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Tredici Tesi e qualche commento sulla politica mondiale
Alain Badiou
A seguito del movimento contro la «loi travail e il suo mondo», esploso nella primavera del 2016, nella metropoli parigina sono fioriti una serie di spazi di approfondimento e di elaborazione teorica, immanenti alle lotte ed espressione di un’effervescenza intellettuale che fa del sapere un’arma di rilancio del conflitto sociale. Il ripensamento di una serie di categorie, necessarie per l’analisi dell’attuale fase capitalistica e per ponderare le alternative strategiche dei movimenti, è andato di pari passo al confronto con la storia dei conflitti sociali e delle iniziative autonome del recente passato. In questo solco si inserisce l’intervento di Alain Badiou nel quadro del seminario «Conséquences», svoltosi nella primavera scorsa tra l’École des Beaux Arts e l’École Normale Supérieure di Pargi. Il testo esce nei prossimi giorni in Francia per l’editore Fayard, qui ne pubblichiamo una versione trascritta e tradotta in italiano.
* * * *
Tesi 1: La congiuntura mondiale consiste nell’egemonia territoriale e ideologica del capitalismo liberale.
Commento: l’evidenza, la banalità di questa tesi mi dispensano da ogni commento.
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La legge elettorale, Di Battista e le divisioni nell’eurozona
di Redazione
Cosa lega la legge elettorale italiana con i mercati finanziari, l'isolamento del M5S, la crisi catalana e quella franco-tedesca sul futuro UE? Cerchiamo di spiegarlo in questo nostro articolo
In attesa degli sviluppi della mano di poker tra Rajoy e Puigdemont, questi giorni offrono la possibilità di mettere a confronto dei fenomeni che solo una stampa strapaesana, come quella delle principali testate nazionali, può tenere separati. Stiamo parlando del tentativo di far approvare una nuova legge elettorale, che ha come primo firmatario Ettore Rosato capogruppo PD alla camera, da parte di una maggioranza composta da Pd, Forza Italia, Lega più altre forze minori. E del suo rapporto con quanto sta avvenendo sul piano finanziario e, entro il dibattito, per non parlare di spaccatura franco-tedesca, sul futuro dell’eurozona.
La legge elettorale: fra politica e finanza
Sgombriamo quindi subito ogni dubbio, la legge elettorale, quella che sembrerebbe (condizionale d’obbligo) prendere forma è proprio quella che volevano i mitici “mercati” finanziari. “Mercati”, rigorosamente tra virgolette perché si tratta di qualcosa di molto diverso da un luogo di negoziazione e scambio di servizi finanziari, che in questo caso contano, e premono, molto di più di Renzi, Berlusconi o Alfano anche in materia di legge elettorale. Cosa volevano i “mercati”? Per investire in un porto sicuro, senza fare guerre finanziarie, in Italia, e nel continente, volevano un risultato elettorale predeterminato, che permettesse di fare previsioni di investimento nei prossimi mesi.
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L'Unione Europea, la Germania e il proletariato
di Michele Basso
La UE non è un blocco unitario, il mitico imperialismo europeo. La conflittualità interna e in politica estera è sempre più evidente. Non è neppure un'alleanza tra imperialismi nazionali per essere in grado di competere con grandi stati come USA, Cina, Russia. Quando il federalismo europeo era ancora soltanto un progetto, Bordiga ne descriveva i caratteri fondamentali:
«una maschera di un'organizzazione di guerra a comando USA, che consolidava il dominio del capitale finanziario statunitense sull'Europa e sul proletariato americano, e che rendeva impossibile la nascita di comuni rivoluzionarie a Parigi, Bruxelles, Milano, Monaco ...»1
C'è un fondamentale parallelismo tra NATO e UE, e i cosiddetti europei neutrali sono nell'orbita americana più ancora di vecchi atlantici come la Turchia. Basterebbe una cartina delle basi Nato e di quelle gestite direttamente solo dagli USA, per dimostrare la sudditanza europea. Il rapporto tra gli imperialismi europei e gli USA ricorda quello tra gangster e capobanda, colui che in ultima istanza decide. Il primo segretario generale della Nato, Hastings Lionel Ismay, disse che l’Alleanza era stata creata per «tenere gli Usa dentro (l’Europa ndr), la Russia fuori e la Germania sotto». L'enorme peso economico della Germania alla fine ha reso impossibile mantenere questa direttiva.
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Nobel 2017: Thaler e le contraddizioni della “spinta gentile”
di Emiliano Brancaccio
Nobel 2017 per le scienze economiche assegnato a Richard Thaler dell’Università di Chicago, per i suoi contributi allo sviluppo dell’economia comportamentale. Una branca di ricerca promettente che tuttavia Thaler non sgancia dall’ideale normativo della teoria neoclassica, generando alcune aporie anche sul terreno delle sue proposte di politica economica. A cominciare dalla “spinta gentile” dei governi per indurre i lavoratori a risparmiare di più e a investire nel mercato azionario, della cui razionalità egli stesso ha dubitato
Gli appassionati di cinema lo ricorderanno per un fugace cameo ne “La grande scommessa”, discreta pellicola con velleità pedagogiche dedicata alla crisi del 2008. Intorno a un tavolo del blackjack, in un improbabile duetto con l’ex stellina della Disney Selena Gomez, un novello attore dalla chioma candida, un po’ in carne, molto rilassato, descrive con cadenza professorale un tipico esempio di comportamento irrazionale: la gente è indotta a puntare molto su quei giocatori che vincono da diverse mani, sebbene non vi sia alcun motivo di prevedere che siano destinati a spuntarla anche in futuro. Un’illusione che si riscontra sui tavoli da gioco come sui mercati finanziari, e che può creare le premesse per un tracollo economico [1].
L’attore improvvisato si chiama Richard Thaler, che per “i suoi contributi nel campo dell’economia comportamentale” è stato insignito ieri del Nobel per l’Economia 2017 [2]. Ispirato dalle ricerche di due precedenti vincitori del premio, Herbert Simon e Daniel Kahneman, Thaler è stato uno dei pionieri della ricerca psicologica applicata allo studio delle decisioni economiche.
Nell’Università di Chicago, dove insegna da anni, Thaler ha vestito per lungo tempo i panni dell’outsider: mentre Eugene Fama e gli altri suoi colleghi celebravano le teorie neoclassiche del comportamento razionale ed egoistico, lui accumulava prove che tendevano a confutarle.
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La visione di Parag Khanna
di Pierluigi Fagan
L’ultima fatica di Parag Khanna è questo libricino leggero ma denso di argomenti . Khanna sostiene con innocente leggerezza un modello politico che chiama demo-tecnocrazia, richiamandosi alla Repubblica di Platone, dove i Guardiani sarebbero squadre di tecnocrati strategico-amministrativi, i quali consultano con una certa frequenza il popolo-cliente, per sapere se questo è contento dell’amministrazione e di cosa altro ha bisogno. Il modello è una fusione concettuale tra Singapore e Svizzera.
Ne parlo, sia perché Khanna “piace alla gente che piace” e leggendo quello che ha da dire si prende nota delle prossime tendenze e mode concettuali nel globalismo, sia perché il nostro è comunque indiano, è cresciuto nel Golfo, poi in America, risiede a Singapore oltre a partecipare a numerosi think tank americo-britannici mondialisti[1], sia per un altro motivo. Khanna infatti assume come scenario la complessità del mondo ed ha molte informazioni che sceglie ed elabora poi a modo suo ma comunque applica il ragionamento a cose e problemi che esistono nel mondo reale e non a cose che s’inventa alla tastiera raccontandoci un mondo che è solo nella sua testa. Khanna quindi, a suo modo, si occupa pragmaticamente di complessità del mondo il che è meritorio e propone soluzioni e queste soluzioni, che ovviamente sono in favore della prorogabilità, adattabilità, salute del Sistema, le trova in un originale miscuglio di una certa occidentalità con una certa orientalità.
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Sciopero SDA e ruolo strategico della logistica
di Carmine Tomeo
Le lotte della logistica stanno scoprendo la zona franca che il padronato sta costruendo. Occorre un nuovo approccio strategico di lotta a partire dalla logistica
“Zitto e lavora!”
“Mandateli a casa sti asini!”, “Io giuro che vi darei tante di quelle legnate”; “se per caso per colpa degli scioperi l'appalto in sda và a puttane e mi ritrovo per strada io tiro fuori il 357magnum dalla cassaforte e vi vengo a prendere a uno a uno”. Sono alcuni commenti che si possono leggere sui social nei post che raccontano la vertenza in corso alla SDA di Carpiano, in provincia di Milano. Una avversione alimentata anche dai giornali nazionali e dalle posizioni politiche che nascondendosi dietro un finto buon senso, manifestano ostilità nei confronti dello sciopero del sindacato di base.
Il quotidiano Libero, lo scorso 24 settembre titolava “Oddio, adesso scioperano anche gli immigrati”. Con quel titolo, Libero, sintesi della peggiore destra liberista e della peggiore destra reazionaria, si scagliava contro lo sciopero dei lavoratori SDA che non accettano l'imposizione di cambi d'appalto utilizzati per azzerare i diritti dei lavoratori e fare maggiori profitti sul peggioramento delle condizioni di lavoro.
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Addio al lavoro?
di Alessandro Mantovani
Ricardo Antunes, Addio al lavoro? Le trasformazioni e la centralità del lavoro nella globalizzazione, Venezia, Edizioni Cá Foscari, 2015
“Un cataclisma, e il suo lucido narratore” si intitola la bella introduzione di Pietro Basso alla nuova edizione del volume del brasiliano Ricardo Antunes. La prima uscì nel 1992 per le edizioni BFS (Biblioteca Franco Serantini) di Pisa. Rispetto a quella, la recente edizione è notevolmente arricchita e gode di una traduzione completamente rivista, e di una nuova, densa Prefazione dell’autore. Ordinario di Sociologia presso l’Università di Campinas, non molto conosciuto e tradotto in Italia, Antunes è ben noto, a livello internazionale, a quanti abbiano seguito il dibattito, ormai pluridecennale, intorno al lavoro e alla marxiana legge del valore nel contesto della globalizzazione.
Il cataclisma in questione è, appunto, quello che – con l’affermarsi del “neoliberismo” o del “post-fordismo” che dir si voglia – ha violentemente investito la condizione dei proletari; d’un lato mutandone radicalmente lo “statuto” nei paesi fino al secolo scorso patria quasi esclusiva del capitalismo, dall’altro estendendone e allargandone la presenza a livello internazionale, nell’area asiatica soprattutto.
I due sviluppi, nel libro di Antunes, già tradotto in molte lingue, sono posti sotto il comune orizzonte teorico della globalizzazione, giacché, giustamente, essi sono complementari e si spiegano e sostengono a vicenda.
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Rivoluzione contro il lavoro
La critica del valore ed il superamento del capitalismo
di Anselm Jappe
L'idea della rivoluzione sembra essersi dissolta nell'aria, insieme ad ogni critica radicale del capitalismo. Di certo, in generale viene ammesso che ci sarebbero da cambiare molti dettagli nell'ordine del mondo. Ma uscire semplicemente dal capitalismo? E per poi sostituirlo con cosa? Chiunque ponga questa domanda rischia di passare sia per un nostalgico dei totalitarismi del passato, sia per un ingenuo sognatore. Tuttavia, non mancano delle teorie critiche che si propongono di mettere a nudo il carattere distruttivo, e storicamente delimitato, del capitalismo, e tutto ciò fin nelle sue strutture di base. Una simile impresa di critica fondamentale viene portata avanti dal 1987 dalla tendenza internazionale della «critica del valore», e soprattutto dalle riviste tedesche "Krisis" ed "Exit!" e dall'autore principale Robert Kurz (1943-1912). Il loro approccio è stato parallelo, sotto molti aspetti, al lavoro svolto da Moishe Postone, di cui recentemente sono stati pubblicati molti libri in Francia.
Il punto di partenza della critica del valore consiste in una rilettura dell'opera di Marx. Tale rilettura non pretende di ristabilire il "vero" Marx ma - piuttosto che supporre una tensione fra la parte economica e la parte politica della sua opera, o fra una parte giovanile che mira alla rivoluzione immediata ed un "evoluzionismo" tardivo che si rivolge alla scienza, oppure tra un idealismo hegeliano iniziale ed una analisi scientifica successiva dei rapporti di classe - assegna un peso alla distinzione fra un Marx "essoterico" ed un Marx "esoterico". Il Marx "esoterico" può essere trovato in una parte piuttosto ristretta dei suoi lavori della maturità e, nella sua forma più concentrata, nel primo capitolo del primo volume del Capitale: Marx esamina le forme di base del modo di produzione capitalista, vale a dire la merce, il valore, il denaro ed il lavoro astratto.
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Giorgio Agamben. Innocenza radicale
Antonio Lucci
Sebbene Giorgio Agamben abbia dichiarato chiuso, nel 2014, il suo progetto ventennale di un’archeologia della politica e del diritto, che ha preso il nome di Homo sacer, con la pubblicazione del volume l’Uso dei corpi, la sua produttività non è affatto diminuita, e il nuovo testo dell’autore romano, Karman. Breve trattato sull’azione, la colpa e il gesto, uscito recentemente per i tipi Bollati Boringhieri, ne è – non lo fossero stati abbastanza i testi usciti in precedenza, dedicati, tra gli altri, a Majorana, a Pulcinella, e alle proprie vicende biografiche – l’ulteriore riprova.
Se si volesse speculare, si potrebbe addirittura arrivare a sostenere che questo volume potrebbe occupare il posto vuoto lasciato enigmaticamente da Agamben nella posizione II.4 del suo progetto.
In Karman Agamben presenta al contempo una summa dei motivi portanti del suo pensiero e una loro evoluzione in una direzione inedita. Come il sottotitolo indica, l’azione, la colpa e il gesto sono le tre grandi categorie oggetto dell’analisi agambeniana.
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Democrazia e momento populista: dall'America Latina all'Europa
di Carlo Formenti
Relazione di Carlo Formenti alla Scuola Estiva “Crisi della democrazia? Lessico politico per il XXI secolo” dell'Università di Trieste
In un’intervista rilasciata al “Corriere della Sera” nel novembre del 2016 il direttore del “Wall Street Journal”, Gerard Baker ha detto che, in futuro, lo scontro politico non sarà più fra progressisti e conservatori, ma fra globalisti e populisti. Riletta oggi, l’affermazione suona come una dichiarazione di guerra. Eventi come la Brexit, l’elezione di Trump, la disfatta di Renzi nel referendum sulle riforme costituzionali, e le preoccupazioni suscitate dall’ascesa di leader politici come Tsipras (prima della resa ai diktat della Troika), Bernie Sanders, James Corbyn, Pablo Iglesias, Jean-Luc Mélenchon e Marine Le Pen , hanno fatto sì che si costituisse un poderoso fronte mondiale antipopulista. I media hanno orchestrato una massiccia campagna propagandistica in sostegno dei governi guidati dalle forze politiche tradizionali (conservatori, liberali e socialdemocratici), invitandole a coalizzarsi contro la minaccia di forze genericamente definite populiste – senza distinguere fra le radicali differenze reciproche - in quanto sovraniste, protezioniste, stataliste e antiglobaliste, contrarie cioè alla libera circolazione di merci e capitali e dunque nemiche del sistema democratico, identificato tout court con il mercato. La sostanziale adesione delle sinistre europee – non di rado anche le radicali – a questo appello antipopulista delle élite politiche ed economiche liberiste e dei media mainstream, introduce uno dei temi di fondo che intendo affrontare: l’appello ha funzionato perché le sinistre considerano il sovranismo come un’ideologia ancora più pericolosa del neoliberismo. Prima di esaminare questo atteggiamento, occorre però decostruire il senso del termine populismo.
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Oltre il Capitale, di István Mészáros
Recensione di Matteo Bifone
Pubblicato su "Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”, E-ISSN 2531-9582, n° 1/2017, dal titolo "L'egemonia dopo Gramsci: una riconsiderazione" a cura di Fabio Frosini, pp. 435-442. Link all'articolo: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/article/view/1045/971
Se non diversamente indicato, questi contenuti sono pubblicati sotto licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.
István Mészáros: Oltre il capitale. Verso una teoria della transizione, a cura di R. Mapelli, Punto Rosso, Milano 2016, pp. 1000, ISBN 9788883511967 (ed. orig. Beyond Capital: Toward a Theory of Transition, Merlin Press, London 1995).
È stato da poco pubblicata da Punto Rosso un’opera molto importante di István Mészáros, uno dei principali seguaci di Lukács ancora in vita, edita per la prima volta nel 1995.
Fin dall’introduzione l’autore afferma che il mondo è ormai pienamente globalizzato e l’espansione del capitale può dirsi conclusa. Le alternative sembrano dunque essere tutte interne ad esso, che esercita ormai il proprio dominio attraverso una piena subordinazione del lavoro. Essendo l’opzione socialdemocratica destinata al fallimento, visto che riconosce il dominio del capitale ma anche quello delle società post-rivoluzionarie nelle quali i mezzi di produzione non sono stati socializzati e si sono imposte sia una gerarchizzazione del lavoro che un’aspra repressione interna (l’autore non concepisce la categoria di capitalismo di Stato né quella di socialismo di mercato), queste alternative possono però giungere solo da movimenti extra- parlamentari dei lavoratori.
Si capisce allora il triplice significato del titolo: andare oltre il Capitale di Marx, andare oltre il capitale come sistema di dominio (e non come sistema economico), andare oltre l’originario progetto marxiano.
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Caute scalate
Balzac e Dostoevskij tra capitalismo e potenza del «non»
Augusto Illuminati
Con l’età il fiato si perde. Mi sembra inverosimile essermi inerpicato per anni sulle le ripide piole di Urbino o, ancora poco fa, sbrigato un’ascensione a freccia dall’alberata riva del Darro alla spoglia sommità del Sacromonte, per non sfigurare davanti al nipote erasmiano cui nel frattempo somministravo, in vista di un esame, sintetiche nozioni sul secolo breve. Allo stesso modo, diventa faticoso misurarsi con romanzi e poesie contemporanee e uno ripiega a rileggere i classici, cercando di scovare quanto gli era sfuggito nelle frenetiche incursioni dell’adolescenza. Così, usando i tempi vuoti dell’estate, mi sono rivolto a due notevoli scrittori d’appendice, scrocconi e prolifici a cottimo, perennemente indebitati e pure controrivoluzionari: il legittimista Balzac e il calunniatore dei naròdniki Dostoevskij. Qualche piccola sorpresa, magari è ignoranza mia della copiosa letteratura critica che di certo mi avrà preceduto.
Balzac, un visionario post-industriale
Non è proprio una novità scoprire che sotto il policromo affresco dell’aristocrazia e del sottobosco parigino il «realista» Balzac abbia delineato i rapporti di classe della Francia e l’ascesa irresistibile della borghesia nella prima metà dell’Ottocento – inutile ricordare Marx, Engels, Lukács.
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Lo sfruttamento capitalista in Internet
Note sul testo di Gugliemo Carchedi
di Collettivo Genova City Strike
Nei giorni scorsi una fotografa naturalista negli Stati Uniti ha fotografato un enorme pesce spiaggiato su un litorale. Si trattava di una grossa anguilla marina che vive nelle profondità dell’Oceano Atlantico. Comprensibilmente incuriosita dalle dimensioni dell’animale, la fotografa non ha consultato nessuna enciclopedia o atlante naturalistico (ve ne sono anche online fruibili gratuitamente). Ha semplicemente postato la foto su un social network chiedendo agli amici di rispondere al quesito su che tipo di animale fosse. Dopo poco rispondeva un biologo marino del Smithsonian Institute degli USA svelando l’arcano. Questa notizia, curiosa ma decisamente minore, ha fatto però il giro delle agenzie internazionali e ha campeggiato a lungo sulla home page del principale quotidiano online italiano. Ovviamente, era ben specificato il nome del social network in questione. Che otteneva quindi un bel po’ di pubblicità.
Lo stesso social network è poco sviluppato in Italia, battuto da un suo concorrente con molti più utenti. Nonostante questo, la maggior parte dei politici, dei giornalisti e degli opinion maker ci scrive sopra. Questo fa sì che, negli articoli di informazione, il nome del social network continui a essere presente. Eppure, la logica imporrebbe di far circolare il più possibile le proprie opinioni e quindi sarebbe apparentemente più logico utilizzare altre piattaforme.
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Samir Amin, “Per un mondo multipolare”
di Alessandro Visalli
Il libro del 2006 di Samir Amin indica una prospettiva che porta ad un maggior livello di chiarezza la sua interpretazione dell’internazionalismo socialista da lungo tempo elaborata e che abbiamo ritrovato, dopo dieci anni, espressa nell’intervista “La sovranità popolare unico antidoto all’offensiva del capitale”. In quel recente intervento l’economista egiziano propone un’interpretazione della crisi aperta nel 2007-8 e giunta al suo decimo anno, come esaurimento e insieme radicalizzazione del modello monopolista ed estrattivo, intrinsecamente imperialista e insieme completamente impersonale, che prende strada a partire dalla crisi di valorizzazione nella quale incappa il capitalismo del dopoguerra a partire dagli anni sessanta.
Nel 2016 Amin dirà che immaginare che “di fronte ad una crisi del capitalismo globale la risposta debba essere egualmente globale” è solo una “tentazione”, ed sorta di ingenuità, causa di sicura sconfitta. Questo libro si chiuderà sulla stessa questione: il superamento deve avvenire punto per punto, e partendo, come è sempre avvenuto, dai luoghi in cui il controllo è più debole, o da quelli in cui le contraddizioni e le conseguenze inaccettabili sono più forti. Per superare, in ogni singolo luogo (ovvero nazione) la tendenza del capitalismo a schiacciare le periferie ed estrarre da esse le risorse, bisognerà fare politica e prendere il potere. Bisognerà costringerlo a fare i conti con le forze popolari, i progressi si potranno poi propagare.
Come avevamo scritto nel commento del bel libro di Carlo Formenti “La variante populista”, bisogna “riconquistare la sovranità popolare”, cosa che passa anche per il tentativo di articolare “un’idea postnazionalistica di nazione”.
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Tra moltitudini e populismi1
di Salvatore Muscolino
Un’altra tipologia di critiche nei confronti del liberalismo e del capitalismo è quella propria di quegli autori i quali, con strategie e punti di riferimento diversi, hanno provato a rovesciare la logica liberale dominante in favore di una critica sociale che parta dal basso e che valorizza l’attivismo, la creatività, l’autenticità dei “popoli” o delle “moltitudini” in ordine alla rottura o, meglio, alla resistenza nei confronti del paradigma liberale dominante. Nel corso del Novecento è possibile distinguere, per linee generali due varianti di questa sensibilità antiliberale, una di destra e una di sinistra. Inoltre, è giusto ricordare che vari regimi politici antiliberali hanno talvolta trovato un alleato in settori interni al mondo cristiano i quali, seppur con finalità e motivazioni diverse, nutrivano un’analoga ostilità nei confronti dei nuovi valori capitalistici e liberali.
Pertanto, nei prossimi sottoparagrafi proverò a fornire un quadro sintetico, ma spero esaustivo sul piano concettuale, di queste varie forme di critiche “dal basso” della tradizione liberale e capitalistica.
1. Fascismi, populismi di destra e cattolicesimo antiliberale
L’esperienza storica del nazismo e del fascismo rappresenta una lotta radicale, dagli esiti tragici, contro l’affermazione dei valori liberal-democratici.
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Il sintomo-Antropocene
di Emanuele Leonardi e Alessandro Barbero
Jason W. Moore: Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nell'era della crisi planetaria, Ombre Corte, 2017
L’uomo del XX secolo si è emancipato dalla natura come quello del XVIII dalla storia. Storia e natura ci sono diventate altrettanto estranee, nel senso che l’essenza dell’uomo non può più essere compresa con le loro categorie.D’altronde, l’umanità che per il XVIII secolo non era, in termini kantiani, più che un ideale regolativo, è oggi diventata un fatto inevitabile. [Nel]la nuova situazione […] l’umanità ha effettivamente assunto il ruolo precedentemente attribuito alla natura o alla storia. Hannah Arendt (2004: 413)
Il libro che avete tra le mani rappresenta uno degli interventi più significativi all’interno del dibattito sul concetto di Antropocene, coniato dal microbiologo Eugene Stoermer negli anni Ottanta del XX secolo e reso celebre dal Nobel per la chimica Paul Crutzen a partire dal 2000 (Crutzen e Stoermer 2000). Ultimamente il termine è divenuto una sorta di moda, una parola accattivante, in particolare nell’ambito delle scienze sociali – come dimostra il lancio di tre influenti riviste internazionali esclusivamente dedicate: Anthropocene, The Anthropocene Review ed Elementa. Anche il mondo della stampa generalista ha reagito con entusiasmo: Guardian, New York Times ed Economist hanno frequentemente trattato del tema, rimbalzato di tanto in tanto anche in Italia sulle pagine di manifesto, Repubblica e Corriere della sera.
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Le (false) promesse di Industria 4.0
Birgit Mahnkopf
Ci sono buone ragioni per prevedere che l’irregolarità, la flessibilità, l’incertezza e l’imprevedibilità saranno la nuova ‘condizione normale’ del mondo del lavoro nell’era imminente del capitalismo digitale globale
Siamo circondati da entusiasti che pubblicizzano un meraviglioso nuovo mondo di “fabbriche intelligenti”. Tra questi vi sono rappresentanti dei governi come i ministri dell’industria del G7, le associazioni di imprenditori e datori di lavoro e gli amministratori delegati di grandi aziende, ma anche molte personalità del mondo accademico e addirittura sindacalisti. Cercano di convincerci che in un prossimo futuro una digitalizzazione del settore manifatturiero e persino dell’economia in generale accresceranno, in primo luogo, l’efficienza e la flessibilità di tutto il processo produttivo; in secondo luogo, cambieranno la catena del valore nella misura in cui le specifiche richieste del cliente potranno essere incorporate in tutte le fasi del processo di produzione unitamente ai relativi servizi. In terzo luogo, la digitalizzazione dell’industria dovrebbe offrire metodi di produzione supplementari alle piccole e medie imprese e, in quarto luogo, creare nuove opportunità di lavoro qualificato. Alla fine, tutti questi sviluppi contribuiranno a stimolare una nuova ondata di consumo di massa che porterà crescita economica ma anche uno sviluppo sostenibile.
In Germania sia le agenzie governative che le organizzazioni imprenditoriali sono molto favorevoli a ciò che chiamano “Industria 4.0”, ma anche i sindacati concordano con questa visione.
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PostModerni e TransModerni
di Miguel Martinez
Il commentatore Moi, gran collezionista di bizzarrie, ci segnala un episodio avvenuto l’altro giorno a Londra.
I media di destra italiani, molto compiaciuti, parlano in sostanza di una rissa tra femministe “militanti del movimenti TERF” e transessuali/transgender, a proposito dell’uso dei bagni delle donne.
Cerco di approfondire, e trovo che la faccenda ha risvolti interessanti.
Innanzitutto, non esiste alcun “movimento TERF”, che è semplicemente un insulto (trans-exclusionary radical feminists, oppure più retoricamente, trans-exterminationist radical feminists).
Poi scopro che non c’è stata una rissa, c’è stata un’aggressione da parte di un militante trans (uso l’abbreviazione per non dover scegliere tra “transessuale” e “transgender”) contro una signora sessantenne.
Cerco la signora in rete, e scopro che non si tratta di una persona con fissazioni ideologiche: Maria MacLachlan è una donna lucida, colta, molto anglosassone che sa ragionare e si è fatta un sacco di nemici criticando l’omeopatia.
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Un battitore libero si aggira per l’Europa
di Andrea Ventura
La sera del 15 aprile 2015 il ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis ha un incontro riservato con Lawrence Summers. Nella penombra del bar di un albergo di Washington, davanti a un bicchiere di whisky, l’ex consigliere economico di Obama pone a Varoufakis la seguente alternativa: deve decidere se essere un insider, oppure un outsider. Se sceglie la prima strada, oltre all’accesso alle informazioni rilevanti ha la possibilità di partecipare a importanti decisioni sulle sorti dei popoli. Deve però rispettare una regola fondamentale: non ribellarsi agli altri insider, né denunciare agli outsider quello che gli insider dicono e fanno. Se invece sceglie di essere un outsider, mantiene la libertà di esprimere le proprie opinioni, ma paga questa libertà con l’essere ignorato dagli insider, dunque con l’irrilevanza delle sue posizioni. L’apertura del libro di Varoufakis Adults in the Room, è illuminante. Quello che molti intuiscono, fin dalle prime pagine del volume è raccontato con precisione: il meccanismo di costruzione del potere è costituito da reti e canali d’informazione all’interno dei quali politici ed economisti, ma anche opinionisti e mezzi di comunicazione, sono costretti a coprire la verità, oppure, se scelgono di dirla, pagano questa scelta con l’esclusione dai circuiti informativi e dal potere. L’opacità e la copertura delle informazioni rilevanti, o più semplicemente l’attitudine alla menzogna, sono in sostanza la naturale condizione di ogni insider.
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Come fare la rivoluzione senza prendere il potere ...a luglio
di Daniel Gaido (*)
Nel 1917 la Russia contava 165 milioni di cittadini, dei quali solamente 2 milioni e 700 mila vivevano a Pietrogrado. Nella capitale abitavano 390.000 operai – un terzo erano donne –, tra i 215.000 e i 300.000 soldati di guarnigione e circa 30.000 marinai e soldati di stanza nella base navale di Kronstadt.
Dopo la Rivoluzione di Febbraio e l’abdicazione dello zar Nicola II, i Soviet, guidati dai Menscevichi e dai Socialisti Rivoluzionari, cedettero il potere a un governo provvisorio non eletto che era deciso a mantenere la Russia belligerante nella Prima Guerra Mondiale e a ritardare la riforma agraria fino all’elezione dell’Assemblea Costituente, rimandata a data da destinarsi.
Inoltre i Soviet avevano richiesto la creazione di commissioni di soldati e avevano dato istruzioni di disubbidire a ogni ordine ufficiale che andasse contro gli ordini e i decreti del Soviet dei Deputati, degli Operai e dei Soldati.
Queste decisioni contraddittorie provocarono una duplice e precaria struttura di potere, caratterizzata da crisi di governo ricorrenti.
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Corea del nord, questa sconosciuta quasi normale
di Luigi Pandolfi
Oltre l’escalation militare, c’è un Paese in movimento, oggettivamente lontano dal nostro sentire ma non per questo meno normale
Il risalire della tensione lungo il 38° parallelo ha riacceso i riflettori dei media internazionali sulla Corea del Nord. Salvo qualche eccezione, tuttavia, a prevalere sono gli argomenti di sempre: minaccia nucleare e (presunte) bizzarrie del regime. Beninteso: la corsa agli armamenti di Pyongyang è un dato reale, così come non mancano aspetti della società e del sistema politico nordcoreano che si prestano a sguardi sbalorditi ed a letture sensazionalistiche. Niente a che vedere, però, con bufale del tipo: tutti i coreani sono costretti a portare i capelli come Kim Jong Un. Ad ogni modo, quando si osservano determinati fenomeni, che siano di natura politico-sociale o culturale, religiosa o di costume, riconducibili a specifiche (e differenti) forme di civilizzazione o di modernizzazione di un paese, sarebbe buona regola togliere dagli occhi le lenti dei propri - altrettanto specifici e differenti - statuti identitari. Così, forse, si riuscirebbe a cogliere perfino quanto c’è di normale in una società oggettivamente lontana dai propri luoghi e dal proprio sentire.
Una “via nazionale” al socialismo
Quante volte abbiamo sentito parlare di “regime stalinista”, ovvero di “ultimo bastione marxista-leninista” a proposito della Corea del Nord? Sempre. Cosa c’è di vero? Poco.
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Solidarietà a Jacques Sapir
di Alberto Bagnai
Mi ero sempre chiesto cosa fosse quell'"hypothèses" che compariva nell'URL del blog di Jacques Sapir: http://russeurope.hypotheses.org/, ma questo dubbio non era esattamente in testa alla lista delle mie priorità, e quindi non avevo mai approfondito.
Hypothèses, con Calenda, Revues.org, OpenEdition Books, è una piattaforma informatica inserita nel portale francese Open Edition, un progetto il cui scopo è quello di promuovere la pubblicazione e la discussione di risultati scientifici nell'ambito delle scienze umane e sociali secondo i criteri dell'open access. Tanto per placare subito i lettori fallaciati, chiarisco che qui Soros non c'entra molto: anch'io ho pubblicato in open access, tant'è vero che se cliccate qui potete leggere uno dei miei ultimi articoli. Quindi placate i vostri riflessi pavloviani: la open society è un'altra cosa, e andiamo avanti.
Il portale si articola su quattro assi: pubblicazione di riviste on line (Revues.org), pubblicazione di ebook (OpenEdition), una bacheca di eventi scientifici (Calenda), e un aggregatore di blog, appunto, Hypothèses. Quest'ultimo comprende 2408 blog, fra cui anche LEO (L'Edition électronique ouverte), blog di Open Edition che informa sugli sviluppi del progetto. Il 28 settembre questo blog annunciava che il Comitato scientifico di Hypothèses e quello di Open Edition sospendevano il blog di Sapir, aperto cinque anni or sono, a causa della pubblicazione di post privi di attinenza con il contesto scientifico e accademico del blog.
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2 Ottobre in Catalogna
di Leonardo Mazzei
Otto note sintetiche sul referendum per l'indipendenza
Ci sarà tempo per riflettere più a fondo sui possibili sviluppi della crisi catalana. Intanto però il referendum è alle nostre spalle e alcune cose già le possiamo dire.
1. L'autoritarismo centralista del governo di Madrid ha finito per rafforzare l'indipendentismo filo-eurista di quello di Barcellona.
Non era un esito difficile da prevedere. Aver mandato la polizia a disturbare il referendum, senza peraltro riuscire ad impedirlo, è stato un segno di grande debolezza, un atto repressivo figlio di una concezione parafranchista. Fondamentalmente un atto stupido, sia in considerazione del fatto che i sondaggi davano gli indipendentisti in minoranza, sia perché la contestazione della legalità del voto avrebbe potuto essere comunque sostenuta politicamente senza bisogno di ricorrere alla magistratura ed alla polizia. Ma la stupidità ha da sempre un certo ruolo nella storia. Vedremo alla fine quale sarà stato il suo peso stavolta. Intanto, però, la gestione della vicenda da parte di Rajoy ha regalato agli indipendentisti catalani un indubbio successo propagandistico.
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Lombardia e Veneto: referendum inutile? No, utilissimo…a loro!
di Pierluigia Iannuzzi
Tutti i partiti maggiori voteranno e spingono a votare “si” ma certa sinistra si ostina a predicare l’inutilità del referendum autonomista e l’astensionismo. Ma siamo davvero sicuri che sia così?
Chi non è leghista o grillino o piddino si trova oggi nella condizione (facile e comoda!) di sostenere che snobbare il referendum astenendosi sia il modo migliore per non legittimare un referendum consultivo inutile. I sostenitori dell’astensione ritengono il referendum inutile perché consultivo e ritengono la partecipazione con un NO dannosa perché la sconfitta del NO sarebbe inevitabile e legittimerebbe l’inesorabile vittoria del SI. Ma davvero possiamo pensare che tutti i partiti più forti in Italia e Lombardia abbiano deciso di sostenere un referendum se questo fosse davvero inutile? Davvero possiamo accontentarci di considerare tali partiti così sciocchi? Scusate, cari compagni (perché gli astensionisti sono spesso cari compagni!), ma non è credibile questa posizione. Credo invece che le valutazioni fatte dalle segreterie di tali partiti siano purtroppo opportunistiche. Assumersi la responsabilità di dire NO significherebbe confrontarsi con una bruciante ed inevitabile sconfitta determinata dalle diverse forze in campo in questa difficile fase storica. Ma la pochezza delle forze comuniste dipende, a sua volta, da anni di opportunismo elettorale e istituzionale che hanno determinato uno scollamento dalla classe di riferimento e, quindi, se consideriamo da leninisti la classe come l’elemento più avanzato, dalla possibilità di uno scientifico approccio alla realtà.
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Eccesso di risparmio causa della crisi economica?
di Andrea Pannone
Nel mio articolo pubblicato a febbraio 2017 su questa rivista affermo esplicitamente che l’ipotesi di un eccesso non temporaneo di risparmio sul volume degli investimenti privati, adottata da molti economisti per spiegare la persistente fase di debolezza dell’economia mondiale[1], sia teoricamente insostenibile nella realtà dei sistemi di produzione moderni. Per comprensibili ragioni di spazio, la dimostrazione formale dell’argomento era relegata nell’appendice dell’articolo stesso. Lo scopo di questo scritto è chiarire meglio i leciti interrogativi lasciati aperti da quella rapida trattazione (si vedano ad esempio alcuni dei commenti dei lettori alla fine del paper).
- 1. L’ammissibilità dell’ipotesi di eccesso di risparmio
Come noto, la relazione tra risparmio, produzione e investimento è uno dei fondamenti della macroeconomia. In un’economia chiusa con risparmio pubblico nullo (ossia con tasse uguali alla spesa pubblica) il risparmio (S) è la parte del prodotto totale (reddito) non destinata ai consumi privati (famiglie e imprese). Gli investimenti privati (ossia la variazione netta dello stock di capitale fisico a disposizione delle imprese, indicata con I) sono invece, insieme ai consumi privati, una componente della domanda totale del prodotto.
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