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Storie reticolari

Tre decenni di invenzione continua della rete informatica

di Mattia Galeotti

Chiamiamo rete l’insieme delle relazioni tra corpi. La scelta di questo termine non è casuale, il termine “rete” descrive uno spazio non-gerarchico ma che contemporaneamente non è né “piatto” né “orizzontale”, bensì striato e disomogeneo. Chiamiamo rete informatica quella parte della rete che, a partire dall’invenzione di internet sul finire degli anni ’80, si esprime attraverso terminali informatici interconnessi (dai vecchi computer agli smartphone e tablet più moderni). La rete informatica ha raggiunto, da ormai più di dieci anni, un ruolo primario all’interno della rete in senso largo, fino al punto che con il termine “rete” siamo soliti parlare proprio della rete informatica. In particolare nel processo di estrazione di valore dall’insieme delle relazioni umane che caratterizza l’odierno capitalismo cognitivo, la rete informatica rappresenta uno dei punti più alti, capaci cioè di determinare ed organizzare moltissime altre forme di valorizzazione.

In questo testo vogliamo tracciare una breve genealogia delle strutture della rete informatica, quell’insieme di “luoghi virtuali” (siti, blog, portali), social networks e pratiche collettive che ci dicono cosa la rete informatica era nelle varie fasi del suo sviluppo. Cercheremo di mostrare che la valorizzazione monetaria della rete informatica è sempre stata una cattura “a valle” di processi di produzione sociale (di affetti, linguaggi, narrazioni) che avvenivano ed avvengono “a monte”.

Questo significa, contro ogni ipotesi del web come spazio “libero” o “indipendente”, che i grossi attori economici, pubblici e privati, mentre operano su internet sono costretti a lasciare ampi spazi di libertà all’interno dei quali la rete informatica è continuamente re-inventata. Ogni valorizzazione economica del web consiste nell’ingabbiamento e normazione momentanei di questo processo creativo. In particolare individuiamo una strategia normativa generale che si è dispiegata sul web fin dalle sue origini, quella strategia “della separazione” che descrive la rete informatica come un fenomeno separato dalla rete delle relazioni, che divide artificialmente la fisicità e la virtualità dei corpi.

Cercheremo infine di fare alcune ipotesi sulle attuali tendenze di internet e sui modi di fare politica in rete, seguendo e sviluppando in particolare gli spunti del gruppo di ricerca spagnolo DatAnalysis15M [1] e del workshop su rete e tecnopolitica tenutosi al meeting internazionale Agora99 (Roma, 1-3 novembre 2013).


Dagli albori al peer to peer

Non esiste una data di nascita precisa per internet, il progetto di una rete globale si sviluppa nei tardi anni ’80 dalla rete di ricerca militare denominata ARPANET, attiva dal ’69 negli Stati Uniti[2]. Fine anni ’80 e primi anni ’90 sono un periodo di intensa sperimentazione, un momento pionieristico: fette sempre maggiori di classe media, soprattutto legate al mondo della ricerca scientifica, si avvicinano a computer ed internet, ma non si tratta ancora di un fenomeno di massa. Nascono i primi protocolli di messaggistica di largo utilizzo, saranno il trampolino di lancio per il movimento hacker e per tutte le future esperienze sul web. In questi anni si assiste ad una rapidissima diffusione di nuovi saperi in maniera largamente orizzontale, la prima esperienza di condivisione su larga scala attraverso la rete informatica permette a tantissimi di accedere ai concetti di programmazione, network informatico, sicurezza digitale, ecc. E già in questo primo fenomeno di potenziamento delle capacità relazionali, il web si dimostra territorio sempre connesso col mondo concreto e niente affatto isolato nella sua virtualità: la rete informatica diventa il motore di tantissime sperimentazioni in laboratori casalinghi, di piccole esperienze di autoformazione o semplicemente apre dibattiti sui suoi futuri utilizzi.

I ’90 sono anche gli anni dell’ascesa e affermazione di Microsoft sul mercato informatico, con l’introduzione del sistema operativo Windows. L’azienda di Bill Gates scommette (e vince) sull’enorme desiderio di accedere a questo nuovo strumento: il successo del suo sistema operativo sta tutto nella semplicità di utilizzo, là dove la maggior difficoltà nell’uso del DOS costituiva una barriera all’ingresso. Accumulato un vantaggio iniziale, Windows si accaparra, con un abuso palese e continuo della sua posizione dominante, il monopolio sui programmi d’uso più comune, da Outlook Express per le e-mail a Internet Explorer come browser web[3], fino al primo grande software di chat: MSN (nato nel 1999).

Nella seconda metà degli anni ’90 l’accesso ad internet è ormai un fenomeno di massa in occidente, all’interno del web si manifestano i primi casi di condivisione “selvaggia” che minano alla base il concetto di “proprietà intellettuale”. Attraverso protocolli “peer to peer”, cioè da pari a pari, secondo un principio di connessione diretta tra chi possiede un file e chi vuole usufruirne, cominciano a diffondersi pratiche di scambio su larga scala. Nel 1999 nasce Napster, sito che indicizza e gestisce scambi in peer to peer incentrato soprattutto sulla condivisione di musica, questo primo sito di massa per il “file sharing” viene duramente attaccato nei tribunali dalle major discografiche. Sconfitto, terminerà sostanzialmente le sue attività nel 2001, ma la via giudiziaria non può certo arrestare le pratiche di condivisione ormai diffusissime, da Kazaa a WinMX, da eMule alla tecnologia torrent, negli anni seguenti gli strumenti del file sharing non faranno che aumentare. Lo svilupparsi della rete informatica ha ormai irreversibilmente modificato lo spazio culturale ed il concetto di scambio.


La rivolta disegna la rete

In questa fase di piena espansione dell’accesso ad internet, c’è un soggetto che prende il centro della scena sulla rete informatica. Si tratta di quel movimento di movimenti che esplode con le proteste anti-G8 di Seattle nel 1999 e rimarrà una fortissima voce globale di critica al dogma neoliberista per un lustro.

Di fronte alla totale subalternità dei media tradizionali rispetto al pensiero unico dominante, questa federazione di soggettività elabora una risposta collettiva riassumibile nel motto “don’t hate the media, become the media”. L’idea è quella di sfruttare le potenzialità di internet per diffondere informazioni e contenuti in maniera diretta e orizzontale, aggirando il filtro dei grandi mezzi di comunicazione, riprendendo l’intuizione dello scambio “peer to peer”. Il 24 novembre 1999 nasce il primo nodo di Indymedia, una rete di siti d’informazione di movimento che segna un’epoca. Non soltanto perché permetterà al mondo di ascoltare le voci di chi anima quei conflitti, ma anche perché anticiperà sotto molti aspetti il web degli anni seguenti. La rete Indymedia e tutte le esperienze ad essa affini saranno un terreno di sperimentazione, anche tecnica, dove costruire strumenti per una comunicazione ed un’azione sempre più efficaci.

Inizialmente strutturato in modo da permettere a chiunque di scrivere articoli, Indymedia aggiunge ben presto la possibilità di caricare brevi audio e filmati. La necessità di dare notizie in “diretta” durante le mobilitazioni spinge quindi a dotarsi di un nuovo strumento, il “newswire”: una successione di notizie in pochi caratteri che possono essere pubblicate anche inviando messaggi da cellulare, novità quasi assoluta per l’epoca. A partire dalle esigenze del movimento, sui nodi di Indymedia si crea un modo nuovo di “fare rete”: la possibilità di una condivisione orizzontale di contenuti diventa non soltanto uno strumento per testimoniare ciò che sta avvenendo, ma anche il primo passo per l’apertura di grandi spazi di confronto. In maniera analoga all’incontro fisico nei Social Forum di quegli anni, l’incontro virtuale sulle reti di movimento potenzia le relazioni e ne crea di nuove. Allo stesso tempo le tante narrazioni di conflitti sparsi per il globo, che chiunque può ascoltare (e raccontare a propria volta), sono la prova tangibile che la storia è tutt’altro che finita, senza dubbio alcuno “un altro mondo è possibile”.

Il movimento dei movimenti si esaurisce sostanzialmente con i Social Forum di Firenze 2002 e Porto Alegre 2003, incapace di mettere in campo l’organizzazione e le pratiche necessarie per rispondere alla svolta repressiva del G8 genovese e per concretizzare il rifiuto di massa alle guerre americane in medio-oriente. Incapace soprattutto di dare parola in modo duraturo a tutte quelle nuove forme del lavoro precario ormai al centro della scena produttiva, ma totalmente escluse da ogni patto sociale. Avviene così che i Social Forum divengono riproposizione del passato, senza quella capacità inclusiva e propositiva così necessarie in un’epoca che muta a velocità vertiginosa.

In maniera analoga il network di esperienze informatiche che ruota attorno ad Indymedia perde progressivamente forza e si svuota delle tante e diverse soggettività che l’avevano attraversato. Non è certo la fine dei problemi attorno al tema dell’informazione che depotenzia quell’esperienza, piuttosto sembra rompersi il nesso virtuoso tra conflitti ed uso della rete informatica. Le pratiche di condivisione orizzontale sviluppate nelle battaglie del movimento non sono più adeguate al livello raggiunto dallo scontro, che probabilmente richiederebbe al web non soltanto di informare ma anche di saper essere un mezzo di attivazione diretta delle mobilitazioni. Questa riflessione è però possibile solo molti anni dopo, il dato materiale che ci rimane è lo svuotamento di Indymedia ed il disperdersi delle soggettività che l’avevano animata. Ma il portato di quel network non andrà affatto perso. Vari nodi continueranno la loro attività fornendo supporto a molte altre esperienze, e l’attivismo informatico di quegli anni sarà la base per ogni riflessione successiva sull’uso politico di internet[4].


La grande cattura

L’insieme di pratiche informatiche nate all’interno di quel grande movimento, porta a maturazione una nuova e dirompente capacità produttiva che plasmerà il web del terzo millennio. Se nella prima fase i contenuti condivisi su internet erano principalmente legati al campo dell’informazione, in breve molti altri temi fanno il loro ingresso sulla rete informatica, dalla narrativa allo sport, dalla musica ad ogni tipo d’arte. Si sviluppa l’utilizzo dei blog, siti dall’impaginazione essenziale dove gli interventi pubblicati si succedono giorno per giorno in ordine cronologico. In generale assistiamo ad un’espansione quantitativa e qualitativa del web, non solo aumentano gli utilizzatori, ma sempre più aspetti della rete relazionale transitano per il mondo informatico.

È in questa fase che parte un’offensiva dei grossi capitali sui servizi essenziali di condivisione, una “grande cattura” che definisce un nuovo modello di web, centrato sul concetto di utenza. Possiamo chiamare provvisoriamente questo nuovo modello web2.0 anche se di solito con questo termine si pone l’accento sul definitivo affermarsi di interfacce user-friendly e quindi sulla totale intuitività raggiunta dal mezzo informatico, invece nella nostra analisi vorremmo approfondire la svolta portata da questa cattura alle modalità d’uso del web.

Nel 2003 nasce MySpace, il primo social network su larga scala, improntato al blogging ed alla condivisione musicale. Nel 2005 viene fondato Youtube, portale di condivisione video che in breve monopolizza questo tipo di servizio. Un anno prima nel campus di Harvard era nato Facebook, che diventerà disponibile per chiunque dal 2006: la chiave del successo di questo social network sarà la trasposizione sullo spazio condiviso informatico delle reti d’amicizia, non è un caso che sia proprio un college statunitense il punto di partenza. Sempre nel 2006 nasce anche Twitter: la Odeo, azienda prossima al fallimento, si fa venire l’idea di un network basato su brevissimi messaggi condivisibili con tutti anche dal proprio cellulare, secondo un’intuizione che non può non ricordare il newswire di Indymedia.

Nessuna di queste aziende inventa qualcosa di realmente nuovo: le pratiche di condivisione, alla base dei grandi successi aziendali di quegli anni, erano già presenti, ma le strutture che le gestivano risultavano inefficaci a permettere un’ulteriore espansione della rete informatica. Così, poche idee ed ingenti capitali (alla faccia della virtualità, servono cavi ed infrastrutture per far girare il web), permettono una rapida cattura dello spazio informatico ed una sua espansione planetaria. Questo non significa che il modello del web cambi in senso dispotico (sebbene i casi di censura non manchino): in quanto parte della rete globale di relazioni, la rete informatica non può essere gestita in modo autoritario, pena negare la sua capacità di produrre sempre nuove forme di vita e d’espressione e quindi rinunciare alla sua valorizzazione monetaria. L’egemonia di un pugno di aziende su internet determina invece una governance della rete informatica fondata sull’utente, soggettività individuale che esercita le proprie libertà secondo regole che non può controllare e che in parte gli sono anche sconosciute, perché l’avvento dei grandi capitali ha portato con sé la diffusione di codici proprietari e dunque in gran parte segreti. Per permettere l’esercizio di libertà “controllato” che ci si aspetta, la narrazione che si afferma è quella della rete informatica come spazio separato dal mondo reale e pronto ad essere “personalizzato” dagli utenti. Questa narrazione accompagna l’espansione della rete informatica ad ogni ambito della vita e determina il suo stabilizzarsi: se reale e virtuale sono due mondi separati ma paralleli è perfettamente logico trasporre ogni esperienza nel mondo informatico, re-inserire ogni novità nello stesso contenitore che diventa quindi un “cesto delle occasioni” per la valorizzazione monetaria.

Altre due grosse corporation, oltre a quelle già citate, completano la descrizione del web-contenitore globale. Da una parte Google, che ha conquistato il monopolio tra i motori di ricerca sul finire degli anni ’90, sfrutta questo monopolio per sviluppare alcuni servizi essenziali ed identificarsi, nella mente degli utenti, con l’infrastruttura stessa di internet: ai servizi “classici” di posta elettronica (Gmail) e mappe geografiche (Google Maps), si aggiungo la condivisione video con l’acquisto di Youtube nel 2006, lo sviluppo del browser Chrome e dei sistemi operativi Android.

La Apple invece, eterna seconda dei capitali informatici negli anni ’90 dietro a Microsoft, primeggia negli anni ’00 con la scommessa vinta di puntare sui dispositivi mobili e sulla loro identificazione all’utente. Il successo di iPhone porta letteralmente ovunque la rete informatica e si accompagna ad una retorica di vero e proprio sdoppiamento tra l’individuo ed il suo alter ego virtuale identificato col terminale informatico, proprio questo ci vuole dire il prefisso “I”. Un alter ego che seleziona e condivide contenuti in uno spazio libero, universale, pacificato.

Una distopia, quella di Steve Jobs e dell’azienda di Cupertino, che raggiunge innegabilmente un’enorme popolarità. La continua crescita del numero di utenti raggiunge livelli inimmaginabili solo 10 anni prima, si stima che nel 1999 su internet si avessero circa 200 milioni di utenti, che divengono 600 milioni nel 2008, 1 miliardo nel 2009 fino ad arrivare ai 2,5 miliardi odierni[5]. I grossi capitali che hanno permesso il salto espansivo, si accaparrano il controllo dell’ondata d’accessi e strutturano in profondità i nuovi modi d’utilizzo, costruendo il web 2.0 secondo schemi che ne permettano una enorme valorizzazione. Questa valorizzazione non è più soltanto commerciale, in un’epoca in cui il punto più alto dell’accumulazione è la finanza, i profitti generati da internet sono solo in minima parte legati a vendite e inserzionismo pubblicitario, il grosso dei guadagni sono ottenuti con la levitazione costante delle quotazioni di Apple, Google, Facebook, Twitter, ecc. Gli incrementi di valore si smaterializzano sempre di più, i big del web2.0 vengono esaminati[6] nella loro capacità di creare spazi inclusivi di nuovi utenti, di analizzare e controllare le tendenze, di classificare i comportamenti e soprattutto di ri-catturare ogni novità all’interno dello stesso circuito virtuale. Ad essere valutata nei tutt’altro che neutri “mercati” è l’efficacia stessa della retorica imposta dai grandi capitali alla rete informatica.


Intermezzo sul cyber-utopismo

La retorica di un web neutrale non si propaga soltanto attraverso canali capitalistici, anche alcuni percorsi che partono da posizioni sedicenti anti-sistemiche la sposano con convinzione ripiegando su nuove forme di cyber-utopismo[7]. Se sul fenomeno Beppe Grillo si è già scritto molto, vale la pena dedicare qualche riga a Wikileaks, sito che dal 2007 rende disponibili al pubblico globale documenti “top secret” delle diplomazie e dei governi di tutto il mondo. A seguito di numerosi scoop, Wikileaks ed il suo leader Julian Assange arrivano sulla ribalta mediatica e divengono una scheggia impazzita nello scacchiere delle relazioni internazionali. Non assistiamo però alla palingenesi collettiva che lo stesso Assange auspica a più riprese: la strategia del gruppo di attivisti è fin dagli inizi quella di sfruttare le prime pagine di tutto il mondo, cioè le prime pagine dei grandi gruppi mediatici, per innescare un risveglio etico di fronte alle sconvolgenti verità dei “cable”. Questo risveglio resta un fatto del tutto astratto, senza un’organizzazione ed un uso “di parte” delle rivelazioni di Wikileaks, nessuna pratica insorgente viene messa in atto, al contrario la sovra-informazione sembra generare sentimenti di rassegnazione. Le pratiche di fruizione dell’informazione si rivelano tutt’altro che neutre, sono anzi parte integrante del ruolo della notizia. Privo di una lettura della rete informatica come spazio attraversato da rapporti di potere, Wikileaks diviene l’ennesima pedina nel gioco delle diplomazie internazionali. Una pedina anomala, forse, ma comunque una pedina perfettamente compatibile agli attuali assetti di potere.


Dall’indipendenza in rete all’insorgenza sulla rete

Nella seconda metà degli anni ’00 si sviluppano numerose esperienze che si concentrano su un uso collettivo e comune della rete informatica, per farne un punto di incontro e di confronto. Possiamo individuare, in particolare in Italia, tre grossi filoni di questo utilizzo sperimentale collettivo di internet, filoni che si intrecciano e si influenzano a vicenda: il mondo dell’attivismo politico e dei movimenti, il mondo del software Open Source e delle realtà hackers, infine il mondo della produzione culturale.

Il mondo dell’attivismo politico, dopo l’esaurirsi di Indymedia, si concentra sullo sviluppo di portali, siti e radio streaming di informazione indipendente. Al di là dei casi più noti, come i portali GlobalProject e Infoaut, la potenza di questa esperienza resta quella di connettere attraverso il web moltissime realtà territoriali, costituendo un corrispondente informatico della rete di spazi sociali che attraversa la penisola. Tutte le lotte di questi anni si confrontano con internet, dai movimenti studenteschi ai movimenti ambientali fino alla battaglia referendaria del 2011, l’uso “di parte” del mezzo informatico è ormai irrinunciabile nell’agire politico.

Nel secondo caso si tratta di tutte quelle comunità che resistono all’egemonia dei codici proprietari sviluppando una serie di pratiche e software “liberi”, cioè con codice pubblico e liberamente modificabile. Il caso più celebre è quello del sistema operativo Linux (nato alla fine degli anni ’80 ma che riscontra un notevole successo con l’uscita della versione Ubuntu nel 2004), ma si tratta di un’intera galassia di esperienze in cui nascono saperi di altissimo livello e filosofie totalmente non convenzionali di approccio al mezzo informatico.

Infine il terzo filone è quello della produzione e critica culturale. Il caso più celebre è il collettivo di scrittori WuMing, che riesce a fare del proprio blog un luogo di incontro e confronto attorno a tematiche narrative e politiche, ma sul web italiano fiorisce una grandissima quantità di spazi analoghi centrati sul dibattito culturale. Spazi che organizzano comunità molto giovani e permettono di sviluppare un discorso critico altrimenti ignorato dall’accademia, schiacciato tra vecchi baronati e continui tagli alla ricerca.

Tutti i tre filoni agiscono anche e soprattutto attraverso i canali di massa del web2.0 sfruttando la capacità del web di moltiplicare le interazioni. Proprio in questo processo vediamo la grande capacità capitalistica di ri-catturare le novità e le spinte centrifughe all’interno del paradigma virtuale. È il caso, ad esempio, dei numerosi social network, da Pinterest a Instagram passando per Storify, nati nel 2010 per cavalcare una larga e diffusa “voglia di narrare” che interseca anche la rete informatica ed in particolare ciò che abbiamo grossolanamente definito come “filone della produzione culturale[8]. Un altro esempio paradigmatico è quello del portale di informazione HuffingtonPost, nato negli Stati Uniti nel 2005 e diffusosi successivamente in altri paesi, fondato sulla concessione di alcuni blog che “liberi utenti” utilizzano a proprio piacimento, lasciando al portale la gestione, l’ordinamento e l’organizzazione dei contenuti. Una messa a valore della stessa indipendenza dell’utente che a ben vedere riscontriamo, in forme diverse, su tutti i grandi social networks.

Con l’arrivo degli anni ’10 sono ancora una volta i movimenti globali a scuotere il modo di fare rete informatica. Quando ad inizio 2011 scoppiano mobilitazioni in Tunisia ed Egitto, una delle prime impellenti necessità è quella di connettere le multiformi sollevazioni contro i dittatori Ben Alì e Mubarach: immediatamente assistiamo ad una rifunzionalizzazione di Twitter con lo scopo di sfruttarlo per organizzare la rivolta in atto. Le parole d’ordine ed i punti d’incontro sono trasmessi attraverso il social network, gli slogan nati sulle tastiere si diffondono velocemente per via orale e viceversa, l’osmosi tra web e strade della metropoli permette di alzare il livello conflittuale in maniera del tutto imprevista. I media mainstream si accorgono della novità ma non riescono a spiegarla: la condivisione massificata non si riduce più a “viralità”, al contrario la rete informatica amplifica la rabbia e permette di organizzare gli atti di resistenza violenta che porteranno alla caduta dei tiranni. Tutte le primavere arabe saranno attraversate da questo utilizzo “diagonale” del web, un evento imprevisto che fa moltissima paura, al punto che per alcuni giorni assistiamo allo “switch off” di internet da parte del regime egiziano: un gesto “sconsiderato”, indice dell’impotenza dei poteri costituiti di fronte al livello della mobilitazione.

Rispetto all’intuizione informatica avuta più di dieci anni prima dal movimento dei movimenti, il nuovo uso insorgente della rete, più spontaneo e disorganizzato, sembra avere direzione invertita: mentre ai tempi di Indymedia i conflitti venivano raccontati sul web, le nuove insorgenze partono dalla rete informatica (da campagne nate sul web, da notizie clamorose o anche da un semplice hashtag) per rimbalzare nelle strade, lanciando assemblee, indicendo mobilitazioni, indicando obbiettivi. Ci troviamo di fronte all’espressione matura di una società reticolare, con un’altissima conflittualità dovuta al continuo declassamento imposto dall’austerità. È una facile previsione che questo tipo di mobilitazioni non saranno un fenomeno passeggero, ed infatti nello stesso 2011 si producono altri due eventi analoghi: il movimento degli indignados in Spagna e Occupy Wall Street negli Stati Uniti.

Il primo movimento prende il nome, 15M, dall’hashtag utilizzato il 15 maggio per concentrare migliaia di persone alla Puerta del Sol di Madrid, quindi per attirare l’attenzione sul violento sgombero, trasmesso anche in diretta streaming, ed in seguito per lanciare la ri-occupazione con ancora più manifestanti. Il secondo è la famosa occupazione di Zuccoti Park, nel cuore del quartiere finanziario newyorchese, che diventerà la prima di una serie di occupazioni a catena in tutti gli Stati Uniti. Entrambi i movimenti nascono attraverso la rete informatica e sulla rete informatica vengono narrati, entrambi gli eventi sfruttano il web per coordinarsi ed accumulare riflessioni in un processo che però non ha niente di virtuale: dalle “acampadas” alle occupazioni abitative, dall’occupazione degli ospedali di Barcellona allo sciopero di Oakland, il momento virtuale non frena in nessun modo l’incontro di corpi e la loro organizzazione insorgente. Assistiamo a grandi momenti comuni di discussione e lotta, e mentre nelle piazze si sconfigge la paura, sul piano informatico si comincia un ripensamento di internet, oltre e contro la figura dell’utente.


E adesso?

Con l’inizio degli anni ’10 il modello del web-contenitore sembra incontrare delle criticità. Non ci troviamo ancora di fronte ad una crisi del concetto di utenza ma assistiamo a diversi eventi nei quali numerose innovazioni originate sulla rete informatica non ritornano nel ciclo della condivisione individuale. Se dell’uso politico abbiamo in parte già parlato, vediamo cosa accade negli altri due filoni individuati nel paragrafo precedente.

Il mondo hacker e legato al software Open Source subisce una decisa radicalizzazione politica. Il gruppo di attivisti informatici “Anonymous” diventa celebre accompagnando le lotte di tutto il mondo con azioni di sabotaggio, un uso di internet che va ben oltre il piano simbolico. Si moltiplicano le domande di nuove libertà sul web, la regolamentazione puramente verticale degli spazi informatici è continuamente criticata[9]. Contemporaneamente, sempre più saperi d’eccellenza vengono sviluppati per aiutare l’azione politica: dai sistemi di criptaggio alle reti mesh[10], il nerd diventa cyber-militante e si getta nella mischia.

Il mondo della critica e produzione culturale, invece, arriva sempre più ad ibridare medium e spazi differenti sfruttando internet. In questo senso è paradigmatica la performance del famoso artista di strada Banksy, che ad ottobre 2013 crea un’opera ogni notte per le strade di New York postando il luogo ed una foto sul proprio blog il mattino seguente. L’esperienza, battezzata “better out than in”, si sviluppa a cavallo tra web e metropoli arrivando ad aprire un dibattito sul ruolo dell’arte nella città e sul superamento della musealità.

Ma la crisi dell’utenza, cioè dell’utenza come griglia concettuale capace di imbrigliare la realtà, la troviamo anche in fatti molto più quotidiani. A Bologna, il 15 settembre 2013, una discussione sul giovanissimo social network Ask.fm, diventa trampolino di lancio per una megarissa tra studenti delle scuole secondarie, da una parte liceali del centro dall’altra studenti professionali delle periferie. Anche stavolta vediamo all’opera una corporeità non valorizzabile con criteri meramente virtuali.

Ovviamente anche all’interno della retorica capitalistica vengono riscontrate queste criticità: ad esempio l’efficienza economica degli hashtag è sempre più messa in dubbio, la loro enorme diffusione ha portato una sovrabbondanza che ne indebolisce la capacità di classificare le tendenze virtuali e dunque mette in pericolo la loro valorizzazione monetaria; è invece recentissima la notizia che attraverso l’analisi anche di ciò che scriviamo ma non pubblichiamo, Facebook sta provando a dare un impulso ulteriore alla condivisione di status personali, cercando di spremere maggiormente uno spazio che si avvicina alla saturazione, perfettamente consapevole che il Social Network “perde valore dalla carenza di contenuti generati”. Più in generale tra i big del web nasce il sospetto che la valorizzazione dello spazio informatico per come avvenuta fino ad oggi potrebbe divenire progressivamente inefficace e dunque esporsi a bolle speculative e crolli finanziari[11]. L’intensificarsi delle relazioni di Google, Facebook, ecc. con governi ed agenzie governative può essere letto anche come una risposta a queste criticità: l’investimento sul BIG DATA, cioè sul controllo e l’analisi, anche in ottica poliziesca, dell’enorme mole di dati personali riversata su internet, potrebbe aprire un nuovo campo di valorizzazione.

Sul piano politico dei movimenti globali, la dinamica che ha caratterizzato il 2011 si è ripetuta negli anni seguenti. Nel 2013 abbiamo assistito in particolare ai casi turco e brasiliano, in cui conflitti metropolitani hanno saputo amplificarsi ed espandersi soprattutto grazie all’uso intelligente della rete informatica. In tutti questi momenti di grande mobilitazione riscontriamo degli elementi comuni che ci portano ad approfondire la riflessione attorno al tema della tecnopolitica, termine che indica la centralità dell’uso militante della rete informatica nell’agire politico.

Negli eventi di cui abbiamo parlato, il web, oltre a veicolare un’informazione anti-sistemica, ha direttamente lanciato le grandi manifestazioni di massa: gli slogan, gli appuntamenti, gli obbiettivi da occupare o attaccare, sono passati per i principali social network ed hanno dettato i tempi delle mobilitazioni, con un uso della transmedialità e delle parole d’ordine che ha favorito l’aggregazione senza annullare le differenze tra diverse soggettività. Nel diffondersi del lavoro immateriale e precario, la difficoltà di trovare spazi e tempi comuni alle diverse figure della produzione ha da sempre costituito un grande limite, le insorgenze contemporanee dimostrano che la rete informatica può essere utilizzata per superare questo limite. Partendo dalla condivisione di un ambiente virtuale si può innescare l’incontro e l’organizzazione di corpi. Osserviamo in più che la deriva cyber-utopista sembra superata, i momenti di condivisione fisica degli spazi divengono snodo determinante, la pratica dell’incontro non lascia mai il passo ad uno sterile orizzontalismo virtuale. Anche grazie ad una maggior coscienza del web, l’uso che ne viene fatto è sempre più funzionale agli obbiettivi e non subalterno alla retorica imposta dai padroni del web 2.0.

Dentro una fase di riassestamento dell’azione capitalista, caratterizzata dall’impoverimento di tutte le figure del lavoro immateriale, si giocherà attorno al mezzo informatico un importante momento ricompositivo. Fuori da ogni idealizzazione di internet, il suo uso militante e sperimentale è una scommessa già in atto, da raccogliere ed interrogare continuamente. Può la rete informatica, potente luogo di produzione, innescare conflitti duraturi in grado di ribaltare il tavolo della crisi?

N.B. articolo ripreso dal sito Quattrocentoquattro Filenotfound qui

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1. Qui: http://www.dinamopress.it/news/tecnopolitica-%E2%80%93-parte-i e qui: http://www.dinamopress.it/inchieste/tecnopolitica-parte-ii-una-moltitudine-connessa i due interessanti interventi del gruppo di studio DatAnalysis15M in cui si introduce il concetto di tecnopolitica.
2. L’Italia è il terzo paese europeo a connettersi ad internet, lo fa nell’86 un gruppo di ricerca del CNR all’Università di Pisa con fondi della difesa americana: http://firenze.repubblica.it/cronaca/2011/04/30/news/25_anni_di_internet_ricordo_quel_primo_click-15550074/?ref=HREC2-6.
3. Microsoft vince la cosiddetta “prima guerra dei browser” contro Netscape sfruttando largamente la diffusione del suo sistema operativo. Nel 1997 l’azienda è condannata perché Internet Explorer si trovava già installato nella versione base di Windows 95 mentre vari distributori avevano ottenuto sconti sulle licenze non preistallando Netscape.
4. Notiamo a margine di questo paragrafo che Indymedia diventa anticipatrice, nella sua fase finale, di dinamiche web particolarmente deleterie, come il diffondersi di notizie false (proprio su questo network vediamo i primi casi di diffuso complottismo) al “battibecco” sterile nei commenti di un articolo. Senza la forza dei corpi reali il web continua a connettere soltanto individualità virtuali rancorose ed impotenti.
5. Vedi anche: http://www.tiki-toki.com/timeline/entry/28392/Breve-storia-di-Internet/#vars!date=2009-07-19_01:30:12!
6. Gli indici numerici finanziari attraverso i quali viene fatta questa valutazione sono moltissimi. Numero di utenti, numero di utenti abituali, numero di click sulla pubblicità, indice di “riuscita” della pubblicità, numero di interazioni tra utenti differenti… Sebbene il semplice dato numerico non racchiuda mai la ragione del successo o del fallimento delle aziende informatiche, la storia e gli sviluppi di questi indici sono una materia molto interessante per comprendere le retoriche affermatesi “dall’alto” sulla rete informatica.
7. Sul tema del Cyber-utopismo una riflessione importante è quella di Daniele Florian http://www.lavoroculturale.org/l-uomo-la-rete-e-la-minaccia-cyber-utopista-seconda-parte/
8. Sul tema della narrazione contemporanea e della narrazione in rete è molto interessante la lettura dell’ebook #costruirestorie scaricabile qui. In particolare la seconda parte affronta il tema della scrittura collettiva con particolare attenzione all’utilizzo narrativo dei social network, da Twitter a Storify. L’ebook è stato pubblicato da questo stesso blog: nato tra le pieghe del movimento studentesco, “404: file not found” è un interessantissimo esempio di comunità che vive a cavallo della rete informatica. L’incontro ed i dibattiti con buona parte della francofila redazione di quattrocentoquattro sono stati importanti per le riflessioni buttate giù in queste righe.
9. Particolarmente importante, sul piano dell’impatto mediatico, è stato il “caso MEGAUPLOAD” : il sito di uploading, downloading e streaming, Megaupload, venne chiuso dall’FBI il 19 gennaio 2012 sotto pressione di case discografiche e reti televisive. A seguito della sua chiusura una vasta campagna sviluppatasi sul web ne chiese la riapertura, per la prima volta l’opinione pubblica globale si esprimeva con forza contro la logica del diritto d’autore, per una disponibilità d’accesso generalizzata.
10. Una rete mesh è, in grosso, una rete diffusa, cioè che non ha bisogno di server bensì funziona tramite la memorizzazione, da parte dei nodi stessi, della struttura reticolare. In Italia il progetto principale di rete mesh è quello sviluppato dal progetto Ninux. Per un’introduzione alle reti mesh rimandiamo all’articolo scritto dal laboratorio di autoproduzione ed autoformazione Eigenlab.
11. Non sarebbe certo una novità assoluta, il web è già stato testimone di una “bolla” anche se in una fase differente da questa. La “bolla delle dot com” tra 2000 e 2001.

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