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Un keynesiano “tecnologico”
L’economia politica di Luigi Pasinetti
di Stefano Lucarelli
L’economista italiano sviluppò la teoria di Keynes approfondendo l’importanza del progresso tecnico. E il suo contributo alla scienza economica resta fondamentale
Luigi Lodovico Pasinetti è stato uno dei più importanti economisti italiani. Il progetto teorico che ha caratterizzato il lavoro intellettuale di questo 'signore' appare molto distante dagli obiettivi di ricerca che oggi dominano nei dipartimenti di scienze economiche. Pasinetti aspirava infatti alla costruzione di un paradigma economico alternativo essenzialmente fondato sul fenomeno della produzione e del cambiamento tecnologico, in contrapposizione al paradigma prevalente basato essenzialmente sul fenomeno dello scambio e sulla scarsità delle risorse naturali1.
Nelle note che seguono cercherò di mettere a disposizione dei lettori alcuni elementi sostanziali che emergono da quei lavori di Pasinetti che, nella mia esperienza di insegnamento, rappresentano dei passaggi formativi imprescindibili2.
Come per Keynes, anche per Pasinetti i problemi economici principali che occorre risolvere in una economia monetaria di produzione sono l’incapacità a provvedere a una occupazione piena e la distribuzione iniqua della ricchezza e del reddito. Ma, a differenza di Keynes, egli non limita la sua analisi agli effetti dei cambiamenti della domanda finale sull’occupazione e sulla distribuzione della ricchezza. Pasinetti, infatti, approfondisce anche gli effetti che il progresso tecnico può avere sui principali problemi economici, nella convinzione che il processo di produzione industriale implichi una applicazione continuativa nel tempo dell’ingegno umano per l’organizzazione e il miglioramento dei processi produttivi.
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Un patto di guerra
di Leonardo Mazzei
L’«Accordo di cooperazione sulla sicurezza tra Italia e Ucraina», firmato a Kiev il 24 febbraio da Zelensky e Meloni, è un fatto grave di cui ancora non è stata colta la portata.
Sia il governo, che la stampa mainstream, lo hanno presentato come un atto più simbolico che sostanziale. «Il nostro accordo – come quelli stipulati da Francia, Germania e Regno Unito – non sarà giuridicamente vincolante», ha detto il ministro Tajani il 22 febbraio alle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Non vincolante? Ma allora a cosa serve? Per provare a capirlo, seguiamo ancora il discorso del titolare della Farnesina:
«Dal testo non derivano obblighi sul piano del diritto internazionale, né impegni finanziari. Non sono previste garanzie automatiche di sostegno politico o militare. Come quella dei nostri partner, anche la nostra intesa bilaterale non richiederà, quindi, la procedura di ratifica parlamentare».
Ma davvero possiamo credere a questa rassicurante melassa del Tajani? Evidentemente no. Chiaro che l’accordo firmato da Meloni è sulla stessa linea di quelli sottoscritti da Londra, Parigi e Berlino. Chiaro, infatti, che tutte queste iniziative sono state coordinate in ambito NATO e G7. Chiaro, infine, che non potendo far entrare adesso l’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, questi accordi bilaterali dovrebbero offrire a Kiev una rete di protezione equivalente, anche se formalmente diversa.
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L'Europa è nuda. Le parole (importanti) di Mario Draghi a l'Ecofin
di Giuseppe Masala
Non si può non notare l'attivismo di Mario Draghi di quest'ultimo periodo. Il dinamismo del Grand Commis romano per la verità non sembra dettato dall'ambizione che lo spinge a ricercare altre super poltrone di grande potere ma piuttosto dalla volontà di salvare la creatura di cui è stato certamente uno dei massimi architetti. Ormai che l'Europa rischi di non sopravvivere non è più argomento per complottisti, ma un dato di fatto di cui si prende atto ai massimi livelli e infatti Draghi ne ha parlato apertamente il 24 Febbraio durante l'ultimo Ecofin tenutosi a Gend in Belgio, al quale è stato invitato nonostante non ricopra la carica di Ministro delle Finanze in nessun paese dell'Unione.
Certamente, il “saggio” Draghi non ha deluso le attese parlando in maniera schietta dei mali dell'Unione Europea. Innanzitutto colpisce che Draghi delinei una disamina che appunto fino a qualche tempo fa pochissimi avevano il coraggio di fare. L'Europa non può più contare: «sull'energia russa, sulle esportazioni cinesi e sulla difesa degli Stati Uniti.
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La costruzione di un sistema di guerra
di Alfonso Gianni
Da gennaio in poi stiamo assistendo a un susseguirsi di accordi di cooperazione in materia di sicurezza fra l’Ucraina e diversi stati europei, sia che facciano parte della Ue che no, e anche d’oltreatlantico. A partire dal 12 gennaio di quest’anno, tali accordi bilaterali, che più propriamente e realisticamente dovremmo chiamare di alleanza militare, sono stati firmati dalla Gran Bretagna, Francia, Germania, Danimarca e da ultimo Italia e Canada. Il tratto comune di questi accordi, che rivela apertamente la loro finalità, consiste nel riferimento a una collaborazione immediata e rafforzata tra le due parti con un sistema di risposta di emergenza in 24 ore da attivarsi su richiesta di uno dei due contraenti il patto in caso di un futuro attacco armato da parte della Russia. Infatti all’articolo 11, primo comma, dell’accordo fra Italia e Ucraina si legge: “In caso di futuro attacco armato russo contro l’Ucraina, su richiesta di uno dei partecipanti [ovvero Italia o Ucraina], questi ultimi si consultano entro 24 ore per determinare le misure successive necessarie per contrastare o scoraggiare l’aggressione”.
Per comprendere di quali misure si sta parlando, si può continuare a leggere il testo dell’accordo che impegna il nostro paese:
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Libera menzogna in libera guerra
Mentre c’è chi vive per uccidere e chi muore per la libertà, come sa chi per lei vita rifiuta
di Fulvio Grimaldi
Byoblu-Mondocane 3/16 in onda domenica 21.30. Repliche lunedì 9.30, martedì 11.00, mercoledì 22.30, giovedì 10.00, sabato 16.30, domenica 09.00
Mi sono permesso, nel titolo, di parafrasare, fino a cambiarne il riferimento ma non il senso, il verso di Dante sul sacrificio di Catone per la libertà sottratta da Cesare. Riferimento cambiato fino a un certo punto, però, visto che l’aviere dell’aeronautica USA proprio per la libertà di vivere del popolo palestinese, si è ucciso, facendosi liberare e purificare dal fuoco della sua involontaria, ma subita, complicità col male.
Non mi va di usare il termine cuore, per quella roba zuccherosa e scipita che s’è fatta di questo muscolo nelle mille e mille canzonette che ci avvelenano da Sanremo e da tutti i facili e ipocriti sentimentalismi letterari, cinematografici o formulati a voce. Così è diventata molesta, perfino e soprattutto e non da mo’, la parola amore e, per dirla tutta, la triade, abusata come nessun’altra mai, di cuore amore dolore. Alla larga! E’ l’abuso che si fa di certi elementi del linguaggio, pur integri alla nascita, che li degrada fino a svuotarli di senso. O a invertirlo. Pensate a cosa è stato fatto di “Bella ciao”…
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Genealogia dello Stato e del moderno potere politico
di Sandro Moiso
Carl Schmitt, La dittatura. Dalle origini dell’idea moderna di sovranità alla lotta di classe proletaria, (a cura di Carlo Galli), Società editrice il Mulino, Bologna 2024, pp. 336, 29 euro
Nella cultura politica occidentale, fermamente segnata dai residui del moralismo cristiano, due sembrano ancora essere gli autori difficili da maneggiare, soprattutto a “sinistra”: Niccolò Machiavelli e Carl Schmitt. Lontani tra loro nel tempo e per collocazione politica e ideale, hanno contribuito con le loro opere, anche se il secondo era particolarmente restio a essere appaiato al primo, a fornire validi strumenti per la comprensione e la scomposizione dei meccanismi del Potere e dello Stato moderno nei loro elementi essenziali.
Inviso alla Chiesa il primo, le cui opere sono state per lunghissimo messe all’Indice, e al pensiero liberale e di sinistra il secondo, hanno avuto entrambi la capacità di mettere “scientificamente”, per quanto possa essere considerata scienza quella politica, a nudo gli snodi e le caratteristiche autentiche della gestione politica delle società organizzate intorno al modello statale.
Per Machiavelli, soprattutto nel Principe, l’elemento fondativo del poter, dello stato e della loro conquista e gestione è da ritrovarsi nella Forza ovvero nell’uso della violenza organizzata in funzione di tali fini. Per il secondo, a distanza di poco meno di cinquecento anni e dopo le rivoluzioni borghesi che hanno modificato l’assetto dinastico degli Stati moderni, si tratta, di definire gli stessi per mezzo delle categorie dell’eccezione e della decisione. O, per meglio dire ancora, dello stato di eccezione e della autorità basata sulla possibilità/necessità di decidere sullo e dello stato di eccezione. Così, nello svolgimento del discorso, chi scrive cercherà di cogliere il filo rosso che lega il ragionamento novecentesco di Schmitt a quello del cinquecentesco pensiero del teorico politico fiorentino.
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G7 in Italia: il nostro futuro nella gabbia digitale passa anche da Trento
di Konrad Nobile
L’implementazione dell’intelligenza artificiale e la sua applicazione nei più disparati campi dell’attività umana pare essere una ghiotta e desiderabile opportunità, talvolta una necessità, che il mondo deve seguire per il proprio bene e il progresso generale. Almeno questo è quello che sostiene una folta schiera di santoni televisivi, eminenti accademici, politici, scienziati e ricchi imprenditori.
“I rischi sono grandi, ma ne vale la pena”, ci dicono mentre la nuova intelligenza viene, passo dopo passo, sdoganata e data in piccole dosi alle masse.
E così, se Israele sfrutta nientemeno che un’intelligenza artificiale per aiutarsi nella sua guerra genocida (1), le industrie “civili” iniziano a sfornare nuovi smartphone integrati con l’IA e sempre più persone si cimentano nell’uso di sistemi come “ChatGPT” per generare testi o immagini, per trovare risposte o addirittura per avventurarsi in piccole truffe, come per esempio “scrivere” libri da rivendere in rete.
Alcune resistenze sono già state vinte, altre se ne vinceranno nel tempo e, pian piano, volenti o nolenti l’IA entrerà nelle nostre case, nelle nostre tasche e nelle nostre vite (e, chissà, forse pure nei nostri corpi), in un processo analogo a quello fatto a suo tempo da internet e dal digitale.
L’era dell’intelligenza artificiale è però solo ai suoi albori e la sua regolamentazione e strutturazione definitiva deve ancora essere messa a punto. Il tema di questa nuova frontiera è dunque centrale in tutti gli attuali summit internazionali e nei grandi vertici intergovernativi.
L’IA è stata addirittura l’argomento cardine dell’ultimo Forum Economico Globale e, tra i vari incontri del G7, che quest’anno vede spettare la presidenza all’Italia, ve ne sarà uno tutto dedicato a tale questione.
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Il nuovo, vecchio, rilancio della guerra ucraina
di Piccole Note
La disperazione dei neocon a cui non basta il "momento Navalny" per superare gli ostacoli del congresso Usa. Le nuovo, folli proposte per continuare la macelleria ucraina
Lo tsunami Navalny si è abbattuto su entrambe le sponde dell’oceano con effetti differenti. Se negli Usa l’effetto è stato attutito, salvo qualche intemperanza verbale verso Putin, in Europa ha avuto l’effetto della benzina sulle fiamme in via di estinzione della guerra ucraina, ravvivando l’incendio.
Guerra ucraina, la “disperazione” neocon
Al congresso Usa infatti i repubblicani fedeli a Trump sembrano aver resistito alle pressioni neocon per rilanciare la crociata anti-russa. E questa non è cosa da poco visto che la Camera dovrà decidere del nuovo stanziamento destinato all’Ucraina, o meglio dovrà decidere un nuovo finanziamento destinato alle aziende Usa che producono armi destinate all’Ucraina, come ha recentemente puntualizzato la Nuland, citata Ron Paul.
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La transizione energetica è impossibile nel capitalismo
di Raúl Zibechi
Il sistema capitalista è profondamente dipendente dai combustibili fossili ed è in agricoltura che quella dipendenza è decisiva. Quelli che sono in alto lo sanno, non possono e non vogliono sbarazzarsi del fossile: per questo promuovono una transizione energetica con cui consolidarsi in un periodo caos climatico. In questo senso, il capitalismo, scrive Raúl Zibechi, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo
Il capitalismo starebbe promuovendo una transizione energetica per consolidarsi in un periodo di crisi e caos climatico che può minacciare la sua [presunta] legittimità. In questo senso, opera con le stesse modalità che mette in atto di fronte alle contestazioni del patriarcato e del colonialismo: cercando di legittimarsi con presunte politiche contro il maschilismo e il razzismo, fingendo che il sistema condivida alcuni aspetti delle lotte femministe e di quelle dei popoli oppressi, con l’obiettivo di ritagliarsi un piccolo settore di fedeli che si incastonano al vertice della piramide del sistema.
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Al NYT hanno scoperto che gli “stupri di massa” erano solo propaganda
di Daniele Luttazzi
Anche in Italia i propagandisti pro-Netanyahu scrissero sui giornali e raccontarono in tv degli “stupri di massa” commessi da Hamas a Gaza il 7 ottobre. L’avevano letto sul New York Times, e la “notizia” era stata rilanciata dalla Bbc, dal Guardian, dalla Cnn, dall’Associated Press e da Reuters; ma quegli articoli sugli “stupri di massa” erano un falso. I co-autori di quei pezzi, lodati all’epoca dal caporedattore del Times Joe Kahn, erano Jeffrey Gettleman, Anat Schwartz e Adam Sella. Sabato scorso l’account Telegram @zei_squirrel ha aperto un vaso di Pandora: ha mostrato al mondo i like di Anat Schwartz a diversi post di propaganda sionista su X, fra cui uno che definiva i palestinesi “animali” che meritano un “Olocausto”; uno sui “40 bambini decapitati” (un altro falso); uno che invocava la trasformazione di Gaza in un “mattatoio”; e un altro che esortava i propagandisti di Israele a diffondere il paragone “Hamas è l’Isis” per spaventare l’opinione pubblica occidentale (t.ly/ntbMI).
Il Times ha aperto un’inchiesta interna sulla Schwartz poiché le norme aziendali vietano ai suoi giornalisti di “esprimere opinioni di parte, promuovere opinioni politiche, sostenere candidati, fare commenti offensivi o fare qualsiasi altra cosa che possa minare la reputazione giornalistica del Times”.
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Pisa: ipocrita sceneggiata di destra e “sinistra”
di Fabrizio Marchi
Voglio ribadire la mia solidarietà ai giovani liceali pisani che sono stati presi a manganellate dalla polizia. Dire – come hanno fatto alcuni esponenti del governo e del centrodestra – che gli agenti hanno reagito in quel modo perché sono stati provocati o presi a parolacce è ridicolo. Ogni domenica negli stadi poliziotti e carabinieri vengono insultati (e a volte anche fatti oggetto di lanci di oggetti di vario genere) e, anche se può essere fastidioso accettarlo, sono pagati anche per sopportare insulti, fischi e lazzi, perché il fine delle forze dell’ordine (così si chiamano non a caso) è il mantenimento e la salvaguardia dell’ordine pubblico, non caricare o pestare chi ti prende a parolacce durante una manifestazione, specie se si è in presenza di ragazzini che magari giocano a fare i duri e a incappucciarsi, ma sempre di ragazzini si tratta. E siccome è il grande che contiene il piccolo e non viceversa, le forze dell’ordine sono chiamate a svolgere la loro funzione con equilibrio e con le dovute proporzioni, cosa che a Pisa non mi pare sia avvenuta. Se anche quegli studenti avessero tentato di dirigersi in luoghi non autorizzati – perché questa è stata una delle risposte date da alcuni esponenti del centrodestra per giustificare quanto avvenuto – la polizia era sicuramente in grado di bloccarli senza ricorrere a una risposta così dura.
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La fiducia nelle istituzioni e i dividendi di guerra
di Fabio Vighi
‘La morte dell’Occidente non ci ha privato proprio di nulla di vivo ed essenziale e la nostalgia è quindi fuori questione.’ (Giorgio Agamben)
Anche se quasi nessuno lo vuole ammettere, il nostro “sistema” è obsoleto, e per questo si sta trasformando in “sistema chiuso”, ovvero totalitario. È altrettanto evidente che i pochi che continuano a trarre vantaggio materiale dal sistema capitalistico – il famigerato 0,1% – sono disposti a tutto pur di prolungarne l’obsoleta esistenza. Alla radice, il capitalismo contemporaneo funziona in modo molto semplice: si emette debito da una porta e lo si riacquista da un’altra grazie all’emissione di nuovo debito; un loop all’apparenza inattaccabile da cui origina la maggior parte dei fenomeni distruttivi con cui ci troviamo a convivere.
Gli esecutori del meccanismo sono una classe di funzionari-profittatori il cui principale tratto psicologico è la psicopatia. Sono talmente devoti al meccanismo da esserne diventati delle estensioni – come automi, lavorano indefessamente per il meccanismo, senza rimorso alcuno per la devastazione di vita umana che dispensa. La dimensione psicopatica (disinibita, manipolatoria, e criminosamente antisociale) non è però una prerogativa esclusiva della cricca finanziaria transnazionale, ma si estende a macchia d’olio sia sulla casta politico-istituzionale (dai vertici dei governi agli amministratori locali), che sull’apparato cosiddetto intellettuale (esperti, giornalisti, scrittori, filosofi, artisti, nani e ballerine). In altre parole, la mediazione politico-culturale della realtà è oggi interamente mediata dal meccanismo stesso. Chi entra nel sistema non solo deve aprioristicamente accettarne le regole ma, ipso facto, ne assume lo specifico carattere psicopatologico. Così, la folle oggettività capitalistica (il suo spietato congegno riproduttivo) diventa indistinguibile dal soggetto che lo rappresenta.
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Tempesta e bonaccia
di Gianni Giovannelli
Open pathway trough the slow sad sail
Trough wide to the wind the gates to the wandering boat
For my voyage to begin to the end of my wound
(Dylan Thomas)
(Apri un varco nella lenta, nella lugubre vela
Schiudi al vento le porte del vascello vagante
Perché inizi il mio viaggio verso la fine delle mie ferite)
(trad. Ariodante Marianni)
La guerra prende piede, cresce giorno dopo giorno, una vera e propria tempesta che non lascia intravedere momenti di tregua. In Ucraina non è solo un conflitto di trincea, uno scontro fra soldati per la conquista di aree territoriali e per la distruzione delle risorse del nemico. Non c’è dubbio che sia anche questo, come non c’è dubbio che al fronte muoiano, accanto ai militari di professione, migliaia e migliaia di soggetti rastrellati, costretti a indossare la divisa, o, anche, volontari vittime della propaganda nazionalista. Però non basta. Piovono bombe lanciate dai droni, cadono missili, la strage di civili prosegue senza sosta. I fabbricanti di armi si arricchiscono, godono di scandalose agevolazioni fiscali, vengono lautamente pagati con il denaro sottratto alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, ai resti di welfare eroso. L’opposizione alla guerra, anche se proposta senza foga o quasi sottovoce, viene immediatamente equiparata a tradimento, diserzione, crimine contro le istituzioni. La chiamata alle armi è contagiosa. A Gaza ha preso la forma del massacro. Poco importa la qualificazione tecnico-giuridica, se si tratti di genocidio o meno. Rimane una carneficina, con le immagini di soldati felici di uccidere, consuete durante ogni strage della popolazione consumata da un esercito occupante, incitato dai comandanti a rimuovere ogni forma di scrupolo morale.
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Il NYTimes e la guerra della CIA
di Mario Lombardo
Le due tesi fondamentali su cui si è basata e in larga misura continua a basarsi la campagna di propaganda occidentale contro la Russia sono la natura “non provocata” dell’intervento militare lanciato quasi esattamente due anni fa e il semplice appoggio esterno dei paesi NATO al regime di Zelensky, ufficialmente contrari a una partecipazione diretta alle operazioni belliche contro Mosca. Un lungo articolo del New York Times, pubblicato nel fine settimana, ha smentito però entrambe le versioni, confermando sia la strettissima collaborazione tra gli Stati Uniti e, in particolare, la CIA e le forze ucraine sia la valanga di provocazioni orchestrate da Washington e Kiev almeno a partire dal colpo di stato neo-nazista del febbraio 2014.
È lo stesso giornale americano a convalidare ciò che i servizi segreti russi e il Cremlino avevano sostenuto alla vigilia dell’inizio della cosiddetta “Operazione Militare Speciale”. La CIA, assieme al britannico MI6, stava cioè trasformando a tutti gli effetti l’Ucraina in un centro nevralgico da cui pianificare e condurre operazioni destinate a colpire e indebolire la Russia.
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Il pantano dell’ultimo azzardo e i trent’anni contro la Russia
di Fabio Mini
Sull’anniversario dei due anni dall’invasione russa in Ucraina non dovrei scrivere nulla, sia per coerenza con quanto ho sempre sostenuto (la tragedia non è iniziata il 24 febbraio 2022), sia perché dopo due anni non vedo fatti sorprendenti da commentare in Ucraina rispetto a quanto succede altrove. Semmai merita una riflessione l’anniversario dei trent’anni (dal 1994) di destabilizzazione in Europa e allargamento della Nato ai danni della sicurezza russa, dei vent’anni di guerra di sovversione (dal 2004) da parte degli Stati Uniti in Ucraina e dei dieci anni (dal 2014) di guerra di repressione ucraina nei confronti dei suoi stessi cittadini russofoni. In questa prospettiva, la spedizione militare russa in territorio ucraino del 2022 appare per quello che veramente è stata e non per ciò che a essa è stato attribuito da chi voleva e ancora vuole la guerra in Europa contro la Russia e contro la stessa Europa. Non è stata un’invasione full scale (totale), unmotivated (immotivata), unprovoked (non provocata), illegal (illegale) e nemmeno criminal (criminale) come ci viene propinato. È stata una delle possibili risposte alla guerra voluta, preparata e sostenuta esattamente da chi la definisce con tali espressioni. Di fronte a un regime ucraino che con i presidenti Yuschenko, Turcynov e Poroshenko era palesemente nazista e antirusso, e con quello di Zelensky pronto a subire i diktat dell’estrema destra sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Europa, la Russia aveva già lanciato chiari messaggi.
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Perfect Days. La speranza orientale di Wim Wenders
di Roberto Donini
1) Sul Kototoi bridge di Tokyo, sospeso sullo scorrere del canale di Sumida, insieme alla nipote Niko, Hirayama, il protagonista, pronuncia il suo unico discorso per esporre una teoria di spazio e tempo. Lo spazio è “monadi”, afferma: “ognuno è un Mondo” con possibilità ma non necessità di incontrare “un altro Mondo”. Il tempo è istanti presenti - discontinui, canticchia con la nipote: “adesso è adesso - un’altra volta è un’altra volta” e allude a una non linearità – progressiva del tempo. Il film narra la “routine” del protagonista e questa ripetizione ci propone un mondo stabile. Lo spazio si allarga (espira) dall’angusta casa → alla città intera dove lavora, ai giardini, alle terme, al piccolo bar dove mangia la sera → alle piccole variazioni del giorno di festa (la lavanderia, la libreria, il locale) → per poi, infine, tornare a restringersi nella casa (inspira).
Analogamente “respira” il tempo: ogni “genere” di gesto (alzarsi /piegare il futon, ecc.) con minime varianti “specifiche” è celebrato ogni giorno. Circoscrizione dello spazio con abitudinale frequentazionedegli stessi luoghi e ritualizzazione del tempo con la ripetizione altrettanto puntuale dei gesti. Torna sempre sugli stessi posti e fa sempre le stesse cose, così ha familiarità del proprio Mondo e “rallenta” il proprio tempo.
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Il Medio-Oriente nel mondo multipolare
L’analisi di Saïd Boumama
di Said Boumama*
Per comprendere la portata del genocidio in corso a Gaza e l’incondizionato sostegno europeo e degli Stati Uniti a Israele, dobbiamo collocarlo nel contesto globale del rapporto di forza tra BRICS e i paesi occidentali, che si riflette nella frenetica volontà di questi ultimi a contenere i primi e a frenarne lo sviluppo.
Il giornalista Richard Medhurst riassume questo contesto globale come segue:
“Questa è una delle principali ragioni geopolitiche del massacro di Israele a Gaza. Gli Stati Uniti, principale sostenitore di Israele, sono alla disperata ricerca di un modo per cercare di contenere i BRICS, e, più in particolare, di contrastare la Nuova Via della Seta cinese. La costruzione di un corridoio rivale conterrebbe in un sol colpo Cina, Iran e Siria e aiuterebbe Israele e gli Stati Uniti a mantenere il loro dominio economico e politico contro un mondo multipolare”.
Per contrastare l’immenso progetto cinese di infrastrutture di trasporto della Via della Seta, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno sviluppato un progetto concorrente che richiede il controllo di Gaza.
Annunciato al vertice del G20 a settembre 2023, questo progetto chiamato “Corridoio India-Europa-Medio Oriente” e presentato come segue da una nota informativa della Casa Bianca del 9 settembre:
“Oggi noi dirigenti di Stati Uniti, India, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Francia, Germania, Italia e Unione Europea abbiamo annunciato un memorandum d’intesa in cui ci impegniamo a lavorare insieme per stabilire un nuovo corridoio economico India–Medio Oriente–Europa.
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Black marxism
di Francesco Festa
Cedric J. Robinson, Black marxism. Genealogia della tradizione radicale nera, prefazione e postfazione di M. Mellino, traduzione di E. Giammarco, Edizioni Alegre, Roma, 2023, pp. 800, € 35,00
Quando il 20 gennaio 2009 varcò la porta della Casa Bianca di Washington, Barack Obama era il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti d’America. Dati i due mandati consecutivi, fino al 2017 visse in quella casa. Una sineddoche epifenomenica: un nero che s’insedia a capo del paese fra i più razzisti della storia contemporanea. Al mondo intero parve che quell’elezione ponesse fine alla febbre del razzismo, inaugurando un’era post-razziale.
Il 9 agosto 2014, nel Missouri, un poliziotto, Darren Wilson, sparò e uccise durante un controllo il diciottenne afroamericano Michael Brown. Per settimane si susseguirono rivolte e proclami di coprifuoco. Ferguson, Los Angeles, New York, Houston, e altre città vennero sconvolte dalle proteste a seguito della sentenza di assoluzione del poliziotto emessa dal Gran Giurì e dal pubblico ministero della contea di St. Luis, Robert P. McCulloch – un democratico eletto ininterrottamente alla carica dal 1991.
Dopo quasi un decennio di presidenza di Obama, al soglio di quella casa salì Donald Trump. Il presidente più sfacciatamente razzista e suprematista della storia statunitense.
Insomma, la questione razziale non sembra proprio esser stata superata. Anzi, oltre la siepe di quella casa vi è un’escrescenza che cresce sempre più, assumendo forme inquietanti – i confini e i margini delle società democratiche che spingono verso il centro della realtà sociale.
Conviene analizzare la questione stessa in altro modo, ossia come il razzismo e la supremazia bianca siano elementi strutturali della società statunitense, per dirla con Angela Davis.
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I mercanti del dubbio e la corruzione della scienza
di Pietro Frigato
Lo shock indotto dal Covid-19 e dalle politiche sanitarie coercitive imposte sotto l’egida emergenziale ha, tra le varie significative conseguenze, suscitato un vespaio di polemiche sulla natura della ‘vera’ scienza. Un normale cittadino, spesso impoverito, con un lavoro instabile o ridotto alla condizione di working poor, ha così potuto assistere a un perdurante cicaleccio sui media mainstream ma anche su molta parte del fronte alternativo, mai davvero all’altezza di una rappresentazione realistica del mondo largamente privatizzato, corrotto e inefficiente in cui la ricerca scientifica deperisce dagli anni ‘80.
Nel rapsodico ripresentarsi della questione, i più paiono non nutrire dubbi sulla natura esclusivamente benigna del dubbio cartesiano per l’avanzamento di tutti i tipi di conoscenze scientifiche. Accade così che, stando alla istituzionalizzata dicotomia di ingegneria sociale vax vs. no-vax, sia i primi che i secondi enfatizzino senz’altro il valore gnoseologico del dubbio: i pro-vax, sostenendo che non ci sono sufficienti evidenze che dimostrino che i sieri genici nanobiotecnologici non siano efficaci e non siano sicuri; i secondi, argomentando che la scienza mainstream non ammette di essere messa in dubbio, pur in presenza di robuste evidenze che ne refutano i risultati.
- Agnotologia
Questa contrapposizione, nell’ambito della quale il valore epistemologico del dubbio e dell’incertezza fino a evidenza contraria risulta essere condiviso tra le parti, al fondo si basa sulla discordanza delle posizioni rispetto a quanta e quale evidenza risulti necessaria e sufficiente per avanzare dubbi.
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Kiev, i colpi di coda dell'Occidente
di Fabio Marcelli
Non ci vogliono stare. La propaganda atlantista rilancia, imperterrita e sbruffona, traendo alimento dalla triste e oscura fine di Alexei Navalny. Eppure la situazione sul campo è molto chiara e indica che, come prevedibile, la Russia sta prevalendo. Putin del resto ha più volte espresso la sua disponibilità a negoziare una pace onorevole per entrambe le parti. Base concreta del negoziato è l’accordo raggiunto a Istanbul poco tempo dopo l’invasione, che lo stesso Putin cita più volte nella nota intervista al giornalista statunitense Tucker Carlsson. Gli ingredienti sono quelli noti da tempo: autonomia del Donbass, Crimea alla Russia (eventualmente verificando in entrambi i casi la volontà popolare), divieto di propaganda nazista e neutralità per l’Ucraina. Un accordo mutuamente soddisfacente che si sarebbe potuto raggiungere agevolmente due anni e circa duecentomila morti fa.
Ma le infami burocrazie atlantiste non demordono. Con incredibile arroganza il presidente (ancora per poco) del Consiglio europeo, Charles Michel, afferma che esiste solo un piano A, la vittoria dell’Ucraina, mentre il malfermo Joe Biden, che ricopre ancora per poco la carica di presidente degli Stati Uniti, approfitta della morte di Navalny per tornare a insultare grossolanamente Putin.
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Sicurezza? Quello che Meloni ha firmato a Kiev a nome dello stato italiano
di Andrea Zhok
Giorgia Meloni a nome dello stato italiano ha firmato un accordo bilaterale di cooperazione per la Sicurezza con il presidente ucraino Zelensky.
L'accordo ha validità decennale (10 anni).
L'accordo impone all'Italia di intervenire in sostegno di Kiev entro 24 ore in caso di nuovo attacco di Mosca e di continuare a fornire aiuti economici e militari al governo ucraino.
L'Italia si impegna inoltre a favorire l'ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea e nella Nato.
Si prospetta poi la possibilità di addestrare l'esercito ucraino e di condurre esercitazioni da parte dell’esercito italiano anche in territorio ucraino.
In sostanza, non paga di aver bruciato ottimi rapporti pluridecennali con la Russia, di aver buttato un numero indefinito di miliardi (i numeri sono secretati) nel sostegno bellico all'Ucraina, di aver contribuito a un'esplosione dei prezzi dell'energia che ha impoverito il paese e proseguito nell'attività di deindustrializzazione, ora Giorgia Meloni vuole lasciare il suo segno nella storia legando l'Italia sempre più strettamente a un paese che sta colando a picco, militarmente ed economicamente, esponendola in maniera crescente sul piano bellico.
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La censura sui social
di Giusi Di Cristina
Si sa che nelle democrazie la libertà d’espressione è una cifra fondamentale, uno di quegli elementi che ci assicura di vivere nel posto giusto, ove mai qualcuno potrebbe proibirci di dire o scrivere la nostra opinione.
Certo. Fin quando non si instaura una intellighenzia superiore, una sovrastruttura potremmo dire, che decide cosa si può o non si può dire, scrivere, condividere sui social per non turbare talune indefinite “sensibilità”. Tutto questo è particolarmente evidente nelle piazze dei social, mascherate da luoghi di libera parola ma sottoposti alla scure del padrone che detta le regole di ciò che è postabile e ciò che non lo è. Utenti hanno visto restrizioni alla condivisione di opere d’arte con nudi, per non parlare della guerra alle immagini sull’allattamento: un corto circuito culturale per cui l’algoritmo non riconosceva l’arte o un atto assolutamente naturale.
Negli ultimissimi anni però si è passati da un algoritmo che non comprendendo l’arte punisce glutei e seni a un algoritmo che al contrario capisce benissimo cosa e chi punire dietro alla scusa di difendere il pubblico da post che diffonderebbero contenuti violenti o falsi. Vengono tolti post e bloccati utenti e profili senza la possibilità di un contraddittorio.
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Da Milano verso la costruzione di un movimento antimperialista
a cura della redazione
“Con la Resistenza palestinese – Blocchiamo le guerre coloniali e imperialiste”: questo lo striscione di apertura del grande corteo di sabato scorso a Milano, città paralizzata dalla marea di 35mila manifestanti contro il genocidio del popolo palestinese. I fatti antecedenti, di violenza delle forze dell’ordine nei cortei studenteschi a Pisa e Firenze – seguiti subito dopo dall’invasione spontanea delle piazze da parte di moltitudini di cittadini – hanno dato probabilmente una spinta ulteriore a un livello di partecipazione che non si vedeva da tempo. Questo avvenimento, però, è importante non solo per la “quantità”, ma anche per la qualità dei contenuti espressi: non la rivendicazione di una pace generica, ma una decisa denuncia delle cause dell’oppressione dei popoli, della strage di proletari, del ricorso alla guerra globale. Da qui si deve partire per costruire un forte movimento antimperialista.
Accade da sempre, manifestazioni di piazza oceaniche il giorno successivo diventano cortei di sparute minoranze; se poi una decina di giovani prende di mira la vetrina di un ipermercato, già contestato dal Bds per rapporti commerciali con Israele, ci si sofferma sul particolare vandalico e l’azione simbolica diventa l’argomento su cui focalizzare ogni attenzione per imporre divieti e tolleranza zero facendo calare il silenzio sul genocidio del popolo palestinese.
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Credito, finanza, denaro ... fiducia
di Luciano Bertolotto
Piccola storia di paese
1987. Nel Pinerolese, scoppiò lo scandalo dei container fantasma. Un noto e stimato imprenditore (tale Nuccio Candellero) raccolse, tramite una sua finanziaria quote da investire in container. Questi, affittati per spedizioni internazionali, garantivano una rendita del 18% annuo.
Si era agli albori della globalizzazione e i cassoni da trasporto simboleggiavano la rivoluzione economica.
In 1700 abboccarono e versarono un importo complessivo di 35 miliardi di lire.
Lettere anonime informarono che i cassoni non esistevano. Crollò l'intero castello: le quote dei nuovi soci servivano a pagare i promessi interessi a chi aveva precedentemente sottoscritto.
Sistema in grado di funzionare solo crescendo su se stesso.
In questo meccanismo, l'esistenza o meno dei container non aveva grande importanza.
Era la fiducia riposta in essi che permetteva il dipanarsi della catena di sant'Antonio.
Niente di nuovo. Un sistema nato nell'Ottocento per diffondere preghiere e, poi, utilizzato, nel Novecento, per racimolare soldi.
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I Palestinesi in cambio di un pacchetto di prestiti da 10 miliardi di dollari
di Mike Whitney - unz.com
Come avevo previsto nel mio articolo all'inizio del massacro di Gaza, i palestinesi se ne dovranno andare nel deserto del Sinai [Antonio Pagliarone]
Nonostante le proteste pubbliche, il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi sta aiutando Israele a trasferire 1,4 milioni di palestinesi da Rafah alle tendopoli nel deserto del Sinai.
Sabato le agenzie di stampa occidentali hanno riferito che a Parigi si sono svolti negoziati a porte chiuse per raggiungere un accordo sul cessate il fuoco a Gaza. Secondo la Reuters, i colloqui hanno rappresentato “il tentativo più serio da settimane per fermare i combattimenti nella martoriata enclave palestinese e per arrivare al rilascio degli ostaggi israeliani e stranieri”. Purtroppo, i resoconti di Parigi sono stati in gran parte un inganno mediatico, volto a distogliere l’attenzione dal vero scopo del vertice. Si tenga presente che i principali partecipanti all’incontro non erano diplomatici di alto livello o negoziatori esperti, ma i direttori dei servizi di intelligence, tra cui il capo del Mossad israeliano, David Barnea, quello dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel, e il direttore della CIA William Burns. Questi non sono gli uomini che si sceglierebbero per concludere uno scambio di ostaggi o un accordo per il cessate il fuoco, ma piuttosto per attuare la sorveglianza elettronica, lo spionaggio o le operazioni segrete. È quindi estremamente improbabile che si siano incontrati a Parigi per definire un piano per la cessazione delle ostilità. La spiegazione più probabile è che i vertici dei tre servizi segreti stiano dando gli ultimi ritocchi ad un piano di collaborazione che permetta l’apertura di una breccia nel muro di confine egiziano, in modo che un milione e mezzo di palestinesi gravemente traumatizzati possa fuggire in Egitto senza alcuna seria opposizione da parte dell’esercito egiziano.
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