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econopoly

La Corte costituzionale tedesca ha ragione (ma non può dire il perché)

di Emiliano Brancaccio e Luigi Cavallaro

Nell’infinita controversia con la Corte di giustizia dell’Unione Europea, la Corte costituzionale tedesca ha ragione nel sostenere che l’azione della Bce potrebbe aver violato il principio di “neutralità” della politica monetaria e i Trattati che ne disciplinano le attribuzioni. Ma questa ragione si fonda su un fatto che né i giudici di Lussemburgo né quelli di Karlsruhe possono ammettere: la Bce non può perseguire l’agognata neutralità semplicemente perché questa non esiste. E se non esiste la neutralità, non è ammissibile nemmeno l’indipendenza politica del banchiere centrale.

* * * *

«Pazzi al potere, che odono voci nell’aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro».

Per irriverente che possa sembrare ai benpensanti, solo il sarcasmo di Keynes può descrivere la genesi dei Trattati europei e della posizione che vi occupa la Banca centrale europea. I padri fondatori dell’unione monetaria ne hanno infatti edificato l’ordinamento “distillandolo”, per l’appunto, dagli alambicchi della teoria macroeconomica neoclassica nelle sue più aggiornate varianti, e in particolare da quel suo fondamentale caposaldo che è il principio di “neutralità” della politica monetaria.

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fattoquotidiano

Karlsruhe e il futuro: la Ue si governa contro Berlino?

di Sergio Cesaratto

La sentenza della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio ha aperto il vaso di Pandora delle contraddizioni dei tre pilastri della governance europea, giuridico, politico ed economico. Essa è una ferita inferta alla BCE, lasciata sinora sola ad affrontare gli effetti economici della pandemia, e la sua ombra ricade anche sull’iniziativa Merkel-Macron del recovery fund.

La sentenza ne ha avute per tutti, BCE, Corte di giustizia europea (CGE) e persino parlamento e governo tedeschi, colpevoli di non aver tutelato i propri cittadini.

Suo oggetto è stato il programma di acquisti di titoli pubblici e privati (PSPP) iniziato da Draghi nel 2015, più noto come quantitative easing, contestato da alcuni cittadini tedeschi. La Corte ha ritenuto l’intervento legittimo, ma sproporzionato rispetto all’obiettivo di far risalire l’inflazione al 2%. La BCE non avrebbe inoltre tenuto conto delle vittime collaterali del programma, come i fondi pensionistici (tedeschi) danneggiati dai tassi di interessi negativi e, soprattutto, dello sconfinamento della politica monetaria in quella fiscale col sostegno alle finanze pubbliche dei paesi ad alto debito, così sottratti alla frusta dei mercati e alle inevitabili manovre di aggiustamento.

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gennaro zezza

Moneta fiscale e bonus fiscali

di Gennaro Zezza

Senza clamori, il governo sta iniziando ad emettere, su piccola scala, della “moneta fiscale”, con una operazione che mi pare molto apprezzabile.

Come abbiamo spiegato a varie riprese, possiamo parlare di “moneta fiscale” quando il governo emette un mezzo di pagamento che è disposto ad accettare per la estinzione di un debito fiscale, come il pagamento dell’Iva, dell’Irpef, o di tributi locali.

La nostra proposta suggeriva di introdurre una moneta fiscale in ogni Paese dell’Eurozona, come primo passo di una trasformazione dell’Euro da moneta unica a moneta comune, ma questo non è, per il momento, nelle intenzioni del governo.

Sembra invece confermato che alcune tipologie di moneta fiscale siano già disponibili: un bonus di (massimo) 500 euro per le vacanze per le famiglie con un reddito ISEE basso; un bonus bici fino a 500 euro che copre il 60% del costo di acquisto di biciclette o altri mezzi di mobilità sostenibile; il c.d. “ecobonus” al 110% per gli interventi di riqualificazione energetica e antisismica.

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linterferenza

“Contromano” di Fabrizio Marchi

di Salvatore A. Bravo

Il testo di Fabrizio Marchi “Contromano” scompagina stereotipi e dogmatismi del nostro tempo. Il progresso e l’illuminismo sono la religione non riconosciuta dell’occidente. Lo scientismo laicista epifenomeno dell’illuminismo ha fondato la religione della merce, poiché ha eroso ogni fondamento veritativo fino al trionfo del capitalismo e della mercificazione assoluta. Affinché la merce possa capillarmente diffondersi è necessario rimuovere ogni limite, per cui dietro la retorica dei diritti civili non si cela che il cannoneggiamento del capitale che rimuove ogni comunità, ogni identità e tradizione. Il capitalismo laicistizzato[1] ha raggiunto l’apogeo della sua espansione e della colonizzazione delle menti. La mercificazione totale necessita di essere puntellata da miti (femminismo, teoria gender, laicismo, diritti civili senza diritti sociali) che risultano essere i dogmi della liturgia del capitale. Non vi è nel testo di Fabrizio Marchi nostalgia per il passato, ma la passione per la verità che necessita di sottoporre a critica costruttiva i dogmi di una società che proclama la libertà e l’emancipazione e nello stesso tempo impedisce la dialettica e la discussione su se stessa. Discutere dei miti dell’occidente, oggi, è praticamente impossibile, l’occidente proclama la morte delle ideologie, per nascondere il trionfo dell’ideologia della merce, con tale operazione il capitale si ritrae da ogni confronto dialettico.

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blackblog

Il dopo-coronavirus: una nuova Bretton Woods?

di Sandrine Aumercier

Via via che gli Stati si imbarcano nel de-confinamento, si comincia sempre più a parlare dei progetti che accompagneranno la crisi e che viene convenzionalmente chiamato rilancio economico. E questo, d'altronde, senza che nessuno abbia la benché minima idea se in autunno ci sarà una risorgenza del virus Sars-CoV-2 sotto forme eventualmente mutate. Sulle note di un falso «Grande cambiamento» (rilocalizzazione delle attività essenziali, sostegno ad un'economia senza carbone, ecc.), non si tratta solo di riprendere il più rapidamente possibile la «vita normale», ma di darsi un gran da fare, e mettercela tutta per tamponare una recessione che recentemente la Commissione europea ha paragonato a quella del 1929. I governi liberali che, di fronte ad un futuro incerto ed in nome della salvezza di vite umane, si sono indebitati per miliardi sono ora sul punto, spesso con enormi precauzioni, di presentare il conto facendo marcia indietro su alcune delle promesse fatta troppo alla leggera quando il processo di confinamento si trovava al suo apice. Ma ci si può aspettare altro da loro, intrappolati come sono in una contraddizione irrisolvibile tra l'imperativo della sicurezza e quello della crescita?

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militant

Riprendersi la strada

di Militant

L’ipocrita campagna mediatica che è montata su imbeccata della questura di Torino dopo l’intervento di alcuni compagni in via Balbo, mostra molto chiaramente quanto sia vuota la retorica giustizialista sullo spaccio. Il riempirsi la bocca di lotta alla criminalità e alla droga da parte dello stuolo di benpensanti che affollano le redazioni dei principali quotidiani nazionali e locali, fa il paio con la complice tolleranza delle forze dell’ordine nei confronti de lo smercio che investe i quartieri popolari, strumento sempre efficace nel momento in cui si voglia trovare la scusa buona per “intervenire” o ricevere qualche dritta senza grandi sforzi. A questi, poi, bisognerà aggiungere quanti portano in palmo di mano i vari Saviano di turno, sempre pronti a incensare i loro eroi quando si parla di autori di best-sellers molto remunerativi, ma altrettanto tempestivi quando si tratta di infamare quanti non trovano il limite invalicabile alle loro azioni nella carta stampata. Insomma, quando si tratta di dare addosso allo spacciatore di turno, magari sulla spinta dell’onda securitaria o complici delle sempre più frequenti svolte reazionarie si da fiato alle trombe e la “piaga sociale” dello spaccio viene sbattuta in prima pagina come nemico numero uno.

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osservatorioglobalizzazione

Tutti i vicoli ciechi della Sinistra liberal

di Matteo Luca Andriola

Secondo Jean-Claude Michéa «la peggiore delle illusioni in cui oggi può cullarsi un militante di sinistra è quindi quella di continuare a credere che quel sistema capitalista che egli afferma di combattere costituisca in sé un ordine conservatore, autoritario e patriarcale, i cui pilastri fondamentali sarebbero la Chiesa, l’Esercito e la Famiglia. Se si confronta questa prospettiva delirante con ciò che abbiamo realmente sotto gli occhi, ci si rende conto che poggia su una confusione micidiale fra le differenti figure proprie allo spirito borghese […] e allo spirito del capitalismo»[1].

Costanzo Preve, invece, notava che il neocapitalismo «ha liberalizzato la sua etica e il suo riferimento alla religione, e lo ha fatto spinto dalla sua intrinseca logica ad allargare la mercificazione universale dei beni e dei servizi, per cui oggi sono mercificati beni e servizi che la borghesia classica intendeva invece preservare dalla sua stessa attività mercificante. I marxisti sciocchi e superficiali naturalmente non capiscono questa distinzione elementare, e continuano a definire “forze conservatrici” le forze economiche e politiche capitalistiche, laddove ovviamente è il contrario. Esse non ‘conservano’ proprio nulla»[2].

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marx xxi

Intervista all'economista Marco Passarella

di Francesco Fustaneo e Alessandro Pascale

Marco Veronese Passarella, 44 anni, veneto, è docente di economia presso l’Economics Division della Leeds University Business School. Fa parte della redazione di Economia e Politica ed è membro del gruppo Reteaching Economics. Lo abbiamo intervistato per la rivista Marx21 sull'attuale fase economica cercando di capire se dal suo punto di vista gli strumenti messi in campo dalle istituzioni europee siano o meno idonee per arginare la crisi, con un passaggio obbligato poi, sui trattati europei e sulle relazioni geopolitiche attuali e su possibili mutamenti di scenario.

* * * *

- Professore, tutto il mondo si avvia verso una recessione economica che forse non ha precedenti: è possibile e auspicabile uscire da questa crisi restando all'interno di rapporti di produzione capitalistici? Se sì, quali strategie economiche e politiche può mettere in campo uno Stato come il nostro?

- Non so se sia possibile. Di certo non è auspicabile. E tuttavia non vi sono, al momento, segnali di un superamento imminente dei rapporti di produzione capitalistici.

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contropiano2

Vita e capitalismo. Ora l’incompatibilità si vede

di Francesco Piccioni

Nessuno vorrebbe stare al governo in queste condizioni… Però, se ci stai, qualcosa dovresti pur decidere.

E’ sconfortante vedere le “scelte” elaborate per la Fase 2, che da lunedì coincide più o meno con un “fate un po’ come cavolo vi pare”. Consigli, più che regole; richiesta di “responsabilità” avanzata genericamente a tutti, quindi in realtà – o sul serio – a nessuno.

Ma non è il destino cinico e baro ad aver determinato questa situazione. E’ invece l’impossibilità – fin dall’inizio della pandemia – di determinare scelte dando priorità alla salute dei cittadini anziché al business. Su questo siamo stati chiari fin dall’inizio e non ci ripeteremo. Anche perché le nostre peggiori previsioni si sono avverate da un pezzo…

Fin dall’inizio, insomma, si è scelta la linea suicida del “convivere con il virus”, che in realtà significa semplicemente “chi deve morire muoia, ma noi andiamo avanti come se niente fosse”.

E’ evidente – dai numeri di morti e contagiati della Fase 1 – che il contenimento del contagio è stato disastroso soprattutto là dove si è preferito tenere aperto tutto il più possibile, contrastando ogni dichiarazione di “zona rossa”, come nel bergamasco, nel bresciano, in varie altre aree del nord industriale.

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sinistra

Dall’oro al piombo

di Lorenzo Merlo

Tratti di arco degli ultimi 60 anni. Tratti di cosa siamo stati capaci partendo dalle migliori intenzioni.

Tutto è partito in data Berkley University, Beat generation, Movimento hippie, Pop Art, ’68, ’77, Compromesso storico, Brigate Rosse, il qualunquismo.

L’interruzione concretizzata in quei comportamenti, in quelle scelte, tendenze, idee e aspirazioni aveva tutta la ragione storica e dignità di ciò che esiste. Aveva tutta la necessità di fiorire.

Ha avuto molti meriti civili, culturali, ambientali, e politici. Ha sfondato le porte serrate dietro le quali si nascondeva il potere ottuso del bigottismo filogovernativo, del suo indottrinamento tout court.

Come se esistesse una grande legge invisibile chiamata del ciclo dell’avanguardia, quelle buone intenzioni tutte dedicate all’uomo, tutte critiche nei confronti di un sistema imperniato sull’avere, su valori non più rispettabili, si fecero travolgere ed integrare dall’onda di ritorno di quanto avevano creduto d’avere scansato.

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lafionda

L’Europa ci offre un Piano Marshall: per questo dobbiamo rifiutarlo

di Alessandro Somma

L’emergenza sanitaria ha imposto all’Europa di gettare la maschera e di mostrarsi in tutto il suo splendore neoliberale: la crisi economica che stiamo affrontando verrà utilizzata per inasprire gli attuali rapporti di forza, e il debito sarà lo strumento per ottenere il risultato.

Non è certo la prima volta, dal momento che già la crisi del 2008 fu l’occasione per reprimere la riluttanza a offrirsi anima e corpo all’unica ideologia sopravvissuta al Novecento. Proprio per questo stupisce la perseveranza di chi ancora si rifiuta di aprire gli occhi, alimentandosi di un europeismo onirico, costruito sulle sabbie mobili di un sogno irrealizzabile, o peggio di un europeismo alla San Patrignano, al grido di “solo un vincolo esterno ci salverà”.

Repubblica ci offre oggi un saggio di come entrambe le forme di europeismo possano convivere. È un illuminante contributo di Andrea Bonanni, che se non altro possiamo apprezzare per l’affaccio offerto sui punti di riferimento del suo europeismo: quel Sebastian Kurz noto per la capacità di coniugare neoliberalismo e valori premoderni tanto cara alle democrature del nostro tempo.

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manifesto

Incertezza e politica

di M. Dorato, H. Hosni, A. Vulpiani

Chiedere alla scienza di dare certezze assolute non solo è sbagliato, ma anche pericoloso

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti.

Così come il poeta Montale esorta a non chiederci la parola che squadri da ogni lato l’animo nostro, è bene che anche i politici (e il grande pubblico) non chiedano alla scienza la certezza assoluta, perchè la scienza non ha gli strumenti per fornirla. E se mai qualche persona di scienza, tradendo la propria professione e l’etica che la conduce, assecondasse il nostro bisogno naturale di certezza potrebbe solo arrecare danni gravi, soprattutto nei momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo. In mancanza di teorie ben consolidate, affermare la correttezza di una ipotesi piuttosto che di un’altra genera una comprensibile confusione nel largo pubblico, che assiste a un’altalena di congetture avanzate anche da rispettabilissimi uomini di scienza che però si annullano a vicenda.

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contropiano2

Dal Mes ai migranti, passando per le “Zee”: l’isolamento dell’Italia nel Mediterraneo

di Alessandro Perri

Dimmi con chi vai “in politica estera”, e ti dirò chi sei. Si potrebbe parafrasare così il famoso proverbio popolare, adattandolo a massima utile per la comprensione del portato ideologico di un partito, della forza di uno Stato, della collocazione di una regione.

Su questo per esempio cadrebbero tante illusioni, a dir la verità alimentate ad arte dai mass media di casa nostra, sulle reali ambizioni della Lega o del Movimento 5 stelle, a più riprese e a vario titolo inquadrate come forze antieuropeiste o progressiste.

La prima infatti in “Europa” sta da tempo negoziando l’entrata nel Partito popolare europeo (Ppe), quello per intenderci della Cdu della Merkel in Germania o del Fidesz di Orban in Ungheria (per la verità sospeso, ma non espulso, a fine 2019), non proprio esempi di antieuropeismo.

I secondi invece non hanno mai trovato un posto al sole nello scacchiere dell’Unione, respinti prima dall’Efdd di Farage poi dall’Alde di Macron, non certo due noti progressisti, sintomi delle lotte intestine che stanno esacerbando la discussione interna al Movimento, anche nei passaggi critici odierni.

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quieora

Xeniteia. Contemplazione e combattimento

di Mario Tronti e Marcello Tarì

E’ molto dubbia la verità di questa idea ormai entrata nel senso comune, secondo cui vivremmo in tempi apocalittici. L’impressione che se ne ricava dai vari discorsi che si rincorrono nell’infosfera è quella di una certa superficialità, di un cedimento generalizzato allo «spettacolo» dell’apocalisse, non certo di una sua assunzione in senso genuinamente profetico. L’immaginario di massa è ispirato dai film e le serie tv hollywoodiane, più che dal grande libro che Giovanni scrisse nel suo esilio a Patmos.

Il bisogno – perché di un bisogno si tratta – di introdurre l’anomalo discorso che qui proponiamo non nasce per iniziativa del virus, viene da più lontano e dal più profondo. E’ stato detto da una voce profetica del Novecento, e da questo partiamo, che la vera catastrofe è che le cose restino come sono. Si è oggi più semplicemente e comunemente abbacinati da un disagio di civiltà che sempre più investe le nostre esistenze fin nell’intimità, mostrandoci come il capitalismo sia diventato, se non lo è già sempre stato, un «modo di distruzione» piuttosto che un modo di produzione. Diremo allora che l’attuale pandemia globale ha solamente rivelato questo stato del mondo.

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operaviva

Esistere è respirare nell’aria

di Massimo Villani

Virus sovrano e asfissia capitalistica secondo Di Cesare

Per quanto tempestivo, il nuovo libro di Donatella Di Cesare – Virus sovrano? L’asfissia capitalistica (Bollati Boringhieri, 2020) – non è esattamente un instant book. È sì un testo concepito e pubblicato in tempi stretti, sotto la pressione dell’evento che lo ha ispirato e che ancora incombe pesantemente sull’attualità. Ma non si tratta affatto di un’improvvisazione, di un estemporaneo esercizio d’opinione. Virus sovrano è anzitutto l’esempio di un metodo che ogni filosofo dovrebbe far suo oggi, al fine di stornare la disciplina dal commento autistico dei testi canonici. Caratteristica eminente di questa scrittura, infatti, è quella di mantenersi sempre in una stretta aderenza rispetto alle cose: la riflessione dell’autrice non fluttua al di sopra della fatticità, ma è sempre sostenuta da un piano ontologico forte. Per altro, proprio in virtù di questa prossimità al concreto, ella ha potuto rivendicare una vocazione politica della filosofia, come recita il titolo di un suo testo pubblicato da Bollati Boringhieri due anni fa.

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lafionda

Nulla sarà come prima?

di Giulio Di Donato

Secondo alcuni – Giorgio Agamben su tutti[1] – l’ondata emotiva e le misure drastiche di contenimento dell’emergenza sanitaria mostrerebbero con evidenza che la nostra società non crede più in nulla se non alla ‘nuda vita’. Non abbiamo più cioè nessuna idea di cosa sia la vita, nel senso più pieno e ricco del termine. L’idea di salute sorpasserebbe qualunque altra, il puro sopravvivere sarebbe l’ultimo valore universalmente rimasto. Questo sarebbe il messaggio da trarre da queste settimane di quarantena. Ma è proprio così? C’è da dubitarne. Innanzitutto, come ha ben spiegato Luca Illetterati, quella che ad Agamben appare come la difesa della mera vita è in realtà protezione di quella medesima vita che si dà anche come vita sociale e quindi come vita politica (nel momento in cui la protezione di quella che viene considerata come la nuda vita è anche protezione della vita degli altri). Inoltre, quando diamo un giudizio sulla nostra esistenza lo facciamo sempre con riferimento ad un modello di vita ideale, mai prescindendone.

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pierluigifaganfacebook

Ma il WHO non ci aveva avvertiti!

di Pierluigi Fagan

Tra qualche mese staremo qui a commentare il disastro economico e sociale nel quale ci troveremo e qualcuno darà la colpa a chi non ci ha avvertito per tempo. Ma come al solito, si tratterà di pura presa per i fondelli, “per tempo” è oggi e già oggi sappiamo perfettamente come andranno le cose. Anzi non da oggi, noi ne abbiamo parlato qui già più di un mese fa. Di cosa? Del fatto che per mesi non avremo domanda a sufficienza per sostenere l’offerta.

A parte il fatto che la “normalità” materiale non sappiamo quando mai tornerà stante che ieri abbiamo parlato di prospettive ancora lunghe per la diffusione del virus e stante che lo stesso WHO (13.05 Mike Ryan, capo del programma emergenze sanitarie WHO) avanza l’ipotesi possa diventare endemico, molto più tempo impiegherà la normalità psichica. La normalità psichica impiega molto più tempo ad esser recuperata perché la paura consiglia di rimanere all’erta anche dopo lo scampato pericolo. A volte impiega anni come nelle patologie da stress post-traumatico.

La “domanda” è la nostra propensione a spendere soldi per comprare cose. Sul piano materiale è data dai soldi che guadagniamo e dall’ammontare di quelli che abbiamo in banca, più un fattore decisivo: l’aspettativa.

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ilpungolorosso

Una regolarizzazione-beffa: per gli immigrati sempre e solo leggi speciali ammazza-diritti

Dopo infinite schermaglie è arrivato il provvedimento del governo Conte per la regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati. Ed è un provvedimento-beffa.

Anzitutto i numeri. Per ammissione del governo ci sono oggi in Italia (almeno) 600.000 immigrati/e privi di permesso di soggiorno. Ebbene, il governo ha deliberato di regolarizzarne solo un terzo e a precise condizioni. Secondo la ministra degli interni Lamorgese, che d’ora in poi chiameremo LaSalvini, si tratterà di circa 200.000 persone (lo dice sul Corriere della sera di oggi, 14 maggio). Quindi il governo Pd-Cinquestelle ha deciso che gli altri 400.000 debbono restare irregolari, a completa disposizione del sistema delle imprese, incluse le intoccabili imprese della criminalità organizzata, che li supersfrutta beneficiando della loro irregolarità.

La feccia di destre e M5S ha sbraitato a squarciagola contro la presunta sanatoria. Ma il provvedimento sana, essenzialmente, una sola cosa: il supersfruttamento pregresso degli irregolari perché consente a chi lo ha attuato di farla franca sul piano penale e amministrativo pagando 400 euro e un’altra somma a forfait per i contributi non versati – somme che spesso questa genìa di negrieri fa pagare agli stessi immigrati/e utilizzando l’argomento molto persuasivo: vuoi regolarizzarti? E allora pagati la regolarizzazione!

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coniarerivolta

Lo scudo di Confindustria e la salute dei lavoratori

di coniarerivolta

Dopo le continue pressioni per le riaperture immediate delle fabbriche, gli industriali italiani se la prendono ora con la norma che include il contagio da Coronavirus sul posto di lavoro come fattispecie soggetta alla tutela prevista dalle norme antinfortunistiche dell’Inail, l’Istituto Nazionale infortuni sul lavoro. L’articolo 42 del decreto Cura Italia, al comma 2, prevede infatti che se un lavoratore viene contagiato dal Coronavirus, in analogia con tutte le situazioni epidemiche, il caso sarà iscritto nel registro dell’Inail come infortunio sul lavoro. Chi risulta positivo al contagio, pertanto, ha accesso a tutte le tutele del caso. L’assenza dal lavoro per quarantena o isolamento domiciliare – e l’assenza successiva, dovuta all’eventuale prolungamento della malattia – viene considerata come periodo di inabilità temporanea assoluta, indennizzato dall’Inail.

Questa norma ha avuto e ha validità non solo per il personale medico e infermieristico, senza dubbio il più esposto, ma anche per tutte le attività che comportano il costante contatto con il pubblico, come nel caso di farmacisti, cassieri o camerieri. In questa fattispecie, la norma non prevede la necessità di accertamenti medici, presumendo a priori che il contagio sia avvenuto sul luogo di lavoro.

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doppiozero

Il teatro del virus

di Rocco Ronchi

La condizione del lockdown è stata una condizione strana. Non lo è di meno quella che è appena iniziata, nella quale siamo costretti a “parodiare” la vita “di prima”: sono infatti gli stessi gesti “di prima” quelli che dobbiamo fare uscendo di casa, come prendere la metro per andare a lavorare oppure bere un caffè, ma lo dobbiamo fare in modo circospetto, rivolgendo ad essi un’attenzione supplementare, quasi li dovessimo recitare piuttosto che effettuare. Se vogliamo essere responsabili, dobbiamo infatti porre attenzione ai gesti più ordinari. Dobbiamo, per così dire, guardarli mentre li facciamo. È come se dovessimo riapprendere a eseguire in modo riflesso delle azioni che prima procedevano spedite, automaticamente, nel sonno della coscienza vigile, la quale era rivolta a tutt’altro.

Mirava all’obbiettivo da realizzare, qualunque esso fosse, ad esempio, il lavoro che ci è stato assegnato e che ci identifica nella nostra identità sociale, e trascurava la microfisica dei gesti su cui esso si “impalca”. Si andava al lavoro senza dover far mente locale al fatto che per andarci bisognasse respirare, camminare, attraversare degli spazi fisici, incontrare degli altri esseri umani ecc.

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contropiano2

Di chi è la Banca d’Italia?

di Fabrizio Tomaselli - Paolo Maras*

La proprietà del controllore e quella del controllato non possono coincidere.

In questo periodo si parla spesso di banche, di finanza e di moneta: forse è bene sapere anche che cosa è e di chi è la Banca d’Italia, visto che in molti sono convinti che sia di proprietà dello Stato.

NON È COSÌ!

Senza entrare nel merito di aspetti giuridici ed economici che ci porterebbero lontano, possiamo dire che la modifica strutturale della Banca d’Italia è iniziata nel 1981 con la separazione tra lo Stato e la banca centrale che definì uno status diverso per cui essa non era più obbligata ad acquistare le obbligazioni che lo Stato emetteva ma non riusciva ad immettere sul mercato.

In pratica con tale modifica terminava la monetizzazione del debito pubblico italiano, cioè più banalmente la possibilità di stampare moneta per coprire le necessità dello stato senza fare ulteriore debito pubblico.

Poi con successive modifiche e soprattutto con l’ascesa dell’Euro e della BCE, il ruolo della Banca d’Italia si è del tutto modificato.

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il rasoio di occam

Le ragioni populiste e quelle di un realismo politico critico

di Nadia Urbinati

Mameli e Del Savio rappresentano bene il nucleo teorico della mia posizione sul populismo, ma non riescono a dare sufficiente conto della ragione per cui rifiuto la logica faziosa del populismo e un realismo politico senza appello alla normatività, a ragioni universalizzabili

E’ ragione di grandissima soddisfazione leggere recensioni intelligenti. Soprattutto quando in discussione vi è un proprio libro. Ringrazio dunque Matteo Mameli e Lorenzo Del Savio per la loro analisi del mio Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia (traduzione per il Mulino dall’edizione originale inglese uscita per Harvard University Press). La recensione mette in luce l’argomento centrale del lavoro e ne discute alcuni aspetti teorici, quelli soprattutto che più stanno a cuore a Mameli e Del Savio, ovvero il posto e il valore del populismo di sinistra. Il libro non discute i “generi” di populismo, ma vuole capire quale tipo di relazione il populismo instaura con la democrazia rappresentativa e costituzionale una volta conquistato il cuore del potere, ovvero una maggioranza elettorale e il governo. Non mi occupo per tanto di dire che cosa questo strano animale chiamo populismo sia, anche perché a detta dei suoi stessi estimatori non è un’ideologia ma un modo di essere del potere democratico.

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lintellettualediss

Joan Robinson, economista ribelle

di Claudio Freschi

Da sempre contraria alla eccessiva matematizzazione dell’economia, la Robinson viene considerata come una dei più grandi e influenti economisti del Novecento

Agli inizi del secolo scorso gli studi economici non erano certo considerati una priorità per la popolazione femminile, in molti atenei l’accesso era consentito esclusivamente agli uomini. Eppure Joan Robinson viene considerata come una dei più grandi economisti del secolo ed il suo pensiero è stato fondamentale per molti aspetti della teoria economica. Nata Joan Violet Maurice nel 1903 a Camberley da una famiglia agiata, ne erediterà anche il carattere piuttosto frizzante e anticonformista. Il padre Sir Frederick Barton Maurice generale dell’esercito britannico viene ricordato per le aspre critiche pubbliche nei confronti dell’allora primo ministro Lloyd George per i suoi discorsi fuorvianti al Paramento durante la Prima Guerra Mondiale.

Joan si iscrive nel 1921 al Girton College di Cambridge, uno dei pochi riservati alle donne, completa tutti gli esami nel 1925 ma non riceve il diploma di laurea in quanto all’epoca il Girton non veniva considerato ufficialmente una Università (cosa che avvenne solo nel 1948), bensì una “istituzione per l’educazione superiore delle donne”. L’anno successivo si sposa con Austin Robinson, economista e docente all’Università di Cambridge nonché amico e collaboratore di John Maynard Keynes.

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comidad

Il bluff della Corte costituzionale tedesca (e quelli che lo coprono)

di comidad

Lo scrittore Honoré de Balzac faceva dire ad un suo personaggio, papà Goriot, che come ciarlatani i Tedeschi non li batte nessuno. Questa sentenza di papà Goriot avrebbe dovuto seppellire la sentenza della Corte Costituzionale tedesca che ha espresso dubbi sulla costituzionalità del Quantitative Easing della Banca Centrale Europea.

Ma forse non era necessario papà Goriot e bastavano le evidenze. Nel 2016 il quotidiano confindustriale “Il Sole 24 Ore” riconosceva una tantum che i maggiori vantaggi della politica di inondazione di liquidità e di acquisto indiretto di titoli pubblici operati dalla BCE erano andati alla Germania, compresi i suoi Lander.

Il Quantitative Easing è a costo zero per la Germania poiché si tratta di denaro creato dalla BCE ad hoc e inoltre è sempre la Germania ad avere i maggiori problemi bancari di credito in “sofferenza”. Deutsche Bank ha visto infatti regolarmente fallire i suoi tentativi di risolvere la questione dei crediti non riscuotibili con lo strumento della “bad bank”.

Per fortuna c’è il “Quantitative Easing”, che si è ulteriormente allargato, al punto da aggirare la questione delle garanzie sui titoli. Oggi la BCE lancia programmi di acquisto di obbligazioni “spazzatura” non solo degli Stati ma soprattutto di imprese. Ancora una volta è la Germania a giovarsene maggiormente.

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sinistra

Corpi incoronati di sabbia nel Sahel

di Mauro Armanino

Niamey, 29 marzo 2020. Doveva essere seppellita giovedì mattina. Per evitare rischi di contaminazione la sepoltura è stata differita a data da destinarsi. Il suo corpo di sabbia giace in una cella frigorifera della camera mortuaria dell’Ospedale Nazionale, con tariffa doppia rispetto ai nazionali. Angela, morta di AIDS, lascia tre figli nel Paese che aveva lasciato prima di partire in migrazione, il Cameroun. Altre come lei avevano tentato l’avventura in Libia e in Algeria con la segreta speranza di raggiungere, un giorno, l’Europa. Era stata espulsa e assieme ad alcune donne, accolta e protetta in una delle abitazioni gestite dall ‘Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati a Niamey. Giace, silente, nel freddo artificiale della sua penultima dimora terrenale. Prima di tornare alla sabbia dalla quale, come tutti, un giorno era stata generata una cinquantina d’anni or sono.

I nostri corpi sono un incostante composto di sabbia e di vento che viene o va verso il mare. Passa dal deserto e si contamina di polvere con la quale siamo tutti impastati. Di questi tempi sono loro, i corpi, a tornare alla ribalta dopo aver fatto, altrove, esperienza di futile ed effimera dimenticanza. Tornano i volti e tornano i corpi.

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minimamoralia

Le soluzioni sono molteplici, ma tutte contengono una parte ingiusta

di Silvio Valpreda

Pubblichiamo un intervento di Silvio Valpreda, autore di Capitalocene, uscito per Add Editore

Il problema principale nello sviluppo dei sistemi di guida autonoma per veicoli è la risoluzione dei conflitti. Quando un’automobile controllata dall’intelligenza artificiale si trova di fronte a un ostacolo, il software deve trovare una soluzione. Quasi sempre però non c’è una sola soluzione possibile, ma ve ne sono molteplici. E sono tutte, in qualche modo sbagliate. O meglio contengono in sé una parte ingiusta.

Se, per esempio, il veicolo sta percorrendo una strada urbana a media velocità trasportando una persona anziana e improvvisamente un bambino attraversa la carreggiata senza che vi sia il tempo, considerate la massa, la velocità e l’aderenza dell’asfalto, di arrestare il mezzo in sicurezza, occorre scegliere tra due possibili soluzioni entrambe terribilmente ingiuste: investire il bambino o far uscire di strada l’anziano facendo andare il mezzo a cozzare contro un ostacolo.

In ognuno dei casi possibili, gli esiti sono potenzialmente mortali per uno dei due esseri umani coinvolti nell’inevitabile incidente.

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lafionda

Le crisi come status quo

di Alessandro Leonardi

Nel lontano 1971 il presidente americano Richard Nixon diede il via alla “guerra alla droga” come risposta al dilagare delle sostanze stupefacenti nella propria nazione. Era il culmine di una serie di sforzi americani che si andavano sviluppando da decenni, ma anche il frutto di un’ottusità di fondo, interessi di parte e oscure manovre politiche per combattere la sinistra pacifista e le persone di colore[i]. Ad una crisi sociale e politica che peggiorava di giorno in giorno, si rispose con una manovra securitaria che avrebbe prodotto nei 49 anni successivi una lunga sequenza di fallimenti, l’uccisione di centinaia di migliaia di innocenti e l’arricchimento non solo delle organizzazioni criminali, ma anche la creazione di un’economia basata su questa lotta, fra corpi federali, apparati di controllo, centri di riabilitazione e indotto collegato.

Nel 2001 gli attentati condotti da Al Qaeda contro gli Stati Uniti portarono alla proclamazione della “guerra al terrorismo” espandendo le precedenti modalità repressive con una magnitudo planetaria: un’impennata delle spese militari, nuove leggi invasive come il Patriot Act, nuovi apparati statali (The United States Department of Homeland Security), una serie di guerre fallimentari, di cui alcune tutt’ora in corso (Afghanistan) e la creazione di un’economia della sicurezza su scala globale.

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Il prezzo delle mascherine e l’economia politica di Manzoni e del professor Ricolfi

di Luca Michelini

 

1. Guardo Rete4 ogni tanto per capire gli umori e le mosse di chi ha governato questo Paese per anni e così mi è capitato di sentire (il 7 maggio) una intervista a Luca Ricolfi, sociologo e anima della Fondazione Hume. In modo sobrio, presumo perché piemontese, ha spiegato al pubblico che il nostro è un povero Governo, di incompetenti che di economia non capisce nulla perché privo di umanisti. Se infatti avessero letto i Promessi sposi del Manzoni avrebbero potuto facilmente capire come affrontare il problema tanto urgente delle mascherine. Come non sapere che il calmiere provoca scarsità? La soluzione invece è semplicissima, spiega Ricolfi: il governo deve comperare sul mercato le mascherine e poi rivenderle a 0,50 euro.

 

2. Mi viene da chiosare: – E che ora si arrangino coloro che pensano che parlare di economia di guerra per la crisi Covid non serva a nulla: eccovi serviti il liberismo in tempo di crisi! Non volete capire che tecnicamente siamo in guerra? Non volete capire che tecnicamente, per motivi oggettivi, ci vuole una politica industriale ed economisti e ministeri che sappiano pensare e gestire i prezzi amministrati? Bene, sorbitevi le lezioni di economia del Manzoni e di Ricolfi, banditori del libero mercato dal più fulgido bastione del libero mercato medesimo, il colosso Mediaset.

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Il pesante fardello del cigno nero

di Noi Restiamo

All’inizio di questa emergenza abbiamo descritto il coronavirus come un cigno nero capace di produrre una demarcazione tra il prima e il dopo, rendendo possibili politiche che fino a ieri sembravano irrealizzabili, ma che nel contesto emergenziale diventano non solo necessarie ma anche indispensabili per la salute e la sicurezza dei cittadini.

In queste settimane il governo ha messo in cantiere una serie di manovre straordinarie, sicuramente parziali e tardive, ma in netta controtendenza rispetto agli anni precedenti.

È bene comprendere però che non siamo di fronte ad un cambio di passo strutturale, ma a misure inevitabili in un contesto emergenziale per le quali, prima o poi, ci chiederanno il conto.

La crisi sanitaria sta avendo l’effetto detonatore su contraddizioni accumulatesi nel modello di sviluppo dominante i cui costi sociali si sommeranno, per fette sempre più larghe di popolazione, ai costi della crisi ambientale dentro un quadro già compromesso di crisi sistemica del modo di produzione capitalistico.

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Compagni che sbandano

di Sandokan

Se nessuna sottovalutazione della minaccia rappresentata dal Covid-19 è giustificata, altrettanto non lo è la psicosi collettiva che ci ammorba da più di due mesi.

Oms: influenza nel mondo fino a 650mila morti l’anno

Oms: nel mondo ogni anno muoiono per fumo 7 milioni

Oms: malaria uccide oltre 400mila persone l’anno, specie bambini

Oms: Coronavirus: oltre 4 milioni di contagiati e 275mila morti nel mondo

Stiamo quindi a queste cifre: i decessi per Convid-19 sono meno della metà di quelli morti l’anno precedente per l’influenza stagionale, sono poco più della metà di quelli morti per malaria, sono il 3,9% di quelli deceduti nel 2019 per fumo.

Più in generale, sempre l’Oms ci informa che nel mondo, i decessi per malattie croniche (cardiovascolari, respiratorie, cancro e diabete), sono ogni anno 15milioni. Di qui le salomoniche direttive dell’Oms per una migliore alimentazione, per un diverso modo di vivere. Detta in modo meno peloso: la madre di tutte le patologie è il modello sociale capitalistico che ci imprigiona.