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orizzonte48

La lunga attesa del dopo-elezioni: oltre il conflitto sezionale metodologico?

di Quarantotto

1. Solo alcune brevi riflessioni.

Vi confesso che sarei tentato di entrare in "silenzio-blog" fino all'avvenuto svolgimento delle elezioni.

Appare sempre più evidente, infatti che, dopo che il popolo italiano ha subito un crescendo pluridecennale di politiche di consolidamento del bilancio pubblico (tentato ed anche fallito perché perseguito, tutt'ora, sulla base di idee economico-scientifiche rivelatesi approssimative nei loro presupposti e fini), i programmi delle forze politiche più importanti, glissano sulla loro posizione riguardo alla prosecuzione o meno di tale linea di politica economico-fiscale.

Il problema sta tutto, ovviamente, nelle fatidiche "coperture" da trovare dentro un ordinamento che, via fiscal compact e persino nella Costituzione, adotta l'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio.

 

2. Questa stessa linea, peraltro, come abbiamo visto, ha convertito il futuro in una minaccia e quindi ha innescato negli elettori l'atteggiamento culturale diffuso del cercare di indovinare, tra le righe di promesse elettorali cui non possono ragionevolmente attribuire un'eccessiva credibilità, come, dopo le elezioni, verrà distribuito, tra i vari segmenti di società non appartenenti alla elites "cosmopolita", il peso di ulteriori sacrifici economici, che determineranno una sorta di lotteria nell'infliggere un ancor più marcato peggioramento della propria condizione economica.

 

3. Che questo timore, interiorizzato da un intero popolo, permanga anche in queste elezioni, è abbastanza facilmente constatabile parlando con "l'uomo della strada".

Come è anche evidente che l'unica dialettica politica che può ancora funzionare è quella del cercare di identificare, pur con l'indispensabile vaghezza tipica di una fase preelettorale, la parte di non elite la cui condanna morale, in base ad un giudizio aprioristico già segnato dalla propaganda mediatica che soprassiede al controllo dell'intero processo, renda bene accetta una certa ripartizione sbilanciata del carico dell'aggiustamento fiscale. Questa individuazione della "parte cattiva" dei propri simili (all'interno della stessa barca), dovrebbe (nelle intenzioni) simultaneamente compattare ed attrarre, mediante una proiezione identificativa dalla forza emotiva irresistibile, il voto della restante parte di non elite (noi, quelli buoni).

Tale "sanior pars" moralisticamente aggregata risulta solo emotivamente e illusoriamente vincente, poichè, in un intreccio di posizioni e di interessi interdipendenti, che vengono accuratamente dissimulati dal sistema mediatico, viene lo stesso colpita dall'aggiustamento: ma non se ne accorge, o è persino disposta a sopportare un certo peso, purché sia estirpato il male attribuito all'altro settore sociale maggiormente colpito.

 

4. Questo meccanismo di conflitto sezionale metodologico, viene così puntualmente definito da Rodrik:

"Le conseguenze politiche di una prematura deindustrializzazione sono più sottili, ma possono essere più significative.

I partiti politici di massa sono stati tradizionalmente un sotto-prodotto dell'industrializzazione. La politica risulta molto diversa quando la produzione urbana è organizzata in larga parte intorno all'informalità, una serie diffusa di piccole imprese e servizi trascurabili.

Gli interessi condivisi all'interno della non-elite sono più ardui da definire, l'organizzazione politica fronteggia ostacoli maggiori, e le identità personalistiche ed etniche dominano a scapito della solidarietà di classe.

Le elites non hanno di fronte attori politici che possano reclamare di rappresentare le non-elites e perciò assumere impegni vincolanti per conto di esse.

Inoltre, le elites possono ben preferire - e ne hanno l'attitudine- di dividere e comandare, perseguendo populismo e politiche clientelari, giocando a porre un segmento di non elite contro l'altro.

Senza la disciplina e il coordinamento che fornisce una forza di lavoro organizzata, il negoziato tra l'elite e la non elite, necessario per la transizione e il consolidamento democratico, hanno meno probabilità di verificarsi.

In tal modo la deindustrializzazione può rendere la democratizzazione meno probabile e più fragile."

 

5. Dunque questo meccanismo ha tutt'ora un discreto successo, almeno in Italia, nell'assicurare alle elites la sostenibilità del processo elettorale, svolgendo il suo ruolo di "stornare" l'attenzione dal problema sistemico di un'economia neo-liberista liberoscambista, e come tale totalitaristicamente pervasiva di ogni aspetto istituzionale.

E, sempre in Italia, svolge anche il ruolo di deviare l'attenzione dal problema della moneta unica, che è un aspetto strutturale fondamentale di tale neo-liberismo istituzionalizzato, immettendo nel discorso politico serie casuali secondarie o irrilevanti, appunto moraleggianti, ma anche rivestite di tecnicismo-pop, per spiegare le ragioni della crisi italiana.

Al riguardo rammentiamo la premonizione che aveva formulato Caffè (naturalmente del tutto invano). In essa è perfettamente spiegato tutto ciò che sta accadendo:

"Nel suo manuale (Lezioni di politica economica, a cura di N. Acocella, Bollati Boringhieri, Torino, 1990) Caffè mette in guardia per ben tre volte contro l’ipotesi di una moneta unica europea. Eccovele:

pagg. 110-11: “Il difficile cammino della integrazione europea viene reso più arduo sia dalla pretesa di anticipare gli eventi, prima che se ne siano stabilite le basi (ad esempio ‘la moneta europea’); sia dalla pretesa di non tener conto delle fasi congiunturali avverse, come se la Comunità fosse stata configurata soltanto in vista di periodi favorevoli.”;

pagg. 298-99: parlando del gold standard: “In esso coesistevano varie e distinte monete (sterlina, dollaro, marco, franco ecc.), ma, attraverso il vincolo dei cambi fissi e sin quando fossero rispettate le “regole del gioco” necessarie per il buon funzionamento del gold standard (le regole, cioè, elencate a p. 294), si può dire che sostanzialmente la situazione era molto analoga a quella che comportasse l’esistenza di una moneta unica.

Le singole economie nazionali dovevano adattarsi alle esigenze di uno standard monetario intemazionale: questo assicurava la stabilità dei cambi; ma non la stabilità dei prezzi interni dei singoli paesi che dovevano adattarsi, come si è visto, per assicurare il riequilibrio delle bilance dei pagamenti.

La stabilità dei cambi favoriva lo sviluppo degli scambi e degli investimenti internazionali; ma imponeva questo vincolo di adattabilità delle economie interne, adattabilità che molto di frequente si realizzava attraverso la disoccupazione e in genere la più o meno prolungata sottoutilizzazione delle risorse disponibili. E opportuno non perderlo di vista oggi che (in mutate condizioni) si prospettano possibilità di una “moneta unica" nell’ambito di aree integrate.”.

 

6. Capirete dunque perché, in assenza di una chiara proposizione di questi problemi da parte di tutte le forze politiche impegnate nella campagna elettorale, non si può seriamente prevedere il senso pratico, cioè concretamente avvertito nella propria vita, di un qualunque esito elettorale.

Ad essere obiettivi, per completezza, si può riconoscere che, senza astrazioni teoriche e proposizioni sistemiche, Matteo Salvini, sta compiendo un tentativo di proporre un paradigma di "crescita inclusiva" e (accettabilmente) non conflittuale all'interno della non-elite. La sua personale "comunicazione" relativa a questa linea è, se non altro, l'unica riconoscibile a livello di partiti maggiori.

La riuscita del suo tentativo, al di là del "merito" specifico delle sue proposte (che pure è un aspetto non trascurabile), è soggetta a condizioni che la rendono obiettivamente incerta: sia quanto alle linee concrete delle misure attuative che ne conseguirebbero, sia rispetto alle condizioni di alleanza politica che le renderebbero fattibili.

 

7. Una conclusione è perciò vincolata: la coerenza e la sostanza dell'azione politica di qualunque forza che sarà in grado di dar vita a una maggioranza, saranno immaginabili solo dopo le elezioni, quando si confermeranno, modificheranno o rimescoleranno le "alleanze" e un qualche governo inizierà ad attuare non tanto un programma elettorale (sulla cui validità vincolante rispetto all'indirizzo politico effettivo, per esperienza pluridecennale, l'elettore ha appreso a non fare alcun affidamento), quanto ciò che realmente consentono i rapporti di forza all'interno dell'unione europea.

E sapendo che questi rapporti di forza sono stati e saranno, prima di tutto, determinati dal peso della volontà delle elite nazionali, riassumibili nella formula del Quarto Partito.

Per questo, oggi, non saprei neppure cosa commentare: abbiamo davanti essenzialmente una lunga attesa, infarcita di lunari polemiche e di spaventose strumentalizzazioni. I fumi di questo immane gioco delle parti potrebbero solo intossicarci e farci perdere la lucidità.

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