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Il diavolo nell’urna

di Sergio Cararo

I risultati elettorali consegnano uno scenario niente affatto di semplice soluzione per i templari della governabilità. Perdono e rischiano di uscire di scena i due partiti storici (Pd e Forza Italia), si impongono due forze politiche “spurie” come M5S e Lega, si esaurisce definitivamente la sinistra in tutte le sue articolazioni.

Le nuove asimmetrie emerse dal voto mandano, per ora, in soffitta il bipolarismo, e restituiscono una mappa politica con cui appare difficile costruire equilibri duraturi. Tra Renzi che si mette di traverso, il M5S che deve identificare il possibile interlocutore per la formazione di un governo, la Lega che incassa la cambiale sulla leadership della destra, l’ingegneria istituzionale con cui il Quirinale dovrà provare a far quadrare il cerchio appare assai complicata.

Ma sulla realtà incombono ipoteche già in scadenza come la manovra finanziaria aggiuntiva che l’Italia dovrà fare a primavera sulla base dei diktat dell’Unione Europea, poi c’è il Fiscal Compact da approvare entro l’anno, e poi ci sono i “mercati finanziari” che fino ad ora non sembrano molto preoccupati della instabilità politica in Italia, come non lo sono stati di quella post-elettorale in Belgio, Spagna, Germania. E ciò nonostante siano stati sconfitti due partiti “di sistema” come Pd e Forza Italia e abbiano vinto due partiti percepiti – fino ad ora – come “antisistema e populisti” come M5S e Lega.

In tale contesto è impossibile continuare a sottovalutare quanto ci rammenta oggi il Sole 24 Ore:“La statistica degli ultimi anni ci suggerisce quindi che i mercati oggi sono sempre meno spaventati se un Paese dell’area euro affronta un momento più o meno lungo di “non-governo”. È la prova che oggi i governi nazionali dell’area euro contano sempre meno. Le regole dei trattati sovranazionali sottoscritte, attraverso cessioni parziali di sovranità, depotenziano – che piaccia o no – le iniziative “fuori dagli schemi” a livello nazionale”. Parole pesanti come piombo ma veritiere e che delineano uno scenario con cui fare inevitabilmente i conti. A meno che non si ritenga questo uno scenario ineludibile, l’unico dentro cui agitarsi come criceti nella ruota senza alcuna possibilità di cambiamento.

E questo aspetto ci porta direttamente al nostro mondo, alla nostra gente, quella che ha generosamente e convintamente dato vita a Potere al Popolo non riuscendo però a raggiungere il quorum. Il prossimo 18 marzo Potere al Popolo ha convocato la sua assemblea nazionale per discutere come andare avanti dopo questa prima esperienza.

In questi giorni si sta discutendo un po’ ovunque il bilancio di come siano andate le cose. I risultati numerici sono netti. Si sapeva che l’obiettivo del superamento del quorum non era alla portata, ma è indubbio che qualche aspettativa non poteva non esserci, soprattutto per l’entusiasmo con cui almeno tre generazioni di compagne e compagni si sono misurati con questa scadenza. Diciamo che l’ottimismo della volontà ha prevalso sul pessimismo della ragione. Non è un bene ma guai a ritenere che sia un male. Fatta la selezione che allontanerà i “veloavevodettisti” e gli elettoralisti inveterati, si è palesato un patrimonio umano e politico che deve andare a misurarsi concretamente con la realtà sociale del paese in cui agisce e con il nodo irrisolto della rappresentanza politica di un blocco sociale, che ha espresso la sua protesta affidandola però al M5S e, diversamente, alla Lega.

E qui sta uno dei problemi che va affrontato e rimosso. Potere al Popolo non è riuscito ad esprimersi fuori dal perimetro e dal linguaggio del popolo della sinistra. Ma questo popolo è ormai residuo, residuale e limitato, anche quantitativamente (il pessimo risultato di LeU lo conferma). Non è più sufficiente né credibile neanche per una dignitosa testimonianza istituzionale, nè è possibile rimuovere il dato che il “popolo” ritenga ormai la sinistra parte del problema e non della soluzione.

Ma soprattutto non si può continuare a ritrarsi dal fare i conti con una composizione sociale “spuria” delle classi subalterne nel nostro paese. Queste avevano bisogno di un nemico sulla base del quale darsi – in negativo – una identità. La destra gli offre quello degli immigrati- con conseguenze sempre più orrende come dimostrano i fatti di Macerata e di Firenze – il M5S gli offre la disonestà dei potenti, ma la “sinistra” non gli ha offerto nulla di alternativo.

Potere al Popolo ha fatto bene a fronteggiare materialmente i fascisti impedendogli di consolidarsi nei settori popolari, ma l’antifascismo oggi va declinato nella sua attualità non nel suo portato storico. Il nesso tra le politiche antipopolari connaturate all’Unione Europea e la società del rancore che vota per vendetta, era la contraddizione che andava colta e agita a tutto campo. Lì dove è stata agita – in alcune periferie e quartieri popolari – ha dato risultati superiori alla media, ma è stata una funzione circoscritta e non gestita a livello generale. Forse non poteva essere altrimenti per la rapidità con cui Potere al Popolo ha dovuto bruciare tutte le tappe (raccolta delle firme, organizzazione delle liste etc.). Ma se, giustamente, si intende andare avanti con questo percorso, una discussione – in positivo e non in negativo – va fatta fino in fondo. Il 18 marzo si comincerà a confrontarsi sul come procedere, comunque.

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