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La guerra mondiale e l’Europa

di Ascanio Bernardeschi e Alessandra Ciattini

bernardeschi ciattini guerra.jpgLe varie parti della “guerra mondiale a pezzi” hanno una logica comune e l’Europa, contro i propri stessi interessi, tollera questa logica. I comunisti devono invece appoggiare lo sforzo dei popoli che vogliono liberarsi dalla violenta supremazia occidentale.

Se alcuni mesi fa papa Bergoglio aveva parlato, con riferimento ai troppi conflitti in corso, di “guerra mondiale a pezzi”, ci pare che questi pezzi si stiano pericolosamente fondendo nell’ambito di un orientamento sistemico alla guerra da parte delle maggiori potenze occidentali e della Nato.

Il motivo fondamentale è che stanno crollando i vecchi equilibri di fronte all’emergere impetuoso di nuovi protagonisti, fino a poco tempo fa dominati dalla violenza, più che dall’egemonia, del cartello di nazioni “evolute” dominato dagli Usa.

È proprio la potenza americana che, nel disperato tentativo di salvaguardare il suo predominio – e il predominio della propria valuta che le consente di vivere ben al di sopra delle proprie capacità produttive –, ha scelto il terreno militare dello scontro, consapevole che su quello economico la sua supremazia sta vacillando. La logica della maggior parte delle guerre in atto si può spiegare solo tenendo presente questa premessa.

 

Ucraina

Sta fallendo il tentativo della Nato di sconfiggere la Russia in Ucraina.

Sia sul terreno militare che su quello politico quella guerra ha avuto un esito deludente. La Russia, anziché essere isolata e sconquassata dalle sanzioni, vede crescere l’area dei propri alleati e cresce economicamente più dei propri avversari, mentre le sanzioni colpiscono prevalentemente l’Europa. L’incapacità dei Paesi europei di tutelare il proprio interesse e la sottomissione alla scelta statunitense di rompere il naturale e proficuo loro rapporto con la Russia stupirebbe se non fossimo di fronte all’obiettiva sudditanza del Vecchio Continente nei confronti del padrone di oltreoceano.

Mentre sono morti centinaia di migliaia di ucraini e Zelensky si dice disposto a combattere una guerra nucleare, serpeggia il timore di una rivolta interna i cui primi segnali sono la resistenza alla costrizione obbligatoria.

La Nato, dotando l’Ucraina di armi sempre più sofisticate e intensificando la propria organizzazione militare, ha in mente l’escalation della guerra contro la Russia in una guerra totale in tutta Europa.

Lo scorso ottobre, 60 aerei in Italia, Croazia e nel Mediterraneo hanno partecipato all’esercitazione “Steadfast Noon”, simulando bombardamenti con armi nucleari.

I capi dell’esercito dell’Alleanza, riuniti a Bruxelles, su indicazione del comandante in capo della Nato Christopher Cavoli, hanno deciso di organizzare questa esercitazione, “Steadfast Defender”, che durerà tre mesi. Si tratta della più grande dai tempi della Guerra Fredda ed esplicitamente è la preparazione di una mobilitazione totale della Nato contro la Russia, che deve essere indebolita da attacchi continui. Vi partecipano 90.000 militari di tutti i Paesi alleati e della candidata in dirittura d’arrivo Svezia, più di 50 navi da guerra, 80 caccia, elicotteri e droni, 133 carri armati e 533 veicoli corazzati per il trasporto di truppe. L’estensione territoriale dell’esercitazione interessa la Scandinavia, gli Stati baltici, la Polonia, la Romania e la Germania. “L’Alleanza dimostrerà la sua capacità di rafforzare l’area euro-atlantica attraverso il movimento transatlantico di forze dal Nord America. Questo rafforzamento si verificherà durante uno scenario di conflitto emergente simulato contro un avversario quasi alla pari”, ha dichiarato Cavoli.

È evidente quindi che non si tratta di una semplice esercitazione, ma di una predisposizione alla trasformazione della guerra contro la Russia in Ucraina in una guerra combattuta in tutta Europa, come hanno brutalmente precisato alti ufficiali della Nato tra cui il presidente del comitato militare Rob Bauer il quale, dopo avere affermato che “non è scontato che siamo in pace”, ha precisato che “sarà l’intera società a essere coinvolta nella guerra, che ci piaccia o no”.

 

Taiwan

Se la Russia è l’obiettivo immediato, la sua bramata sconfitta sarebbe funzionale al successivo e strategicamente più rilevante nemico, la Cina, che si sta permettendo di praticare un modello economico alternativo a quello liberista, guidato, pur con alcuni compromessi col mercato capitalistico, dal Partito Comunista e che sta raccogliendo successi spettacolari fino a sopravanzare gli Usa in termini di potere d’acquisto globale e in molti comparti tecnologicamente avanzati. Questo modello sta attraendo l’interesse di molti Paesi in via di sviluppo che stanno abbandonando il campo occidentale e costruendo, a partire dai Brics, un campo alternativo in estensione e libero dal ricatto degli States, fino ad abbandonare il dollaro e il sistema di pagamento Swift in molte delle transazioni economiche internazionali.

L’insistenza statunitense a sostenere il regime ucraino infliggendo sofferenze enormi a quel Paese si spiega se abbiamo chiaro che l’obiettivo rimane la Cina.

Lo si comprende bene ascoltando il capo della Cia, William Burns, che in un suo articolo apparso il 31 gennaio scorso su «Foreign Affairs» afferma: “la volontà degli Stati Uniti di assorbire le sofferenze economiche per contrastare l’aggressione di Putin” colpisce anche “la sua capacità di mobilitare gli alleati a fare lo stesso” allontanando “da Pechino la convinzione che l’America fosse in declino terminale”. Pertanto, “il mantenimento del sostegno materiale all’Ucraina non va a scapito di Taiwan, ma invia un importante messaggio di determinazione degli Stati Uniti ad aiutare Taiwan”. Ecco, quindi, che c’è un rapporto stretto fra la guerra in Ucraina e le provocazioni anticinesi Usa sulla questione Taiwan.

 

Medio Oriente

Anche la questione mediorientale si connette a questo quadro. I motivi sono molteplici. Intanto, è da lì che dovrebbe transitare la via di collegamento fra l’India e l’Europa che, secondo gli strateghi occidentali, si dovrebbe porre in alternativa alla via della seta. I ricchi giacimenti di petrolio e gas (compreso quello di Gaza) potrebbero potenzialmente essere un’alternativa a quelli russi, oltre a sostenere il dollaro, valuta fino a poco tempo fa usata esclusivamente nel commercio internazionale del petrolio.

Altro tassello di questa strategia erano gli Accordi di Abramo, firmati nel 2020 fra gli Emirati Arabi Uniti, altri Paesi mediorientali e Israele, che avrebbero dovuto normalizzare le relazioni tra lo Stato ebraico e i firmatari arabi isolando quelli recalcitranti.

La strategia complessiva degli Stati Uniti consisteva in sostanza nella divisione fra sunniti e sciiti per isolare i Paesi arabi amici di Russia e Cina, primi fra tutti l’Iran e la Siria, nel favoreggiamento sottobanco dell’Isis e nel sostegno a Israele quale gendarme del Medio Oriente.

Ma anche in questo scacchiere le cose non si stanno mettendo bene per gli States, perché in Siria l’Isis è stato fortemente ridimensionato e i palestinesi si sono messi di traverso. La normalizzazione è sospesa finché essi continueranno a resistere e, dopo quasi quattro mesi di assedio e devastazione di Gaza, sembra che siano in condizione di resistere ancora, infrangendo il mito dell’imbattibilità di Israele. Nel frattempo, c’è stata una sorta di compattamento del fronte arabo; gli Usa sono sempre più isolati, Hezbollah intensifica il lancio di missili verso Israele, numerose basi militari statunitensi sono state attaccate in Siria, Iraq e Giordania e dallo Yemen gli Houthi stanno sabotando il passaggio dal Mar Rosso delle imbarcazioni dirette verso lo Stato sionista via Canale di Suez. Anche in questo caso i bombardamenti Usa dello Yemen stanno producendo l’effetto di isolare sempre di più la superpotenza dal mondo arabo, mentre l’invio di navi da guerra, anche da parte del nostro governo, rende ancora più pericoloso il passaggio dallo stretto di Hormuz, in cui il transito di container è ridotto del 66%. È ipocrita giustificare il nostro intervento militare nel Mar Rosso con la difesa della libertà degli scambi commerciali dal momento che negli ultimi anni la politica delle potenze occidentali ha svoltato verso il protezionismo, l’imposizione di barriere economiche e finanziarie e militari al libero commercio, l’instaurazione della dottrina del “friend shoring”, cioè del commercio esclusivamente con i Paesi “amici”. In particolare nei confronti della Cina, nel giro di pochi anni, i dazi sono quasi decuplicati, specialmente per i prodotti tecnologici considerati strategici, ma non solo.

Anche in questo caso pesa la sudditanza dei Paesi europei agli Usa in quanto l’autolesionistica adesione dei primi all’interventismo nel Mar Rosso complica ancor di più il passaggio dal canale di Suez. E il maggior costo dell’alternativa a quel passaggio, la circumnavigazione dell’Africa, danneggia, per motivi obiettivi di collocazione geografica, infinitamente di più il Vecchio Continente che l’America.

Nel frattempo, Israele sta pagando la sua politica aggressiva e genocida, che può proseguire solo grazie agli aiuti Usa. Mentre gli speculatori edilizi già annunciano la costruzione di case di lusso nei quartieri bombardati di Gaza, pesa il distoglimento di parte della popolazione dalle attività produttive al servizio militare, la fuga di molti lavoratori dalle zone più a rischio di bombardamenti o raid, il minor utilizzo, per motivi di sicurezza, della manodopera araba che era un elemento fondamentale del modello economico israeliano. Tant’è vero che si sta cercando di rimpiazzare questa manodopera con immigrati.

 

L’Occidente

A novembre si terranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti che vedono pronosticata la vittoria del repubblicano Trump. La politica estera dei repubblicani, tradizionalmente, è più orientata all’isolazionismo e infatti l’opposizione di quel partito al finanziamento dell’Ucraina ha determinato una sorta di stasi degli “aiuti” e, anche in questo caso, una maggiore presa in carico del problema da parte degli Stati europei a compensazione dello smarcamento degli Yankee.

Naturalmente non c’è da farsi illusioni, il disimpegno caldeggiato da Trump è in funzione del concentramento degli sforzi contro la Cina. Molto più interessanti sono alcuni movimenti negli States che contestano la politica bellicista e in alcuni casi rilanciano la lotta di classe che sta già conseguendo alcuni risultati in termini economici di fronte a un aumento vertiginoso del costo dei prodotti energetici.

Intanto, le spese militari hanno registrato l’aumento sostenuto nel 2022 del 13% rispetto all’anno precedente, a ristoro dei profitti e a fronte di una lunga stasi della crescita economica. Secondo lo studio del Sipri (Istituto internazionale di Stoccolma di ricerca sulla pace) risalente all’aprile dello scorso anno, l’aumento di gran lunga maggiore è stato registrato in Europa, in gran parte dovuto alla spesa russa e ucraina.

Fra i maggiori aumenti del 2022 si registrano quelli della Finlandia (+36%), Lituania (+27%), Svezia (+12%), Polonia (+11%) e Russia (9%) nel 2022. Ma il record, un aumento annuale mai registrato prima secondo il Sipri, lo detiene l’Ucraina che, con un aumento del 645%, ha raggiunto i 44 miliardi di dollari nel 2022, pari al 34% del Pil!

In valore assoluto, gli Stati Uniti, con 877 miliardi (quasi il 40% della spesa militare globale), rimangono, con un forte distacco, in testa alla classifica.

 

L’Unione Europea

Il progetto di Bussola europea, un’iniziativa guidata dagli Stati membri dell’Ue che detta le linee sulla politica di potenziamento militare, fino al 2032, toglie ogni velo alla retorica che vorrebbe il disegno europeo come un disegno di pace.

Non tutti i leader europei sono d’accordo con l’ipotesi dell’autonomia strategica. La stessa Ursula von der Leyen, in uno suo discorso, ha affermato che gli europei non potranno mai sostituire gli Usa per garantire la sicurezza internazionale. Però, sempre la presidente della Commissione europea, invoca un’Unione Europea capace di costruire una politica di approvvigionamento energetico autonoma, andando a prendere le materie prime indispensabili alla svolta green ove necessario; il che fa presagire anche una rinnovata capacità militare da schierare in difesa degli interessi comunitari.

Ma un’Europa armata, in grado di difendersi e di attaccare da sola, che relazione stabilirà con la Nato? La risposta c’è e starebbe nel “giusto equilibrio tra europeismo e atlantismo”, ma non sappiamo quanto praticabile: “Ue e Nato sarebbero complementari e sinergiche” e l’Europa della difesa sarebbe il pilastro europeo dell’Alleanza atlantica, “con il fine ultimo di promuovere pace, stabilità, sicurezza e cooperazione ovunque”. Proprio come si è verificato in passato e si sta verificando oggi, basti pensare allo “Strumento europeo per la pace” che ha stanziato fondi per alimentare la guerra in Ucraina. L’idea di un esercito autonomo europeo, che in altri contesti potrebbe non essere irragionevole, nella concretezza degli attuali equilibri mondiali e della sudditanza al predominio statunitense, potrebbe significare solo un ulteriore strumento al servizio della Nato.

Naturalmente, i governi italiani di ogni colore, sostanzialmente omogenei tra di loro da molti punti di vista, apprezzano la Bussola, perché contribuirebbe allo “sviluppo tecnologico e industriale del settore aerospazio, sicurezza e difesa, con ricadute positive su tutta l’economia”. Certo! Perché da sempre un obiettivo comune a tutte le guerre è sostenere i profitti dell’industria bellica.

Dato il legame ineliminabile di subordinazione dell’Europa agli Usa, la Bussola si ridurrebbe sostanzialmente a una delega da parte degli Usa ai sudditi europei affinché sorveglino il continente, così come Israele è stato delegato ad avere lo stesso ruolo in Medio Oriente. Del resto, la stessa Ue è una creazione degli Usa, che alla fine della Seconda guerra mondiale occuparono gran parte del continente e decisero di non ritornare a casa, costellando i vari Paesi europei di basi militari a garanzia della “scelta occidentale” dei suoi cittadini.

Ma davvero i cittadini europei sono disposti a diventare carne da cannone per tutelare gli interessi statunitensi e a impoverirsi sull’altare delle sanzioni alla Russia e del potenziamento militare? Quanto può durare tutto questo? I segnali di disaffezione non mancano, anche se ancora stenta a scendere in campo una forte mobilitazione all’altezza della gravità del momento in cui parlare di conflitto nucleare non è più un tabù.

L’indicazione dei comunisti deve essere, invece, la pace e la contrapposizione alle pretese dell’Occidente di tutelare con la violenza gli interessi del grande padronato a scapito delle prospettive di sviluppo dei popoli, che intendono liberarsi dal giogo neocoloniale.

Comments

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ekain
Friday, 16 February 2024 10:30
basta citare papa Bergoglio, il papa delle elite globaliste..
All’epoca della dittatura militare argentina, che tra il 1976 e 1984 causò decine di migliaia di morti e desaparecidos, un numero dieci volte più alto rispetto alle vittime della dittatura di Augusto Pinochet in Cile, Jorge Mario Bergoglio si è distinto per una grande discrezione. Dalla sua bocca non è uscita la minima condanna, neanche la minima critica alla dittatura.
Peggio ancora, Jorge Mario Bergoglio era il superiore dell’ordine dei Gesuiti e, con tale titolo, nel maggio del 1978 ritirò la licenza religiosa a due gesuiti che erano molto coinvolti con i diritti dei poveri, attraverso la partica della Teologia della liberazione... Poco dopo, questi due gesuiti comunisti, (o meglio che si ispiravano alle idee marxiste nella loro lotta), avendo perduto la protezione della chiesa, furono arrestati e torturati nella famigerata scuola militare dell’Esma.
Bergoglio è stato anche accusato di aver denunciato ai militari due suoi vecchi collaborati, ma ha sempre rifiutato questa accusa. Resta comunque il fatto che ritirando loro l’appoggio della Chiesa, ha permesso l’intervento dei militari.

Francisco, il Papa “jesuita” Francisco (Pepe in spagnolo) ha fatto beati piú di 500 preti fascisti delatori che furono giustamente e legalmente fucilati dal Governo Repubblicano spagnolo, l'unico legale. Fascista era in Argentina, tale rimane a Roma.
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