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ilsimplicissimus

Euro: triste, solitario y final

di ilsimplicissimus

Ci sono coincidenze che non possono essere ignorate e una in particolare colpisce: che proprio nei giorni in cui Mattarella faceva le sue barricate contro Paolo Savona, accusato di essere critico sulla moneta unica, sulla stampa internazionale c’era un vivace dibattito sull’opportunità per l’Italia di uscire dall’euro. Sia da Bloomberg che dalla pancia di J.P. Morgan che dalla stessa Germania si poteva avere un’ampia panoplia di considerazioni e ragioni tecniche o economiche a favore di un uscita italiana dall’area euro. Volendo riassumere all’osso l’insieme di queste discussioni si può dire che da una parte l’Euro, lo si vede benissimo attraverso il Target 2, ha creato un enorme sbilanciamento in favore della Germania o degli altri Paesi cosiddetti forti e che con una moneta propria il Paese  “tornerebbe competitivo da un giorno all’altro” come scrive Daniel Stelter sul Manager Magazine (foglio della elite economica tedesca), il quale per giunta sdrammatizza anche la questione della cancellazione del debito. Non voglio nemmeno commentare queste tesi che peraltro considero quasi ovvie anche quando ammantate dal solito tecnicismo esoterico, la cosa che mi preme far notare è che di questo si parla ovunque  – e non su qualche settimanale di gossip, ma sulle pubblicazioni e nelle documentazioni di chi fa l’economia globale – tranne che in Italia. Da noi, anzi è un tabù che viene onorato in vari modi, col silenzio, con argomenti di routine o racconti d’orrore e persino con torsioni costituzionali.

Ora, dopo un decennio di crisi  che ha colpito in vari modi un po’ tutti, l’interesse a una via d’uscita dall’euro dell’Italia come di altri prigionieri della moneta unica la cui economia si era strutturata attorno a una moneta scalabile, è funzionale a diversi interessi alcuni dei quali contrapposti: da una parte c’è quello della Germania e degli altri Paesi forti di contorno che dopo aver lucrato tutto il possibile con l’euro ora temono di dover mettere mano alle tasche per riequilibrare una situazione degradata e sempre meno contenibile, ma questo dopo due decenni  di blocco salariale e la creazione di precarietà dilagante, è semplicemente impossibile dal punto di vista politico; dall’altro c’è quello dell’America di Trump che vuole infliggere una punizione alla Germania ritenuta la meno devota ai riti Nato, la meno disponibile nei fatti più che nelle parole all’accerchiamento della Russia, il più temibile concorrente in quei pochi campi dell’industria che sopravvivono in Usa, auto in primo piano, oltre che un pericolo a causa della forte disponibilità tedesca alla nuova via della seta. E noi rischiamo di fare il vaso di coccio (di coccio più in senso metaforico che materico) tra questi vasi di ferro visto che nemmeno possiamo discutere seriamente di un argomento che comporta decisioni di enorme portata: rimanere nell’euro significa infatti la lenta e certa dissoluzione del Paese, ma nemmeno l’uscita è tutta rose e fiori, comporta qualche anno di fatiche in vista di una rinascita. Il che non vuol dire, non sono poi così ingenuo, che un qualsiasi governo debba anticipare le proprie mosse che sarebbe deleterio, ma questa è tutt’altra cosa rispetto a un divieto di discussione.

Infatti la ragione per la quale l’informazione e la comunicazione hanno creato il tabù della moneta unica considerandola una scelta irreversibile, si condensa in poche parole: l’euro in Italia,  è stato uno strumento più incisivo che altrove per sbarazzarsi del welfare, far tacere le battaglie sociali, sviluppare la precarietà e dunque il ricatto del lavoro, per agevolare in ogni modo l’offerta senza sbocchi ovvero la razza padrona e penalizzare la domanda con una straordinaria caduta salariare. Il ritorno, magari graduale e condotto per vie interne come suggerito da molti, a una divisa nazionale,  metterebbe in crisi questo paradigma antisociale che dovrà  necessariamente essere corretto: bisognerà, almeno nei primi anni, ricreare degli automatismi salariali e comunque riabilitare le battaglie contrattuali senza poterle demonizzare in nome della competitività, rinazionalizzare servizi dati in pasto per quattro soldi  a soggetti privati tanto avidi, quando incapaci e restii agli investimenti, ricominciare a ricostruire uno stato sociale, fare insomma ciò che oggi viene considerato “impensabile” da tutti quelli che hanno creato e accreditato il tabù dell’euro. Esiste certamente in termini teorici un’uscita “a destra” dall’euro, ma in realtà è proprio la moneta unica ad aver incarnato tutta la destra possibile e un’uscita da questo infernale meccanismo non potrà che mitigarne gli effetti, anche se ovviamente bisognerà mobilitarsi per evitare colpi di mano.

Mobilitarsi fin da subito perché dalla discussione internazionale su questi temi si trae la convinzione che non stiamo parlando di ipotesi o di un se accademico, ma semplicemente di un quando, perché è evidente che il modello germanocentrico ed euro dipendente della Ue è ormai in rapido disfacimento. Solo Mattarella non se ne è accorto, così come gli ambienti che egli rappresenta non hanno capito  (o tentano di lucrare politicamente fino all’ultimo) che questa Europa dei trattati capestro, dei tetti monetari senza fondamenta, della disuguaglianza e delle lobby si sta sfaldando perché è impossibile prolungare ancora a lungo gli equilibri precari sui quali si è retta. Solo poi  si potrà ricostruire l’Europa.

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