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trad.marxiste

‘Tutto il potere ai Soviet!’, parte quinta

‘Una questione fondamentale’: le glosse di Lenin alle Tesi di aprile

di Lars T. Lih

Si veda anche, in calce a questo stesso post, l’appendice ‘Lenin respinge un travisamento delle Tesi di aprile’

lenin aNell’aprile del 1917 Lenin sfornava articoli per la Pravda con una cadenza sbalorditiva. Uno di questi articoli, “Una questione fondamentale”, venne scritto il 20 aprile e pubblicato il giorno seguente. Un testo che successivamente avrebbe trovato il proprio posto nelle Opere complete di Lenin, dov’è oggi facilmente reperibile. Non si tratta in alcun modo di un documento misconosciuto o da riportare alla luce – e tuttavia, nel contesto di un nuovo sguardo agli eventi della primavera 1917, “Una questione fondamentale” appare come un documento notevole e rivelatore. Pertanto, l’ho ritradotto di recente e ho provveduto a fornirne un commento.

Ufficialmente, questo articolo costituiva una controreplica a una critica delle Tesi di aprile, ad opera di Georgy Plekhanov, pubblicata il 20 aprile (una traduzione dell’articolo di Plekhanov si può trovare in appendice). In realtà, Lenin era meno interessato a confutare Plekhanov che a rassicurare i praktiki bolscevichi (gli attivisti di medio livello che compivano il lavoro pratico del partito). Sergei Bagdatev era appunto un praktik bolscevico, nonché un ardente sostenitore del potere al soviet; nella parte quarta di questa serie di post, abbiamo visto come egli esprimesse il timore che alcuni aspetti delle Tesi di Lenin potessero ostacolare la via all’instaurazione del potere del soviet. La sua preoccupazione di fondo riguardava le basi di classe della rivoluzione in corso: Lenin stava davvero affermando che non erano necessari i contadini come alleati, come sottinteso dalle Tesi di aprile e da svariati altri commenti? In “Una questione fondamentale”, Lenin rispondeva con enfasi a tale preoccupazione: no, non era ciò che intendeva, non lo era nel modo più assoluto.

 

Plekhanov sui ‘deliri’ di Lenin

Negli anni Ottanta dell’Ottocento, Plekhanov fu un pioniere nella divulgazione del messaggio di Marx, nonché nella sua applicazione alle condizioni della Russia, guadagnandosi in tal modo l’appellativo di “padre del marxismo russo”. Da allora, giocò sempre un ruolo significativo nella socialdemocrazia russa, sebbene spesso ben lontano dall’essere costruttivo.

Durante la guerra, divenne un ardente difensista con una pronunciata inclinazione anti-tedesca. Dopo la Rivoluzione di febbraio, fece ritorno in Russia solo pochi giorni prima di Lenin, fondando prontamente un giornale – Edinstvo, ovvero Unità – il quale si posizionava all’estrema destra dello spettro socialista.

Al suo ritorno in Russia, Lenin ebbe modo di leggere le proprie Tesi a un incontro di attivisti socialdemocratici; pochi giorni dopo, il 7 aprile, venivano pubblicate sulla Pravda. In questo articolo, dopo aver presentato le Tesi, Lenin si scagliava contro Plekhanov per aver descritto il suo discorso, pronunciato all’arrivo in Russia, come “delirante”. In risposta, Plekhanov puntualizzava che non lui, bensì un corrispondente di Edinstvo aveva assistito al discorso – e ciò nonostante, nel momento in cui aveva letto le Tesi, egli stesso era perfettamente disposto ad avvallare una simile caratterizzazione. Un pazzo delirante non ha senso del tempo e dello spazio; analogamente, il programma di Lenin non aveva alcun legame con la Russia del 1917, ma solo con un astratto e immaginifico mondo in cui il socialismo era già oggettivamente possibile. Plekhanov, dunque, si impegnava in un’ampia confutazione delle Tesi [1].

L’analisi di Plekhanov si concentra quasi esclusivamente sulla prima Tesi, ovvero quella in cui si rigetta il “difensismo rivoluzionario”. Gran parte della sua critica si basa chiaramente su un travisamento – sebbene, a essere onesti, la lettura di Plekhanov potrebbe sufficientemente corrispondere alle parole di Lenin, laddove non si fosse a conoscenza del suo punto di vista più generale. Egli sosteneva che Lenin attribuiva ogni colpa per la guerra in corso all’imperialismo russo e, in ragione di ciò, ritraeva la Germania come vittima innocente. Secondo Lenin (affermava Plekhanov) ci si sarebbe dovuti umilmente scusare con la Germania.

Nella stessa Tesi di apertura, Lenin chiedeva una “rottura completa ed effettiva con tutti gli interessi del capitale”. Plekhanov chiamava in causa queste parole al fine di dimostrare che Lenin doveva avere in mente il socialismo pienamente realizzato, poiché negava che i capitalisti avessero un qualsiasi interesse legittimo. Inoltre citava la Tesi 8: “Il nostro compito immediato non è l’«instaurazione» del socialismo, ma, per ora, soltanto il passaggio al controllo [kontrol] della produzione sociale e della ripartizione dei prodotti da parte dei soviet dei deputati operai” [2]. Questa Tesi, affermava Plekhanov, rappresentava il contentino di Lenin alla propria coscienza marxista, specialmente in considerazione del fatto che il kontrol della produzione e della distribuzione, da parte dello stato, era perfettamente compatibile con il capitalismo, come la guerra in corso dimostrava.

A questo punto, Plekhanov si avviava a dare il colpo di grazia: se il rigetto da parte di Lenin di ogni interesse del capitale aveva senso solo nel socialismo pienamente realizzato, e se le condizioni oggettive per il socialismo non erano in quel momento presenti, allora il leader bolscevico non era altro che un anarchico che respingeva i principi basilari del marxismo – quegli stessi principi basilari che in precedenza, quando era ancora marxista, aveva difeso energicamente. Allo scopo di illustrare il suo punto circa l’anarchismo, Plekhanov risaliva indietro al 1889, ovvero al primo congresso dell’Internazionale. Durante quest’ultimo, gli anarchici avevano fatto appello a un’immediata rivoluzione socialista, liquidando i marxisti come “opportunisti” che si accontentavano di misere riforme come la giornata lavorativa di otto ore. Ma i marxisti, in quell’occasione, rigettarono l’utopismo profondamente irrealistico degli anarchici – esattamente come gli operai avrebbero dovuto, al giorno d’oggi, rigettare Lenin.

A questo punto, Plekhanov compiva una mossa cruciale ai fini della sua argomentazione: se le condizioni oggettive per il socialismo non erano presenti, allora non esisteva giustificazione logica per una “presa” del vlast politico da parte di operai e contadini poveri:

La politica socialista, basata sugli insegnamenti di Marx, ha ovviamente la propria logica. Se il capitalismo non ha ancora raggiunto in nessun dato paese il suo punto più alto – quello in cui diviene ostacolo per l’ulteriore sviluppo delle forze produttive – allora è assurdo chiamare gli operai, sia urbani che rurali, e la componente più povera dei contadini, a rovesciarlo. Se è assurdo chiamare gli elementi appena citati a rovesciare il capitalismo, allora non è meno assurdo chiamarli alla presa del vlast politico.

A sostegno di tali conclusioni, Plekhanov faceva appello a Engels: non vi è tragedia più grande per una classe del prendere il potere anzitempo. Plekhanov sembrava quasi dire che la maggioranza della popolazione non avrebbe dovuto avere sovranità, almeno sinché le condizioni oggettive per il socialismo non fossero state mature.

Una settimana dopo la comparsa di questo articolo, Plekhanov ne riprendeva la sostanza in un altro breve testo intitolato “Agli studenti”. Essendo quest’ultimo articolo la fonte ufficiale d’ispirazione di “Una questione fondamentale”, ne fornisco una traduzione in appendice a questo post. Come in precedenza, Plekhnaov condanna “coloro che incitano la massa lavoratrice russa a conquistare il vlast politico: il che potrebbe avere un senso solo se esistessero le condizioni oggettive necessarie alla rivoluzione sociale”. In tale formulazione, PLekhanov ricorreva a un termine che faceva riferimento chiaramente a una maggioranza della popolazione: “i lavoratori” o la “massa lavoratrice” (trudiashchiesia). Questo termine un po’ goffo aveva un significato ben definito nel discorso socialdemocratico russo, riferendosi a chiunque vivesse del proprio lavoro fisico, dunque operai, contadini e “piccola borghesia” urbana. Quindi era essenzialmente un sinonimo di narod, popolo.

Prima di proseguire, è possibile trarre alcuni insegnamenti anche da un solo sguardo alla critica di Plekhanov. Innanzitutto, la sua istantanea condanna delle Tesi di aprile poggiava, almeno in parte, su un evidente travisamento, poiché Lenin ovviamente non riteneva la Russia la sola responsabile della guerra. Ma quando leggiamo nei resoconti secondari che Plekhanov e altri rigettavano le Tesi come deliri di un folle, il presupposto pare essere che questi critici rispondevano alla reale argomentazione di Lenin, da loro immediatamente e accuratamente compresa.

Secondo, PLekhanov passava assai rapidamente dalle pompose affermazioni circa “le condizioni oggettive del socialismo” alle conclusioni politiche da lui auspicate, ossia il “sostegno in solidarietà” all’allora in carica governo provvisorio. Ma, ovviamente, vi era una miriade di motivazioni per rovesciare il governo presieduto dal principe Lvov, motivazioni che niente avevano a che fare col “rovesciare il capitalismo”. Ben prima delle Tesi di aprile di Lenin, la Pravda asseriva che il Governo provvisorio non era in grado di soddisfare i bisogni essenziali di operai e contadini, e dunque “la completa soddisfazioni delle loro necessità essenziali è possibile solo laddove abbiano il pieno ed intero vlast [vsia polnota vlasti] nelle proprie mani” (editoriale del 14 marzo redatto da kamenev).

Terzo, non è forse corretto affermare che l’interpretazione di Plekhanov è anche quella oggi prevalente? Secondo Plekhanov, Lenin faceva appello ad una presa del potere da parte della “massa lavoratrice”, la quale trovava giustificazione solo nel caso di rivoluzione socialista. Quindi aveva l’esigenza di denigrare l’originaria dottrina bolscevica sostituendola con un “anarchismo” anti-marxista. Nella versione della narrazione del riarmo fornita da Plekhanov, ovviamente, il riarmo del partito da parte di Lenin veniva presentato come profondamente deplorevole.

Plekhanov confutava Lenin sulla base del seguente sillogismo:

  • Premessa maggiore: la conquista del poter politico da parte della massa lavoratrice è giustificabile solo se sono presenti le condizioni per il socialismo.
  • Premessa minore: le condizioni oggettive per il socialismo non sono presenti nella Russia del 1917.
  • Conclusione: l’appello di Lenin alla presa del potere politico da parte della massa lavoratrice non è giustificabile, ma è semmai “un malsano ed estremamente dannoso tentativo di seminare confusione e divisione anarchiche in terra russa”.

Poniamoci ora il seguente interrogativo: come avrebbe reagito Lenin a tale argomentazione? Tutta una serie di possibilità gli si presentava. Poteva respingere le asserzioni di Plekhanov circa l’assenza delle condizioni oggettive per il socialismo nella Russia del 1917. Oppure, poteva negare che il socialismo doveva attendere sino al manifestarsi delle condizioni oggettive. In entrambi i casi, Lenin avrebbe davvero riarmato il partito con una rivalsa. A costo di rigettare i principi basilari del cosiddetto “marxismo della Seconda internazionale” in generale, e del vecchio bolscevismo in particolare, sarebbe stato dunque in grado di proclamare il carattere socialista della rivoluzione.

In alternativa, Lenin avrebbe potuto affermare che Plekhanov aveva completamente travisato la sua argomentazione. Lenin invocava il potere al Soviet non perché dava per appurato il carattere socialista della rivoluzione, ma semplicemente perché la presa del potere da parte della massa lavoratrice era giustificata, e persino imposta, da principi democratici fondamentali. In tal caso, non vi era un rottura radicale né col vecchio bolscevismo né con la “socialdemocrazia rivoluzionaria” internazionale e, per tanto, neanche la necessità di riarmare il partito.

Considerate queste diverse possibilità, rivolgiamo la nostra attenzione a “Una questione fondamentale” e osserviamo come ebbe a procedere Lenin.

 

La confutazione da parte di Lenin

Lenin esordiva chiedendosi perché Plekhanov si concentrasse sullo scontro anarchici/marxisti del 1889, lasciando invece da parte il Manifesto di Basilea approvato unanimemente ad un congresso di emergenza della Seconda internazionale convocato nel 1912 per protestare contro la guerra. Questo Manifesto indicava il compito della rivoluzione proletaria laddove la guerra fosse scoppiata – quantomeno, tale era la lettura che ne fornivano i bolscevichi. Ho già scritto altrove circa l’importanza del Manifesto di Basilea per il bolscevismo nel periodo dal 1912 al 1917 [3]. Riguardo a ciò che ci interessa ora, notiamo come Lenin fosse ben lungi dal rigettare il “marxismo della Seconda internazionale” – semmai, egli affermava che le condizioni oggettive necessarie alla rivoluzione socialista erano presenti nell’Europa occidentale, come dimostrato da un’autorevole dichiarazione del più alto organismo della Seconda internazionale.

Lenin proseguiva affermando sostanzialmente: ovviamente non sto proponendo il socialismo in Russia nel momento attuale! i contadini russi sono piccoli proprietari; dunque non sono socialisti, costituiscono la maggioranza del paese; il socialismo non può essere applicato contro la maggioranza. Suggerire il contrario sarebbe davvero delirante. Ma (continuava Lenin) tale stato di cose ha qualcosa a che fare con la “questione fondamentale” cui si trova di fronte la Russia: chi dovrebbe avere il vlast politico? Ovviamente no! Noi bolscevichi lottiamo per la piena democrazia, e democrazia – come definita persino dagli sciagurati del Rech, il giornale del partito dei cadetti liberali e del loro leader Miliukov – significa governo della maggioranza, non è forse così?

Lenin quindi passava ad esporre la sua nuova idea di “passi verso il socialismo”. A tal fine, egli stabiliva una distinzione tra due sezioni del narod: le masse socialiste (proletari e semiproletari) e le masse non socialiste (la “massa lavoratrice” propriamente dette). La missione del proletariato socialista consistente nel fornire una guida politica all’intero narod era sempre stata il nocciolo dello scenario dell’egemonia, scenario base del vecchio bolscevismo. Tale missione era la principale motivazione cui Lenin faceva qui riferimento nell’esporre i suoi “passi verso il socialismo”: simili misure, scriveva: “rafforzerebbero l’importanza, la funzione, l’influenza sopratutto degli operai urbani, come avanguardia dei proletari e semiproletari delle città e della campagna, sull’insieme della popolazione”.

Al fine di illustrare la propria visione del rapporto tra la rivoluzione allora in corso e la trasformazione socialista, Lenin indicava tre esempi di misure che aveva in mente: la nazionalizzazione della terra, la fusione delle banche locali i un’unica banca nazionale, il passaggio del sindacato degli industriali dello zucchero allo stato. Secondo Lenin, tali misure avevano tutte le seguenti caratteristiche in comune:

  • Non si trattava, di per sé, di misure socialiste, erano bensì del tutto compatibili con il capitalismo (come affermato da Bagdatev, erano parte del programma minimo). “Ma è questa [la nazionalizzazione della terra] una rivoluzione socialista? No, questa sarebbe ancora una rivoluzione borghese”. Guardando al futuro, Lenin prefigurava la gestione di queste misure da parte di uno “Stato democratico-borghese, contadino”.
  • Non si trattava di misure folli e utopistiche proposte da un “anarchico” lontano dalla realtà. Vantavano, invece, un sostegno di lunga data tanto da parte di socialisti moderati che di non socialisti. In effetti, lo stesso governo zarista aveva posto sotto controllo statale il sindacato dello zucchero.
  • Queste misure potevano e sarebbero state sostenute dai contadini. Vale a dire, Lenin rigettava in tal modo qualsiasi travisamento implicasse che i suoi “passi verso il socialismo” significavano una rottura con i contadini.
  • Simili misure avrebbero incrementato il potenziale del proletariato socialista, nel suo ruolo di guida, tra il narod. Lenin mostrava come egli fosse ben lungi dall’abbandonare lo scenario prebellico dell’egemonia di una classe alla guida.

Lenin concludeva il suo articolo evocando il tradizionale scenario bolscevico della rivoluzione internazionale: “il passaggio effettivo della Russia al socialismo” sarebbe stato possibile dopo (e soltanto dopo) una rivoluzione socialista in Europa.

Per riassumere: al pari di molti storici odierni, Plekhanov dipingeva le tesi di aprile come una rottura radicale col marxismo come da lui e, in passato, da Lenin stesso, inteso. Lenin si sforzava di confutare questo quadro: la sua visione dei passi verso il socialismo non era radicale, ma semmai del tutto coerente con la “socialdemocrazia rivoluzionaria” internazionale, con lo scenario dell’egemonia del vecchio bolscevismo nonché con il buon senso.

 

I lettori di riferimento di Lenin: i praktiki bolscevichi

Finora, ho analizzato l’articolo di Lenin bene o male accettandone la descrizione, avallata dall’autore stesso, quale confutazione di Plekhanov. Tuttavia, nel momento in cui lo poniamo sullo sfondo delle discussioni in corso nei circoli bolscevichi durante le due conferenze di aprile (cittadina e panrussa), è facile rendersi conto come il vero obiettivo fosse quello di rassicurare i praktiki bolscevichi, oltreché placarne le perplessità riguardo alle Tesi di aprile.

Una prima e ampia analisi delle Tesi di aprile da parte di Plekhanov comparve in forma di articolo il 9 e il 12 aprile. Lenin non ritenne di dover replicare. Il 20 aprile, Plekhanov pubblicava un breve trafiletto in cui riprendeva una delle principali accuse contenute nella sua analisi precedente. Questa volta Lenin rispose con un’importante dichiarazione. Perché? la tempistica ci fornisce una risposta. La conferenza cittadina pietrogradese era allora in sessione (si svolse dal 14 al 22 aprile). A breve, era in programma l’inizio dei lavori di una conferenza panrussa del partito, per la precisione dal 24 al 29 aprile.

Intorno al 20 aprile, Lenin era stato informato da attivisti come Bagdatev circa le loro perplessità, ed era inoltre conscio che altre, simili, sarebbero probabilmente emerse da parte di altri bolscevichi durante l’imminente conferenza. Egli dunque decise (possiamo supporre) di cogliere l’opportunità, presentatasi con il trafiletto di Plekhanov, di chiarire la sua posizione e così evitare inutili confusioni. Da qualche parte, forse nel Che fare?, Lenin mostrava una preferenza per l’esporre il suo punto di vista in modalità d’attacco, per cui spesso attendeva che si presentasse il bersaglio adeguato. Prendendosela con Plekhanov, Lenin poteva evitare, al contempo, di apparire troppo aggressivo o troppo sulla difensiva nei confronti dei suoi seguaci. Il sottotesto era: Plekhanov ha ovviamente travisato il mio punto di vista – non fate lo stesso!

Questo sottotesto dà conto per quelle ampie porzioni dell’articolo di Lenin che hanno uno scarso legame diretto con quanto affermato da Plekhanov. Quando quest’ultimo parlava di condizioni necessarie, ad esempio, aveva in mente principalmente il livello di sviluppo delle forze produttive e, negli articoli in cui attaccava Lenin, non diceva niente circa i contadini. Al contrario, il testo di Lenin si occupa dei contadini più o meno dall’inizio alla fine.

Come abbiamo avuto modo di vedere nella quarta parte di questa serie, la perplessità principale degli amichevoli critici bolscevichi di Lenin riguardava la questione dell’alleato contadino. Possiamo dunque decodificare il messaggio di Lenin ai suoi compagni di partito come segue: vi preoccupate io non sia conscio che l’attuale rivoluzione, quale che sia l’etichetta scelta per identificarla, incarna il punto di vista bolscevico di lungo corso secondo il quale il proletariato guida la maggioranza contadina? Ebbene, non vi è ragione di preoccuparsi – sono del tutto conscio del fatto che la Russia è un paese contadino. Certamente non sostengo dobbiamo conquistare i contadini al “nostro punto di vista” – ovvero, aspettare sinché non diventano socialisti impegnati – prima di combattere per il potere al Soviet.

Gli attivisti, inoltre, mi riferiscono che non sono sicuri sin dove il mio entusiasmo per i “passi verso il socialismo” significhi rigetto della necessità dell’alleato contadino. Ancora una volta, non vi è motivo di preoccuparsi! Le misure che ho in mente sono destinate ad attirare i contadini – di fatto, rafforzeranno la leadership di classe, ovvero il nocciolo del nostro condiviso punto di vista bolscevico.

Riassumendo: i praktiki domandavano chiarimenti e “Una questione fondamentale” di Lenin mirava esattamente a fornirli.

 

Bukharin su “Una questione fondamentale”

Nel momento in cui scrivevo questo commento sull’articolo di Lenin, non ero a conoscenza di nessun altro autore che vi avesse prestato attenzione. A quanto pare, nel 1924 Bukharin lo citò ampiamente traendone essenzialmente le mie stesse conclusioni. Più di ogni altro importante esponente bolscevico, Bukharin si occupò di definire la meccanica ideologica di base del partito/stato bolscevico – i suoi principi costituzionali, si potrebbe dire. L’articolo in questione è uno dei suoi numerosi attacchi polemici, frequenti alla metà degli anni Venti, contro l’opposizione del partito, tuttavia possiamo agevolmente fare astrazione da ciò al fine di far emergere aspetti cruciali dell’immagine, profondamente sentita, del partito [4].

Riguardo al presente commento, e all’intera serie “tutto il potere ai Soviet!”, sono rilevanti le seguenti conclusioni: lo scenario dell’egemonia originatosi dalla rivoluzione del 1905 era una componente centrale del punto di vista bolscevico prima, durante e dopo la rivoluzione del 1917. “Una questione fondamentale” costituiva un’applicazione dello scenario dell’egemonia alle dinamiche politiche del 1917. Vi era una linea diretta tra quanto espresso in questo articolo e quelli scritti da Lenin all’inizio del 1923, in particolare “Sulla nostra rivoluzione”. Bukharin insisteva sulla continuità di prospettiva dalla rivoluzione del 1905 in poi:

Le discussioni tra noi [socialdemocratici russi prima della guerra], com’è ben noto, si sono concentrate a un livello considerevole sulla questione del blocco operaio-contadino, di un’alleanza tra la classe operaia e i contadini, nonché dell’egemonia del proletariato in tale “alleanza” o “blocco”. Ora, nell’ottavo anno della nostra rivoluzione e dittatura, vediamo chiaramente l’enormità di questo problema, del quale sono state gettate le fondamenta, con chiarezza e per la prima volta, da Vladimir Ilich [Lenin] e che, in seguito è divenuto uno dei capisaldi della struttura teoretica e pratica del bolscevismo. Solo al momento attuale tale questione emerge in tutte le sue enormi dimensioni.

Bukharin usava “guida” (rukovodstvo) come sinonimo di “egemonia”. A causa dei vincoli del culto di Lenin, egli non poteva essere esplicito circa il ruolo di Kautsky nell’elaborazione dello scenario dell’egemonia (si veda la seconda parte di questa serie), dunque enfatizzava per eccesso l’originalità di Lenin. Ciò nonostante, Bukharin evidenziava le radici delle politiche della NEP nei vecchi dibattiti della socialdemocrazia russa. La parola con cui si riferiva alla NEP era “unione”, o smychka, tra contadini e operai, ma in questo articolo legava fermamente questo termine e concetto allo scenario dell’egemonia, scenario centrale per il bolscevismo prima, durante e dopo la rivoluzione. Bukharin, inoltre, ne indicava la dimensione mondiale: la guida del proletariato europeo nei confronti dei contadini delle colonie.

Lo scenario dell’egemonia era centrale per tre distinte fasi della rivoluzione (i corsivi sono di Bukharin):

Prima della conquista del potere, la classe operaia deve avere il sostegno dei contadini nelle lotte contro i capitalisti e i grandi proprietari fondiari.

Dopo la presa del potere, il proletariato deve assicurarsi il sostegno di una parte considerevole dei contadini nella guerra civile, sino a quando la dittatura del proletariato sarò consolidata.

Dopodiché? Possiamo davvero limitarci a considerare i contadini solo come carne da cannone nella lotta contro i capitalisti e i grandi proprietari fondiari? No. Un a volta per tutte, dobbiamo comprendere l’intera logica di questo ‘no’. Dopo la sua vittoria, il proletariato deve ad ogni costo stare fianco a fianco dei contadini, poiché essi rappresentano la maggioranza della popolazione, dotata di una grande peso economico e sociale… bisogna rendersi conto che il proletariato non scelta a tal riguardo. È obbligato, nel suo costruire il socialismo, a portare con sé i contadini. Il proletariato deve apprendere a fare ciò, altrimenti non sarà in grado di mantenere il proprio dominio.

Al fine di documentare la sua argomentazione, secondo la quale lo scenario dell’egemonia era ancora operativo dopo la Rivoluzione di febbraio, Bukharin si rivolgeva, come noi, all’articolo “Una questione fondamentale”. Dopo una lunga citazione (il passo è segnato con gli asterischi nell’appendice), così commentava:

Rivolgiamo ora la nostra attenzione all’approccio di Lenin alla questione: egli si domanda costantemente: cosa stanno affermando “i contadini“? Questo non è casuale. Al contrario, rivela una grande lucidità, tipica del leader proletario [vozhd]. [I bolscevichi devono agire] in modo da non essere disgiunti dalla base contadina, così da poter fare affidamento su misure graduali miranti a spingere il muzhik al seguito della classe operaia.

Poiché Lenin non vede i contadini come un inevitabile avversario intento a spaccare tutte le nostre teste, bensì come un potenziale alleato che a volte mugugnerà, causando di tanto in tanto alla classe operaia dei tiri spiacevoli, ma che può essere potenzialmente acquisito alla causa proletaria, in modo da costituire una delle forze componenti la nostra lotta per un regime economico proletario.

Bukharin trovava la stessa logica nello scenario per il futuro abbozzato da Lenin nei suoi ultimi articoli: “Se ci atteniamo alla linea del blocco operaio-contadino, resisteremo. Basta non essere sciocchi, non commettere grossi errori, prestare la massima attenzione a tale punto, non strillare inutilmente contro il muzhik e perseguire una politica che preserverà il ruolo di guida dl proletariato”

 

Conclusioni

Il mondo sarebbe un posto migliore se l’attenzione prestata alle epigrammatiche ed enigmatiche Tesi di aprile di Lenin fosse stata rivolta alla schietta e chiara glossa contenuta in “Una questione fondamentale”. L’articolo di Lenin della metà di aprile stabiliva tre punti fermi. Primo, circa il potere del soviet – “la conquista del vlast politico da parte della massa lavoratrice” – era giustificata, e anzi imposto da principi democratici basilari. Secondo, obiettivo politico cruciale era espandere il più possibile “l”importanza, l’influenza sopratutto degli operai urbani, come avanguardia dei proletari e dei sottoproletari della città e della campagna, sull’insieme della popolazione”. Terzo, alcune misure politiche specifiche erano raccomandabili sulla base del fatto che avrebbero ottenuto il sostegno della maggioranza dei contadini, nonché incrementato il potenziale del proletariato nel suo ruolo di guida.

Abbiamo già osservato che se Lenin si fosse sentito obbligato a proclamare il carattere socialista della rivoluzione, avrebbe potuto fornire due possibili risposte a Plekhanov: o affermare che le condizioni oggettive per la rivoluzione socialista erano presenti in Russia nella primavera del 1917, oppure che la rivoluzione socialista non dipendeva da condizioni oggettive così come intese dai precedenti marxisti. Lenin non avanzò nessuno dei due argomenti – invece sostenne aggressivamente l’opposto. La maggioranza contadina della Russia dimostrava che le condizioni oggettive non erano presenti. Tale circostanza rimuoveva il socialismo dall’agenda immediata, poiché “introdurre il socialismo contro la volontà della maggioranza” sarebbe stata un’assurdità.

volgendo lo sguardo indietro, al vecchio bolscevismo, così come si conformava durante e dopo la rivoluzione del 1905, “Una questione fondamentale” giustificava la dichiarazione di Kalinin, in aprile, secondo la quale “il metodo di pensiero [delle Tesi di Lenin] rimane quello del vecchio bolscevico, uno in grado di gestire le particolarità di questa rivoluzione”. Sulla base della logica dietro lo scenario dell’egemonia proposto dal vecchio bolscevismo, il proletariato – proprio in ragione delle sue convinzioni socialiste – era chiamato a guidare il narod russo nel compiere obiettivi che non erano socialisti, ma comunque vitali per il progresso storico. La costante di tale scenario era l’idea del ruolo guida di una classe, laddove l’identificazione di obiettivi politici specifici restava aperta. Le misure politiche invocate da Lenin come passi verso il socialismo, per tanto, non costituivano una rottura rispetto alla logica dello scenario dell’egemonia; come scritto da Vladimir Nevsky, “La posizione sulla dittatura democratica del proletariato e dei contadini [nelle Tesi di aprile] costituiva lo sviluppo naturale dell’elaborazione strategica di Lenin, che aveva le proprie fondamenta nell’analisi scientifica della Russia che egli aveva sviluppato da tempo” [5].

Nel 1917, “Tutto il potere ai Soviet!” era uno slogan efficace perché il potere del soviet rappresentava lo strumento per numerosi, e diversi, obiettivi: tradizionali obiettivi rivoluzionari come la confisca delle terre dei grandi proprietari fondiari; una pace democratica; una risposta fattiva alla crisi economica nazionale; la protezione delle istituzioni rivoluzionarie da possibili attacchi; e, infine – questione sempre più prominente con l’avanzare dell’anno – la creazione di un vlast risoluto e in grado di governare adeguatamente il paese. In tutto ciò, le misure specifiche intese da Lenin quali passi verso il socialismo non divennero una parte prominente del messaggio bolscevico – esse costituivano, per così dire, la bella copia della più generale promessa di affrontare la crisi economica.

Tradizionalmente, i socialdemocratici vedevano nei contadini un ostacolo a una diretta trasformazione socialista (sebbene un valido alleato nella realizzazione del peraltro ambizioso “programma minimo), poiché i contadini “piccolo borghesi” erano ritenuti improbabili come sostenitori del socialismo. Lo scenario della “rivoluzione permanente” prefigurato da Trotsky nel 1905-07, ad esempio, si basava sul presupposto che la resistenza dei contadini avrebbe fatto cadere un regime socialista, se quest’ultimo non avesse ricevuto aiuto dall’estero. “Una questione fondamentale” di Lenin rifletteva questo convenzionale punto di vista sui contadini quali alleati circoscritti – e tuttavia, possiamo notare come segnasse un cambiamento di prospettiva cruciale. L’enfasi, ora, era posta non sulle limitazioni, bensì su quanto avanti potesse spingersi il proletariato con il sostegno dei contadini. Un simile spostamento di enfasi marcava l’inizio di alcuni sviluppi fondamentali nel punto di vista bolscevico.

Nel 1917, Lenin argomentava che i contadini potevano e avrebbero sostenuto i passi preliminari verso il socialismo, sebbene un rapido progresso nel senso di un’autentica trasformazione socialista in Russia rimenasse dipendente dall’aiuto del proletariato dell’Europa occidentale, armato del potere statale dopo la rivoluzione. Entro la fine del 1919, i bolscevichi stavano sperimentando un brusco risveglio riguardo alla rivoluzione europea: non si sarebbe verificata in un futuro prossimo. D’altro canto, sempre nel 1919 i bolscevichi iniziavano a concentrarsi su una collaborazione a lungo termine col “contadino medio” – un termine a malapena utilizzato nel 1917. La base sociale per la costruzione socialista, dunque, stava subendo un drastico dislocamento. Nel momento in cui scriveva i suoi ultimi articoli, nel 1923, Lenin prefigurava per la Russia un lento ma costante progresso verso il socialismo, persino senza l’aiuto del proletariato europeo al potere, facendo affidamento sul sostegno dei contadini russi. Quest’ultima prospettiva può essere considerata come una naturale evoluzione della scommessa del vecchio bolscevismo sull’egemonia, ovvero, sul proletariato socialista come guida del narod. “Una questione fondamentale” di Lenin, scritto in un momento cruciale della storia del bolscevismo, può aiutarci a comprendere la logica di questa evoluzione a lungo termine.


Note
  1. “Sulle Tesi di Lenin: perché i deliri possono talvolta avere un certo interesse”, pubblicato in Edinstvo, numero del 9-12 aprile, testo tratto da Plekhanov, God na Rodine (1921: Parigi, J. Povolozky), 1:19-29.
  2. Si tenga conto del fatto che Lenin, nelle Tesi di aprile, parlava di “soviet dei deputati operai” – vale a dire, le Tesi non riflettevano ancora la basilare realtà politica dei “soviet dei deputati degli operai e dei soldati” (si vedano, per ulteriori commenti in proposito, i post 3 e 4 di questa stessa serie).
  3. “‘A New Era of War and Revolution’: Lenin, Kautsky, Hegel and the Outbreak of World War I,” in Cataclysm 1914: The First World War and the Making of Modern World Politics, a cura di Alexander Anievas (Historical Materialism series) (Leida: Brill, 2014). Pp. 366-412.
  4. “The Theory of Permanent Revolution,” pubblicato in origine sulla Pravda, 28 dicembre 1924; una traduzione in inglese di questo testo è reperibile in Trotsky’s Challenge: The “Literary Discussion” of 1924 and the Fight for the Bolshevik Revolution, a cura di Frederick C. Corney (Brill, 2016), pp. 514-554. Ho modificato leggermente tale traduzione dopo aver consultato il testo originale comparso sulla Pravda.
  5. Nevsky, Storia del Partito bolscevico. Dalle origini al 1917, Pantarei, 2008, p. 464.

La prima, la seconda, la terza parte e la quarta parte di ‘Tutto il potere ai soviet!’: biografia di uno slogan; Il proletariato e il suo alleato; Lettera da lontano correzioni da vicino; Tredici a due: i bolscevichi di Pietrogrado discutono le Tesi di aprile.

Link al post originale in inglese John Riddell

 

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Lenin respinge un travisamento delle Tesi di aprile

1. Plekhanov, “Agli studenti” (pubblicato su Edinstvo, 17 aprile 1917)

All’Associazione [artel] degli studenti socialisti, in risposta all’invito a partecipare a una manifestazione in celebrazione del primo maggio.

Cari compagni! Mi è di grande rammarico che la mia cagionevole salute – spero solo in via temporanea – mi impedisca di esprimervi il mio supporto di persona. Ma a tal riguardo non si può fare niente e dunque sono costretto a rivolgermi a voi in forma scritta. L’adesione di quante più persone possibile con istruzione superiore è di enorme importanza per il movimento di liberazione del proletariato internazionale. L’istruzione ci aiuta a indagare i fenomeni e a valutarli storicamente. Poiché sto parlando a persone impegnate al miglioramento della propria istruzione, mi permetto di portare alla vostra attenzione la seguente, e rimarchevole, circostanza.

La decisione di celebrare il primo maggio venne presa dal congresso socialista internazionale nel 1889. A tale congresso vi erano rappresentanti da numerosi paesi capitalisti che, allora, si trovavano a un livello di sviluppo economico più alto di quello oggi raggiunto dalla Russia. Gli anarchici proposero al congresso di incitare il proletariato alla rivoluzione sociale. Il congresso, nel quale i marxisti avevano la maggioranza, invitava il proletariato a impegnarsi per la giornata lavorativa di otto ore. Esso capiva che la rivoluzione sociale o, più esattamente, socialista presuppone un lungo lavoro di educazione e organizzazione in seno alla classe operaia.

Di questo non tengono conto oggi da noi coloro che incitano la massa lavoratrice russa a conquistare il vlast politico: il che potrebbe avere un senso solo se esistessero le condizioni oggettive necessarie alla rivoluzione sociale. Ma per il momento queste condizioni non esistono, ed è vostro dovere, avendo voi familiarità col metodo scientifico, portare tutto ciò il più spesso possibile all’attenzione di coloro che necessitano di saperlo. Il compito dei partiti della sinistra in Russia consiste nel sistematico rafforzamento delle posizioni ottenute dalla rivoluzione che ha appena avuto luogo. Al fine di raggiungere questi obiettivi, non dovrebbero rovesciare il Governo provvisorio – come vorrebbero alcuni fanatici politici – ma esprimere solidarietà in suo sostegno.

 

2. La replica di Lenin (dalla Pravda del 21 aprile 1917) [1]

Una questione fondamentale

(Come ragionano i socialisti passati alla borghesia)

Il signor Plekhanov fornisce una spiegazione eccellente. Nella sua lettera «del primo maggio» al «gruppo di lavoro degli studenti socialisti», pubblicata oggi dalla Rech [cadetto/liberale] , dal Delo Naroda [SR] e dall’ Edinstvo [il giornale di Plekhanov], egli scrive:

«Esso [il congresso internazionale socialista del 1889] capiva che la rivoluzione sociale o, più esattamente, socialista presuppone un lungo lavoro di educazione e organizzazione in seno alla classe operaia. Di questo non tengono conto oggi da noi coloro che incitano la massa lavoratrice russa a conquistare il potere politico: il che potrebbe avere un senso solo se esistessero le condizioni oggettive necessarie alla rivoluzione sociale. Ma per il momento queste condizioni non esistono …».

E cosi di seguito fino all’appello ad «esprimere solidarietà in sostegno» al governo provvisorio.

Questo ragionamento del signor Plekhanov è il ragionamento più tipico di un pugno di «ex uomini» che si dicono socialdemocratici. Ma proprio perché si tratta di un ragionamento tipico vale la pena di analizzarlo minuziosamente.

È anzitutto ragionevole e leale richiamarsi al primo e non all’ultimo congresso della II Internazionale?

Il primo congresso della II Internazionale (1889-1914) si è tenuto nel 1889, l’ultimo si è tenuto a Basilea nel 1912. Il manifesto di Basilea, approvato all’unanimità parla con molta precisione, nettezza, sincerità e chiarezza (al punto che nemmeno i signori Plekhanov possono alterare questo fatto) della rivoluzione proletaria e ne parla proprio in rapporto alla guerra che sarebbe scoppiata nel 1914.

Non è difficile capire perché i socialisti passati alla borghesia debbano «dimenticare» tutto il manifesto di Basilea o, per lo meno, questo suo passo fondamentale.

Inoltre, la conquista del potere politico da parte della «massa lavoratrice russa — scrive il nostro autore — potrebbe avere un senso se esistessero le condizioni necessarie alla rivoluzione sociale».

Questa è confusione mentale, non sono idee.

Ammettiamo pure che « sociale » sia un semplice refuso per «socialista». La confusione non sta solo qui. Di quali classi si compone la massa lavoratrice russa? Ognuno sa che questa massa è composta di operai e contadini. Chi di essi è in maggioranza? I contadini. Chi sono questi contadini per la loro situazione di classe? Piccoli padroni o piccoli proprietari. Ci si domanda: se i piccoli proprietari costituiscono la maggioranza della popolazione e se non esistono le condizioni oggettive per il socialismo, come può la maggioranza della popolazione dichiararsi a favore del socialismo?! Chi può dire e chi dice di introdurre il socialismo contro la volontà della maggioranza?!

Il signor Plekhanov si è qui imbrogliato nel modo più ridicolo.

Trovarsi in una posizione ridicola è il minor castigo per chi, imitando la stampa dei capitalisti, si fabbrica da sé l’«avversario» invece di citare testualmente le parole di questi o quegli avversari politici.

Proseguiamo. A chi deve appartenere il «vlast politico» anche dal punto di vista del democratico borghese volgare della Rech [organo ufficiale del Partito cadetto di orientamento liberale]? Alla maggioranza della popolazione. La «massa lavoratrice russa», di cui il socialsciovinista in imbarazzo ha parlato così poco a proposito, costituisce forse la maggioranza della popolazione? Senza dubbio, ed è persino la stragrande maggioranza della popolazione.

Com’è allora possibile, senza tradire la democrazia, pur intesa alla maniera di Miliukov, pronunciarsi contro la «conquista del vlast politico» da parte della «massa lavoratrice russa»?

Chi cerca trova. Ad ogni nuovo passo della nostra analisi scopriamo nuovi abissi di confusione nel signor Plekhanov.

Il socialsciovinista è contrario al passaggio del potere politico alla maggioranza della popolazione della Russia!

Il signor Plekhanov ha udito un suono, ma non ha capito di dove venisse. E ha confuso, benché Marx fin dal 1875, avesse messo in guardia contro tale confusione, la «massa lavoratrice» con la massa dei proletari e dei semiproletari. Chiariamo dunque questa differenza all’ex marxista signor Plekhanov.

*Può la maggioranza dei contadini rivendicare in Russia e realizzare la nazionalizzazione della terra? [2] Può farlo senza alcun dubbio. Ma è questa una rivoluzione socialista? No, questa sarebbe ancora una rivoluzione borghese, poiché la nazionalizzazione della terra è una misura compatibile con il capitalismo. Tuttavia, essa sarebbe al tempo stesso un colpo vibrato alla proprietà privata di un importantissimo mezzo di produzione. Un colpo che rafforzerebbe i proletari e i semiproletari assai più di quanto non abbiano fatto le rivoluzioni dei secoli XVII, XVIII e XIX.

Continuiamo. Può la maggioranza dei contadini pronunciarsi in Russia per la fusione di tutte le banche in una banca unica? esigendo che in ogni villaggio vi sia la succursale di una banca statale unica?

Può farlo, perché i vantaggi e l’utilità che deriverebbero al narod da questa misura sono indubbi. Persino i «difensisti» potrebbero propugnare questa misura, perché essa accrescerebbe di molto la capacità «difensiva» della Russia.

È economicamente possibile realizzare subito questa fusione di tutte le banche? Senza dubbio.

Si tratta di una misura socialista? No, questo non è ancora socialismo.

Continuiamo. Può la maggioranza dei contadini pronunciarsi in Russia per il passaggio del sindacato degli industriali dello zucchero allo Stato, sotto il controllo [kontrol] degli operai e dei contadini, e per una riduzione del prezzo dello zucchero?

Può farlo, perché si tratta di una misura vantaggiosa per la maggioranza del narod.

È una misura economicamente realizzabile? Senza dubbio*, perché tale sindacato non solo è divenuto di fatto, sul piano economico, un organismo produttivo unico su scala nazionale, ma anche perché già si trovava sotto il controllo dello «Stato» (cioè dei funzionari al servizio dei capitalisti) al tempo dello zarismo.

Sarà il passaggio di tale sindacato nelle mani dello Stato democratico-borghese, contadino, una misura socialista?

No, questo non è ancora socialismo. Il signor Plekhanov se ne convincerebbe facilmente, se si ricordasse delle verità arcinote del marxismo.

Ci si domanda: misure come la fusione di tutte le banche e il passaggio del sindacato degli industriali dello zucchero nelle mani dello Stato democratico-borghese, contadino, rafforzerebbero o indebolirebbero l’importanza, la funzione, l’influenza dei proletari e dei semiproletari sull’insieme della popolazione?

La rafforzerebbero senza dubbio alcuno, perché non si tratterebbe di misure «piccolo-proprietarie», perché la possibilità di realizzarle è data da quelle «condizioni oggettive» che non esistevano ancora nel 1889 ma che già esistono oggi.

Queste misure rafforzerebbero l’importanza, la funzione, l’influenza soprattutto degli operai urbani, come avanguardia dei proletari e semiproletari della città e della campagna, sull’insieme della popolazione.

Dopo queste misure l’avanzata verso il socialismo diventerebbe del tutto possibile in Russia, e, se i nostri operai saranno sostenuti dagli operai più sviluppati e meglio preparati dell’Europa occidentale, una volta che questi ultimi avranno rotto con i Plekhanov europei occidentali, il passaggio effettivo della Russia al socialismo sarà inevitabile, e il suo successo garantito.

Ecco come deve ragionare ogni marxista, ogni socialista, che non sia passato dalla parte della «propria» borghesia nazionale.


Note
  1. “Odin iz korennykh voprosov” (letteralmente “una delle questioni fondamentali”), in Lenin, PSS 31:300-3. La traduzione riportata qui riportata è quella contenuta in Lenin, Opere complete, vol. XXIV, Editori Riunti, 1966, p. 191.
  2. Il passo contenuto tra gli asterischi è quello citato nell’articolo del 1924 di Nikolai Bukharin e discusso più sopra.

Link al post originale in inglese John Riddel

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