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L'Italia nella crisi

Marino Badiale e Massimo Bontempelli

Nelle terribili turbolenze che stanno investendo i mercati e che hanno ricadute crudeli su alcuni paesi, è davvero essenziale, per preservare quel che resta della civiltà da un'inedita barbarie, possedere diagnosi e prognosi corrette di quel che sta succedendo. Alcuni sottovalutano il ruolo della speculazione finanziaria, sostenendo (come ha fatto anche il presidente della Repubblica Napolitano) che se le condizioni di un paese sono sane, esso non ha nulla da temere dalla speculazione, dimenticando, tra tante altre cose, che la sanità rispetto alla speculazione e quella rispetto all'economia reale sono ben distinte, e che le condizioni che appaiono sane perché allontanano gli attacchi speculativi, possono essere quanto mai nocive per l'economia reale.

Altri puntano il dito contro la speculazione, ma in maniera sbagliata e distorcente perché la intendono come un'attività specifica di alcuni gruppi finanziari (ad esempio i famosi hedge fund). La prima cosa da comprendere è, invece, che speculazione e sistema finanziario globale, inclusivo di tutte le sue diversissime articolazioni, sono esattamente la stessa cosa. Il sistema finanziario globale, cioè, non può agire che in maniera ininterrottamente speculativa nella sua interezza.

Per comprendere questa realtà occorre fare riferimento a tre concetti marxiani: accumulazione allargata, plusvalore e capitale fittizio.

È dimostrato da Marx e dai fatti che il capitale non può autoriprodursi se non allargandosi continuamente, e che il suo allargamento consiste in una produzione crescente di plusvalore dal valore.

Perché questo accada nell'economia delle merci, occorre che il plusvalore prodotto, cioè incorporato nel valore della merce, venga poi realizzato: cioè, banalmente, la merce sia convertita in danaro con sua vendita. È il famoso ciclo di circolazione capitalistica indicato da Marx come D-M-D', cioè denaro-merce-denaro, dove il plusvalore è rappresentato dalla differenza tra D' e D.

Nella seconda metà degli anni Settanta un deficit latente e permanente di domanda monetaria, sulle cui radici nell'economia reale abbiamo già detto in altri interventi, ha progressivamente frenato la realizzazione del plusvalore nell'economia delle merci. Poiché, come si è già ricordato, il capitale non può autoriprodursi se non allargandosi, la ricerca del plusvalore è stata spostata dall'economia delle merci al capitale fittizio, che, nei termini di Marx, è quello indicato dalla formula D-D', dove il denaro genera maggiore denaro senza passare per la merce.

Maggiore denaro non è però di per se stesso plusvalore, perché il plusvalore è una quantità di valore contenuta nel valore della merce prodotta dal lavoro.

Se così non fosse, se maggiore danaro fosse di per se stesso plusvalore, il denaro avrebbe valore in quanto tale, come semplice carta, e ciò è evidentemente assurdo. Il danaro ha un valore in quanto rappresenta il valore di scambio delle merci, rispetto alle quali ha potere d'acquisto. Lo speculatore che guadagna con passaggi da denaro a denaro, si appropria quindi di plusvalore soltanto in quanto il denaro che guadagna “vale” una certa quantità di merci. Quella quantità di merci, d'altra parte, non può essere magicamente generata dal denaro stesso. L'illusione ottica che se uno speculatore guadagna cifre enormi facendo svalutare una moneta tragga il suo guadagno da una specie di gioco da casino, è appunto un'illusione ottica.

Il capitalista, infatti, che da una speculazione guadagna, ad esempio, un miliardo, ha in mano un potere d'acquisto di beni per il valore, appunto, di un miliardo, tanto è vero che si può comprare ville, aerei, panfili ecc.

Da dove vengono quei beni? Non certo dal nulla. Nel caso di una speculazione al ribasso di una moneta, che abbiamo preso come esempio, i beni importati costano di più, e quindi la popolazione dispone, con gli stessi denari, di un minore potere d'acquisto dei beni, il valore dei quali è passato agli speculatori.

Tutti i guadagni speculativi non sono, quindi, come mostra l'esempio fatto (e i tanti altri che si potrebbero fare) che prelievi nascosti e parassitari di plusvalore, attraverso meccanismi di trasmissione indiretta di ricchezza prodotta dall'economia delle merci.

Poiché il sistema finanziario globale è capitale fittizio, dunque capitale necessitato alla sua ininterrotta accumulazione, e poiché tale sua accumulazione, non passando per le merci, deve prelevare continuamente ricchezza prodotta dall'economia che passa attraverso le merci, il sistema finanziario globale non può che essere un meccanismo di depauperamento delle economie nazionali.

Questo per la necessità della sua stessa logica di funzionamento. Credere, quindi, che una crisi locale, coma quella della Grecia, possa essere risolta da provvedimenti temporanei di cosiddetta austerità, o che altri paesi possano prevenire una crisi simile con politiche di smantellamento della protezione sociale, o grazie al mitico avanzo primario del bilancio statale, o all'ancora più mitica crescita, è assurdo.

I paesi europei saranno come un treno con una serie di vagoni di cui la speculazione attaccherà sempre l'ultimo, e un ultimo ci sarà sempre, perché, fatto fuori l'ultimo, sarà il penultimo a diventare tale. Nel momento storico attuale, spogliare la ricchezza del sistema finanziario e bloccarne il funzionamento, è certamente un'impresa difficile e dai risvolti nell'immediato anche nocivi. Occorre però sapere che, senza farlo, nel giro di alcuni anni, ogni residua ricchezza economica e sociale dei nostri paesi sarà divorata da questo mostro. Di questo, purtroppo, c'è oggi una scarsissima consapevolezza.

Pochi capiscono, come Guido Viale, qual è la situazione. Egli scrive ne «il manifesto» del 12 luglio: «In un mondo al cappio, è la finanza internazionale che fa la politiche economiche. Quelle che vedete. Gli Stati non ne fanno più, o ne fanno solo quel poco che la finanza permette loro di fare, a condizione di potere continuare a speculare e a mandare i malora il pianeta. Anche la crescita, ormai, le interessa solo fino a un certo punto: se non c'è, poco male, finché restano pensioni, salari, welfare, servizi pubblici e beni comuni da saccheggiare. Non è la prima volta nella storia che questo succede. Anche Luigi XIV, il re Sole, diceva: “dopo di me il diluvio”».

Perfetto (a parte che il sovrano in questione non era il re Sole, ma il suo successore Luigi XV).

Se è chiaro questo meccanismo infernale che ci attacca, ci si può chiedere come mai l'attacco venga condotto in questi giorni contro l'Italia.

La risposta sta probabilmente nella evidente debolezza del governo Berlusconi, minato da scontri interni e dalle indagini giudiziarie. Il punto decisivo qui è probabilmente il primo, il fatto cioè che il blocco politico che sostiene Berlusconi è un arcipelago di feudi politico-imprenditoriali-mafiosi in lotta feroce per la spartizione di risorse sempre più scarse. Berlusconi, sempre più indebolito, non sembra più in grado di mantenere questa conflittualità entro limiti compatibili con una linea unitaria di governo. Questa evidente debolezza rende in questa fase il nostro paese un facile bersaglio per le manovre della finanza internazionale. È molto probabile che questa situazione diventerà presto ingestibile, e che il governo Berlusconi venga sostituito da un governo tecnico sostenuto dal centrosinistra.

Questo significherà ulteriori strette, ulteriori manovre depauperatrici dei ceti subalterni.

Le richieste europee, delle quali il centrosinistra si farà strumento in maniera più convinta rispetto al centrodestra, comportano altre manovre altrettanto devastanti di quella appena varata dal governo Berlusconi.

Il destino che attende questo paese è del tutto simile a quello che vediamo realizzarsi per la Grecia. Il popolo italiano non ha nulla da sperare da destra e sinistra, che sono egualmente strumento delle oligarchie internazionali.

L'unica possibilità di resistenza sta in un rifiuto netto di destra e sinistra, copiando lo slogan del popolo argentino di dieci anni fa (“che se ne vadano tutti!”), e in una posizione di totale e intransigente rifiuto dell'attuale manovra finanziaria e delle prossime.

Noi il debito non lo paghiamo: su questo slogan occorre costruire un fronte di opposizione sociale con tutte le forze disponibili. La costruzione di un tale fronte è l'unica speranza di contrastare i sicuri effetti negativi che una crisi paragonabile a quella greca avrebbe per l'Italia. È infatti evidente che una tale crisi in Italia, in mancanza di forze che si oppongano ad essa in nome del superamento dell'attuale organizzazione economica e sociale, potrebbe avere solo due esiti possibili: o la disperazione totale, e di conseguenza l'imbarbarimento “molecolare” del paese, o una svolta reazionaria, magari gestita dalla Lega o da suoi spezzoni, con la possibile rottura dell'unità del paese. La creazione di un fronte anticapitalistico di opposizione sociale alla crisi ci appare quindi una urgente necessità.

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