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Game over

di Antonio De Lellis*

Scorgere i segni dei tempi significa dare il giusto peso alle molte rivolte sparse per il mondo, da Hong Kong al Cile, all’Ammazonia passando per il Libano, la Palestina, la Gran Bretagna e le manifestazioni globali per la giustizia climatica. In alcuni casi sono rivolte anche violente che conosciamo perché mediaticamente efficaci e, a volte, sono rivolte senza un apparente conflitto, festose. Cosa sta accadendo?

Le miriadi di rivolte sparse per il mondo raccontano di un sistema in “game over”, subordinato ad interessi enormi e confliggenti per l’accaparramento delle risorse, dei territori, come in Siria, Yemen, Irak, Libia, Palestina, Egitto, America latina. Manca una visione alternativa complessiva di lungo respiro. Manca non solo una ideologia, ma anche un’idea di futuro condiviso. Quale società vogliamo? Quali sogni abbiamo o stiamo condividendo? In questo percorso di costruzione in corso anche la chiesa di Francesco gioca un ruolo importante in termini di orizzonti possibili. Nessuna prospettiva comune e vera sarà raggiungibile senza una giustizia climatica, sociale ed economica. Il sistema finanziario, che tiene sotto scacco il mondo attraverso il debito, è quasi intoccabile e le rivolte sembrano quasi non scalfirlo.

Guardo il mondo da una prospettiva particolare, ora, quella delle persone che vivono indirettamente una fragilità fisica condizionante e limitante. Da questa prospettiva la vita è rovesciata, fatta di file, di cure, di ricerca e speranze, di momenti e di prospettive autentiche, tremendamente concrete, di un tempo fatto di opere, sguardi, silenzi e parole importanti ed essenziali. Penso di avere fatto sempre parte di quel genere umano che ha un ideale e dedica la vita per cambiare il mondo. Ma oggi mi rendo conto che nel mondo possiamo avere un ruolo solo evitando di alterare l’originario equilibrio ambientale, sociale ed economico. Credo che possa essere un obiettivo conservarlo com’era in origine, in armonia, senza privilegiati e schiavi, senza oro e miseria, senza ricchezza e povertà, senza odio razziale. Quello che vorrei e quello che dovrebbe essere si scontra spesso con ciò che è: una tremenda realtà. Al contempo, perché non considerare anche una realtà che ci sfugge, ci supera e che per fortuna non è di questo mondo, ma cresce in questo mondo, spesso malvagio, però sempre pieno di germogli e positivi risvegli. Credo che, nella sostanza, nulla possa sostituire quella speranza che sono le relazioni umane autentiche, vive e concrete vicine a noi. Queste donano felicità. Credo di averla conosciuta, accarezzata e cullata pur avendola tanto agognata. Se hai la fortuna di scoprirla nel presente allora la assapori come chicchi di melograno. Se te ne accorgi solo dopo, puoi recuperare quel caldo ricordo e conservarlo con cura in qualche cassetto della tua memoria.

Per coloro che vivono cercando di cambiare il mondo, le cose da modificare sono spesso considerate solo esterne. Nulla, però di quello che si vive è davvero esterno e nulla solo interno. Eppure in questa mescolanza, quando gli sguardi si incrociano e lasciano spazio a parole autentiche, lì è la felicità: stato di benessere, di passione e vivacità, di desiderio di andare avanti e scoprire. Anche il dolore che rende essenziali contribuisce alla felicità perché dona una vita vera. La felicità è questo diventare nudi e poveri di illusioni, sempre attenti a non arricchirsi di cose, ma di relazioni vere.

Credo che il sistema nel quale viviamo sia in “game over” perché non ha messo al primo posto la felicità condivisa. Ha creduto che il sovrastare la terra e l’umanità fossero la strada per avere un benessere economico fatto di cose superflue, che il grande sogno comune fosse “arricchirsi”, senza guardare agli effetti collaterali e alla striscia di sofferenza, angoscia e sangue che lascia dietro in qualche parte del pianeta. La felicità è invece appartenenza umana, è condivisione autentica, è dolore affrontato e vissuto senza rabbia e senza disperazione. Qualunque mondo futuro, giusto per tutti, spero abbia in debito conto la felicità possibile e condivisa senza la quale sarà un altro sistema destinato al game over. La felicità della società che vorrei è silenzio, equilibrio, consapevolezza, compagnia, inclusione, comunanza, solidarietà, attenzione al vivente, è avere cura della terra e dell’umanità senza muri e pregiudizi. Possiamo costruire questa società della felicità? Possiamo farlo senza conflitti, senza un rovesciamento dell’esistente ingiusto? Non credo. Forse allora bisognerebbe comprendere che il conflitto è oltrepassare, correggere, modificare la nostra esistenza verso qualcosa per cui valga la pena vivere.

Se il motore di questo attuale sistema è la sopraffazione occorre voltare pagina, senza rimpianti, radicalmente e coscientemente, bandendo le armi, i privilegi, il debito. Saremo vivi, essenziali, in equilibrio con il pianeta e potremo costruire una vera comunità, matura dove quello che davvero conta è privarci del superfluo, mirare all’essenziale e recuperare i volti, senza distrazioni e senza rimpianti.


* Da anni impegnato con Attac e nei movimenti per l’acqua e contro le trivellazioni, vive a Termoli, in Molise. Ha aderito alla campagna “Ricominciamo da 3

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