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conness precarie

Frammenti di welfare: formare al lavoro nei piani di ripresa post-pandemica

di ∫connessioni Precarie

Frammenti di welfare I 768x701Nell’Europa dei Recovery Plan la formazione è destinata a ricoprire un ruolo centrale nel welfare post-pandemico. Nella corsa dei governi nazionali per accedere ai fondi con cui ristrutturare i propri sistemi produttivi e sociali, il welfare assume il volto di una competizione tra progetti: quelli dei governi nazionali e quelli di lavoratori e lavoratrici alla ricerca di un’occupazione sempre più sfuggente e precaria, che richiede di accumulare costantemente quella condanna che è il capitale umano. Valorizzare sé stessi, aggiornare costantemente le proprie conoscenze e competenze diventa il motivetto che donne, precari e migranti dovranno ripetersi perché questo è il criterio sempre più stringente per accedere a una cittadinanza gerarchicamente differenziata secondo la quota di sapere sociale che ciascuno porta con sé.

Di fronte alla crisi pandemica che ha rimesso al centro del discorso politico la necessità di un intervento pubblico nella gestione della riproduzione sociale, e dunque della capacità di assicurare le condizioni economiche e sociali della produzione, l’Europa pianifica per la prima volta avendo a disposizione dei fondi per farlo. L’obiettivo dei suoi piani però non è una novità, anzi si pianifica quel che resta di un vecchio sogno europeo già perseguito in vari in modi negli ultimi vent’anni: fare della formazione e del lavoro un tutt’uno, legare a doppio filo il welfare con le politiche attive per il lavoro, a cui viene interamente piegata la formazione, normalizzare la precarizzazione rompendo il confine tra pubblico e privato.

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chartasporca

Il Primo Maggio è la tua festa. In cerca dell’unità perduta dei lavoratori

di Andrea Muni

primo maggioQuando i lavoratori si riuniscono […] si appropriano insieme di un nuovo bisogno, del bisogno della socialità, e ciò che sembra un mezzo, è diventato un fine. Questo movimento pratico può essere osservato nei suoi risultati più luminosi. Quando i lavoratori si uniscono […] il fumare, il bere e il mangiare insieme, non sono più “mezzi” per stare uniti, “mezzi” di unione politica. A loro basta la socialità, l’unione, la conversazione che questa stessa socialità ha a sua volta per scopo; la fratellanza degli uomini non è presso di loro una frase, ma una verità, e la nobiltà dell’uomo s’irradia verso di noi da quei volti induriti dal lavoro
(K. Marx, Manoscritti economico-filsofici)

Il 27 aprile scorso gli operai di una fonderia controllata dalla Renault hanno sequestrato per alcune ore, come si usava fare un tempo, alcuni dei loro manager per protestare contro i tagli previsti al personale e contro la decisione di smantellare la fonderia. La notizia in Italia è stata diffusa online nientemeno che da www.quattroruote.it (perché interessa il mondo dei motori, e non certo per solidarietà con i lavoratori), a ennesima testimonianza del disinteresse, per non dire della censura, che cultura e media mainstream esercitano nei confronti della reale condizione dei lavoratori e delle loro lotte nel Paese e in Europa. Eppure i rapporti dei media pseudo-progressisti italiani con la Francia, a giudicare dalla enorme visibilità data all’arresto dei sette ex-brigatisti italiani, sembrano più che ottimi.

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perunsocialismodelXXI

Metamorfosi del taylorismo

Le insidie della "umanizzazione" del lavoro

di Carlo Formenti

mirafiori L’atteggiamento dei movimenti operai di ispirazione marxista nei confronti della tecnologia è sempre stato determinato dalla convinzione che lo sviluppo delle forze produttive è di per sé -a prescindere dal suo essere prodotto del processo di accumulazione capitalistica - un fattore progressivo, nella misura in cui crea le condizioni per la transizione a una forma più avanzata di civiltà. Per questo motivo, la rivolta luddista contro l’introduzione dei telai meccanici nell’Inghilterra dell’Ottocento - benché gli storici ne riconoscano il ruolo nella genesi di una embrionale coscienza di classe (1) – è stata generalmente classificata come una vana resistenza – eroica, ma oggettivamente conservatrice – al processo di industrializzazione, dal momento che questo avrebbe favorito la crescita numerica degli “affossatori” del modo di produzione capitalistico. Per la stessa ragione Marx, tanto nel Manifesto quanto nel Capitale, esalta la funzione “rivoluzionaria” del capitale che, nella sua irresistibile avanzata, spazza via tutte le forme economiche e sociali “arretrate” (arrivando a celebrare la missione “civilizzatrice” dell’imperialismo britannico in India (2) – pur riconoscendone i crimini). Per lo stesso motivo, infine, tanto Lenin che Gramsci diedero un giudizio positivo sulle “scoperte” di Taylor, ritenendo che i principi dell’organizzazione “scientifica” del lavoro rappresentassero un’importante innovazione di cui la classe operaia avrebbe dovuto impadronirsi, per sviluppare la produzione e avanzare più rapidamente verso il socialismo.

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lacausadellecose

Il sindacalismo operaio nell’attuale caotica fase storica

di Michele Castaldo

unnamedh87657Prendiamo spunto dal risultato referendario in un impianto di Amazon negli Usa per riflettere sulla possibilità di costituire il sindacato all’interno dei suoi stabilimenti e tornare a discutere della questione centrale che ha di fronte il proletariato in questa fase. Al riguardo ci sono altri contributi, ad esempio quello del compagno Alessio Galluppi, ricco di spunti, sul suo blog “noinonabbiamopatria”, al quale perciò rimandiamo per una dovizia di particolari. In queste note cerco solo di riannodare i fili di un ragionamento già impostato nelle sue le linee essenziali.

I fatti: negli Usa il sindacato RWDSU, che aderisce all’Afl-Cio, sollecitato da alcuni lavoratori dell’impianto di Bessemer in Alabama, aveva raccolto le firme per indire

un referendum per la costituzione del sindacato all’interno dello stabilimento. Dopo un paio di mesi di estenuante attesa e di pesante campagna da parte di Amazon, la maggioranza dei lavoratori ha bocciato l’ipotesi, consegnandosi così mani e piedi nelle braccia dell’azienda, rifiutandosi cioè di costituirsi collettivamente per la contrattazione delle proprie condizioni normative e salariali.

Diciamo fin da subito che non schiumiamo di rabbia per il comportamento operaio a Bessemer e di quello – conseguente – del sindacato RWDSU che si era proposto. La storia del movimento operaio, al riguardo, ne racconta di ogni specie e chi ha avuto la possibilità di trovarsi in lotte operaie e proletarie non può che confermare. E una certa Rosa Luxemburg ci metteva in guardia al riguardo:

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lordinenuovo

Brunetta, i sindacati e il nuovo accordo per la Pubblica Amministrazione tra aziendalizzazione del servizio pubblico e colpevolizzazione del singolo

di Domenico Cortese e Luca Giovinazzo

Schermata del 2021 03 30 17 04 17Un governo nato sotto la tediosa e sgradevole retorica della “competenza” non poteva non porre tra i primi punti all’ordine del giorno l’ennesimo appello per una Pubblica Amministrazione “riformata”, “rinnovata” e “produttiva”. «Ho invitato a cena i leader sindacali, è stata la base di un accordo di collaborazione», ha dichiarato il Ministro Renato Brunetta,1 facendo subito un quadro chiaro della prassi utilizzata per tali intese a porte chiuse e in ambienti in cui tutto entra meno che la pressione delle istanze dei lavoratori e delle loro piazze. La Pubblica Amministrazione (PA), ricordiamo, è l’insieme degli enti pubblici che concorrono all’esercizio e alle funzioni dell’amministrazione di uno Stato nelle materie di sua competenza. La maggior parte di queste materie interessa servizi di interesse generale, la cui utilità e qualità si può misurare soltanto in relazione alle necessità e al funzionamento del resto del sistema-paese e non a seconda delle “merci prodotte nell’unità di tempo” (si pensi all’ufficio anagrafe di un comune, alla formazione degli studenti in un liceo o al servizio 118 del sistema sanitario). Spesso, oltretutto, la PA è tenuta ad offrire, per assicurare il funzionamento omogeneo dei servizi pubblici ed (in teoria) il solidarismo sociale, dei servizi in territori le cui comunità non sarebbero economicamente capaci di “retribuire” il sistema amministrativo per i servizi che offre. E, tuttavia, la tendenza politica, negli ultimi anni, è stata quella di far somigliare sempre più la PA, nelle politiche finanziarie relative ad essa e nei suoi parametri di valutazione, ad una azienda privata. A cominciare proprio dalle riforme Brunetta implementate durante i primi anni del Berlusconi IV.

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lacausadellecose

La questione sindacale e il sindacalismo alternativo in questa fase

di Michele Castaldo

Festa di Popolo del pittore Andrea Guida 2005Senza girarci troppo intorno cerchiamo di andare al cuore del problema: la questione sindacale non è una fra le tante, ma è la questione delle questioni inerente il rapporto del proletariato, cioè il produttore di valore, col capitale. Detto rapporto non si presenta sempre allo stesso modo ma segue l’andamento dell’accumulazione capitalistica, l’estensione del modo di produzione, le trasformazioni tecnologiche dei mezzi di produzione, il rapporto della concorrenza fra le merci comprese le merci operaie e la concorrenza al loro interno. Su tale questione l’insieme della sinistra si è rotta parecchi denti senza mai riuscire a venirne a capo per un vizio d’origine mai superato, quello di non mettere al centro il soggetto-agente, che è il proletariato, e la sua azione dipendente dall’andamento del modo di produzione.

Queste note sono motivate da alcuni fatti che stanno accadendo in Italia e nel settore specifico della Logistica, ovvero il trasferimento delle merci attraverso colossi del settore come Amazon, ad esempio, ma che rivestono caratteri generali della contrattazione tra la merce proletaria e il capitalista, ovverossia quella che storicamente si è definita come la questione sindacale.

Dal momento che in Italia, all’interno di questo settore, è emersa la necessità di organizzarsi dei lavoratori per lo più immigrati e di colore, trovando in alcuni militanti dell’estrema sinistra residuale degli anni ’70 del secolo scorso, la disponibilità a farlo, si è costituito una decina d’anni fa un piccolo sindacato, il SI Cobas, che è balzato sulla scena perché per tutto questo periodo ha saputo tenere testa al padronato del settore e alla più brutale repressione da parte delle istituzioni dello Stato democratico italiano.

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lacausadellecose

Le difficoltà del sindacalismo alternativo in questa fase

di Michele Castaldo

italpizza sap polizia modena sicobasCi sono stati nei giorni scorsi dei fatti gravissimi da parte delle istituzioni dello Stato democratico, cioè della polizia e della magistratura contro il SI Cobas, un piccolo sindacato nel quale sono confluite le necessità di lavoratori della Logistica, a maggioranza immigrati di colore, per difendersi contro le infami condizioni di lavoro. Stabilite le debite distanze con la democrazia repubblicana e le sue leggi, che vengono utilizzate a fisarmonica, cioè secondo le circostanze e le convenienze della pressione del dio capitale, guardiamo al di qua della linea di confine, cioè fra quanti in un modo o in un altro si richiamano alla difesa delle necessità del proletariato e alle sue difficoltà in un momento molto complicato per gli oppressi e sfruttati in ogni angolo del pianeta per una crisi capitalistica senza precedenti nella storia moderna. Lo dobbiamo fare senza spocchia, senza presunzione, senza una stupida difesa di bottega, ovvero senza fanciullesco estremismo, cercando di relazionarci correttamente ai fatti piuttosto che predeterminare la nostra opinione sui fatti per volgerli a nostro favore.

Il 22 marzo prossimo – salvo sorprese dell’ultima ora sempre possibile – ci sarà uno sciopero generale indetto dalle organizzazioni storiche del proletariato italiano Cgil, Cisl, Uil contro Amazon su una piattaforma ovviamente non rivoluzionaria e molto interlocutoria, è inutile nascondercelo.

Come si dovrebbe comportare un piccolo sindacato come il SI Cobas che negli ultimi anni si è esposto oltremodo nel settore della Logistica ed ha costruito le sue “fortune” in termini di credibilità con costi altissimi in termini di repressione dei propri quadri, dirigenti e militanti?

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bollettinoculturale

Riflessioni su "Addio al lavoro?" e note a margine sul concetto di classe-che-vive-di-lavoro

di Bollettino Culturale

ADEUS AO TRABALHO 1250460359BLe trasformazioni nel mondo del lavoro hanno influenzato la sua forma di essere, raggiungendo dimensioni oggettive e soggettive dei soggetti collettivi o della classe-che-vive-di-lavoro, come suggerisce l'autore. Il punto di riferimento di questo testo sono gli anni '80, un periodo in cui il libro “Addio al lavoro? Le metamorfosi e la centralità del lavoro” sottolineava che gli effetti non erano limitati al mondo sottosviluppato, ma abbracciavano anche il mondo sviluppato. La rottura degli schemi produttivi ha portato con sé un inasprimento dei livelli di degrado dei soggetti, rendendoli flessibili, allo stesso tempo ha portato allo smantellamento delle organizzazioni sindacali, che si basavano sul modello tradizionale di accumulazione, in cui il lavoro aveva ancora un certo potere contrattuale nell'ambito industriale e una relativa partecipazione ai profitti aziendali. Antunes presta particolare attenzione alla contraddizione strutturale tra capitale-lavoro, tenendo conto di come il nuovo regime di accumulazione ha ridefinito le forme di sfruttamento, nonché indebolito le forme tradizionali di lotta.

Grazie al suo lavoro è possibile osservare come il taylorismo-fordismo ha cessato di essere il principale modello di organizzazione del lavoro, iniziando a fondersi con forme più flessibili di accumulazione, a cui vengono assegnate varie denominazioni, come: "neofordismo", "neo-taylorismo", "postfordismo".

Diverse sono le caratteristiche di questo nuovo modello: specializzazione flessibile; deconcentrazione industriale; nuovi modi di controllare la forza lavoro; rottura o flessibilizzazione di ogni vincolo; controllo della qualità totale…

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coniarerivolta

Il lavoro e i piani bellicosi del Governo Draghi

di coniarerivolta

licenziareAncora non ci sono certezze su quella che sarà la politica economica e sociale del governo Draghi. Allo stato attuale, l’esecutivo guidato dall’ex Presidente della BCE non ha ancora adottato provvedimenti tali da indicare quelle che saranno le sue mosse, sebbene alcune nomine di consiglieri economici non facciano dormire sonni tranquilli. Ben presto, però, ne sapremo di più.

 

Blocco dei licenziamenti e integrazioni salariali: si avvicinano le scadenze

Tra circa un mese, infatti, scadrà il blocco dei licenziamenti, da ultimo prorogato dalla Legge di bilancio fino al 31 marzo. Lo stesso giorno, inoltre, è il termine ultimo di copertura della cassa integrazione ordinaria con causale Covid-19, mentre per la cassa integrazione in deroga la scadenza è prevista, attualmente, per il 30 giugno. In entrambi i casi, però, il periodo massimo di cassa integrazione è fissato in dodici settimane.

Ricordiamo brevemente che cos’è la cassa integrazione. Si tratta di un meccanismo di integrazione salariale, pensato per garantire ai lavoratori un sostegno economico nel momento in cui, a causa delle ridotte esigenze produttive delle imprese presso le quali sono stati assunti o durante fasi di riorganizzazione e di crisi aziendale, vengono lasciati a casa per alcuni periodi, o il loro orario lavorativo si riduce. Durante questi periodi, ai lavoratori viene versato un trattamento economico che ammonta all’80% della retribuzione globale che sarebbe loro spettata per le ore di lavoro non prestate.

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inchiesta

Toyotismo. Qualità totale per chi?

di Fabio Scolari*

Giappone8975Prima di entrare nel vivo delle questioni è utile partire da una breve premessa di ordine storico sullo sviluppo, a seguito del secondo conflitto mondiale, del capitalismo giapponese. Richiamare questo elemento è assolutamente necessario se si vogliono comprendere le caratteristiche essenziali del metodo di organizzazione del lavoro ohnista[1]. Non farlo rischierebbe, infatti, di determinare una rappresentazione mistificata ed edulcorata dei suoi tratti più oppressivi e manipolatori. Quindi, capire i motivi della sconfitta del sindacalismo di classe nipponico è il primo passo per scoprire i segreti che hanno prodotto prima l’ascesa economica internazionale della Toyota e poi dell’intero Giappone.

 

La sconfitta del sindacalismo di classe

Il Giappone, uscito sconfitto dalla Seconda Guerra Mondiale, dovette affrontare nei decenni successivi una serie di forti ristrutturazioni, sotto l’amministrazione del generale statunitense Mac Arthur, che ebbero come conseguenza la «modernizzazione» forzata ed accelerata delle strutture socio-economiche nazionali.

A questo proposito, Giovanni Sabbatucci e Vittorio Vidotto indicano l’imposizione di una costituzione redatta nel 1946 da funzionari americani, che trasformò l’autocrazia imperiale in una monarchia costituzionale (solo grazie a questo patto l’imperatore Hirohito poté conservare il trono) ed introdusse un sistema parlamentare, ed una radicale riforma agraria.

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perunsocialismodelXXI

I dannati del clic

Lavoro digitale e nuove forme di sfruttamento

di Carlo Formenti

Gig Economy 1Il ruolo delle tecnologie digitali nella progettazione di nuove forme di sfruttamento delle classi lavoratrici, è al centro di un incontro organizzato dalla CGIL per martedì 2 febbraio https://www.centroriformastato.it/non-solo-rider-le-antiche-nuove-forme-di-sfruttamento-di-chi-lavora-per-e-con-le-piattaforme-digitali-5/. Negli ultimi anni, il tema è stato affrontato da diverse ricerche: dal libro di Riccardo Staglianò, Lavoretti. Così la sharing economy ci rende tutti più poveri (Einaudi 2018) al più recente Schiavi del clic. Perché lavoriamo tutti per il nuovo capitalismo (Feltrinelli 2020), di Antonio Casilli, il quale parteciperà all’incontro di cui sopra. Quel “tutti” che accomuna i due sottotitoli (“ci rende tutti più poveri”, “perché lavoriamo tutti”), sembra suggerire che gli autori credano di riconoscere, in queste nuove forme di sfruttamento, un tratto generalizzabile, universale dell’attuale fase di sviluppo capitalistico. Nel testo che segue mi propongo di problematizzare questa tesi. Ma prima è opportuno sintetizzare il contributo dei due libri alla comprensione di una serie di fenomeni che stanno mettendo in discussione alcuni concetti di base della sociologia del lavoro, dalla relazione fra tecnologia e occupazione all’idea stessa di lavoro.

Sulla questione della disoccupazione tecnologica Staglianò (cfr. la recensione che Alessandro Visalli gli ha dedicato http://tempofertile.blogspot.com/2018/10/riccardo-stagliano-lavoretti.html?q=gig+economy) resta nel solco della tradizione marxista: l’odierna tecnologia “ruba” il lavoro, come ha fatto fin dalla prima rivoluzione industriale, e lo fa non tanto e non solo per ragioni “oggettive” – cioè come effetto collaterale di un inevitabile quanto irreversibile “progresso” tecnico-scientifico – ma anche e soprattutto perché è lo strumento principale grazie al quale il capitale contiene il costo del lavoro quando questo accumula rapporti di forza tali da sfidare il profitto.

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sinistra

Riflessioni sulla nascita del PCdI del 1921

Intervista a Gianni Marchetto

Classe Operaia 400x2672xD. Parlami un po' di te…

Ho 79 anni e sono nato nell’isola di Ariano Polesine e precisamente a Cà Zen, una frazione del Comune di Taglio di Po (prov. di Rovigo). Figlio di coltivatori diretti – ho frequentato le scuole (3 anni) di Avviamento Industriale ad Adria e il biennio Tecnico Industriale a Rovigo per tutti gli anni ’50. Chi volle questa mia destinazione scolastica fu mio padre il quale diceva così che avrei trovato lavoro a differenza di me che volevo invece frequentare le scuole medie per poi diventare maestro attraverso le scuole magistrali.

Al paese (negli anni ’50) specie in estate frequentavo l’Oratorio per via del fatto che potevo giocare al calcio in quanto c’era il campetto che lo permetteva - in autunno e inverno invece frequentavo la LEGA (era la sede della locale Camera del Lavoro CGIL), dove all’interno c’erano pure gli uffici del PSI e del PCI, e una sala da ballo per le domeniche. Avevo notato quanto segue: i Socialisti erano un gruppo di persone molto simpatiche, intraprendenti, “mangiapreti” e stalinisti, sempre al Bar a litigare con i Democristiani, quasi mai in ufficio. I Comunisti erano invece persone molto serie, responsabili della CdL e del PCI locale, ovviamente anche loro stalinisti, ma con un’ansia di riscatto formidabile che si notava nella loro sete di sapere, delle letture e dei libri che avevano in casa (avevo letto i libriccini che portavano scritti gli interventi dei dirigenti Comunisti alla Camera e al Senato, quando non invece dei veri e propri interventi di Togliatti, Pajetta, Longo, Ingrao, Amendola, ecc.) – nella sede della CdL una volta la settimana avevo notato delle riunioni di una decina di persone (quasi tutti braccianti analfabeti) che ascoltavano con un quadernetto in mano la lezione che un maestro gli faceva = imparare a leggere, scrivere e far di conto.

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perunsocialismodelXXI

Dalla IBM alla Gig Economy

Tutti i modi per dividere i lavoratori

di Carlo Formenti

5535457 95 2020 10 20 TLBNei primi anni Settanta, dopo un’esperienza di lotta sindacale nella multinazionale americana di cui ero dipendente (la 3M Minnesota), mi fu offerta la possibilità di divenire funzionario dei metalmeccanici, con l’incarico di seguire i settori a prevalente composizione tecnico impiegatizia. Per un giovane (23 anni), era una incredibile opportunità, sia di fare nuove esperienze, sia di valutare il potenziale conflittuale degli strati medio alti della classe lavoratrice che, in quegli anni (sull’onda delle lotte studentesche e operaie del 68/69), sembrava in crescita. Quindi, dopo qualche esitazione dettata da scrupoli ideologici (militavo nel Gruppo Gramsci, una delle formazioni della sinistra extraparlamentare duramente critiche nei confronti delle organizzazioni tradizionali del movimento operaio) decisi di accettare. I compagni di organizzazione condivisero la mia scelta, anche perché la proposta veniva dalla FIM di Milano che, a quei tempi, rappresentava – malgrado l’affiliazione confederale alla CISL - la punta più avanzata del movimento sindacale “ufficiale”, tanto sul piano rivendicativo (aumenti uguali per tutti) quanto sul piano organizzativo (appoggio all’organizzazione operaia di base fondata sui delegati di reparto - Quam mutatus ab illo !).

Seguirono tre anni di preziose esperienze di lotta (sia pure soggette ai limiti di uno di strato di classe restio, per mentalità e cultura, a condividere le velleità antagoniste dell’operaio comune) che mi consentirono di allungare lo sguardo verso quell’imminente futuro di ristrutturazioni tecnico-organizzative che – assieme ai processi di finanziarizzazione e delocalizzazione produttiva – avrebbero consentito al capitale di sbaragliare il nemico di classe.

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la citta futura

Dal lavoro a cottimo allo smart working

di Ascanio Bernardeschi

Lo smart working è una forma di lavoro a cottimo che agevola lo sfruttamento. Occorre impedire che anche dopo l’epidemia venga esteso indiscriminatamente e senza il controllo dei lavoratori organizzati

79a0d6a4899b79994a919b2a20690507 XLKarl Marx, nella sezione VI del libro primo del Capitale [1], dedicata al salario, inserisce il capitolo 19 sul salario a cottimo. È interessante seguire alcuni passaggi perché certi contenuti sono riferibili non solo a questa specifica forma di retribuzione ma anche più in generale a una specifica forma del rapporto di lavoro e a una modalità lavorativa di grande attualità.

Una prima considerazione sul cottimo è che “la qualità del lavoro è qui controllata dall’opera stessa, la quale deve possedere bontà media […] Esso offre al capitalista una misura ben definita dell’intensità del lavoro” (p. 605).

Viene meno quindi la necessità di assoldare dei controllori: “siccome qui la qualità e l’intensità del lavoro sono controllate dalla forma dello stesso salario, si rende superflua buona parte della sorveglianza del lavoro. Questa forma costituisce quindi la base […] di un sistema di sfruttamento e di oppressione […] Questo sistema si chiama in Inghilterra in modo caratteristico «sweating system» (sistema del sudore)”.

Ciò nonostante il lavoratore può essere indotto suo malgrado a condividere gli obiettivi di produttività: “Dato il salario a cottimo, è naturalmente interesse personale dell’operaio impegnare la propria forza-lavoro con maggiore intensità possibile, il che facilita al capitalista un aumento del grado normale dell'intensità. Ed è allo stesso modo nell’interesse personale dell’operaio prolungare la giornata lavorativa” (pp.606-7).

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lavocedellelotte

Intelligenza artificiale e "fine del lavoro": alcune chiavi di lettura

di Lorenzo Lodi

Lo sviluppo tecnologico e dell’intelligenza artificiale ci portano verso la “fine del lavoro”? Quali conseguenze politiche ha il dibattito teorico odierno su questi temi? Proponiamo alcune chiavi di lettura a partire dalla lettura “Rivoluzione Globotica” di Richard Baldwin e “Schiavi del Clic” di Roberto Casilli

aiNegli ultimi anni, il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale (AI – artificial intelligence) e della digital economy ha imposto al dibattito pubblico il tema della “fine del lavoro”; una preoccupazione che torna ciclicamente fin degli albori del capitalismo industriale, ma che nel contesto della “seconda età della macchina” – o della “quarta rivoluzione industriale” [1] – promette di trasformarsi in una realtà concreta. L’argomento appare particolarmente attuale, oggi, in un momento in cui la pandemia di Sars-Covid 19 ha dato ulteriore slancio ai processi di centralizzazione del capitale nelle mani delle “Big Tech”, anche se, a ben guardare, i vari lockdown messi in campo nei mesi scorsi hanno mostrato quanto la società contemporanea si regga ancora sul lavoro di centinaia di milioni di individui. Mai come nel marzo scorso è sembrato vero il seguente monito di Marx in una lettera a Kugelman:

sospendendo il lavoro, non dico per un anno, ma solo per un paio di settimane, ogni nazione creperebbe, è una cosa che ogni bambino sa” [2].

Detto questo, basterebbe la grancassa mediatica ed accademica sulle implicazioni delle nuove tecnologie per rendersi conto di quanto valga la pena affrontare seriamente il problema. A tale scopo, cercheremo alcune chiavi di lettura nelle pagine di due libri usciti negli ultimi mesi: “Rivoluzione Globotica” di Richard Baldwin (ed. Il Mulino, Bologna, 2020) e “Schiavi del Clic” di Roberto Casilli (Feltrinelli, Milano, 2020), del quale sarebbe stato in realtà più suggestivo tradurre letteralmente il titolo in francese: “Aspettando i Robot” (En Attendant les Robots, Seuil, Paris, 2019).