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comidad

Perchè l'Italia ha sempre torto?

di comidad

Il duo Conte-Di Maio ha gravissime corresponsabilità nell’aver trascinato l’Italia nell’avventura senza ritorno dell’emergenza Covid; ma, nel caso dei pescatori di Mazara del Vallo, ha fatto ciò che poteva e doveva fare per salvare delle vite umane. Anche dal punto di vista diplomatico l’iniziativa del duo di incontrare il signore della guerra Haftar, è stata un successo, poiché ha dimostrato che un leader locale in difficoltà, ed a rischio di isolamento, ha immediatamente cercato una sponda nel governo italiano; ciò ad indicare che l’influenza coloniale dell’Italia sulla Libia regge ancora, nonostante nove anni di aggressione da parte di altri attori imperialistici ben più forti.

L’iniziativa è stata però quasi unanimemente narrata come un’umiliazione da parte dei media e persino i commentatori meno conformisti hanno rimproverato il governo di non aver almeno minacciato l’uso della forza nella circostanza, come già aveva fatto la Turchia in circostanze analoghe. Si tratta di argomenti che ricordano una battuta di un famoso film di Massimo Troisi: il figlio dei vicini è sempre più bravo di te. I Tedeschi sono più efficienti di te, i Polacchi sono più bravi di te a spendere i fondi europei, i Turchi sanno come farsi rispettare e tu no; e così via.

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perunsocialismodelXXI

Le superdonne che piacciono al capitalismo

La svolta reazionaria del femminismo mainstream

di Carlo Formenti

Che la svolta "post socialista" delle correnti maggioritarie del femminismo - quelle, per intenderci, che dedicano il proprio impegno esclusivamente al conseguimento della parità di genere in tutti i campi dell'attività economica, sociale e politica e al riconoscimento identitario, avendo abbandonato ogni pretesa di superamento del capitalismo - abbia trasformato un movimento originariamente anti sistemico in un'ideologia reazionaria, in quanto funzionale alla conservazione dello stato di cose esistente, dovrebbe essere ormai scontato per chiunque insista a considerare attuale lo slogan "socialismo o barbarie". Ma, a quanto pare, non è così. Ricevo infatti da Cristiana Fischer una mail in cui riversa il testo di un suo commento alla pagina di un'amica che aveva rilanciato il mio precedente post su questo blog. Non riporto tutto il testo ma solo alcuni passaggi della seconda parte (le frasi evidenziate in corsivo sono sottolineature mie).

Fischer dice che io non ho colto cosa significhi <<sempre di più e più ampiamente>> il femminismo, come dimostrerebbe il fatto che mi interrogo sul perché l'ascesa al potere di figure femminili come Clinton Merkel, Von der Leyen, Kamala Harris dovrebbe rappresentare di per sé un passo verso un mondo migliore.

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contropiano2

“Piano contro mercato”, la centralità del salario

di Andrea Genovese*

Il libro di Pasquale Cicalese Piano contro mercato – Per un salario sociale di classe (Gruppo LAD, 2020) raccoglie, in maniera organica, i contributi pubblicati dall’autore nell’ultimo decennio.

Nei suoi interventi, pubblicati con regolarità da testate quali Marx21, L’Antidiplomatico e Contropiano, Pasquale coniuga rigore metodologico, precisione analitica, ed un privilegiato punto di osservazione: quello di un ricercatore indipendente, estraneo alle logiche, spesso conformiste e soffocanti, dell’accademia.

Uno sguardo fresco il suo, capace di processare una grandi mole di dati e fornirci, in tempi rapidi, originali chiavi di lettura ed anticipare tendenze. Da anni, ormai, la mia quotidiana rassegna stampa giornliera non può non includere la lettura delle analisi di Cicalese.

Piano contro Mercato permette a tutti di confrontarsi con un’utile raccolta, che dimostra come Pasquale sia stato costantemente in grado di cogliere, per tempo (e, purtroppo, spesso inascoltato) i grandi cambiamenti che avvenivano, su scala globale.

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centrotagarelli

Il virus più letale non è il Covid-19, è la guerra

di John Pilger

Il Memoriale delle Forze Armate Britanniche è un luogo evocatore e silenzioso. Situato nel mezzo della bella campagna dello Staffordshire, in un parco dove crescono 30.000 alberi su ampie colline, le sue figure omeriche commemorano la determinazione e il sacrificio. Vi sono elencati i nomi di più di 16.000 soldati, uomini e donne, scolpiti nella pietra. La targa dice che “morirono nel teatro di operazioni o vittime di un attentato terroristico”.

Il giorno in cui l’ho visitato uno scalpellino stava aggiungendo nuovi nomi dei caduti di circa 50 operazioni in tutto il mondo, durante quello che è noto come “tempo di pace”. Malesia, Irlanda, Kenya, Hong Kong, Libia, Iraq, Palestina e molti altri luoghi, comprese le operazioni segrete come quella dell’Indocina.

Da quando fu dichiarata la pace nel 1945, non è passato un solo anno senza che la Gran Bretagna abbia inviato forze militari a combattere nelle guerre dell’impero. Non è passato un solo anno senza che alcuni paesi – la maggioranza dei quali impoveriti o lacerati dai conflitti - abbiano comprato armi britanniche (o le abbiano avute tramite “crediti morbidi”) per promuovere le guerre o gli interessi dell’impero.

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linterferenza

Dizionario di ipocrisie, false prove, occultamenti. La guerra mediatica dell’impero

di Antonello Boassa

I pellerossa erano “illegali”, occupavano una terra non destinata loro. Così il parere di molti intellettuali americani. Secondo il “Destino manifesto”, ideologia diffusa nella prima metà dell’ottocento tra gli invasori “legali”, gli immensi spazi che si aprivano ai loro occhi erano stati assegnati ai conquistatori irrevocabilmente da Dio stesso. E dunque tutto poteva essere “preso”. Terre, fiumi, montagne, animali. Chi si fosse opposto avrebbe agito criminalmente contro la volontà del Signore e quindi doveva essere eliminato, a meno che non avesse obbedito incondizionatamente al nuovo Padrone.

Una tale ideologia coinvolgeva – è bene precisarlo – sia gli individui più spregevoli sia le anime belle che in un modo o nell’altro accettavano un tale stato di cose come inevitabile. Gran parte della letteratura e della cinematografia ha voluto e saputo magnificare la conquista del West mitizzando mediante le star del cinema un’avventura bellica che ben poco ha di cavalleresco e molto ha invece di genocidio premeditato e giustificato. Non solo battaglie tra frecce e fucili ma anche e soprattutto incursioni vigliacche contro comunità di vecchi, bambini, donne, in assenza dei guerrieri. Nella totale impunità stupri, tortura, saccheggio, omicidi.

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voltairenet

Chi distrugge il Libano e perché

di Thierry Meyssan

Se negli ultimi due decenni la distruzione di cinque Stati del Medio Oriente Allargato ha richiesto guerre sanguinose, in Libano la guerra i libanesi se la sono fatta da soli, pur senza rendersene conto. La Resistenza ha assistito impotente al crollo del Paese. È la dimostrazione che si può vincere una guerra senza doverla necessariamente fare

Il Libano, spesso presentato a torto come «il solo Stato democratico arabo», persino come «la Svizzera del Medio Oriente», in pochi mesi è crollato. Eventi in successione – le manifestazioni popolari contro la classe politica (2019), la crisi bancaria (2019), la crisi sanitaria (luglio 2020) e l’esplosione al porto di Beirut (agosto 2020) – hanno provocato la brusca scomparsa delle classi medie e un abbassamento generale del tenore di vita dell’ordine del 200%.

Secondo i libanesi, la causa di quest’orrore sarebbe la gestione catastrofica del Paese da parte d’una classe politica i cui dirigenti sono tutti corrotti, salvo quelli della comunità confessionale cui immancabilmente dichiara di appartenere la persona con cui si sta parlando. Questo pregiudizio assurdo rivela una popolazione intollerante e maschera la realtà.

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micromega

Tornano le “Lettere dal carcere” di Gramsci in una nuova edizione

di Angelo d’Orsi

Quando, nella primavera del 1947, uscì in libreria un volume intitolato “Lettere dal carcere”, pubblicato da Einaudi, in una dimessa, ma elegante edizione in brossura, con copertina grigia, pochi ci fecero caso. Ma quando, qualche mese dopo, nell’estate, quel libro ottenne inopinatamente il Premio Viareggio, scoppiò il “caso”: sia perché si trattava non di un testo classicamente di narrativa, sia perché l’autore era mancato (ben dieci anni prima), e oltre tutto era “un comunista”, anzi colui che all’epoca veniva identificato come fondatore del Partito comunista italiano.

Alludo naturalmente ad Antonio Gramsci, che con quel Premio, che suscitò infinite polemiche da parte degli ambienti cattolici conservatori e in generale della destra, venne all’improvviso scoperto dalla cultura e dalla politica italiane. Fino ad allora il suo nome era noto soltanto a una parte dei militanti comunisti, soprattutto del Partito, e ancora meno fuori di quell’ambito, compresi gli ambienti antifascisti. Si sapeva soltanto che era stato “il fondatore” del Partito (cosa peraltro non vera perché sappiamo da tempo che quel ruolo fu di Amadeo Bordiga) e che era una delle vittime illustri del regime mussoliniano. Insomma di Gramsci era al massimo noto, non a tutti, il nome, inserito nel martirologio antifascista.

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filosofiainmov

Benjamin, Baudelaire e la modernità

Una voce critica nella folla

di Paolo Quintili

Il 26 settembre 1940 moriva il filosofo marxista ebreo e «eretico» Walter Benjamin (1889-1940), a Port Bou, sulla costa atlantica della Spagna, in fuga dalla persecuzione nazista, e in vana attesa d’imbarcarsi per gli Stati Uniti, dove l’attendevano a New York gli amici Max Horkheimer e Theodor W. Adono, nel ricostituito il nucleo dell’Institut für Sozialforschung di Francoforte, soppresso nel 1933 dal regime nazista. Quando Benjamin si tolse la vita con un’overdose di morfina, portava con sé i manoscritti dell’ultima opera, dedicata a Baudelaire e ai Passages di Parigi. A ottant’anni dalla scomparsa, oggi il suo lascito intellettuale non cessa di suscitare interesse per l’ampiezza e la profondità di vedute su temi filosofici fondamentali, ancora oggi. In particolare, il tema della «modernità» (termine forgiato da Baudelaire), la quale, malgrado le sirene del «postmodernismo», è ancora la nostra, nei primi decenni del ventunesimo secolo.

Tra i molteplici temi affrontati da Benjamin, il maggiore è dunque senz’altro la critica della modernità capitalistica, che trova espressione letteraria nell’opera del maggiore poeta della «Parigi capitale del secolo XIX», Charles Baudelaire (1821-1867).

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contropiano2

Se questo è un sindacato…

di Sergio Scorza

Fatti e antefatti dell’inesorabile declino dei principali sindacati italiani.

Le vicende della CISL documentate dall’eccellente inchiesta di Report, andata qualche giorno fa su Rai3, avrebbero fatto arrossire anche uno come Jimmi Hoffa, se fosse ancora vivo.

Ispezioni pilotate, dimissioni forzate, opacità, omertà, violenze psicologiche, mobbing, abusi, distrazione di fondi, arricchimenti illeciti ai danni degli iscritti et.

Tutto in un quadro di omertà e di opacità assoluta in cui il dirigente apicale di turno, pur di difendere il proprio ruolo di padrone assoluto del sindacato e pappone alle spalle dei lavoratori, non va mai per il sottile quando si tratta di bastonare duramente qualche dirigente periferico che abbia osato – anche solo minimamente – criticare il suo sistema di potere personale ed i suoi enormi privilegi.

Ma, riassumiamole per sommi capi, le vicende raccontate da Report:

1. SUPERSTIPENDI E PENSIONI D’ORO. Nel 2015, un ex dirigente della #CISL, Fausto Scandola, aveva denunciato che alcuni dirigenti di quel sindacato avevano accumulato un lordo previdenziale ben superiore a quanto stabilito dal regolamento dell’epoca. In alcuni casi si arrivava anche al doppio, 200mila euro, quando il limite previsto era ca. 87mila.

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marx xxi

L’anticomunismo triste di Ezio Mauro

di Luca Cangemi

Con La dannazione. 1921. La sinistra divisa all'alba del fascismo (Feltrinelli editore, 2020), libro dedicato alla scissione di Livorno e alla nascita del Partito Comunista, Ezio Mauro completa la trilogia anticomunista iniziata con L'anno del ferro e del fuoco (a cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre) e proseguita con Anime prigioniere (a trenta anni dalla caduta del Muro di Berlino).

Sono libri che non si segnalano certo per l’accuratezza e le novità della ricerca storica (per le quali, se non altro, manca il tempo: in questi, pochi, anni oltre alla trilogia Mauro ha scritto diversi altri volumi, su argomenti importanti e innumerevoli articoli impegnativi). Eppure sono libri che vanno analizzati attentamente.

Analizzati, innanzitutto, perché parte di una complessa operazione politico-culturale sviluppata con ampi mezzi, di cui i testi sono il centro (anche se a volte sembrano solo il pretesto).

Da ognuno di questi libri si dirama una fitta serie di altri “prodotti”: audiolibri, video, pagine patinate di settimanali, interviste televisive, eventi di varia natura. Una operazione egemonica diretta a vari segmenti di pubblico e, in primo luogo, a costruire una narrazione anticomunista non gridata, normalizzata, fungibile in diversi contesti.

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kriticaeconomica

Disuguaglianze: perché dobbiamo tornare a parlarne

di Luka Slavica

Era il 17 settembre 2011, gli animi erano infuocati e centinaia di attivisti stavano marciando lungo il Financial District di New York: era l’inizio di quello che sarebbe da lì a poco divenuto il movimento “Occupy Wall Street” (OWS)nato da un appello online partito dal Canada. A marcia terminata, i manifestanti si accamparono pacificamente per circa due mesi a Zuccotti park, ribattezzata Liberty Square dagli occupanti, nei pressi della Borsa di New York. Le proteste contro le disuguaglianze si diffusero quindi in molte altre città degli Stati Uniti; alcune rimasero di dimensioni locali, ma tutte furono spinte dallo stesso fermento generale. Il 15 ottobre 2011 la mobilitazione culminò a livello internazionale: vennero toccate oltre 790 città, in 71 diversi paesi, anche grazie alla forte risonanza mediatica provocata dall’evento, oltre che ad un sentimento generale di simpatia verso i dissidenti da parte dell’opinione pubblica.

Fra le file degli “indignados” statunitensi, lo slogan più comunemente impresso era “We are the 99%”: l’obiettivo fortemente antigerarchico dei partecipanti era quello di denunciare l’asimmetria economica tra il top 1% più ricco (in particolare l’élite finanziaria di Wall Street) e il resto della popolazione

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coniarerivolta

Il lavoro c’è ma i lavoratori si scansano: la favoletta continua

di coniarerivolta

È di qualche giorno fa un titolone di un rotocalco appartenente al gruppo GEDI e alla famiglia Agnelli che annunciava la presenza di, udite udite, ben 90 mila posti di lavoro disponibili che non attendono altro che essere riempiti. La favoletta è ben nota, ma riteniamo utile raccontarla per chiarire qualche concetto e suggerire qualche linea interpretativa. Repetita iuvant: spendiamo allora qualche riga sulla propaganda che le testate, e spesso le ricerche accademiche, continuano a propinarci, per poi passare alle cose serie.

Il ritornello è ben noto, dicevamo: in Italia il lavoro non mancherebbe, tutt’altro! Purtroppo, però, i lavoratori non sono adeguatamente formati o, peggio, preferiscono poltrire godendo di qualche ‘generoso’ sussidio. Le soluzioni individuate sarebbero, tanto per cambiare, politiche dell’offerta finalizzate alla formazione dei giovani alla manovalanza – invece che rincorrer i cavalieri, l’arme e gli amori – e investimenti in politiche attive, vale a dire in tutte quelle azioni volte a favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, piuttosto che lo sperpero di risorse nei sussidi di disoccupazione, i quali non incentiverebbero i cittadini a cercare attivamente un lavoro, lasciando scoperte le ghiotte opportunità che gli imprenditori italiani garantirebbero.

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lantidiplomatico

Il socialismo con caratteristiche cinesi nel libro 'Cina Popolare' di Diego Angelo Bertozzi

di Michele Zanche - Yizhong

È un vizio esiziale della nostra liberal-democrazia: l’assoluta leggerezza con la quale vengono emessi giudizi drastici sul resto del mondo, nell’illusione per cui tutte le informazioni che servono per potersi esprimere siano sotto la luce del sole non già dell’opinione pubblica, ma del senso comune. Storie, sacrifici e contraddizioni di paesi geograficamente lontani vengono spazzati via e fagocitati dall’arroganza del semicolto homo occidentalis che, pasciuto dal benessere prodotto dall’ultimo mezzo millennio di imperialismo e colonialismo, si chiede come mai, Anno Domini 2020, non tutti gli stati siano chiamati alle urne ogni cinque anni.

Cina popolare. Origini e percorsi del socialismo con caratteristiche cinesi di Diego Angelo Bertozzi (edito dalla nascente casa editrice dell’Antidiplomatico) è innanzitutto una risposta a tutti coloro che, più o meno consapevolmente, moraleggiano sulla Cina senza conoscerne la storia.

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sinistra

Poveri ma felici, ossia la nuova classifica ONU del Sahel

di Mauro Armanino

Niamey, 20 dicembre 2020. Anche la felicità, nel Sahel, è di sabbia. Tutto qui è precario. Il clima, il lavoro, la politica, le elezioni presidenziali, e soprattutto la sicurezza alimentare. Senza parlare della scuola, la sanità e la speranza di vita. Proprio lei, la felicità, ci consente di risalire nella classifica mondiale e africana dei Paesi più o meno felici. E’il recente rapporto delle Nazioni Unite che l’attesta con certezza. Ebbene sì. I nigerini si sentono più contenti che gli abitanti di altri Paesi dell’Africa occidentale. Il Niger si trova al posto numero 103, facendo un salto di ben undici posizioni rispetto all’edizione del 2019, dove eravamo appena alla poco invidiabile 114 posizione di classifica. Ora sorpassiamo la Nigeria, il Burkina Faso, il Mali e il Togo. Ci passano invece davanti la Costa d’Avorio, il Benin, il Ghana e financo la Guinea delle recenti scandalose elezioni presidenziali. I primi della lista sono i soliti noti. La Finlandia, la Danimarca, la Svizzera, l’Islanda e la Norvegia. Detto rapporto prende in esame gli indicatori tipo il PIB, i servizi sociali, la speranza di vita, le libertà individuali, la generosità e la percezione della corruzione.

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perunsocialismodelXXI

Games of Thrones versus Hunger Games

di Carlo Formenti

La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, si è azzardata a recitare, nel programma Rai Voice Anatomy, un monologo https://www.youtube.com/watch?v=noglabz5fvs della regina dei draghi Daenerys Targaryen, la protagonista del serial televisivo Games of Thrones che ha affascinato milioni di telespettatori di tutto il mondo. Il monologo recita così: <<Sono Daenerys, nata dalla Tempesta. I vostri padroni vi hanno mentito su di me o forse non vi hanno detto niente. Non importa. Non ho niente da dire a loro. Parlo solo a voi...>>. Per chi non abbia visto il serial, o letto la saga di George Martin da cui è tratto, il voi cui si rivolge Daenerys con queste parole si riferisce agli schiavi della città che si appresta a liberare, oppressi da una casta di crudeli padroni cui la regina dei draghi infliggerà una durissima punizione.

Una volta steso un velo di pietoso silenzio sulla pretesa della leader di destra di incarnare un'eroina della lotta contro l'oppressione, tocca riconoscerle di avere rivelato, con quel tentativo di sfruttare un'icona dell'industria culturale, una certa astuzia in materia di comunicazione politica.

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coku

Benjamin e Marx

di Leo Essen

Walter Benjamin appuntava in un quadernino i titoli dei libri e l’anno in cui li aveva letti. Prima del 1933, di Marx aveva letto per intero solo Lotte di classe in Francia. In una lettera del 25 maggio 1925 all’amico Gershom Scholem, nomina due esperienza che doveva ancora fare: occuparsi di politica marxista (la dottrina marxista non la teneva, allora, in alcun conto) e di ebraismo [ Gershom Scholem, Walter Benjamin e il suo angelo].

Negli anni venti il marxismo si era profondamente rinnovato. Nel 1923 erano apparsi, quasi contemporaneamente, Marxismo e filosofia di Karl Korsch e Storia e coscienza di classe di György Lukács. Persino Heidegger (di nascosto) leggicchiava Lukács e Korsch. Dunque, l’avvicinamento di Benjamin al marxismo avvenne in un clima propizio, anche se a imprimere una spinta rilevante fu l’incontro con Brecht.

Dell’influenza di Brecht su Benjamin Scholem ha un’idea negativa. Salvo un’unica eccezione – Brecht, appunto - Benjamin si occupa intensamente soltanto di autori cosiddetti “reazionari”, come Proust, Julien Green, Jouhandeau, Gide, Baudelaire, George. L’eccezione è costituita da Brecht, dice Scholem, il quale per anni ha esercitato su Benjamin un fascino ininterrotto.

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tysm

È il capitalismo delle piattaforme, bellezza! Sulla bolla che verrà

di Christian Marazzi

La settimana scorsa Airbnb, la compagnia di “prenotazione alloggi online”, ha debuttato a Wall Street con un’offerta pubblica iniziale (IPO) che ha sbaragliato tutte le previsioni più ottimistiche, riuscendo a raccogliere qualcosa come 87 miliardi di dollari, più del doppio del valore del più grande gruppo alberghiero del mondo. E questo il giorno dopo il debutto spettacolare di DoorDash, la compagnia di deliveryfood che con la sua IPO ha rastrellato oltre 70 miliardi di dollari. Senza dimenticare l’IPO di Zoom, l’emblema del lavoro in remoto, che ha toccato i 160 miliardi di dollari, oppure quello della sconosciuta Snowflake, un gruppo di analisi dati, che con una valutazione di 120 miliardi di dollari ha eclissato il gigante IBM che un tempo dominava il settore.

È il capitalismo delle piattaforme, bellezza! Ma è anche qualcosa che assomiglia molto, troppo, alla bolla internettiana di una ventina di anni fa, quella bolla che, dopo due anni di “esuberanza irrazionale”, di acquisti squinternati di qualsiasi cosa purché avesse un punto seguito da un com (le famose dotcom), scoppiò come un bubbone, lasciando macerie dietro di sé e preparando la speculazione successiva, quella immobiliare, che portò diritti dritti alla crisi dei subprime del ‪2007- 2008‬.

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lantidiplomatico

Acqua e finanza, il nuovo business dei falchi di Wall Street

di Geraldina Colotti

La notizia che l’acqua verrà quotata a Wall Street con dei titoli derivati è rimbalzata sui media internazionali, consentendo di inquadrare la nuova speculazione voluta dalle grandi istituzioni internazionali – Fondo Monetario e Banca Mondiale, con il placet dell’Unione Europea – a scapito delle popolazioni più vulnerabili a livello mondiale. Com’è già accaduto per altri beni primari come mais, soia, riso o grano, anche l’acqua, essenziale per la vita quanto l’aria, avrà un prezzo in investimento dipendente dalle banche, che ne hanno il controllo mediante i derivati finanziari.

I titoli derivati sono tra gli strumenti finanziari più rischiosi, ma la propaganda capitalista che enfatizza le proprietà “taumaturgiche” e regolative del dio mercato, riesce a presentarli come strumenti vantaggiosi per gli Stati, che vengono spinti a privatizzare le risorse pubbliche, nonostante sia evidente che a guadagnare su un elemento di cui nessuno può fare a meno, come l’acqua, siano solo le grandi multinazionali.

In gran parte del mondo, le multinazionali gestiscono l’acqua potabile ingaggiando una guerra commerciale che porta a una concentrazione monopolistica sempre maggiore.

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carmilla

Benjamin, un marxista meravigliosamente arbitrario

di Fabio Ciabatti

Michael Löwy, La rivoluzione è il freno di emergenza. Saggi su Walter Benjamin, Ombre Corte, Roma 2020, pp. 136, € 13,30

C’è un modo abituale di intendere la politica che rimanda all’azione degli stati, al ruolo delle istituzioni, alle elezioni, al parlamento e così via. C’è poi un altro modo che chiama in causa “la memoria storica delle lotte e delle sconfitte e il richiamo all’azione redentrice degli oppressi, un’azione inseparabilmente sociale politica, culturale, morale, spirituale e teologica”. È questa seconda via che contraddistingue il pensiero di Walter Benjamin e che rende possibile leggere la sua opera in chiave politica, come fa Michael Löwy in una breve raccolta di saggi recentemente pubblicata in italiano, dal titolo La rivoluzione è il freno di emergenza. Filo conduttore di questo testo, secondo il suo stesso autore, è l’idea di rivoluzione in Benjamin perché è convinzione di Löwy che se si espunge dal pensiero del filosofo berlinese “la dimensione sovversiva, rivoluzionaria, insurrezionale perfino, come purtroppo capita spesso nei lavori accademici, si perde qualcosa di essenziale, di prezioso, di inestimabile”.1

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filosofiainmov

Perché la Fiat licenzia MicroMega

La fredda legge della Repubblica della fabbrica

di Antonio Cecere

Abbiamo appreso dalla stampa che la dirigenza di «GEDI» licenzia la storia e l’esperienza intellettuale della redazione di MicroMega. La notizia arriva fulminea, ma nessuno deve rimanere stupito, perché MicroMega è il baluardo della sinistra illuminista, quella Repubblica delle lettere che sappiamo bene essere incompatibile con la Repubblica della fabbrica.

Su questa dicotomia scrivevo appena un anno fa in un piccolo pamphlet uscito a corredo di un dialogo con Lamberto Pignotti (Lessico Resistente- Kappabit editore-2019), dove denunciavo, senza mezzi termini, che il sistema-industria del capitalista alto borghese fosse ormai la forma di autorità̀ che aveva preso il posto della figura dell’autocrate dell’Ancien Régime. Nel secondo novecento l’industria, come dice Pignotti, «non è tanto quella che si vede, quella delle ciminiere e delle macchine, […] ma quella che non si vede, o che ormai non vediamo più perché l’abbiamo sott’occhio, e che entra in noi. L’industria è il cibo, il vestiario, l’alloggio, il divertimento» (1968). Pignotti vede bene come l’industria si sia fatta sistema, linguaggio, identità̀ collettiva, superando l’idea di un sistema di produzione di oggetti e diventando, di fatto, essa stessa, il sistema unico della produzione di senso della società contemporanea.

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sollevazione2

Tokio si aggancia a Pechino?

di A.Vinco

«Il Giappone è una grande Nazione. Non tollererà che l’imperialismo americano la tenga sotto i propri piedi per sempre». Mao Zedong 27.01.1964 [1]

Il ritorno del Giappone neutralista nel nuovo ordine multipolare

Alberto Santoni, tra i più grandi storici militari del ‘900, noto per le sue scoperte relative a Enigma, Ultra e alla crittografia, ha ben mostrato come la causa scatenante della Seconda guerra mondiale sia da vedere nell’attacco del Giappone degli anni ’30 al potere mondiale angloamericano. La strategia del militarismo nipponico, basata sull’unità tra la massa continentale cinese e le grandi corporazioni industriali giapponesi, non era tollerata dall’atlantismo. Le sanzioni imposte da Occidente affamarono l’Arcipelago giapponese, paese più povero al mondo di materie prime. Non restava perciò altra via che l’operazione Z, passata alla storia come offensiva Pearl Harbor (7 dicembre 1941). Santoni considera l’ammiraglio Isoroku Yamamoto, il principale protagonista della guerra lampo del Giappone imperiale, il più grande stratega dei tempi moderni, di gran lunga superiore a Napoleone e Guderian.

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comidad

La confusione è la materia prima del potere

di comidad

La concezione pseudo-razionalistica del potere ce lo descrive come un rapporto negoziale asimmetrico, cioè con un contraente forte ed un altro contraente debole o debolissimo: se non rispetti le leggi ti sbatto in galera, se non paghi la bolletta ti taglio la corrente, se non studi ti boccio, se non paghi il pizzo t’incendio la bottega, eccetera. La base del potere sarebbe quindi una concreta minaccia con la conseguente paura del minacciato.

Se la questione fosse così lineare, non si starebbe da millenni ad interrogarsi sulla natura del potere. La realtà è che se non rispetti le leggi puoi incorrere in sanzioni, ma se cerchi di rispettarle il potere può anche trattarti molto peggio. Anche l’idea che il potere si fondi sulla paura ha ovviamente dei riscontri oggettivi, ma alla paura ci si abitua, ed inoltre la paura può anche essere razionalizzata.

Analizzare razionalmente il potere non vuol dire affatto accettare supinamente che il potere sia razionale; al contrario, il nonsenso e l’autosmentita rappresentano la costante del suo comportamento e della sua comunicazione, per cui il potere risulta schizogeno e schizocratico.

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sinistra

Radio Maria, Voltaire, Rousseau e Sartre sul senso delle catastrofi naturali

di Eros Barone

Occorre dare atto a Radio Maria di avere rotto il silenzio della cultura religiosa (e, bisogna pur dirlo, dello stesso Papa) su un tema scabroso come quello del male che si materializza nelle catastrofi naturali, affermando, come ha fatto un suo conduttore nel corso di una trasmissione radiofonica, che le catastrofi naturali (terremoti, inondazioni, maremoti, epidemie, inquinamento ecc.) che flagellano il mondo contemporaneo sono altrettante punizioni che Dio infligge agli uomini per i loro peccati. Sennonché, preso atto di questa autorevole asseverazione, in un’ottica soteriologica e non solo punitiva il problema che resta irrisolto (forse perché è irrisolvibile o forse perché non è un problema) è quello del senso di queste catastrofi.

Può allora essere illuminante, in una materia così oscura, richiamare un precedente storico-culturale molto significativo, ossia la discussione che si sviluppò in Europa in seguito al terremoto di Lisbona del 1755.

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perunsocialismodelXXI

La schizofrenia di D'Alema, ovvero nostalgia del partito di cui si è stati uno dei grandi liquidatori

di Carlo Formenti

Di Massimo Dalema si può dire tutto il male possibile (la lista dei suoi peccati sarebbe chilometrica) ma certo non si può dire che sia uno stupido. Lo conferma la lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera, firmata da Antonio Polito e uscita oggi (sabato 19 dicembre 2020), in cui il nostro sparge lacrime di coccodrillo sul vuoto politico lasciato dalla scomparsa del Pci (il titolo dell'intervista recita "Ora a sinistra serve un partito nuovo. E con un po' del Pci" - ma solo un po', sia ben chiaro...😃 ).

Vediamo alcuni passaggi che confermano quanto sopra affermato in merito al fatto che "Baffino" non è uno stupido. Partiamo dalla seguente riflessione di argomento geopolitico: <<Il mondo non si è affatto tutto occidentalizzato, come pensavamo. Anzi, l'Ovest non è sempre sulla frontiera avanzata dell'innovazione. La democrazia liberale perde fascino perché i nostri sistemi non riescono più né a mitigare le disuguaglianze né a far funzionare l'ascensore sociale. Ciò nonostante l'Occidente sembra in conflitto con tutti, con la Cina sul commercio, con la Russia sulle sanzioni, con l'Iran sul nucleare, con la Turchia sul Medio Oriente>>.

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insideover

L’Italia produce una cura per Covid-19, ma finisce negli Stati Uniti

di Paolo Mauri

Si chiama Bamlanivimab, o LY-Cov555, ed è un anticorpo monoclonale scoperto dalla multinazionale americana Eli Lilly che riduce la carica virale di Sars-CoV-2, quindi ne abbatte i sintomi e conseguentemente il rischio di ricovero. La stessa cura che, per intenderci, ha permesso al presidente degli Stati Uniti Donald Trump di guarire da Covid-19 in relativamente poco tempo.

Gli Usa ne hanno acquistate 950mila dosi, seguiti dal Canada e, a quanto sappiamo, anche dalla Germania. Questa cura, però, avrebbe potuto essere somministrata anche a 10mila italiani, ma non è stato fatto. Perché? La multinazionale del farmaco statunitense produce LY-Cov555 anche in Italia, in uno stabilimento nei pressi di Latina, e ad ottobre, come ha scoperto un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano, era stata data la possibilità al nostro Paese di sperimentare questi anticorpi un un trial clinico gratuito che avrebbe coinvolto 10mila persone, ma il tutto è rimasto lettera morta.

Diverse sono le motivazioni, alcune delle quali riguardano le tempistiche burocratiche di accettazione e commercializzazione dei nuovi farmaci in Europa, ed in Italia, che sono molto diverse rispetto a quelle negli Stati Uniti.

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contropiano2

Recovery fund, i conti sui sussidi danno saldo negativo per l’Italia

di Andrea Del Monaco*

Bisogna sempre guardare dentro i “trattati europei” e mai fidarsi delle dichiarazioni dei boss di Bruxelles, e ancor meno dei gazzettieri retribuiti per rilanciarne le dichiarazioni come fossero parole della bibbia.

Dopo l’illuminante analisi degli economisti di Coniare Rivolta, che spiegano con chiarezza come il Recovery Fund (o NextGeneration EU) non sia altro che una “garanzia europea” su prestiti da contrarre sul mercati, con una modesta riduzione della spesa per interessi ma con il collare di ferro della “condizionalità” decise dalla Commissione Europea (come usarli, per quali investimenti, con quali tempi, ecc), ecco un altro approfondimento che – conti alla mano – dimostra quanto ci perde questo Paese.

E poiché parliamo di soldi pubblici – contributi versati dallo Stato – ossia di risorse raccolte con la fiscalità generale, le cui storture sono note da decenni (pagano tutto e di più lavoratori dipendenti e pensionati, mentre imprenditori di ogni livello moltiplicano le loro entrate grazie all’evasione fiscale su grande scala), si capisce in un attimo come questa perdita non sia una lamentela “nazionalistica”, ma una brutale questione di classe.

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ist onoratodamen

Si scrive vaccino ma si legge merce. E s’ha da fare a ogni costo! Lo esige sua maestà il denaro

di Giorgio Paolucci

Il profitto prevale sulla salute della collettività e lo speculatore sul medico onesto, questa è la legge del capitale

Prima ancora che una sola delle agenzie preposte alla validazione dell’efficacia e la sicurezza dei farmaci si pronunciasse, e senza aver reso noto un solo dato relativo alla sperimentazione sugli uomini, le maggiori case farmaceutiche impegnate nella messa a punto di un vaccino anti Covid–19 già dai primi giorni dello scorso mese di novembre; una dietro l’altra hanno annunciato di averne messo a punto uno proprio, attribuendo ognuna al proprio un’efficacia sempre maggiore di quello della concorrenza.

Una corsa al rilancio al limite del ridicolo, tanto che il microbiologo belga Emmanuel André su Twitter, mentre l’asticella saliva sempre più, ha così sarcasticamente commentato: «Comprendo le motivazioni finanziarie che spingono le aziende farmaceutiche a diramare comunicati stampa in cui dicono di essere le migliori. Ma siamo seri: se continueranno con queste escalation giornaliere, arriveremo al 140% di efficacia prima che venga pubblicato il primo studio peer-reviewed».[1]

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Silvia Federici, se il femminismo parla al presente

di Paola Rudan

Da tempo, anche sotto l’impulso della sua presenza attiva nel femminismo popolare latino-americano, la riflessione di Silvia Federici ha grande diffusione editoriale. Ne sono testimonianza la seconda edizione per ombre corte di Il punto zero della rivoluzione, e la pubblicazione di due nuove raccolte – Genere e Capitale. Per una lettura femminista di Marx e Caccia alle streghe, guerra alle donne ‒ per DeriveApprodi e Nero edizioni. Ci sono in entrambi i casi contenuti inediti in Italia, insieme a saggi già noti ora riassemblati secondo due linee problematiche e di ricerca tra loro legate. Genere e Capitale, espone il confronto e lo scontro di Federici con Marx, che in Caccia alle streghe trova un campo di applicazione nella comprensione femminista di quel processo che Marx ha definito «accumulazione originaria» del capitale. I testi vanno quindi letti insieme, bisogna farlo nel lungo arco polemico in cui hanno visto la luce – dagli anni Settanta ai giorni nostri ‒ e ricercando gli strumenti che sono in grado di offrire alla critica e all’iniziativa politica femminista nel presente globale.

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Gli Stati uniti scaricano la crisi economica sull’Eurozona

di Alessandro Perri

Le decisioni comunicate al termine dell’ultima riunione del 2020 di ieri sera dalla Federal reserve (Fed, la “Banca centrale” statunitense) hanno confermato le aspettative. La Fed ha infatti annunciato il mantenimento dei tassi d’interesse nel range 0-0,25%, che in altre parole significa che continuerà a mantenere a un livello quasi nullo il costo del denaro.

Contemporaneamente, verrà mantenuto il ritmo degli acquisti sia dei titoli di Stato, sia dei titoli delle agenzie garantite dallo Stato, rispettivamente a un ritmo di 80 e 40 miliardi di dollari al mese.

Il livello di acquisti – afferma la Fed – rimarrà tale fin quando non saranno raggiunti «sostanziali» progressi sul fronte dell’occupazione e dell’inflazione, ossia «il massimo dell’occupazione e dell’inflazione al tasso del 2% nel lungo periodo», mantenendo una «posizione accomodante di politica monetaria fino al raggiungimento di questi risultati».

Il lungo periodo per il calcolo della media del tasso d’inflazione è, nel nuovo approccio della Fed, un arco di tempo non-definito (fino a settembre era invece annuale).

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"Nel nome della madre. In ricordo di Genoeffa"

a cura di Francesco Giordano

Sebben che siamo donne
paura non abbiamo

Mi chiamo Genoeffa Cocconi, moglie di Alcide Cervi e madre di Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore e voglio prendere la parola, oggi, nel 2020, in questo fine 2020 faticoso per tutti e tutte.

E voglio innanzitutto ricordare anche le mie due figlie: Rina e Diomira.

Dunque sono Genoeffa Cocconi, donna, moglie e madre di nove figli.

Dopo la Liberazione si è molto parlato della famiglia Cervi.

Nel mio cuore, dentro di me, provavo orgoglio, misto a vergogna.

Orgoglio perché certo che era giusto partecipare alla Lotta di Liberazione contro chi occupava la nostra terra, contro nazismo e fascismo.

Vergogna perché pareva che io non esistessi, le mie figlie non esistessero, non avessimo avuto una vita ed un ruolo, mentre la presenza e l’attività delle donne, anche la mia, nella Resistenza è stata senza dubbio determinante.