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codicerosso

Il “Manifesto contro il lavoro” venti anni dopo

di Cybergodz

manifest gegen 800x445È uscita in Germania, nel 2019, la IV edizione del Manifesto contro il lavoro (I edizione in Germania nel 1999, tr. it.2003).1

Un’edizione particolarmente significativa poiché cade nel ventennale della prima uscita di questo importante e acuto libro che, provocatoriamente – nell’epoca della “disoccupazione” cronica e della litanía generalizzata implorante “lavoro, lavoro” -, attaccava (e attacca) frontalmente e “categorialmente” il paradigma lavorista, dimostrando come si tratti di un costruzione storica e non connaturata all’umano tantomeno eterna. Un paradigma, cioè, legato a doppio filo alla modernità capitalistica e di fatto in “scadenza” nell’epoca della terza rivoluzione industriale, quella caratterizzata dalla produzione guidata dalla microelettronica e capace di performances produttive impensabili già solo per il taylorismo-fordismo del boom economico del secondo dopoguerra.

Il Manifesto contro il lavoro, per essere più precisi, così come tutto il pensiero critico che si rifà alla Critica del Valore – corrente di pensiero di cui lo stesso Manifesto fa parte – non opera però una mera critica del “fare” tout court. Gli autori di questo intrigante Pamphlet2 sono stati spesso superficialmente accusati di essere niente più che un manipolo di intellettuali svogliati fannulloni sfaccendati e, naturalmente, parassiti (con tutta la connotazione anti-semita che questo tipo di accuse porta con sé),3 imputati di una sorta di “istigazione” al vagabondaggio. Anche se non ci sarebbe, in fondo, niente di particolarmente scandaloso se il messaggio di questo libro mirasse ad un mero rifiuto a priori del diktat lavorista capitalistico – come comunque anche fa – il Manifesto opera tuttavia una critica più articolata e profonda.

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lavoro culturale

Il ritorno della questione salariale

di Luca Casarotti

Una recensione a “Basta salari da fame!” di Marta e Simone Fana

torino 69 paggcentraliA due anni da Non è lavoro, è sfruttamento (già recensito qui su Lavoro Culturale), Laterza pubblica Basta salari da fame! (2019, pp. XX-172). L’accostamento dei titoli è sufficiente a segnalare che i due libri sono tra loro in rapporto di stretta parentela. Non solo perché Marta Fana è autrice del primo e coautrice – con il fratello Simone – del secondo, ma anche perché comune è il tema affrontato: i modi in cui si dà lo sfruttamento della classe lavoratrice, in Italia e non solo. Se il pamphlet del 2017 era soprattutto una fenomenologia del qui e ora, il saggio del 2019 mantiene il focus sull’attualità, ma imprime alla critica dello stato delle cose la profondità della prospettiva storica. L’obiettivo è rompere la gabbia del “non ci sono alternative”, ossia rispondere con gli strumenti del materialismo storico alla naturalizzazione del presente. O meglio, di un’idea del presente, quella condensata nell’ubiqua massima (d’autore incerto) secondo cui è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Una naturalizzazione che si è sentita evocare a più riprese in occasione dei trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino, e che non è affatto nuova. È anzi piuttosto datata: il libro che ne rappresenta il manifesto filosofico politico, The End of History and the Last Man di Francis Fukuyama, risale al 1991), ma riprende in buona sostanza Kojève, il quale a sua volta interpretava, forse unilateralmente, Hegel. Come che sia, è poca cosa accontentarsi di constatare quanto può essere vecchia e teoricamente insostenibile l’idea di un capitalismo naturalizzato, perché è su quest’idea (non a caso strenuamente difesa dal suo cantore, a costo d’introdurre caveat e fare concessioni ai critici) che si continuano a giustificare la realtà dei rapporti di produzione e le radicali ineguaglianze che ne sono il fondamento e il prodotto.

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la citta futura

Il salario sociale di classe

di Carla Filosa

Il governo del capitale, qualunque sia la sua denominazione (democratico, fascista, liberale, ecc) può mantenersi solo attraverso menzogne, sviamenti, dilazioni, svuotamento di contenuti

bfed5da4e668e375c60eefa8cf381ee2 XLNei nostri tempi di continua precarizzazione del lavoro, delle finte “autonomie lavorative”, dei lavori senza contratto, dei “lavoretti”, della mancanza di sicurezza sul lavoro, ecc., sembra prioritario fare chiarezza sulle cause delle modalità remunerative che tendono a cancellare il significato di salario, erroneamente identificato nella sola busta paga. Le ultime generazioni non conoscono a volte neppure l’uso di questo termine, al massimo si parla di stipendio, quando devono ricevere un pagamento per prestazioni effettuate.

Anche la comunicazione mediatica favorisce l’obliterazione concettuale del lavoro salariato usando prevalentemente le parole come “occupazione” o “disoccupazione” legate ad una ineluttabile fase di crisi economica, di cui non si menziona né l’origine né le dinamiche di una sua possibile risoluzione.

Riaffrontare i temi legati al salario ripropone quindi una necessaria riflessione critica sui temi sociali legati all’attualità sì dei processi inflattivi, dei fenomeni ambientali e migratori, delle innovazioni tecnologiche, ecc., ma soprattutto delle relazioni sociali che fanno capo alle “diseguaglianze” e alle “povertà assolute e relative”, su cui ormai si organizzano analisi e dibattiti diventati di moda.

Per orientarsi pubblichiamo la presentazione del libro di Gianfranco Pala “Propriamente salario sociale di classe. Critica delle mistificazioni del valore della forza-lavoro” edito da La Città del Sole che sarà presentato venerdì 6 marzo 2020 alle ore 18.30 presso la Libreria Fahrenheit 451 Piazza Campo de’ Fiori 44 - Roma da Carla Filosa, Presidente dell’Università popolare A. Gramsci, che ne ha scritto l’introduzione che proponiamo ai nostri lettori.

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sinistra

L'orientamento della sinistra davanti al problema del lavoro

di Sergio Farris

Relazione presentata al convegno organizzato dal Coordinamento della Sinistra di ValleTrompia il 15/02/2020

cdfa54053805c4a7f07a2686eb2f2fc9 XLPrologo

Che il lavoro in Italia non possa essere considerato in situazione ottimale e che i lavoratori dipendenti non attraversino un periodo florido, quasi tutti sono disposti ad ammetterlo. I più avveduti riconoscono anche la tendenza in corso all'aggravamento della disuguaglianza e all'approfondimento della povertà assoluta e relativa.

Tutti i maggiori partiti si dichiarano favorevoli ad affrontare il tema del lavoro. Solitamente essi pongono l'incremento e la tutela dell'occupazione al primo posto nelle rispettive agende politiche. Specialmente quando le pagine dei giornali rendono conto delle ricorrenti crisi aziendali.

Vi sono tuttavia rimarchevoli differenze riguardo alle analisi e ai metodi con i quali l'argomento può essere focalizzato. Altrettanto vale per i mezzi politici da attivare al fine di raggiungere un elevato livello di occupazione e posti di lavoro di qualità.

Attualmente il tasso di disoccupazione ufficiale è di circa il 10%. Gli occupati assommano a circa 23 milioni. Il tasso di disoccupazione giovanile si avvicina al 30%. Va meglio a Brescia e in altre zone del Nord, territori in cui la disoccupazione è storicamente inferiore rispetto alla media nazionale. Comunque, quando si tratta del tasso di disoccupazione, va anche tenuto conto di fenomeni quali il part-time involontario, il diffusissimo precariato, il lavoro autonomo sotto forma di false partite Iva, eccetera. (Ufficialmente, gli autonomi regolari sarebbero 5 milioni 363 mila). E soprattutto, anche quando ci si riferisce agli occupati, andrebbe tenuto conto delle retribuzioni e della qualità delle prestazioni lavorative. (Si ha spesso a che fare con lavoro povero, soprattutto nel composito settore dei servizi).

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micromega

Caso Foodora: la Cassazione difende i rider, la politica i loro padroni

di Alessandro Somma

cassazione foodora rider lavoro dirittiDopo tre anni di battaglia legale, i rider di Foodora ottengono finalmente giustizia: sono lavoratori subordinati, e non autonomi come vuole la piattaforma. Si tratta di una vittoria significativa, di un segnale importante per il capitalismo digitale e per la voracità con cui punta allo sfruttamento del lavoro. È però un segnale debole, perché al coraggio dei giudici corrisponde l’inadeguatezza della politica, se non la sua complicità con i nuovi padroni, a beneficio dei quali ha edificato e presidiato il quadro delle regole entro cui hanno potuto prosperare. Regole che si avviano a divenire il punto di riferimento per una complessiva riforma del lavoro sempre più ridotto a merce.

 

Il coraggio dei giudici

Nel 2017 alcuni fattorini addetti alla consegna di pasti, i cosiddetti rider, chiedono al Tribunale di Torino di riconoscere la loro condizione di lavoratori subordinati. Foodora, il loro datore di lavoro, sostiene però che i rider sono lavoratori autonomi in quanto per le consegne non utilizzano mezzi messi a disposizione dall’impresa: la bicicletta e lo smartphone sono di loro proprietà. Inoltre non hanno alcun obbligo contrattuale di rispondere alle chiamate: sono come i Pony Express degli anni Novanta[1], che la Corte di Cassazione aveva negato fossero lavoratori subordinati facendo leva proprio su questo aspetto[2].

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blackblog

Pensioni: muleta e controfuoco

di Louis Colmar

muleta«Chi non lavora non mangia. Ecco qual è l'imperativo demagogico che pretende di risolvere la questione, limitandosi semplicemente a mettere in relazione il diritto di mangiare con l'obbligo di lavorare. Quella che dev'essere posta, invece, è la questione della relazione tra il diritto di mangiare e quello di non lavorare (ammesso e non concesso che sia lecito fare uso della vuota ed astratta concezione di «diritto»). Mentre la natura carnale dell'uomo esige che egli si nutra, la sua natura spirituale gli impone, forse in maniera ancora più imperiosa, di non lavorare in modo da potere così giocare e dedicarsi alla contemplazione. Bisognerebbe parlare di un diritto al non lavoro piuttosto che di un "diritto al lavoro"». (Giuseppe Rensi, 1923).

Ovviamente, il senso dell'attuale progetto [di Macron, in Francia] relativo alle pensioni non è certo quello di porre in atto un «diritto al non lavoro», ma piuttosto quello di perfezionare la ricostruzione e l'adattamento del vincolo politico del lavoro finalizzandolo alle nuove condizioni economiche della crisi della globalità capitalistica. Nel corso della presentazione del contenuto di questo progetto di riforma, il mondo dei media, all'unanimità, ha sottolineato un presunto errore strategico commesso dal Primo Ministro, che, alzando di due anni l'età minima pensionabile, per poter andare in pensione senza decurtazioni, avrebbe accidentalmente contrariato il suo principale sostegno sindacale. Al contrario, però, si tratta di una strategia deliberata: la cosiddetta tecnica della "muleta", che consiste nel distogliere l'attenzione del toro della protesta sociale agitando un'enorme drappo rosso, in modo da focalizzare l'attenzione sull'età del pensionamento, e permettere così che possa passare quello che è il cuore della riforma, vale a dire la riduzione globale dell'erogazione dell'importo monetario delle pensioni per mezzo di un sistema per così dire a punti.

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jacobin

Le ingannevoli innovazioni dell’industria 4.0

di Renato Turturro

L'uso dei braccialetti elettronici viene propagandato come utile a tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ma in realtà ne aumenta lo sfruttamento e il controllo

braccialetti operai jacobin italia 1320x481La tecnologia di produzione è quindi determinata due volte dalle relazioni sociali di produzione: in primo luogo, è progettata e messa in opera secondo l’ideologia e il potere sociale di coloro che prendono queste decisioni; e in secondo luogo, il suo effettivo utilizzo nella produzione è determinato dalle vicissitudini delle lotte tra le classi nei luoghi di produzione. (David Noble,1986) 

Mentre la scorsa estate si verificavano gli ennesimi infortuni mortali nei campi e in edilizia, uno dei principali giornali riportava «Bracciale elettronico in cantiere: Così proteggiamo gli operai» riprendendo le dichiarazioni dell’Assessore regionale allo Sviluppo Economico Alessandro Mattinzoli. Le dichiarazioni facevano seguito alla delibera della Regione Lombardia  (Dgr n. 2048 del 31.07.2019) dedicata alla sicurezza sul lavoro. La delibera prevede l’avvio di un progetto sperimentale in due cantieri nel bresciano, dove verranno impiegati dei braccialetti elettronici fino a giugno 2020. L’obiettivo è «monitorare la salute e la sicurezza dei lavoratori con strumenti e metodi digitali». Elaborato dalla Camera di Commercio di Brescia e in particolare dall’Ente Sistema Edilizia Brescia (Eseb), in collaborazione con l’Università degli studi di Brescia e l’Università di Verona, per un costo di 100mila euro, quello che la Tesco (settore logistico) aveva sperimentato in Inghilterra nel 2009, sembra diventare realtà anche in edilizia.  

Ad aprile 2018 la Fca di Melfi introdusse degli esoscheletri per «sollevare con facilità fino a 15 kg e monitorare lo sforzo degli operai addetti a operazioni di movimentazione pezzi ripetute nel tempo» ma ad oggi, si guarda bene dal mettere in discussione l’intera metodologia di valutazione Ergo-Uas adottata nei suoi stabilimenti.

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oltreilcapitale

L'automazione digitale: come liberarsi da un'impostura

di Roberto Ciccarelli*

banchetto sul fiume. mosaico i sec. a.c. Qualsiasi tecnologia sufficientemente avanzata basta per generare una rappresentazione del futuro simile alla magia. Ogni like su Facebook, ogni acquisto su Amazon, ogni ricerca su Google sembrano vendere un sogno per cui droni, servizi online e automi possono soddisfare i desideri dei consumatori e diventare più umani degli umani. Quanto agli uomini saranno liberati dai loro errori, contraddizioni e conflitti, ovvero da loro stessi. A questi esseri si assegna il ruolo di trasformare la società in un mercato ideale senza forza lavoro. L’esempio che, più di altri, viene fatto per rappresentare la fine della forza lavoro come produttrice di ricchezza è la macchina Google che si guida da sola. Le sue imprese sono raccontate periodicamente al pari del miglioramento della ricerca sui droni. Il congegno è la promessa simbolica per i guidatori della classe media di essere sollevati dalla fatica di viaggi di ore verso l’ufficio all’altro capo della città, ottenendo in cambio l’accesso allo stile di vita dei ricchi e dei famosi che possono contare su uno chauffeur personale. Solo che questi “ricchi” sono meno dell’1% della popolazione mondiale e saranno sempre di meno, mentre la classe media che dovrebbe usufruire delle prestazioni di questo veicolo è spinta sempre più in basso. Si prefigura così un futuro dove le macchine si guideranno da sole, mentre la maggioranza degli umani andranno a piedi perché non saranno in grado di acquistarle. Questo dettaglio sfugge molto spesso alla futurologia della Silicon Valley. Più forte è la suggestione di un’automazione depurata dai limiti umani.

Lo chauffeur di Google è un esempio delle automazioni che sostituiranno la forza lavoro: perché far lavorare una persona in carne e ossa se un robot svolge le stesse mansioni senza obiezioni?

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seminaredomande

Esuberi & rottamazioni … che fare?

di Francesco Cappello

carpenteria free 600x400Esuberi più recenti, come riportati dalla stampa, senza pretesa di completezza

SAFILO annuncio di 700 esuberi in Italia e chiusura stabilimento di Martignacco (Udine) Nonostante la previsione di vendite in leggera crescita nei prossimi cinque anni, l’azienda ha avviato un programma di ristrutturazione industriale. L’amministratore delegato Angelo Trocchia ha affermato che punterà su “una crescita più significativa del nostro business e-commerce direct-to-consumer“.

CONAD il gruppo Conad dichiara 3.100 esuberi, di cui più di mille nella sola Lombardia, su 6.600 dipendenti dei negozi Auchan e Simply (punti vendita già confluiti in Conad), appena acquisiti. I lavoratori che operano già sotto il marchio Conad hanno visto un peggioramento delle loro condizioni lavorative, rispetto al passato, in termini di orario, turni e salario.

CONTINENTAL 500 esuberi annunciati , da qui a 10 anni, negli stabilimenti Continental di Pisa e Fauglia. Sono il primo risultato dei cambiamenti produttivi, del passaggio dalle auto a benzina o diesel alle auto elettriche. L’auto elettrica ha bisogno di nuovi macchinari e linee produttive che comporteranno la riduzione del 60% della forza lavoro.

Anche le fabbriche del GRUPPO MAHLE pagano il prezzo della grande fuga dal diesel.

Risultano in via di chiusura in Piemonte, 620 esuberi alla BOSCH di Bari, produzione in calo del 30 per cento nello stabilimento FCA di Pratola Serra, nell’avellinese.

FEDEX-TNT giganti delle spedizioni e consegne a domicilio. In ballo 361 licenziamenti e 115 trasferimenti. Il progetto prevede, anzitutto, la chiusura di 24 sedi su 34 e l’allontanamento di 361 lavoratori (315 in Fedex, quasi tutti corrieri, e 46 in Tnt). Previsti anche cento spostamenti di sede. Si teme esternalizzazione massiccia di personale.

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coku

Tempo rubato: Food for thought

di Eugenio Donnici

images608541. Tempo rubato inteso come un campo di battaglia. Sottrazione di tempo da parte di pochi, di un piccolo gruppo che restringe gli spazi di emancipazione collettiva. Un terreno conflittuale dove si scontrano desideri di autonomia personale ed imperativi di comando. Un furto legalizzato che espropria i venditori della forza lavoro, precari e sottopagati. Ladri di tempo che rubano sogni, che rullano gli affetti, che impediscono l’auto-realizzazione dei “dipendenti”, il che presuppone la variabile “indipendente”, e quindi che i primi agiscano in funzione dei secondi, che i primi siano funzionali ai secondi. Una relazione di dipendenza che ha di nuovo preso il sopravvento, che è diventata dominante e imprescindibile.

E lo Stato cosa fa?

Rimane a guardare, incarna il fuori gioco della politica, manifesta la sua impotenza.

Sembra che la politica abbia perso il suo tempo o che porti in giro i suoi perditempo, che non sia in grado di incidere sugli aspetti essenziali di quella relazione di tempo, da cui parte il lavoro di S. Fana e che trova un’espressione sintetica nel titolo del suo libro.

La sua analisi fa riferimento alla teoria del valore-lavoro di Marx, una teoria che è stata oggetto di una miriade di interpretazioni, ma l’autore non entra nei dettagli polemici e sulla fondatezza o validità della teoria. Egli evidenzia con molta chiarezza un aspetto della teoria di Marx che è caduto nel dimenticatoio e che troppo spesso non viene preso in considerazione, se non in via accessoria, vale a dire il perseguimento del plus-valore-plus-lavoro e che si condensa e trova attuazione nella pratica sociale dello sfruttamento.

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conness precarie

La solitudine operaia nel corrotto crepuscolo del sindacato dell’auto negli USA

di Felice Mometti

Mometti GM Strike 768x511Che cosa si è ottenuto scioperando 40 giorni di fila contro un’azienda multinazionale il cui secondo maggior azionista è il sindacato che ha indetto lo sciopero? La domanda è legittima. Se la sono posta, su Facebook, alcuni operai della General Motors (GM) americana guardando l’accordo contrattuale sottoscritto dal sindacato United Auto Workers (UAW) alla fine di ottobre.

 

Lo scenario

A metà settembre sono scaduti i contratti aziendali delle Big Three, le tre principali aziende automobilistiche americane: General Motors, Ford e Fiat-Chrysler Automobiles (FCA). La strategia del sindacato unico UAW – negli Usa non sono ammessi più sindacati nella stessa fabbrica ‒ è quella di scegliere di volta in volta l’azienda in cui si firmerà l’accordo pilota da applicare poi nelle altre due. Gli iscritti all’UAW nelle tre fabbriche sono circa 150 mila, praticamente quasi tutti gli addetti negli Stati Uniti, su un totale di 390 mila aderenti al sindacato. Una forza d’urto in teoria considerevole se si guarda solo ai numeri e a un tasso di sindacalizzazione di oltre il 90%. Un conto però sono i numeri e le percentuali, un altro sono la struttura, il funzionamento e la volontà del sindacato di avanzare rivendicazioni e produrre conflitto. Non è mai un rapporto lineare e il caso americano ne è un esempio perché nei fatti, in base ad accordi tra sindacato e Big Three, c’è l’obbligo di iscriversi all’unico sindacato riconosciuto.

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sinistra

La crisi ingravescente del sindacato collaborazionista

di Eros Barone

bandiereL'esportazione dei capitali fa realizzare un lucro che si aggira annualmente sugli 8-10 miliardi di franchi, secondo i prezzi prebellici e le statistiche borghesi di anteguerra. Ora esso è senza dubbio incomparabilmente maggiore. Ben si comprende che da questo gigantesco soprapprofitto - così chiamato perché si realizza all'infuori e al di sopra del profitto che i capitalisti estorcono agli operai del "proprio" paese - c'è da trarre quanto basta per corrompere i capi operai e lo strato superiore dell'aristocrazia operaia. E i capitalisti dei paesi "più progrediti" operano così: corrompono questa aristocrazia operaia in mille modi, diretti e indiretti, aperti e mascherati. E questo strato di operai imborghesiti, di "aristocrazia operaia", completamente piccolo-borghese per il suo modo di vita, per i salari percepiti, per la sua filosofia della vita, costituisce ai nostri giorni...il principale puntello sociale (non militare) della borghesia. Questi operai sono veri e propri agenti della borghesia nel movimento operaio, veri e propri commessi della classe capitalista nel campo operaio..., veri propagatori di riformismo e di sciovinismo, che durante la guerra civile del proletariato contro la borghesia si pongono necessariamente, e in numero non esiguo, a lato della borghesia, a lato dei "versagliesi" contro i "comunardi". Se non si comprendono le radici economiche del fenomeno, se non se ne valuta l'importanza politica e sociale, non è possibile fare nemmeno un passo verso la soluzione dei problemi pratici del movimento comunista e della futura rivoluzione sociale.

V. I. Lenin, L’imperialismo, fase suprema del capitalismo, dalla Prefazione alle edizioni francese e tedesca, 1920.

Il documento qui riportato è il riassunto della relazione svolta il 19 dicembre del 2019 da Nino Baseotto, segretario confederale della Cgil, al Direttivo nazionale di questo sindacato. Il riassunto, reperibile sul sito web della federazione varesina del Partito comunista italiano, è stato redatto da Cosimo Cerardi, segretario di tale organizzazione politica, presente alla riunione locale in cui la suddetta relazione è stata nuovamente esposta dal suo autore. 1

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solidarity

Esiste una Gig economy?1

di Kim Moody2

DgC yd XcAAPqLrIl lavoro sicuro non è mai stato una caratteristica del capitalismo. Poiché la concorrenza spinge l'accumulazione da un settore, o da un luogo, all'altro nella ricerca di profitti attraverso gli alti e bassi delle crisi periodiche, questa altera necessariamente i modelli occupazionali e l'organizzazione del lavoro. Nel lungo periodo, il capitalismo degli Stati Uniti ha spostato l'occupazione dall'agricoltura e dall'industria a lavori spesso etichettati come servizi.

Per un breve periodo successivo alla seconda guerra mondiale fino alla metà degli anni '70, il sistema delle economie capitaliste sviluppate sembrava garantire un po’ di sicurezza ai settori della classe operaia, soprattutto in quello della produzione. Questa illusione venne eliminata con l'aumento della turbolenza economica che caratterizzò l'era neoliberista, a partire dall'inizio degli anni '80, quando furono cancellati milioni di posti di lavoro nella manifattura mentre la produzione continuava a crescere.

Insieme a crisi più profonde, metodi di produzione più snelli e nuove forme di misurazione e di sorveglianza del lavoro hanno portato non solo alla sua intensificazione attraverso lo "sviluppo costante" che ha distrutto i posti di lavoro, ma anche l'outsourcing verso imprese a basso reddito localizzate spesso appena fuori dall’ “autostrada" o all'estero. I tassi di partecipazione della forza lavoro sono diminuiti e l'insicurezza è diventata la norma per milioni di esclusi prodotti da tali cambiamenti.

Nel bel mezzo di questi cambiamenti strutturali, che spesso provocano disorientamento, alcuni commentatori e accademici hanno visto quello che ritengono sia l'ascesa di nuovi tipi di lavoro intrinsecamente più instabili e irregolari rispetto a quelli dell'ultimo mezzo secolo e più.

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tempofertile

Aldo Barba, Massimo Pivetti, “Il lavoro importato”

di Alessandro Visalli

donne armamentiIl libro di Aldo Barba e Massimo Pivetti avvia una trilogia sulle tre “libertà” del progetto europeo nato con l’Atto Unico e consolidato dal Trattato di Maastricht, fondatore della Unione Europea. Si svolge in sei passi: nel primo sono richiamati i dati relativi all’immigrazione nei diversi paesi europei e la loro progressione nel tempo; quindi viene descritta la dinamica che si è generata nel settore dei lavoro lungo la stratificazione dello stesso, ovvero quella della sostituzione di poco meno di un milione di lavoratori autoctoni (cfr. p.40); al terzo passo viene descritta la teoria economica mainstream, ovvero neoclassica, ed il motivo teorico per il quale sistematicamente esclude che possa esserci in effetti disoccupazione involontaria, anche in presenza di una accresciuta competizione; quindi è presentata una teoria alternativa, imperniata sul conflitto distributivo (invece che sull’equilibrio armonico), su questa base emerge l’evidenza della forza disciplinante dell’immigrazione; dopo aver illustrato gli impatti sullo Stato sociale, probabilmente quelli più rilevanti, gli autori entrano con i piedi nel piatto e tematizzano l’atteggiamento delle sinistre verso l’immigrazione e le loro ragioni, fino ad una retrospettiva sulle posizioni del marxismo classico; infine sono proposte alcune soluzioni per la regolamentazione ‘forte’ del fenomeno.

 

Premessa: la discussione

Si tratta di un libro che farà discutere, verso il quale sono già sorte numerose obiezioni ed aspre polemiche nel piccolo mondo della sinistra radicale. In effetti disturba profondamente i dogmi e le tranquille abitudini di pensiero, rinsaldate dalla reazione popolare praticamente univoca al crescere del fenomeno.

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carlo formenti facebook

Il lavoro importato: brevi note ai commenti

di Aldo Barba e Massimo Pivetti

Come promesso (vedi il mio post precedente) Barba e Pivetti mi hanno inviato alcune note ai commenti al loro libro sul "lavoro importato" (invi comprese le reazioni ai miei "Appunti a margine di un libro politicamente scorretto", una riflessione sulle tesi del libro in questione che ho pubblicato qualche giorno fa su questa pagina). Copioincollo qui di seguito il testo inviatomi dai due autori [Carlo Formenti]

COPERTINA Migranti a Ellis Island 1892Il nostro Il Lavoro Importato. Immigrazione, salari e stato sociale, edito da Meltemi, è un libro divisivo nel tema e per le tesi che vi si espongono. E’ normale quindi che generi reazioni contrapposte. Quelle avverse tendono a ricadere in tre tipologie. Le reazioni appartenenti alla prima tipologia si caratterizzano per lo stabilire una connessione immediata tra il libro ed il dibattito politico corrente in Italia. Poco interessate al merito del discorso che sviluppiamo, la questione che pongono riguarda l’ ‘opportunità politica’ di scrivere, a sinistra sembrerebbe, un libro di questo genere in questo momento. L’accusa, per farla breve, è di “fare il gioco delle destre”. Di questo si tratterebbe per alcuni, perché i problemi causati dall’immigrazione ai ceti popolari sarebbero un’invenzione diversiva dei capitalisti, volta a sviare l’attenzione dalle reali cause dell’accresciuto malessere sociale; per altri, meno sprovveduti, il problema invece esiste, ma a sinistra sarebbe controproducente parlarne in quanto causa o anche solo pretesto di ulteriori frammentazioni del campo. In un caso come nell’altro, ci sembra che questa lettura vuotamente politicista del nostro saggio costituisca la prova più evidente dell’opportunità di discutere esplicitamente il tema.

Una seconda tipologia di reazioni, anch’essa periferica rispetto al merito della questione, muove più o meno esplicitamente al nostro lavoro un’accusa di economicismo. Fosse anche vero quanto andiamo argomentando sull’esercito industriale di riserva e l’azione disciplinare svolta attraverso l’immigrazione sui lavoratori indigeni, staremmo perdendo di vista il fatto che si tratta di uomini. Anzi, non soltanto di uomini, ma “degli ultimi”. Qui crediamo si sia incappati in un equivoco.