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micromega

Sanders e Corbyn, vecchietti terribili all'attacco della Terza Via e di altri orrori

di Pierfranco Pellizzetti

È con grande soddisfazione che un vecchio liberale critico e di sinistra – quale il sottoscritto – assiste all’asfaltatura della pluridecennale, sedicente, sinistra-opportunista della Terza Via (nel Regno Unito maggioritaria tra i parlamentari del Labour, in quanto blairisti, e negli USA incarnata dalla famiglia Clinton) da parte dei vecchietti terribili Jeremy Corbyn e Bernie Sanders. La fine della ricerca di un Santo Graal a fumetti per cui leader provenienti dal fronte progressista conquistavano l’area centrale della maggioranza e il governo promuovendo politiche smaccatamente care all’elettorato conservatore (ed esibendosi al tempo stesso nell’esercizio acrobatico di mantenere il controllo sul proprio elettorato tradizionale: captive o pavlovizzato?).

L’illusionismo imbroglione di un centro radicale (in realtà una mediocre presa in prestito di temi thatcheriani/reaganiani) che è soltanto servito per fare carriera e finanze ad alcuni professional “organicamente inautentici” (copy dello storico Tony Judt. Che poi aggiungeva: «ciò che mi preoccupa è la tendenza delle democrazie di massa a produrre politici mediocri. La stragrande maggioranza dei politici delle società libere del mondo attuale non è all’altezza del proprio compito»). Intanto le loro strategie entriste nel country club dei super-ricchi favorivano biblici trasferimenti di ricchezza negli attici della piramide sociale; a fronte dell’inarrestabile impoverimento dell’area mediana della società. Il tutto accompagnato da un revival ideologico che, a dispetto dell’aggettivo “neo” (liberista), riproponeva tutta la paccottiglia settecentesca al servizio dell’assunto che identifica la Libertà nella Proprietà: la Mano Invisibile di Adamo Smith; la benevola eterogenesi dei fini della “Favola delle api” di Bernard de Mandeville, secondo cui il perseguimento dell’interesse individuale andrebbe a vantaggio della comunità.

Gli anni successivi al 1989, per qualcuno “età delle locuste”: la mediocrità compiaciuta dei governi Clinton, in cui la politica veniva appaltata alla globalizzazione finanziaria, le strategie e le pratiche catastrofiche dell’era Bush-Blair. Quel revival di idee incartapecorite che ora i nostri amici socialisti redivivi cercano attivamente di ricacciare nel sacello, brandendo le loro generose ricette “rosso antico”. E qualche risultato lo ottengono, almeno smascherare l’orrido delle mummie plutocratiche e il loro servidorame (buona ultima la May) che gli stregoni neoliberisti avevano riportato in vita, scatenandone la devastante famelicità; di carne umana, di libertà e perfino di bellezza (e noi italiani ne sappiamo qualcosa. Dalle nostre meravigliose coste cementificate all’anfiteatro Flavio, vulgo Colosseo; che qualche incosciente servo di Mammona vorrebbe svilire alla stregua del cartongesso di un Disneyworld purchessia).

Dunque, ben vengano i terribili vecchietti Sanders e Corbyn, con i loro paletti di frassino ideologico a caccia di questi orridi mai-morti. Semmai quanto lascia perplessi è lo strumentario a disposizione dei nostri eroi, quel richiamo salvifico a un Socialismo da tempo accantonato nei magazzini del modernariato industriale: l’alternativa della statalizzazione alle privatizzazioni, che dimentica come il successo propagandistico della deregulation fosse stato favorito, nell’inerzia ideologica degli anni Novanta, proprio dall’involuzione burocratica che ormai caratterizzava le gestioni pubbliche. E sempre noi italiani ne sappiamo qualcosa, con le Partecipazioni Statali trasformate in bancomat dei ceti di governo e loro gestioni asservite agli interessi accaparrativi di una casta autoreferenziale di boiardi.

Si vuole tornare ai panettoni di Stato? Francamente, no grazie. Fermo restando che nelle aree dove meglio si è saputo reinventare politica post-industriale emerge un’alternativa promettente; tanto alla programmazione amministrativa centralistica quanto alla de-regolazione al servizio della speculazione: il superamento della distinzione tra pubblico e privato dando vita a coalizioni sociali in cui la politica fornisce indirizzi e verifica i risultati; grazie a strategie concordate nella pubblica discussione informata. Nel crescente indebolimento della forma-Stato. Annota Manuell Castells: «in questa nuova fase emerge un nuovo tipo di istituzione, il Network State, che comprende istituzioni sovranazionali risultato dell’interazione tra governi nazionali, Stati nazione, enti regionali e locali, e addirittura organizzazioni non governative».. Con un di più: le istituzioni locali diventano lo snodo fondamentale della catena della rappresentatività, in grado di regolare l’intero processo politico, grazie al valore aggiunto del dare voce ai cittadini più da vicino. Potremmo dire, riscoprendo lo spazio democratico della politica come radicamento.

I paradigmi già all’opera nella cinquantina di Eurocities. Che richiedono un personale politico altamente attrezzato che li sappia mettere all’opera. Il motivo per cui il rinascente pensiero municipalista concepisce le città quali laboratori di democrazia. Un fenomeno in cui l’Italia si sta rivelando gravemente in ritardo, come le recenti elezioni amministrative stanno lì a dimostrare.

PS. Se a qualcuno interessa, lunedì prossimo inizia a Palazzo Ducale di Genova un ciclo di conferenze internazionali su questo tema. Aperte dall’architetto Oriol Capdevila Arus, allievo di Oriol Bohigas grande progettista dello spazio pubblico nella Barcellona della “reanixencia” anni Ottanta e Novanta.

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