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marx xxi

Sulla Siria

intervista a Fulvio Scaglione

Abbiamo rivolto alcune domande a Fulvio Scaglione, giornalista professionista, collaboratore di importanti testate giornalistiche e grande conoscitore del Medio Oriente.

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Mesi fa alcuni personaggi pubblici furono protagonisti di una campagna sui social network per denunciare l'uso di armi chimiche da parte di Assad. Questa campagna tentò di dare legittimazione morale al bombardamento occidentale in Siria. Possiamo, oggi, scrivere una parola definitiva su quello che è veramente successo a Douma?

Per essere onesti, una "parola definitiva" su quanto avvenne a Douma nell'aprile scorso non possiamo ancora dirla, perché gli ispettori dell'Opac hanno per ora solo pubblicato una relazione provvisoria.

Quella definitiva arriverà tra qualche mese ed è quella che dobbiamo aspettare. La relazione provvisoria, comunque, ha già stabilito che non fu usato gas nervino e che sono state rinvenute tracce di "sostanze clorinate" (che possono essere usate, ovviamente, per armi chimiche al cloro) e di esplosivi. Il che non è strano, visto che in quel teatro di guerra anche i ribelli disponevano di depositi di sostanze chimiche e, ovviamente, di esplosivi.

Aspettare, quindi, è una posizione intellettualmente corretta. Quello che non è corretto, invece, è prendere posizione senza sapere, cioè proprio quello che hanno fatto i molti personaggi pubblici che si buttarono immediatamente a manifestare sulla scia delle accuse ad Assad e al suo esercito. Accuse totalmente di parte, lanciate dai soliti ambienti della diaspora siriana negli Usa (quelli che, come già nel caso dell'Afghanistan, dell'Iraq e della Libia vengono di solito usati per avviare questo tipo di operazioni mediatiche), dall'Osservatorio siriano per i diritti dell'uomo (fondato da un oppositore di Assad e finanziato dal Governo inglese) e corroborate quasi solo dagli Elmetti Bianchi, ovvero dai membri dell'organizzazione che è stata pochi giorni fa evacuata da Israele, nemico giurato della Siria di Assad. Insomma, un'operazione militare e politica di parte fatta passare come slancio umanitario e pacifista. Mentre nello stesso tempo giornalisti di grande autonomia e autorevolezza come Robert Fisk, il primo ad arrivare a Douma, raccoglievano testimonianze  che smentivano l'ipotesi di un attacco chimico da parte di Assad e dei suoi. Ripeto: quanto è davvero successo a Douma non lo sappiamo e forse ci aiuterà a capirlo la relazione definitiva dell'Opac. Ma nell'aprile scorso ancor meno lo si sapeva. E nonostante questo, troppi intellettuali o presunti tali si sono prestati a un campagna d'opinione che, non dimentichiamolo, è servita a coprire i bombardamenti di Usa, Franca e Uk contro la Siria, che hanno ammazzato più persone di quelle morte a Douma.

 

Una certa sinistra si è spesa molto in passato per difendere la martoriata popolazione di Aleppo dall'assedio dell'esercito siriano. Tu che hai visitato Aleppo dopo la cacciata dei terroristi condividi queste posizioni?

La guerra condotta nei centri urbani è sempre una porcheria, una massacro di persone innocenti. È così a Gaza, è stato così a Fallujah in Iraq nel 2004, e più di recente a Mosul (Iraq) o Raqqa (Siria). Quindi, qualunque formazione armata decida di condurre operazioni militari in una città, sia essa un esercito regolare o una milizia, deve prendersi la responsabilità di quanto accade. Io sono stato ad Aleppo nel 2015, 2016, 2017 e 2018, quindi anche prima che terminasse la battaglia e posso produrre non solo le testimonianze di chi viveva lì ma pure le foto dei quartieri occidentali (ovvero, quelli mai caduti nelle mani degli insorti) con una grande quantità di palazzi civili distrutti dalle bombe lanciate dalla parte Est. Per quasi quattro anni Aleppo è stata assediata (alla lettera, perché l'autostrada M5 era spesso chiusa perché sotto il tiro dei ribelli), privata di una vita decente (mancava l'acqua, la corrente elettrica c'era per pochissimo tempo al giorno, i generi alimentari erano scarsi e carissimi, le scuole chiuse...) e martellata dalle bombe nell'indifferenza del mondo. Anche se la caduta della città avrebbe significato la vittoria dell'Isis e di Al Nusra. Poi, quando russi e siriani sono passati alla controffensiva (e anche in questo caso, sia chiaro, va ripetuto quanto detto prima sulla guerra nelle città) è partito il coro della preoccupazione umanitaria, con gli ultimi pediatri, gli ultimi clown, le bambine fanatiche di twitter e così via. Essere indifferenti alla morte di certi civili e sensibili a quella di altri civili non ha nulla di umanitario. È una scelta politica, una battaglia politica. E per Aleppo, come per tutta la guerra in Siria, la battaglia politica, ovvero la finta preoccupazione umanitaria, è stata a senso unico".

 

Sono molti i paesi che hanno avuto parte nelle vicende siriane. Qual è il ruolo dei diversi attori in conflitto nella regione, a partire dalla Russia e dagli Stati Uniti?

La guerra in Siria è un tassello importante del confronto globale che oppone la Russia agli Usa. Gli Usa hanno attaccato in Ucraina (ma ancor prima anche in Romania e Polonia, dove hanno installato dal 2008 il sistema missilistico che ha un evidente valore anti-russo), la Russia ha risposto mandando a monte il progetto americano di smembramento della Siria. Ognuno, ovviamente, ha portato con sé amici e alleati. Quello, però, è solo il primo livello. Se si scava un po', si vede che da un lato c'è un evidente progetto russo, di lungo periodo (diciamo che già Evgenyj Primakov aveva fatto intuire qualcosa in questo senso) di rientro attivo in quel Medio Oriente da cui, prima dell'intervento in Siria, era sostanzialmente assente fin dal 1972 (cacciata dei consiglieri sovietici dall'Egitto). In corrispondenza, ovviamente, delle difficoltà americane (Bush e Obama) nel mantenere quella posizione di dominio nata con la fine della seconda guerra mondiale, alle quali Trump sta cercando di porre rimedio spingendo l'alleanza tra Arabia Saudita e Israele. Ma più sotto c'è un terzo livello, che possiamo definire, se non uno "scontro di civiltà", almeno uno scontro di strategie politiche e culturali. Da un lato la strategia Usa della "esportazione della democrazia", ovvero del tentativo di omologare tutti i sistemi politici ed economici al modello americano. Dall'altro, l'idea russa del "vivi e lascia vivere", ovvero della sopportabilità di qualunque sistema nell'ambito di un mondo plurale, con la Russia come garante. Non è finita e andrà avanti per un bel po'".

 

Un'ultima domanda. Da giornalista come giudichi la copertura mediatica che in Italia è stata data a tutta la vicenda siriana (non ultima la quasi censura sulla relazione dell'Opac)?

Di un livello medio bassissimo. Quando si arriva a citare come "fonti", sulla questione siriana, anche Al Jazeera o Al Arabiya, tutto diventa possibile. E infatti abbiamo letto e ascoltato di tutto.

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