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effimera

Impegnare i debitori al giusto pagamento

di Stefano Lucarelli

Prefazione al libro di Marco Fama, Il governo della povertà ai tempi della (micro)finanza, (Ombre Corte) 

povertàIo non consiglio pertanto la Vostra Grazia di
proteggere il popolo che si rifiuta di pagare
gli interessi o di impedirgli di pagarli, perché non
si tratta di un onere che un principe nel suo diritto
fa pesare sul popolo, ma di un tormento ch’esso si
è preso volontariamente. Dobbiamo quindi tollerare
tutto ciò e impegnare i debitori al giusto pagamento
e non permetter loro di essere indulgenticon sé stessi
o di cercare un rimedio a loro vantaggio, ma porli
sullo stesso piano degli altri uomini. (
Martin Lutero,
risposta a Federico di Sassonia, 18 Giugno 1524)[1].

Spesso la legittimazione dei poteri, e del conseguente sfruttamento, trae linfa dalla confusione. Leopardi annota che “il dare al mondo distrazioni vive, occupazioni grandi, movimento, vita; il rinnuovare le illusioni perdute ec. ec. è opera solo de’ potenti.”[2]

Le “distrazioni vive” come le “illusioni perdute” sono atti politici che si rinnovano soprattutto nel governo della povertà.

Il crinale su cui si collocano i potenti non è semplice da raggiungere, né da difendere. Dal governo della povertà – e in certo qual modo dall’invenzione della povertà – dipende la stabilità dei potenti. Seguendo la lezione foucaultiana[3], per sancire una netta distinzione fra potenza e impotenza sul piano politico e sociale, quanto meno a partire dalla Modernità è necessario pervenire ad una definizione precisa della ricchezza e della sua distribuzione. In questa operazione politica si perviene al contempo alla definizione dei diritti e dei doveri riferibili a due figure sociali: i creditori e i debitori. Al debitore si possono dare per l’appunto “distrazioni vive” e “illusioni perdute”, ma soprattutto “occupazioni grandi” e responsabilità precise. Una diversa relazione fra creditore e debitore potrebbe essere immaginata e costruita – per inciso è questo il tentativo riscontrabile negli scritti di John Maynard Keynes a partire da una particolare rilettura della storia monetaria antica e dei precetti della Scolastica[4] – tuttavia presupporrebbe un’altra concezione del potere, e dei potenti, ben diversa dalla logica dominante. Una logica che trova conferma nelle parole con cui Lutero risponde al giovane Giovanni Federico di Sassonia, animato più dal senso pratico necessario a smarcarsi dalle masse dei contadini in rivolta capeggiati da Carlostadio e da Thomas Müntzer, che dal desiderio di giustizia riscontrabile nei suoi scritti contro la curia romana. Il principe chiedeva al riformatore se i giovani fossero obbligati ad osservare la legge mosaica e se egli potesse governare permettendo il prestito ad usura? Lutero coglie l’occasione per attaccare le teorie sociali dei seguaci del mosaismo, dipingendo di fatto i contadini in rivolta come poveri bisognosi di regole in grado di suscitare in cuor loro un atteggiamento rispettoso nei confronti dei creditori.

* * * * *

Mi pare che il lavoro di Marco Fama si svolga proprio su questo crinale, difficile da mettere a fuoco, arduo da raggiungere e pericoloso da percorrere: c’è un nuova razionalità di governo che definisce, riconosce e seleziona i poveri, per poi suscitare in loro nuove responsabilità; se si va ad osservare questa pratica politica nei luoghi in cui essa viene codificata (quei luoghi come l’India e il Nicaragua che Fama descrive nel dettaglio in altri scritti cui rimanda il lettore[5]) emerge un insieme di relazioni sociali che si vanno ridefinendo in modo doloroso sotto l’incentivo delle forme di responsabilizzazione sperimentate da alcuni poveri;  in altre parole si assiste ad una vera e propria torsione dell’etica economica, cioè dei limiti che definiscono le condizione dell’abitare umano in un luogo. La tesi di Fama è che la (micro)finanza sia il dispositivo principale che attiva questa trasformazione delle forme, degli ambiti e delle soggettività nei luoghi più marginali dell’economia mondo, in particolare nei luoghi interessati dai progetti di cooperazione allo sviluppo.

Va innanzitutto sottolineato che la cooperazione internazionale è divenuta principalmente una modalità di declinazione di piani finanziari personalizzati.

Cosa significa personalizzare un piano finanziario? Vuol dire sottoporre un individuo a nuovi codici comportamentali che potenzialmente possono produrre delle fratture relazionali, un indebolimento del patto sociale che caratterizza una specifica modalità della convivenza, per pervenire a nuovi criteri di giudizio che lo stesso individuo interiorizza, fino a snaturare sé stesso, ma anche fino a trasformare la sua quotidianità.

Immaginiamo – a titolo estremamente esemplificativo – di trovarci in un contesto rurale in cui le relazioni produttive si fondano sulla libera messa in comune del proprio tempo di lavoro per lavorare le terre che appartengono a famiglie diverse; quelle stesse famiglie dalle quali provengono le braccia che lavorano la terra. Il lavoro segue i cicli delle stagioni, la differenziazione delle colture segue le esigenze di questa collettività di individui. La necessità di prendere a prestito delle risorse disponibili per alcune famiglie e non per altre è regolata da consuetudini volte a garantire che non vengano ad emergere rapporti di forza eccessivi che impattino troppo negativamente sulla distribuzione dei frutti della terra.

In questo contesto, senz’altro tecnologicamente arretrato, appare la possibilità di ricorrere alla microfinanza, cioè ad un complesso di servizi finanziari che vengono offerti da un’istituzione sovranazionale[6] a coloro che rispondono alle seguenti due condizioni[7]:

  1. devono essere soggetti poveri, in relazione a criteri di valutazione propri della specifica realtà considerata;
  2. devono esprimere un bisogno cui si può far fronte attraverso operazioni d’importo micro, di nuovo in termini relativi rispetto ad una valutazione fatta sullo specifico soggetto che fa richiesta dello strumento finanziario.

Ipotizziamo che l’istituzione in questione operi attraverso la metodologia del credito individuale, a fronte di una garanzia pari a 1,6 volte il credito concesso, con un tasso di interesse agevolato e un tempo di erogazione del prestito che non possa superare i 24 mesi[8].

Ipotizziamo poi che emerga in qualche modo una rappresentazione della ricchezza che condiziona la comunità rurale oggetto del nostro esempio, inducendo alcuni dei suoi membri a riconoscersi poveri in termini relativi ed in modo funzionale all’accesso al programma di microcredito.

Ipotizziamo anche che l’offerta di microcredito sia funzionale a facilitare le famiglie a finanziare la ricostruzione o il miglioramento della casa in cui vivono, oppure a sostenere l’investimento in macchine agricole importanti per il lavoro rurale.

Già questa situazione sosterrà una dinamica socio-economica ed istituzionale inedita e interessante: le relazioni umane fondate sul ritmo delle stagioni e su forme di collaborazione fra le diverse famiglie, tenderanno a trasformarsi. Le trasformazioni potranno inoltre essere ben diverse a seconda che prevalga la scelta di migliorare le proprie abitazioni oppure la scelta di costruire le condizioni per una piccola rivoluzione tecnologica rappresentata dall’acquisto di una macchina agricola.

La prima scelta potrebbe far emergere nella comunità un elemento in grado di squilibrare le relazioni umane che la caratterizzano: perché invece di chiedere aiuto ai propri vicini per mettere a posto un’abitazione consolidando una relazione di scambio che si trasmette da tempo, quella famiglia ha chiesto un intervento esterno?

A questa domanda potrebbe far da contraltare un atteggiamento futuro da parte della famiglia che ha fatto ricorso al microcredito dinanzi ad una richiesta di aiuto da parte di un’altra famiglia: non ho il tempo di aiutarti per riparare il tetto della tua casa, devo infatti incrementare il tempo di lavoro nelle mie terre per realizzare un sovrappiù necessario a ripagare il prestito che ho contratto con l’istituzione sovranazionale. Perché invece di ricercare il mio favore non chiedi anche tu un piccolo credito?

La seconda scelta potrebbe generare dei mutamenti ancora più radicali, perché l’adozione delle macchine può portare innanzitutto con sé disoccupazione tecnologica, generando in ogni caso un’evoluzione sociale capace di caratterizzare e di differenziare le condizioni materiali di realtà sociali che iniziano a concepirsi come classi. Per meglio comprendere le conseguenze di questo processo vale la pena riportare ancora una volta l’analisi lungimirante che David Ricardo scrive nella terza edizione dei suoi Principles nel 1821, riferendosi ad un mondo rurale in cui le classi sociali sono già bene definite[9]: siamo infatti nell’Inghilterra in cui la rivoluzione agricola è ormai matura – sebbene il Parlamento inglese continuò ad emanare gli Inclosure Acts sino a tutto il 1800 – una potenza commerciale giunta ben oltre le soglie della rivoluzione industriale (il telaio meccanico mosso dal motore a vapore era nato già nel 1787)

Io mi limito a voler dimostrare che la scoperta e l’impiego delle macchine possono essere accompagnati da una diminuzione del prodotto lordo; e questo, tutte le volte che si verifica, sarà di danno alla classe lavoratrice poiché una parte dei suoi membri verrà allontanata dal lavoro e la popolazione diventerà eccessiva rispetto ai fondi che devono darle impiego. … Se queste opinioni sono esatte ne consegue:

  • che l’invenzione e l’utile applicazione delle macchine porta sempre all’aumento del prodotto netto del paese, sebbene dopo un trascurabile periodo di tempo possa non aumentare, e non aumenti, il valore di quel prodotto netto;
  • che un aumento del prodotto netto di un paese è compatibile con una diminuzione del prodotto lordo, e che i moventi che spingono a impiegare le macchine sono sempre sufficienti ad assicurarne l’impiego, se esso aumenterà il prodotto netto, sebbene possa, e spesso debba, diminuire sia la quantità del prodotto lordo che il suo valore;
  • che l’opinione nutrita dalla classe lavoratrice, secondo cui l’impiego delle macchine è spesso dannoso ai suoi interessi, non è fondata sul pregiudizio e sull’errore, ma è conforme ai corretti principi dell’economia politica;
  • che se i mezzi di produzione, perfezionati grazie all’impiego delle macchine, dovessero aumentare il prodotto netto di un paese in misura così grande da non diminuire il prodotto lordo (…) allora la situazione di tutte le classi verrà migliorata. Il proprietario terriero e il capitalista beneficeranno non di un aumento della rendita o del profitto, ma dei vantaggi derivanti dalla possibilità di poter spendere la stessa rendita o lo stesso profitto nell’acquisto di merci il cui valore si è notevolmente ridotto; mentre la situazione delle classi lavoratrici sarà anch’essa considerevolmente migliore; primo, in seguito all’accresciuta domanda di domestici; secondo, in seguito all’incentivo a risparmiare sul reddito fornito da un così abbondante prodotto netto; terzo, in seguito al basso prezzo di tutti gli articoli di consumo in cui verranno spesi i loro salari.

Circa il quarto punto Ricardo aggiunge che “la classe lavoratrice ha un interesse non piccolo al modo in cui viene speso il reddito netto del paese, sebbene in ogni caso esso debba essere speso per i godimenti e la soddisfazione di coloro che ne hanno diritto”.

Fatto sta che la nostra comunità rurale si trova alle prese con un’evoluzione sociale in cui ciò che è in ballo non pare risolversi nella emersione da una situazione di povertà. Il germe del credito (persino nella sua veste micro) è in grado di finanziare un processo di trasformazione che va ben oltre i desideri di riscatto di un singolo individuo.

Proseguiamo però la nostra rappresentazione del fenomeno andando ad introdurre un’ulteriore ipotesi – anch’essa riscontrabile spesso nella realtà. Ipotizziamo che i requisiti per ottenere il credito comportino delle agevolazioni laddove i richiedenti siano giovani in una fascia d’età fra i 21 e i 30, che abbiano altresì una garanzia da parte dei propri parenti più in là con l’età. Ecco allora che altre dinamiche sociali possono mettersi in moto destinate a segnare una formalizzazione del patto fra generazioni in un contesto in cui, sebbene in modo informale, un patto intergenerazionale di diversa natura preesiste.

Lo spettro dell’autoimprenditorialità tende così a diffondersi, come anche il nesso tipico di una cultura capitalistica che vede nell’indebitamento l’unico mezzo attraverso il quale entrare nel mondo produttivo. Ogni forma di condivisione collettiva del rischio tende pertanto a scomparire e al suo posto appaiono i volti di coloro che – a titolo individuale – cominciano a fare i conti con la propria produttività, necessaria a ripagare il proprio debito, per poi aprirne un altro; volti di uomini che sostituiscono al sorriso di chi sta lavorando insieme le proprie terre, il ghigno di soddisfazione di chi compete con i proprio vicino, accentuando le sproporzioni di un sistema di produzione in cui la massima aspirazione diviene la creazione di un rapporto formale che al più possa mettere al lavoro qualcun altro sotto le proprie dipendenze.

* * * * *

Non vorremo che le considerazioni svolte siano intese come un’ingenua esaltazione acritica di forme sociali arcaiche (tuttavia occorrerebbe sempre chiedersi: arcaiche rispetto a cosa?), né tanto meno si vuole ridar vesti nuove al mito del “buon selvaggio”.

Lo schema di ragionamento appena esposto va inteso come un esercizio valido soprattutto sul piano logico, finalizzato soprattutto a ridestare un atteggiamento intelligentemente critico in chi aspira a lavorare nel mondo della cooperazione internazionale. Infatti nelle nostre università è alto il rischio di formare operatori sociali che svolgano il compito di operatori finanziari volti a promuovere di fatto un’educazione a una cultura del debito costruita sul principio della liquidità[10].

Chi vorrà complicare lo schema appena proposto con elementi storici e istituzionali più aderenti alla realtà del fenomeno, potrà trovare nel libro di Marco Fama uno strumento prezioso: Fama ha ben chiaro che le società meno contaminate dalle logiche competitive del mercato sono attraversate da conflitti per l’accesso alle risorse, e che anche in esse possono emergere delle strutture di potere basate sulla sopraffazione di alcuni esseri umani su altri essere umani può giocare un ruolo determinare. Ha soprattutto chiaro che i contesti in cui è solita operare la cooperazione internazionale sono spesso, già pienamente inglobati, ancorché in una posizione subalterna, nei meccanismi del capitalismo globale. Ciò significa che le possibilità di sussistenza delle persone sono state già ampiamente logorate, prima, dai grandi piani di espansione industriale del passato (e dalle logiche del capitalismo estrattivo), e poi dalle politiche di austerità neoliberali – come i piani di aggiustamento strutturale –  oltre che dai nuovi processi di spoliazione – come il grabbing[11]. È da questa consapevolezza che traspare il carattere estremamente potente ed innovativo della microfinanza.


NOTE
[1] Citato in B. Nelson, Usura e cristianesimo. Per una storia della genesi dell’etica moderna, Sansoni, 1967, pp. 82-83.
[2] G. Leopardi, Zibaldone, Newton, 1997, p. 77.
[3] Si veda in particolare il capitolo VI di M. Foucault, Le parole e le cose, BUR, 1998 [1966].
[4]  Si vedano a tal riguardo L. Fantacci, “Introduzione” a J.M. Keynes, Moneta Internazionale, Il Saggiatore, 2016 e M. Amato, “Nummus non parit nummos” in M. Amato, L’enigma della moneta, Orthotes, 2a edizione, 2016.
[5] Si veda soprattutto M. Fama, Povertà, governamentalità e produzione sociale nell’ambiente rurale nicaraguense, in “Sociologia del Lavoro”, 138, 2015.
[6] Più precisamente da reti ed istituzioni sovranazionali. Possono anche esserci dei casi in cui questa funzione è svolta direttamente da ONG, o associazioni, o ancora da banche di piccole dimensioni. Tuttavia ci troviamo comunque dinanzi a delle articolazioni di un unico e coerente progetto di governance in cui è centrale un preciso schema finanziario: in ultima istanza si tratta di valorizzare dei capitali messi a disposizione dai grandi circuiti della cooperazione internazionale.
[7] Si veda A. Niccoli e A. Presbitero, Microcredito e macrosperanze. Opportunità, limiti e responsabilità, EGEA, 2010.
[9] D. Ricardo, Sui principi dell’economia e della tassazione, ISEDI, Istituto Editoriale Internazionale, 1976, pp. 294-303.
[10] Come scrive André Orléan, «il mondo della liquidità è un mondo artificiale, regolato dalle convenzioni. Esso istituisce una temporalità e delle forme di valutazione che rompono con i tempi produttivi e i vincoli della gestione delle imprese. […] Il capitale ha una natura contraddittoria. Esso è l’articolazione di due logiche specifiche, l’impresa e la speculazione. Per noi, la forma “mercato finanziario” non è allora una forma neutra. La liquidità esprime la volontà di autonomia e di dominio della finanza». Ecco ciò che è il principio della liquidità a questo stadio del capitalismo: un principio che ha guidato una struttura istituzionale in cui diviene centrale la compravendita dei debiti e dei crediti, dei privati e, poi, di conseguenza, degli Stati. Cfr. A. Orléan,, Le pouvoir de la finance, Odile Jacob, 1999, p. 12, citato nella introduzione mia e di Andrea Fumagalli ad André Orléan, Dall’euforia al panico. Pensare la crisi finanziaria e altri saggi, ombre corte, 2010, p. 12.  Si vedano anche M. Amato e L. Fantacci, Fine della finanza, Donzelli, 2009 e C. Buscema e S. Lucarelli, “Fiat bit, fiat money. LA crisi tra finanziarizzazione della società e digitalizzazione del mondo”, in M. C. Agodi, G. Boccia Artieri, Giovanni e D. Borrelli (a cura di), Sociologia Italiana. Quaderni Emergenze dal presente. Prospettive di futuro. Forum AIS giovani, 2012, Egea, pp.35-48.
[11] T. Søreide, ‎A. Williams (eds.), Corruption, Grabbing and Development: Real World Challenges, Edward Elgar, 2013. La value chain agriculture, il microcredito e tanti altri programmi supportati dalla cooperazione, parimenti incentrati sul credito, agiscono proprio in questi contesti già fortemente destrutturati dalle logiche del capitale e dalla diffusione di processi di proletarizzazione, dal bracciantato, dalle migrazioni ecc.
[12] Federico Chicchi, Emanuele Leonardi e Stefano Lucarelli, Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale, ombre corte, Verona 2016

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