generale Golovašov, che dipendeva dall’aiutante generale K.P. Kaufmann, condusse una terribile spedizione punitiva contro la tribù turkmena degli Jomudi. In un libro, uscito nel 1876, il diplomatico americano Eugene Schuyler rese nota tale carneficina. La polizia segreta russa entrò in azione per neutralizzare gli effetti di tale rivelazione. Poiché la notizia era diffusa dai giornali londinesi, la signora Nokivova, moglie dell’interprete russo a Costantinopoli e cognata dell’ambasciatore russo a Vienna, nel cui salotto s’incontravano letterati, scienziati e politici di diverse nazionalità, scrisse, in combutta con Gorlov, addetto militare all’ambasciata russa a Londra, una lettera a Gladstone in cui protestava contro gli “sporchi attacchi” di certa stampa londinese alla Russia.
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Perché l'islamismo non può essere spiegato a partire dalla religione
di Norbert Trenkle
Come avviene sempre, dopo un atto di terrorismo islamico, come la strage nella redazione di Charlie Hebdo e nel supermercato ebraico a Parigi, anche il dibattito pubblico viene indirizzato intorno alla questione di sapere cosa "l'Islam" abbia a che vedere con tutto ciò. Tuttavia, a livello politico ufficiale e nei media, questa domanda stavolta è stata posta con minore aggressività rispetto agli avvenimenti precedenti. La campana dominante è quella che dice che la società non deve lasciarsi dividere, e che nessun punto di vista religioso può giustificare la violenza terroristica. Ma questo, come soffiare in un violino, non serve a niente. Dal momento che purtroppo è chiaro che le azioni mostruose di Parigi portano acqua al mulino del fondamentalismo razzista e nazionalista che si sta diffondendo in tutta Europa e che afferma, a voce sempre più alta, che l'Islam, per sua essenza, sarebbe incompatibile con i valori della "civiltà occidentale" e che, quindi, i musulmani non devono stare qui.
A fronte di questa concezione fondata sul presunto cuore della società, gli appelli all'armonia, fatti dalla politica ufficiale, appaiono impotenti. E questo non attiene soltanto al fatto che gli atteggiamenti razzisti sono del tutto sordi a qualsiasi argomentazione razionale, ma anche al quadro di riferimento del discorso stesso.
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Comunismo Ermeneutico. Da Heidegger a Marx : note critiche
di Roberto Finelli
La coppia concettuale “comunismo ermeneutico” rivela, a mio avviso, una contraddizione in termini, perché mette insieme due tradizioni interpretative della modernità profondamente diverse, anzi pressoché opposte tra loro: come sono il marxismo di Marx da un lato, profondamente ispirato al dialettismo di Hegel, e l’analitica esistenziale, profondamente antidialettica, di Martin Heidegger.
La dialettica si può dire, assai schematicamente, studia la costruzione della realtà attraverso nessi di opposizione e di distinzione: a partire dalla definizione platonica per cui la dialettica è l’arte di dividere secondo generi e specie e di conoscere quali idee si connettano tra di loro e quali invece si distinguano e si escludano. In Hegel la dialettica rimanda alla tessitura di una realtà che si costruisce solo mediante opposizione, e questa è, di fondo, la medesima concezione di Marx, anche se con un profondo cambiamento di categorie oppositive rispetto a quelle teorizzate da Hegel. In Heidegger il motivo teorico fondamentale è invece, anziché quello dell’opposizione-contraddizione, quello della differenza: cioè della differenza radicale, quanto a statuto e qualità di realtà, che si dà tra Essere, Esserci ed Ente, e che concerne appunto l’abisso di distanza ed eterogeneità di piani che si dà il Sein, il Dasein e il Seiendes.
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Le passioni sediziose dell’operaviva
Federico Chicchi
È cosa nota che Marcel Duchamp decise di lasciare quella che diverrà poi la sua opera più importante, Le grand verre, incompiuta. Durante la lavorazione americana dell’opera, nel 1923, infatti, si ruppe il sottile vetro che doveva, sostituendo la tradizionale tela, contenere la sua sibillina rappresentazione. Ma come spesso accade nell’arte, l’incompiuto della forma ci dice molto sul suo contenuto espressivo rendendolo ancor più prezioso.
Per tentare di decifrare la complessa e controversa opera di Duchamp si deve partire dal suo famoso sottotitolo: La Mariée mise à nu par ses célibalaires, meme. È, in tal senso, il grande vetro, una straordinaria figurazione del rapporto tra capitalismo e desiderio, la storia di un amore impossibile tra una sposa semicompiacente e uno scapolo ansioso (Arturo Schwarz). È la storia di una interpellanza, di una chiamata, che (fortunatamente) non potrà mai realizzarsi fino in fondo, perché il rapporto sessuale non esiste. Il n'y a pas de rapport sexuel, riproporrà Lacan qualche decennio dopo. E neanche l’astuta macchina capitalistica è in grado di trasfigurare una volta per tutte, ricoprendo il buco di merci, il “mondo in giallo”. Il punto di partenza: l'Eros, motore del tutto. Chi sono i soggetti che mettono in scena l’opera di Duchamp? la Vergine nella sezione superiore del vetro a citare l'Assunzione come nei dipinti medievali e rinascimentali e i suoi Scapoli o Celibi sottostanti, in trepida, macchinica attesa di consumare e macinare gioia e dolore.
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La Cina non è più il maggior detentore dei titoli del debito pubblico statunitense
Inizia il declino del dollaro con un segnale storico
Attilio Folliero
Si avvicina il collasso e il collasso sarà economico, político, ambientale e sociale come scrive Dane Wigington (1). In particolare, gli Stati Uniti, come abbiamo scritto tante volte in passato (2) sono immersi in una grave crisi che diventerà terminale con il crollo del valore della sua moneta. A titolo di esempio sulla situazione attuale degli USA diamo solamente due dati: il debito pubblico statunitense è superiore ai 18.000 miliardi (3); la Federal Reseve, la Banca Centrale degli USA, una banca privata, nel 2007 aveva un bilancio di 869 miliardi ed oggi è attorno ai 4.500 miliardi (4). La Federal Reserve come ha potuto accrescere il proprio bilancio di ben 5/6 volte in pochissimi anni? Stampando dollari!
Questa estate si svolgeranno negli Stati Uniti delle esercitazioni militari conosciute col nome in codice "Jade Helm"; l'esercito e varie agenzie governative realizzeranno delle esercitazioni congiunte e, come dicono in molti, queste esercitazioni hanno per obiettivo il controllo della popolazione civile. In sostanza molti intravedono un peggioramento della crisi, conseguenti disordini sociali ed il governo che impone la legge marziale.
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