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Lo sa il polpo

di Augusto Illuminati

Quanto reggerà Berlusconi, lo sa forse solo il polpo Paul, l’oracolo infallibile dei Mondiali di calcio. Quel che è certo è che il vistoso smottamento della maggioranza viene di continuo tamponato dai ricatti reciproci delle sue componenti: i finiani minacciano di togliere i numeri quando il pressing berlusconiano si fa insopportabile e poi li restituiscono per evitare una cacciata che li metterebbe in difficoltà, il pagliaccio strizza l’occhio a Casini per sostituire Fini scatenando l’immediato veto dei leghisti, tutte le correnti, spifferi e fondazioni ribollono per assicurarsi posti di potere e ancor più l’immunità giudiziaria, Tremonti cerca di tener duro sul Bilancio (con il caritatevole soccorso di Chiamparino), mentre il premier è terrorizzato dalla ricaduta elettorale del rigore. Di qui il carosello di annunci e retromarce, penultimatum, sparate autoritarie a salve, maldestri traffici curiali, barzellette sul federalismo fiscale, sub-emendamenti e refusi, promesse strategiche destinate alla revoca –come l’abbuono delle multe per le quote latte, fondamentale per la Lega ma già bocciato in sede europea. L’attività legislativa e di governo risulta paralizzata, perfino per le misure ad personam, mentre vanno avanti soltanto le pratiche affaristiche. La voragine aperta dalla soppressione dell’Ici è stata scaricata sull’Imu e gli enti locali l’hanno pure presa con allegria (se ne accorgeranno nel giro di un mese).

Bersani scuote la testa, ma in genere l’opposizione non può giocare la carta delle elezioni anticipate per paura di una nuova sconfitta, mentre Berlusconi le minaccia con scarsa convinzione, dato che i sondaggi sono in discesa e una crisi “pilotata” potrebbe portare a un reincarico tecnico invece che alle urne. L’opposizione gioca appunto quella partita: un lentissimo logoramento, uno spostamento molecolare verso il centro favorito da Napolitano e infine una soluzione emergenziale di unità nazionale, in una data intermedia fra adesso e la scadenza naturale della legislatura. Nel frattempo andremmo a puttane, travolti da crisi e malaffare –ma questa è l’ultima delle preoccupazioni e in ogni caso dove va l’Italia non interessa né all’Europa né agli Usa.

Nel paralizzante equilibrio partitico, bizzarramente definito bipolarismo (il pentapartito della I Repubblica era un’anguilla guizzante, al confronto!), si inserisce con effetti imprevedibili il degrado entropico della corruzione e dunque l’intervento “salvifico” della magistratura e la pressione di poteri finanziari incontrollati. Un pezzo alla volta la macchina affaristica, che è il vero cemento berlusconiano, va in pezzi. Un sinistro stillicidio quotidiano. Inguattato Previti, bloccato Dell’Utri (almeno sulla scena pubblica, perché dietro le quinte imperversa), scivolati malamente Scajola e Bertolaso, comicamente Brancher, ora è sotto botta Verdini, che dovrebbe spiegare i rapporti con Carboni e Cosentino –il gotha della P2 e della criminalità organizzata dell’ultimo trentennio. Erano tutte figure chiave della costituzione reale del potere, con una cricca intercambiabile di manager, vespe e anemoni al seguito; solo Letta, il ragno tessitore finora appena sfiorato dagli scandali, pesa di più. D’altra parte, è complicato per Berlusconi prendere le distanze. Ha difeso contro i giudici Cosentino, ha coperto nei casi Boffo e Marrazzo la stessa operazione trans che Carboni e soci intendevano compiere contro il governatore campano Caldoro. In materia di dossieraggio, corruzione dei giudici e appalti truccati non ha nulla da imparare.

Più che qualcosa, insomma, ricorda la veloce deriva del 1992. Il diffondersi di un populismo giustizialista che l’accompagna, senza peraltro la partecipazione di massa e le illusioni di rinnovamento dell’epoca di Mani Pulite, fa piuttosto da basso continuo a una sfiducia generalizzata nelle istituzioni e nel ceto che le occupa –una tonalità un tempo fascista, oggi piuttosto leghista. Riflettiamo sul dato inquietante che siamo l’unico Paese al mondo in cui i sondaggi danno in calo simultaneo il consenso al governo e all’opposizione: pochi spostamenti elettorali ma discredito massiccio della politica, senza che emerga una “società civile” particolarmente sana –basti leggere i dati sul sommerso e sull’evasione fiscale o anche semplicemente guardarsi in giro, misurare il coefficiente di paura, depressione, irritabilità. Tutto concime per Bossi, che però può crescere solo entro stretti limiti territoriali. E con il cuneo di Formigoni che impedisce la saldatura geografica fra Veneto e Piemonte (sempre che il Tar glielo lasci). Soprattutto con l’incognita di una crisi che potrebbe sbaraccare –se ci fosse una gestione politica, al momento insussistente, dello scontento– tutti i rassegnati equilibri fondati su paura del futuro e rabbia populista.

Finirà con il probabile rinvio a settembre di tutti i nodi irrisolti. Per il ceto politico non è un problema, per i 3.700 licenziati della Telecom (più l’indotto, più altri 3.000 entro il biennio, più tutti gli altri) invece sì. Nel frattempo scrutiamo l’acquario di Oberhausen...

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