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Polanyi, Hayek e le aporie del reddito di cittadinanza

di Riccardo Evangelista 

reddito di cittadinanza polanyi 640x6441. Introduzione

Mentre in Italia la discussione è ancora in divenire, dal gennaio 2017 la Finlandia ha iniziato la sperimentazione del reddito di cittadinanza, fissato per l’occasione a 560 euro mensili. Da un primo sguardo emergono modalità di attuazione piuttosto singolari, se non stravaganti: sono stati infatti sorteggiati 2000 cittadini tra i 25 e i 63 anni, che riceveranno l’assegno indipendentemente dal salario ma in alternativa al sussidio di disoccupazione. Lo scopo, a detta del governo presieduto dal centrista Juha Sipilä, è di valutare le conseguenze dell’erogazione monetaria, percepita dai riceventi come sicura, sulla propensione ad accettare un lavoro. I risultati saranno resi noti solo nel 2019, momento in cui verrà deciso se continuare, modificare o interrompere l’esperimento.

Nel frattempo che il caso finlandese dispieghi i suoi effetti, emerge l’opportunità di alcune considerazioni il più possibile generali, troppo spesso trascurate in favore di analisi empiriche talvolta col fiato corto. Nonostante le modalità specifiche di attuazione siano ovviamente rilevanti per un giudizio non parziale, così come le questioni finanziarie sulla sostenibilità delle erogazioni, lo scopo del presente contributo è diverso: verrà proposta una breve riflessione teorica che provi ad indagare i presupposti fondamentali del reddito di cittadinanza nell’ambito delle scelte complessive di politica economica. Per farlo si proverà a interrogare due autori che la questione del reddito di cittadinanza se la sono già posta, arrivando a giudizi molto diversi ma comunque estremamente interessanti.

 

2. Premesse di due diversi punti di vista

Nel 1944 vennero pubblicati due grandi classici del pensiero economico e politico del secolo scorso, La grande trasformazione e La via della schiavitù. Sono le opere più note rispettivamente di Karl Polanyi e Friedrich A. Hayek, esempi di opposti che, di tanto in tanto, si attraggono e convergono sulle stesse tematiche.

Se secondo Polanyi il libero mercato è un artificioso sistema di regolazione economica alla lunga non sostenibile, per Hayek rappresenta l’insostituibile esito di un’evoluzione spontanea, a sua volta risultato inintenzionale di azioni intenzionali. Le conseguenze sulla politica economica sono presto dette: per Polanyi il mercato necessita di mirati e vasti interventi pubblici, che simultaneamente proteggano le cosiddette merci fittizie (lavoro, terra e moneta) da un’inclusione disgregativa nell’anonimo meccanismo della domanda e dell’offerta; ad avviso di Hayek ogni interferenza esogena nell’ordine del mercato genera inefficienze allocative e dinamiche, distorcendo i segnali che giungono dai prezzi e minacciando la libertà individuale con degenerazioni totalitarie.

Nell’ambito delle loro analisi non mancano puntuali riflessioni sul reddito di cittadinanza molto stimolanti per i dibattiti odierni. Non tanto, probabilmente, per una diretta spendibilità in eventuali studi di caso, quanto per un invito a guardare la questione da una prospettiva troppo trascurata (il rapporto di fondo tra il reddito di cittadinanza e il libero mercato) e per andare in direzione contraria rispetto al senso comune odierno (secondo cui il sostegno al reddito di cittadinanza è per forza di cose espressione di una posizione progressista, o di sinistra, che dir si voglia).

 

3. La critica di Polanyi

Polanyi parla esplicitamente del reddito di cittadinanza con riferimento a un contesto storico specifico, il disastro sociale di Speenhamland iniziato nel 1795. In questo remoto villaggio inglese del Berkshire venne infatti decisa l’istituzione di una sorta di sussidio integrativo del salario nelle fasi in cui questo fosse sceso al di sotto di una certa soglia, fissata con riferimento al prezzo del pane. Fu un provvedimento effettivamente rivoluzionario per l’epoca e da un severo critico del mercato come Polanyi si sarebbe attesa un’approvazione della legge, soprattutto nella sua funzione di temperamento degli effetti perniciosi dei bassi salari o della disoccupazione. E invece la censura è senza appello:

Con la Speenhamland Law un individuo veniva aiutato anche se aveva un lavoro fintantoché il suo salario ammontava a meno del reddito familiare che gli era assegnato dalla scala […]. Alla lunga il risultato fu agghiacciante. Per quanto occorresse del tempo affinché il rispetto dell’uomo comune cadesse così in basso da preferire il sussidio per i poveri al salario, i salari che venivano integrati per mezzo di fondi pubblici erano in numero illimitato tanto da spingerlo a sostenersi ad essi. Poco a poco la gente della campagna fu immiserita, l’adagio «una volta il sussidio, sempre il sussidio» era una verità[1].

Anche se la critica di Polanyi sembra riferirsi più alle modalità specifiche di erogazione del sussidio (la stretta dipendenza dal salario) che ai suoi principi di fondo, al termine de La grande trasformazione l’analisi travalica gli orizzonti di un caso circoscritto per affrontare la questione in chiave comparata. Il confronto è con un contesto molto caro allo studioso ungherese, vale a dire l’eccezionale, nel senso di irripetuta, esperienza socialista della cosiddetta Vienna rossa:

Se Speenhamland produsse un vero e proprio disastro per il popolo, Vienna conseguì uno dei più spettacolari trionfi culturali della storia occidentale. L’anno 1795 condusse a una degradazione senza precedenti delle classi lavoratrici alle quali si impediva di raggiungere il nuovo status di operai dell’industria. Nel 1918 iniziava un’ascesa morale e intellettuale ugualmente senza precedenti nelle condizioni di una classe lavoratrice industriale molto sviluppata che, protetta dal sistema di Vienna, resisteva agli effetti degradanti del grave sconvolgimento economico e raggiungeva un livello mai superato dalle masse popolari in nessun paese industriale[2].

Che senso ha questo accostamento, tanto distante nel tempo e nello spazio? Il rischio di anacronismo è reale. Viene però scongiurato se si segue attentamente Polanyi nelle sue analogie, in particolare quando spiega che l’intervento pubblico a Vienna, perseguito principalmente per garantire il diritto alla casa e all’istruzione, aveva l’obiettivo di combattere, attraverso la leva fiscale e una politica sociale (scuola, istruzione per gli adulti, attività ricreative) di medio periodo, gli effetti iniqui in termini distributivi e di alienazione generati dal mercato. La contrapposizione col reddito di cittadinanza ideato a Speenhamland ha una ragione cruciale: al contrario dell’esperimento viennese che nel suo complesso mira a una generale emancipazione della classe operaia, il sussidio decretato dai magistrati inglesi nel XVII secolo non è altro che una forma di paternalismo, colpevole di reificare i difetti tipici del meccanismo di mercato e condurre gli stessi lavoratori a diventare vittime passive dell’assistenzialismo. A ciò è necessario aggiungere, sempre seguendo le considerazioni di Polanyi, che a Speenhamland il salario toccò in pochi mesi praticamente lo zero, in quanto nessun datore di lavoro voleva pagare per un reddito comunque garantito dalla collettività. La sussistenza del lavoratore veniva garantita attraverso una pubblicizzazione dei costi e una privatizzazione dei profitti.

 

4. Il sostegno di Hayek

Non meno acuto è il giudizio di Hayek, la cui approvazione del reddito di cittadinanza va di pari passo con la radicalizzazione della sua prospettiva liberista. Scrive in una delle opere più ambiziose, pubblicata negli anni Settanta quando il suo pensiero aveva raggiunto la piena maturità:

Non vi è motivo per cui in una società libera lo stato non debba assicurare a tutti la protezione contro la miseria sotto forma di un reddito minimo garantito, o di un livello sotto il quale nessuno scende. È nell’interesse di tutti partecipare all’assicurazione contro l’estrema sventura, o può essere un dovere di tutti assistere, all’interno di una comunità organizzata, chi non può provvedere a se stesso. Se tale reddito minimo uniforme è fornito fuori dal mercato a tutti coloro che, per qualsiasi ragione, non sono in grado di guadagnare sul mercato un reddito adeguato, ciò non porta a una restrizione della libertà, o a un conflitto col primato del diritto[3].

Il punto nodale del ragionamento di Hayek è la delimitazione del reddito minimo (che in questo caso assomiglia all’idea di un sussidio universale) in un ambito che rimane «fuori dal mercato». In questo modo il reddito di cittadinanza assume il ruolo di salvagente del libero mercato nei momenti di performance negativa di quest’ultimo, quando cioè l’agognato equilibrio sul mercato del lavoro non si realizza e la disoccupazione rischia di diventare una minaccia all’integrità dell’intero sistema. Ad essere protetti, pertanto, non sono direttamente i lavoratori, ma il mercato stesso nella sua concezione liberale, secondo Hayek una necessità epistemologica prima ancora che economica. Così, con una visione tipica del darwinismo sociale, l’economista austriaco spiega le ragioni che rendono necessaria la salvaguardia delle regole istituzionalizzate dal mercato (in un’ottica di common law) e la limitazione di ogni intervento pubblico attivo:

L’eredità culturale in cui l’uomo è nato consiste di un complesso di modi d’agire o regole di condotta che sono prevalse perché aumentavano il successo del gruppo […]. Non è tanto che la mente produca delle regole, quanto piuttosto che essa consista di regole d’azione, di un complesso di regole cioè che essa non ha fatto, ma che hanno finito col governare le azioni degli individui perché le azioni che seguivano tali regole si sono dimostrate di maggior successo rispetto a quelle di individui o gruppi rivali[4].

Da Hayek emerge come l’approvazione del mercato – nell’accezione austriaca di processo competitivo in cui, a beneficio dell’intero sistema sociale, devono prevalere i più forti e soccombere i più deboli[5] – non sia in opposizione al dovere di assistenza nei confronti di chi è rimasto indietro, ma anzi è ad esso del tutto complementare.

 

5. Conclusioni

Dove vanno allora rintracciate le ragioni di fondo per cui un critico del libero mercato come Polanyi si oppone duramente al reddito di cittadinanza, mentre un fervente liberista come Hayek lo approva piuttosto convintamente? Una risposta può partire dalla constatazione che il reddito di cittadinanza rappresenta, sia in quanto teoria sociale che come azione di politica economica, un sostituito della piena occupazione, la quale può prevedere come unico strumento «una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento»[6]. Proprio nella misura in cui quest’ultima questione viene condannata all’oblio, il diritto di vivere, come lo aveva definito Polanyi, diventa un principio esterno al processo di mercato. È allora proprio in questo momento che il mercato necessita di legittimazione sociale, trovandola anche nella capacità di assistere chi dal processo produttivo viene escluso, senza però mettere in atto politiche strutturali finalizzate a reintegrarlo.

Non si può che concludere, quindi, che la visione hayekiana è oggi dominante, paradossalmente anche a sinistra. Il monito polanyiano, nonostante il caso finlandese presenti analogie sorprendenti con le leggi di Speenhamland, è invece del tutto ignorato. Eppure, nella situazione odierna in cui alla disoccupazione strutturale si accompagnano enormi bisogni sociali insoddisfatti, ritenere necessario il reddito di cittadinanza non può che essere l’ennesimo frutto tossico di una certa «obsoleta mentalità di mercato»[7], da cui Polanyi ci metteva severamente in guardia. Se è ancora possibile credere che la cittadinanza sia completamente conquistata solo quando ogni uomo e donna viene messo in grado di concorrere «al progresso materiale e spirituale della società»[8], allora l’assistenza come alternativa al lavoro è un atto subdolamente regressivo.


* Dottore di ricerca in Sviluppo Economico: analisi, politiche e teorie presso l’Università di Macerata

Bibliografia
Hayek F. A., La via della schiavitù, Rubbettino, Catanzaro, 2011 (1944).
Hayek F. A., Legge, legislazione e libertà. Critica dell’economia pianificata, Il Saggiatore, Milano, 2010 (1973).
Polanyi K., Economie primitive, arcaiche e moderne. Ricerca storica e antropologia economica, a cura di Dalton G., Einaudi, Torino, 1980 (1968).
Polanyi K., La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Einaudi, Torino, 2010 (1944).

Note
[1] K. Polanyi, La grande trasformazione, Einaudi, Torino, 2013 (1944), pp. 101-103.
[2] K. Polanyi, cit., p 359.
[3] F. A. Hayek, Legge, legislazione, libertà, Il Saggiatore, Milano, 2010, pp. 292-293.
[4] F. A. Hayek, cit., pp. 25-26.
[5] «In questo gioco [il mercato, ndr] ove i risultati dei singoli dipendono in parte dal caso e in parte dall’abilità, è evidentemente insensato definire un risultato giusto o ingiusto. Si tratta di una situazione simile a quella di una gara per un premio in cui si cerca di creare le condizioni per premiare la miglior prestazione ma in cui non si può dire se la miglior prestazione sia la dimostrazione di un maggior merito» (F. A. Hayek, Legge, legislazione e libertà, cit., p. 335)
[6] J. M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Utet, Torino, 2013, p. 572.
[7]«Siamo ridotti all’impotenza dal retaggio di un’economia di mercato che ci ha trasmesso concezioni semplicistiche della funzione e del ruolo del sistema economico nella società. Se si vuole superare la crisi, si deve recuperare una visione più realistica del mondo umano e modellare il nostro comune intento alla luce di quella consapevolezza […]. La creatività dell’uomo è venuta meno soltanto perché si è lasciato che il mercato stritolasse il materiale umano riconducendolo alla piatta uniformità di un paesaggio di detriti selenici. Non v’è da meravigliarsi che l’immaginazione sociale dell’uomo mostri segni di stanchezza» (K. Polanyi, La nostra obsoleta mentalità di mercato, in K. Polanyi, Economie primitive, arcaiche e moderne, Einaudi, Torino, 1980, pp. 59, 70).
[8] Cfr. Costituzione della Repubblica Italiana, articolo 4, comma 2.

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Claudio
Wednesday, 05 April 2017 16:39
La ringrazio molto e l'approvo, professore, per questo suo eccellente articolo, in cui cita questi due illustri pensatori di oltre due secoli fa, a me sconosciuti, come egualmente sconosciute m'erano i due grandi esperimenti sociali citati.
Un punto che nelle conclusioni trova paradossale nella sinistra, forse errando per eccesso di pessimismo, me lo spiego e non mi meraviglio, tenendo presente il periodo storico attuale, caratterizzato da un sistema capitalistico di produzione in avanzato stato di decadenza culturale, politica, civile e morale generalizzata, in cui ha valore soltanto il danaro, reale o virtuale che sia, nella quale si vive soltanto di slogan, di elezioni di rappresentanti delle comunità locali con poche decine di voti espressi via web, anche se so che con elezioni per così dire normali cambia assai poco, di semplificazioni e/o mutilazioni delle parole, come in un numero di persone crescenti fanno ogni giorno coi messaggini. In codesta situazione, insomma, non credo che molti vorranno approfondire tale importante argomento e continueranno a balenarlo, soprattutto da parte della pretesa sinistra di governo, o a proporlo con seriosità da parte della cosiddetta sinistra antagonista che antagonista non è. Comunque vada a finire, ancora grazie per aver dato un assai valido contributo di chiarificazione politica e storica al dibattito sull'argomento.
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