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mondocane

Drago buono, san Giorgio no buono

In margine ai travagli di Travaglio, Di Maio, Draghi…

di Fulvio Grimaldi

paolo uccello 001 san giorgio e il drago 1460Ampia fiducia, massimo rispetto… ma decchè?

Li conoscete, questi mantra, vero? Che uno si senta inquisito a torto o a ragione, non c’è verso che non dichiari urbi et orbi “Ampia fiducia nella magistratura”. Che è, un po’, una captatio benevolentiae di chi dovrà processarlo e, molto, tentativo di accreditarsi all’opinione pubblica illibato al 100%. Dai sodali del dichiarante ciò provocherà plauso commosso, dai suoi avversari ghignante spernacchiamento. Personalmente, per quanto avrei ben donde di dichiararmi fiducioso nella magistratura, visto che l’ho scampata indenne da ben 150 procedimenti per reati di stampa (diffamazioni, apologia di reato e simili) quando ero direttore di Lotta Continua, come da più recenti querele giudicate infondate o temerarie, mi morderei la lingua prima di pronunciare quella formuletta che riconosce ai magistrati un’assoluta purezza di intenti e atti. Per un Borelli e un Davigo abbiamo avuto un Carnevale (“l’ammazzasentenze”), per un Di Matteo, un De Magistris, un Robledo e un Woodcock, abbiamo avuto il famigerato “porto delle nebbie romano” e magistrati perseguitati fino al CSM. E che CSM! Dunque, c’è poco da giurare sulla perfezione di chicchessia, né del primo potere dello Stato, né del secondo e neppure del terzo. E pur sempre lo Stato capitalista della borghesia.

 

Carta vince, carta perde

E se Marco Travaglio viene condannato a 95mila euro per aver diffamato il padre dell’ex-premier, uno che entra ed esce da inchieste giudiziarie come fossero il bar sotto casa e a Virginia Raggi tocca vivere sotto un gragnuola di denunce e procedimenti, fino ad ora tutti a vuoto; e se i responsabili di grandi avvelenamenti collettivi, di stragi da amianto o da uranio, di bombardamenti su civili serbi, la fanno franca; e se nelle nostre carceri i colletti bianchi sono meno che in qualsiasi altro Stato europeo, a dispetto dei nostri primati in mafia, corruzione, evasione…

Se tutto questo c’è, dare ampia fiducia a priori e a scatola chiusa, mi pare il regalo dato a chi ti ha suonato alla porta e non sai ancora se è un vucomprà, un gabelliere, un rapinatore, o la fidanzata. Visto che la classe dirigente tende a mettere a capo dei giudici che devono giudicare giudici, personaggi considerati affidabili, spesso provenienti dalle proprie espressioni politico-partitiche (è il caso di oggi), sempre meno spesso sarà la fidanzata l’ignoto che ha pigiato il campanello. Dice Davigo: “Buona parte della magistratura è stata genuflessa dal potere politico, come nei suoi anni più bui”. E se lo dice Davigo…

Ogni solidarietà a un giornalista scomodo come Travaglio che becca una mazzata da 95mila euro, somma che può (dovrebbe?) mettere in crisi un giornale abbastanza fuori dal coro, mentre a Tiziano papà sono toccate solo i 13mila di spese legali, nonostante gli siano state respinte 4 su 6 querele presentate. La Federazione della Stampa, che di solito è un drago sputafuoco quando si tratta di incenerire chi s’è permesso di sbertucciare qualcuno dei nostri noti combattenti contro abusi, storture e tentativi di condizionamenti dei noti poteri, si è limitata a borbottare qualcosa sulla sproporzione tra le due condanne pecuniarie e sul rischio che le querele servano a scopi di intimidazione. Ma che, davvero? Ed è morta lì. Un fascista che scriveva balle sulla Libia mi querelò perché ho detto che era un fascista (si candidò alle elezioni per una formazione fascista) che scriveva balle sulla Libia.Querela rispedita al mittente.. Ma intanto avevo dovuto frequentare per giorni aule di tribunali, viaggiare, pagare l’avvocato, scomodare testimoni, rompermi alla grande le palle e gli impegni di lavoro.

 

Il figliol prodigo che non si ravvede

La stagione del nostro scontento ci offre una moltitudine di castrazioni chimiche, altro che Salvini. Facebook e l’intera confraternita di Silicon Valley, che ci fanno parlare soltanto se diciamo cose in linea; leggi che ostracizzano e puniscono quanti dai più munifici e disinvolti produttori di fake news della storia del giornalismo vengono accusati di fake news; storici bastonati, segati, incarcerati perché fanno il loro mestiere di perenne rivisitazione della Storia; scienziati di minoranza coperti d’onta dagli scienziati di maggioranza e, ora, l’arma fine-libertà-d’espressione, la querela tappa bocca. Siamo ben oltre Orwell. Segui i soldi e troverai il mafioso, sosteneva Falcone. Qui, portagli via i soldi (che perlopiù non ha), o minaccia di portarglieli via, e beccherai il giornalista che rompe. Sono stati bravi a indicare la pecora nera Travaglio: un’élite di firme illustri che gira in tondo nella giostra rutilante dei talk show, tanti Napoleone di David a cavallo, tanti Settimi Cavalleggeri contro le nere montagne del regno di Mordor dove si nasconde chi osa un tantino soppesarle, le parole sovranismo, populismo, antieuropeismo, prima di spararle alzo zero al primo che marca visita in caserma.

 

Una stampa una e trina

Cavalcano in formazione verso il comune nemico, ma anche molto distinti per modi e bardature. Se uno si dice “quotidiano comunista”, l’altro è fiero di essere il giornale della democrazia liberale e l’altro ancora se la tira da organo del regno di dio. Poi tutti quanti, quando pregano, si voltano verso Washington e mostrano le terga a Putin e Assad. Che ne sarebbe, sennò, del pluralismo connaturato a una libera stampa? Così ci si distingue radicalmente tra chi il governo gialloverde lo vuole morto, solo ferito a morte, o appena con i ceppi ai piedi e la testa nella gogna. La topografia del nostro giornalismo si completa più in là, nell’ombra, dove vagano gli spettri di coloro a cui è concesso di godersi gratis l’aria di redazione grazie a qualche anno di stage, o che riescono a farsi chiamare collega, col tu di categoria, per via di quei cinque euro a pezzo lungo, due a trafiletto. A volte perfino orgogliosamente al cellulare con il capocronista, seppure avventizi a vita e solo finchè subiscono e fanno.E la FNSI che fa? Scende in piazza per Regeni e Medici Senza Frontiere.

 

Gioca con i fanti e lascia stare i santi

In attesa che una legge del cambiamento spunti, oltreché la prescrizione, l’arma della querela silenziatrice che si è testè abbattuta su Travaglio, sicuramente anche in considerazione del suo ruolo di fustigatore delle conventicole politiche che hanno malmenato questo popolo durante gli ultimi lustri e dei colleghi che interpretano il mestiere in termini di servo encomio e codardo oltraggio, al direttore del Fatto Quotidiano vorremmo indirizzare un’ultima querela. Per carità, non giudiziaria e senza alcuna richiesta di risarcimenti milionari. Querela alla latina, querimonia, doglianza, protesta (querela, da queri, lagnarsi). Rettifiche, sì, le vorremmo pretendere sugli abominii e le cazzate delle pagine estere, ma aspettarsele da un giornale che ci rappresenta la Russia come la Caina dantesca, dove si vive conficcati nel ghiaccio, e Israele come l’unica democrazia del Medioriente, significa aggirarsi nel mondo platonico delle idee. Questa nostra querela è per falso e diffamazione e riguarda ogni singola riga delle sue pagine di politica estera.. Finchè si tratta di beghe di cortile, tra pollastri domestici, transeat, non disturbi l’ordine generale delle cose. Ma prova a mettere il naso fuori dalla finestra e rilevare cattivi odori afferenti alla geopolitica, ai grandi giochi, al patto atlantico…

Qui, una scadente fattura degli scritti, in stridente contrasto con penne d’eccellenza degli altri comparti, esalta la strabiliante funzione antigiornalistica e propagandistica dei contenuti. Un fanatismo atlantista oltre il limite del grottesco, il Russiagate raccattato oltreoceano, a dispregio del definitivo discredito per assoluta mancanza di prove, la grossolana ripetizione degli stereotipi alla base della demonizzazione di chi è inviso al rullo compressore neoliberista, l’affannoso rilancio di grossolane trovatine atte a rinfocolare le guerre d’aggressione di un capitalismo occidentale in affanno di accumulazione e che si affida alla produzione bellica come estremo puntello a economie devastate dall’ingordigia e dall’inettitudine del finanzcapitalismo. Campagne che rivelano una strumentalità rozza, quasi infantile, per come partono in simultanea, sul minuto secondo, con altri organi che rispondono agli ordini di servizio delle stesse trasparentissime centrali.

 

QF: un giornale accettabile, discutibile, inqualificabile

Marco Travaglio, se per la tua redazione esteri adoperassi lo stesso rigore deontologico sotto cui fai egregiamente cadere le teste di una categoria che da noi sguazza in piena debauche professionale, morale e culturale, quella redazione sarebbe adibita a rivolgere scuse alle migliaia che ha ingannato, cui ha mentito o occultato, ma ancor di più ai milioni cui la propaganda, alla quale il FQ ha contribuito, sono costate devastazione e vita. Se, per un esempio su mille, sostieni la fetida bugia dell’attacco chimico di Assad e convinci qualche migliaio di tuoi ingenui lettori, hai dato un contributo fattivo al silenzio-assenso dell’opinione pubblica al più grave crimine di guerra e contro l’umanità in atto.

Qualsiasi cosa i perfettibili Grillo e Di Maio, ma anche l’imperfettibile Trump, abbiano detto in critica, spernacchio, condanna a certi giornali e giornalisti, è inadeguato, insufficiente, riduttivo, minimalista, rispetto alla dimensione assunta dai cosiddetti “cani da guardia” del potere. In effetti mai esistiti come tali, se non per eccezioni come quelle meteore che colpiscano la Terra ogni qualche estinzione dinosaurica.

 

Tra Draghi e Di Maio… casca l’asino

Travaglio ha dedicato un lungo editoriale a rampognare Luigi Di Maio per avere il capo 5 Stelle accusato Mario Draghi di avvelenare il clima attorno alla legge di bilancio. Insomma, per lui hanno ragione Draghi e tutti i sauri consimili e torto i vari San Giorgio. Il Sacro Graal stavolta sono i draghi che lo custodiscono. E qui s’è avventurato fuori dalle mura domestiche e, inevitabilmente, ha toppato alla grande. Nulla da dire sul ghigno con cui ha accolto l’invito di Di Maio a Draghi di ricordarsi di essere italiano e di non tifare contro il suo paese. Manco fosse Enrico Toti, o Guglielmo Oberdan. O, al limite, Bearzot. I personaggi alla Draghi, caro Luigi che, come me, ragioni in termini di patria e sovranità, di patrie, se ne hanno una di nascita, ne hanno un’altra, nettamente prioritaria, di elezione. E i suoi confini non stanno al Brennero, o al Danubio, ma sul perimetro della Banca. Se tifano, tifano dollaro. E, in sottordine, euro.

 

Abbasso San Giorgio, evviva il drago

Ma questo è secondario. Principale è la difesa che Travaglio fa del direttore della Banca Centrale Europea e sono i rimbrotti che indirizza al sarcasmo del pentastellato. Rimbrotti poi rinforzati dal vice di Travaglio, Stefano Feltri ( e questo non sorprende), per il quale Draghi non è che si preoccupa del deficit italiano, ma moltissimo delle correnti anti-euro del governo. E già, non sono gli spiccioli che preoccupano il nostro banchiere centrale. E’ la cassaforte. La cassaforte nella quale, da qualche lustro in qua, sono confluiti i beni e gli averi della stragrande maggioranza degli europei e, in particolare, quelli degli europei meridionali, a partire dalla Grecia. Non ce la ricordiamo la Troika? Tra UE, FMI e BCE, chi c’era a manovrare il tritacarne del fiscal compact, del pareggio di bilancio, de bail out per banche e mai per cittadini. Chi è che strangolava la Grecia con il cappio di un debito ben organizzato negli anni, mentre teneva a galla con il Quantitative Easing quelli con le pezze al culo, la cui obbedienza meritava però qualche indulgenza. QE ovviamente terminato alle viste di populisti arrembanti e di un governo a Roma che profuma di anti-euro.

 

Quando Draghi e Soros navigavano sottocosta

Travaglio è uno di cui si ammirano stupefatti la memoria e l’archivio. Quelli per i quali ai politici sbatte sul muso la cosa detta ieri che risulta il contrario di quella detta oggi. Sarà mai possibile che questo direttore, più documentato della Biblioteca Nazionale, non si ricordi della letterina che nel 2011, a cavallo del passaggio di consegne, Draghi e Trichet indirizzarono a Berlusconi, ma in essenza al popolo, allo Stato e al governo d’Italia? Che diceva la letterina di raccomandazioni o mangi ‘sta ministra o ti buttiamo dalla finestra, scritta a inaugurazione e marchio del regno Draghi? Incrementare il ridimensionamento dei diritti dei lavoratori, incrementare le liberalizzazioni-privatizzazioni a scopo di incremento della concorrenza, sostenere le imprese, una complessiva, radicale e credibile strategia di liberalizzazione dei servizi pubblici e servizi professionali, privatizzazione su larga scala dei servizi locali, accordi a livello di impresa piuttosto che contrattazione nazionale, salari e condizioni di lavoro ritagliati sulle esigenze specifiche delle aziende, accordi privati con aziende piuttosto che altri livelli di negoziazione. Insomma una torta turboliberista con il fiocco della dittatura dell’economia (dei ricchi) sulla politica.

 

Britannia

E tutti a obbedire, governo dopo governo, quasi fossero i comandamenti dettati a Mosè dal Signore. E prima, quasi vent’anni prima, da direttore del Tesoro, che ci faceva Mario Draghi sul panfilo prestato dalla Regina d’Inghilterra a un gruppetto di suoi fidati amici, tipo George Soros, Beniamino Andreatta (ministro del Bilancio, ma anche della Difesa, ma anche ideatore dell’Ulivo) e superbanchieri assortiti? Faceva un tale tifo per l’Italia che Ciampi, per contenere l’operazione strozzinaggio del noto Soros, fu costretto a bruciare 40mila miliardi di lire in difesa della nostra valuta (ancora nazionale, benedetta!), di cui però non seppe (non volle) impedire la svalutazione del 30%. E allora, venghino signori, il mercatino è allestito, tutti ottimi articoli sulle bancarelle, a prezzo di saldo, di costo, di svendita. E, operatori i Dini, Amato, Prodi, Bersani, D’Alema, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, la manovra riuscì a tal punto che l’Italia si trovò di punto in bianco alleggerita del 75% del suo apparato produttivo. Ci restavano Rimini e le città d’arte, peraltro svuotate dai loro abitanti e riempite di McDonald’s e B&B.

E ora che sta per lasciare a un tedesco, ancora più tifoso dell’Italia, cosa ereditiamo dell’era iniziata navigando sul Britannia, compatriota Draghi? La fine di quel Quantitative Easing con cui avevi salvato le banche riempitesi di titoli di Stato a sostegno dei governi amici di quel trentennio glorioso per le fortune della patria e che solo per il rotto della cuffia (o delle palle dei cittadini) non fu coronato dalla riforma Boschi. Con un governo di barbari neofascisti come questo, eletto dai depolorables nostrani, il trucco non serve più. Che vadano un po’ in sofferenza le bancuzze italiane, purchè trascinino nel dissesto tutto il resto. Come in Grecia. Gli italiani hanno voluto giocare? Scendiamo in campo. L’arbitro lo conosciamo.

Vai Travaglio, portagli il cappuccino a Draghi. Dove lo trovi ora? Ma da Goldman Sachs, no?

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