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Louise Michel, una vita per la rivoluzione
di Fernanda Mazzoli
Un ritratto della rivoluzionaria francese Louise Michel, scritto da Fernanda Mazzoli
Già dalla nascita – maggio 1830 – la vita di Louise Michel è posta sotto il segno dell’anomalia, se non dello scandalo: sua madre è una giovane contadina che lavora come domestica nel castello di Vroncourt, in Haute Marne e suo padre il figlio dei proprietari del maniero. Il padre non la riconoscerà e, infatti, la futura rivoluzionaria porta il cognome della madre, Marianne Michel, alla quale voterà un affetto profondo e protettivo. Storia dolorosa, ma tutto sommato non poi così originale, se non fosse che la piccola viene cresciuta amorevolmente nel castello dai nonni paterni, Charlotte e Charles Demahis, presso i quali Marianne continua a lavorare circondata dalla stima di tutti. Il padre, invece, si è trasferito in una fattoria dei dintorni, si è sposato con un’altra donna e sembra estraneo al singolare gruppo familiare, al quale va aggiunta un’altra figlia, separata dal marito, che è tornata a vivere con i vecchi genitori insieme al figlio Jules, cugino e compagno di giochi di Louise. Il nonno – discendente di un’antica famiglia – è un seguace di Voltaire, trascorre il suo tempo immerso nei libri, ama l’arte e la musica e coltiva la memoria dei grandi rivoluzionari dell’89. È lui ad occuparsi personalmente dell’istruzione della bambina.
Il castello ha conosciuto tempi migliori, le sue quattro torri dominano una campagna fatta di vigneti, prati e boschi, da lontano sembra un mausoleo o una fortezza, ma è in gran parte in rovina ed aperto ai venti come una nave. Ed abitato da animali di ogni sorta – cani, gatti, uccelli, caprioli, puledri – che entrano tranquillamente nella grande sala al pianterreno dove nelle sere d’inverno la famiglia al completo- comprese Marianne e la nonna materna di Louise, una contadina del villaggio – si riunisce intorno al grande tavolo, ascoltando le letture ad alta voce fatte dai padroni di casa e lavorando a maglia.
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La politica dei naufragi
di Guido Mandarino
Il naufragio di Pylos e quello di Cutro sono stati l’occasione per i governi europei per ribadire la necessità di aumentare i controlli e limitare i flussi dei migranti, ovviamente per evitare il ripetersi di queste stragi. Ed è stata anche l’occasione per la denuncia ormai seriale delle insufficienze dei sistemi di soccorso e delle leggi sulla sempre più restrittiva regolamentazione delle frontiere.
Non è il caso di unirsi a questo impianto scenico. Per chi ha a cuore la vita di coloro che scappano dai loro paesi per trovare una situazione migliore non va bene la solidarietà posticcia né la denuncia della scarsa democraticità dei nostri governi.
I naufragi in mare sono una delle conseguenze delle politiche di contenimento e deterrenza dell’Unione Europea che partono da lontano e che nel Patto Europeo sull’immigrazione e l’asilo del 2020 hanno solo una tappa. Controllare e reprimere l’immigrazione irregolare, prevenire i flussi costituendo un cordone sanitario sempre più ampio e militare. È su questa legalità che nascono le tragedie del mare. Vediamone il contesto.
Crisi globale, migrazione globale
Già nel 2017 il rapporto dello European Political Strategy Centre del 2017 descriveva i 10 trend che caratterizzano l’odierna immigrazione (che viene fatta risalire al 2001). Curiosamente gli autori non si sono resi conto di come dal 2001, elencando “chi emigra”, il “perché si emigra”, e il “da dove” provengono i flussi, si ottiene un dato univoco e cioè che il fenomeno migratorio è diventato “universale”: riguarda uomini, famiglie, donne, bambini; si fugge dalla crisi economica, dalla carestia, dai disastri ambientali e si fugge dal cosiddetto “sud globale”.
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L'arma più letale della Nato? L'informazione di guerra
di Giorgio Ferrari
La campagna di disinformazione sui danneggiamenti alle infrastrutture civili presenti in territorio ukraino non conosce sosta da parte di quasi tutti i paesi aderenti alla Nato, con l’Italia in testa. A tenere banco sono, ancora una volta, la diga di Kakhovska e la centrale nucleare di Zaporizhzhia per le quali si addebita ai russi ogni responsabilità per quanto già accaduto o che potrebbe ancora accadere.
Diga di Kakhovska
A dare manforte all’accusa di ecocidio verso la Russia per aver distrutto la diga di Kakhovska, sono recentemente intervenuti il New York Times e Greta Thunberg.
Il più noto quotidiano del mondo si è spinto a scrivere un articolo dal titolo “Perché le prove suggeriscono che la Russia abbia fatto saltare in aria la diga di Kakhovka”1, dove invece che delle “prove” si esibiscono una serie di congetture che dovrebbero avvalorare l’assunto del titolo.
Si comincia con l’affermare che la diga in questione, essendo stata costruita dall’ Urss nel periodo della guerra fredda, fu concepita per resistere a qualsiasi attacco esterno: ergo nessun bombardamento avrebbe potuto abbatterla.
Conseguentemente la sua distruzione non può che essere avvenuta con delle mine appositamente collocate nei punti deboli della diga e siccome il progetto originario era russo, solo i russi possono sapere dove si trovano questi punti deboli che l’articolo del NYT individua nel cunicolo di ispezione del basamento della diga.
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Senza partito niente coscienza di classe. Senza classe niente partito rivoluzionario
di Carlo Formenti
Questa non è una recensione. Il nuovo libro di Visalli, Classe e partito. Ridare corpo al fantasma del collettivo (1), tratta troppi argomenti perché li si possa esaurire nell'angusto spazio di una recensione, ancorché corposa. In questo articolo mi limito quindi ad affrontare due temi teorici che reputo cruciali: la ridefinizione del concetto di classe (e il suo impatto sul concetto di partito) e il background "religioso" della civiltà capitalistica (e la sua capacità di "contaminare" il discorso socialista). Da queste pagine restano quindi fuori temi quali il lascito delle grandi rivoluzioni otto-novecentesche, nonché l'alternanza fra capitalismo di mercato e capitalismo politicamente regolato, associata all'alternanza fra fasi di crisi e fasi di ripresa economica, temi ai quali il lavoro di Visalli dedica ampio spazio.
1. Classe e partito: due questioni inscindibili
"Lo spettro che si aggira per l'Europa" evocato da Marx ed Engels nel Manifesto dei comunisti era in larga misura un'entità virtuale (decenni più tardi, al tempo della Comune, gli insorti saranno in larga misura garzoni di bottega e artigiani, più che operai in senso moderno), ma presentava già una consistenza materiale sufficiente a inquietare una borghesia timorosa di dover abbandonare il trono sul quale si era da poco seduta. Oggi, dopo che la controrivoluzione neoliberale ha espropriato il proletariato occidentale della propria identità sociale, culturale e politica, lo spettro di cui sopra sembra persino più evanescente di quello evocato un secolo e mezzo fa.
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Macchine del Tempo: la Cina e la Modernità
di Filippo Scafi
Il Grande Sogno della Repubblica Popolare Cinese offre non pochi motivi d’interesse da molteplici punti di vista
Il 15 giugno 2023 Xi Jinping ha compiuto settant’anni; negli ultimi dieci ha ricoperto la carica di Presidente della grande macchina che è la Repubblica Popolare Cinese. Figlio di una delle figure più di spicco della rivoluzione del 1946-50, Xi Zhongxun, Jinping è parte del gruppo “Principi Rossi” – l’insieme di coloro in cui scorre il sangue dei rivoluzionari che hanno contribuito a costruire la Cina contemporanea e la sua via socialista. Ultimo in ordine cronologico dei segretari di Partito, Xi Jinping ha sviluppato e tentato di concretizzare sin dalla sua nomina un programma politico-filosofico in 14 punti: Il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era (習近平新時代中國特色社會主義思想).
L’elaborazione dello xiismo non ha implicato strappi, rivendicazioni ideologiche, rimodellazioni del grande sogno. In continuità con l’idea di socialismo posta in essere da Deng Xiaoping, lo xiismo risponde, riconosce, propaga, riassesta, gestisce, ottimizza, smussa – prosegue, con estrema fiducia, un programma di apparente appropriazione del futuro. Nei “Principi Rossi”, che non detengono alcun privilegio politico particolare in funzione della loro appartenenza alla stirpe rivoluzionaria, non è contenuto il lume di una monarchia. Ogni individuo, anche colui che possiede più potere simbolico, è subordinato al grande progetto della Cina socialista. Cina moderna, eppure aliena.
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Della guerra (post-ucraina)
di Enrico Tomaselli
Il conflitto NATO-Russia costituisce visibilmente un importante giro di boa, che attesta ed accelera un radicale cambiamento negli equilibri geopolitici. Ma, al tempo stesso, se pure meno visibilmente, rappresenta una svolta nelle dottrine strategiche, il cui impatto (non solo sulle strutture militari, ma sulle intere società occidentali) è destinato a segnare i lustri a venire.
* * * *
Le molte facce della guerra
Ogni guerra – e significativamente ogni guerra moderna – presenta innumerevoli aspetti, tutti costantemente intrecciati tra di loro. C’è ovviamente un aspetto politico – che, almeno teoricamente, sovrasta e racchiude tutti gli altri. C’è un aspetto territoriale – ovvero i mutamenti nei confini geografici che il conflitto produce. C’è un aspetto industriale – che attiene non solo alla capacità dei singoli belligeranti di alimentare il proprio esercito, ma anche i risvolti economici (positivi o negativi) che questo comporta. Ci sono aspetti demografici, economici, psicologici e molti altri ancora.
Uno degli aspetti più importanti, su cui in genere ci si sofferma però solo a guerra finita ed in ristretti circoli di addetti ai lavori, è quello della guerra come terreno di verifica, sia dell’efficacia dei sistemi d’arma che, ancor più, delle tattiche e delle strategie immaginate prima della guerra. Il conflitto in Ucraina sta dicendo in merito moltissime cose, su cui vale la pena cominciare a soffermarsi.
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Una critica alle teorie sulla finanziarizzazione delle corporation non finanziarie
di Francisco Paulo Cipolla e Paolo Giussani
Da Countdown vol. V/VI Studi sulla crisi, ed. Asterios
1. Introduzione
I fenomeni a supporto delle interpretazioni secondo cui le corporation non finanziarie si stavano trasformando sempre più in imprese dominate da interessi finanziari sono stati i profitti in crescita delle attività finanziarie rispetto a quelli dell’economia reale (Kripnner 2005, Stockhammer 2004); il trasferimento nel sistema finanziario di una quota sempre maggiore di profitti sotto forma di interessi, i dividendi e il riacquisto di azioni (Duménil e Lévy 2004, p.74; Lazonick); una percentuale sempre maggiore dello stock di asset finanziari rispetto a quelli reali. Queste tendenze vengono incentivate sempre più una volta osservato l’aumento dei profitti nel sistema finanziario rispetto ai profitti totali dell’economia (Magdoff e Sweezy 1987 p.98; Harvey 2011, p.50) o per il volume infinitamente più grande delle operazioni finanziarie rispetto all’effettiva produzione di ricchezza.
Senza trascurare la sfida che questi fenomeni rappresentano per la nostra comprensione, in questo lavoro ci limiteremo ad analizzare i processi che vengono considerati come prove della finanziarizzazione delle corporation non finanziarie. Questa evidenza verrà illustrata in seguito attraverso grafici che replicano la maggior parte delle serie più comuni che si trovano nella letteratura specifica. Tuttavia, poiché si tratta di aggiornamenti relativi ad un periodo più recente, il semplice passare del tempo fa luce su alcune tendenze che si sono presentate come prove della finanziarizzazione.
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Le rivolte delle banlieues francesi
di Salvatore Palidda
Una potente continuazione delle grandiose mobilitazioni contro la scellerata riforma delle pensioni imposta dal neofascismo di Macron
Durante le grandiose mobilitazioni contro la scellerata riforma delle pensioni imposta dal neofascismo di Macron, alcuni avevano rimproverato i giovani delle banlieues di non parteciparvi. È vero -ma non del tutto – che il “mondo” dei giovani delle banlieues non è abituato a convergere nelle mobilitazioni sindacali e anche politiche come quelle dei gilets gialli o delle lotte contro il job act francese e altre della sinistra antagonista. Da notare che solo ora le sinistre della NUPES hanno sostenuto quasi unanimemente le attuali rivolte, ma i sindacati non hanno detto nulla. In realtà le banlieues sono da sempre un “mondo a parte”, emarginato da tutti (ricordiamo che lo stesso si può dire di certe zone periferiche di grandi città italiane come Milano, Roma ecc. – vedi libro di Pietro Saitta).
Le rivolte delle banlieues si ripetono sin dal 1979 nel quartiere della Grappinière, à Vaulx-en-Velin, vicino Villeurbanne (nei pressi di Lione) e di fatto hanno memoria delle storiche violenze poliziesche in Francia. Non è casuale: finito il periodo dei “trenta gloriosi” (gli anni della ricostruzione postbellica e del boom economico), la Francia paga il prezzo che la stragrande maggioranza dei lavoratori e della popolazione ha sopportato con costi umani e materiali immani per questo “progresso”. Decine furono le bidonville sparse in tutte la Francia (fra queste quella celebre raccontata da Abdelmalek Sayad, in Una Nanterre algerina) e i quartieri di case popolari quasi sempre dormitori invivibili, luoghi di indigenza, bollati dai criminologi come fucine di devianza minorile e criminalità. La Francia aveva preteso mirare alla prosperità a tutti i costi e pretendeva anche la creazione di dispositivi e strutture per forgiare una posterità che avrebbe dovuto assicurare il ricambio dei genitori manodopera mantenuta a livelli salariali e di qualifica bloccati (i famosi OS-à-vie, cioè operai comuni a vita, soprattutto immigrati nordafricani ma anche in parte autoctoni francesi –de souche).
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Androidi, Bombe e Sciami: la scienza in piazza senza ombrello
di Paolo Di Marco
Non è possibile scordare l’emozione che ti afferra quando leggi la storia descritta da Braudel; già nella sua prima grande opera, ‘Civiltà e imperi nel mediterraneo all’epoca di Filippo II’ tutto il primo libro è dedicato alla geografia fisica del Mediterraneo, a come questa faceva nascere popoli e abitudini di vita e commerci e rotte. Ma così facendo costruiva anche una sorta di paesaggio di cui questi erano gli elementi costitutivi, i parametri di uno spazio a molte dimensioni lungo cui scorreva la storia, le gole che indirizzavano il percorso obbligato degli accadimenti. Alla fine la politica e le scelte erano il risultato di questo percorso; come succede nei fiumi reali ci sono lanche e punti di svolta legati a piccoli elementi, a inciampi occasionali, ma come in tutte le scelte vere emergono là dove le possibilità si riducono, quando i numerosi parametri liberi si riducono a uno o due.
Con Hiroshima tutto questo finisce.
La potenza distruttiva di una bomba che rade al suolo città intere annulla tutto il paesaggio storico, la sua ricchezza di parametri e determinazioni, lasciando il destino intero dell’uomo alla mercè di un idiota col cappello da cowboy (come ci racconta Kubrick). Certo, i canyon, le cascate, le gole rimangono, ma son diventate diafane e fragili. Le allodole continuano a cantare, ma a volte si interrompono, tengono il fiato sospeso.
La scienza, quel semplice E=mc2 ci ha fatto questo.
In quali altri guai (o promesse) di dimensioni planetarie è implicata?
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La guerra di Draghi e Meloni – Energia, poca e cara
di Francesco Cappello
Alcune conseguenze della imposizione all’Europa della guerra voluta dagli USA
Come dimenticare le parole del furbone: «Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Cosa preferiamo? La pace oppure star tranquilli col termosifone acceso, anzi ormai l’aria condizionata accesa tutta l’estate?».
Nel frattempo siamo arrivati all’undicesimo pacchetto sanzioni della Ue alla Federazione Russa.
Gli USA hanno comandato guerra all'approvvigionamento energetico proveniente dalla Federazione Russa, e i vassalli nostrani ed europei eseguono fedelmente.
Il gas doganale che tradizionalmente giungeva all’Europa dalla Russia, tramite gasdotto, ora sotto sanzione, aveva dato un contributo enorme allo sviluppo economico europeo.
Come è noto l’Europa è povera di materie prime e risorse energetiche. Quelle europee, essendo economie che trasformano materie prime ed energia grazie ad un saper fare e ad un primato tecnologico in campo produttivo, storicamente assai importante (1), risultano ora, come era facilmente prevedibile, in grande difficoltà.
La Russia, nel rispetto degli accordi contrattuali del gas, che continua a raggiungerci attraverso il territorio Ucraino (dopo il sabotaggio e la messa fuori uso dei North Stream), la cui continuazione è però sempre più incerta, invia, ancora oggi, più di 20 milioni di metri cubi al giorno. Si tratta però di quasi un quarto del normale apporto medio giornaliero.
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La scuola: un porto di mare
di Eugenio Donnici
Il MIM, con il Decreto Ministeriale N.63 del 5 aprile 2023, ha istituito, nelle scuole superiori, le figure del docente tutor e del docente orientatore, con gli obiettivi di personalizzare la didattica, di contrastare la dispersione scolastica e di favorire l’incontro tra le competenze degli studenti, l’ulteriore offerta formativa e il mercato del lavoro. Un esercito di circa 41.000 docenti per circa 70.000 classi. Precisando che ogni scuola, in base all’autonomia scolastica e ai vincoli di dimensionamento e di aggregazione, può decidere di affidare a ciascun docente tutor da un minimo di 30 a un massimo di 50 studenti, mentre il tutor orientatore è uno per ogni istituzione educativa e in genere coincide con il tutor PCTO, dando luogo a una sovrapposizione di incarichi, così come accade nelle altre istituzioni private e pubbliche.
La figura del docente esperto, designata dal precedente Governo, non ha fatto in tempo ad entrare in gioco, se non per vie traverse, come nel caso dei progetti PON, essa, infatti, è stata messa nel ripostiglio, ma il suo fantasma continua a imperversare e a minare la conoscenza.
A dire il vero, la sovrapposizione o scissione delle funzioni riguarda anche i docenti tutor, in quanto giova ricordare che coloro che hanno presentato domanda continueranno, con gli evidenti appesantimenti del percorso lavorativo, a essere coinvolti nella didattica curricolare, speciale o di potenziamento
A ciò si aggiungono tutti gli incarichi per il funzionamento della macchina scolastica e remunerati con il FIS e dai quali non ci si può sottrarre, nonché la nomina dei tutor della cosiddetta alternanza scuola-lavoro, fortemente voluta dal Governo presieduto da Renzi, nota come PCTO, senza dimenticare i mille rivoli della didattica progettuale, una prassi molto diffusa che consolida la strada delle esternalizzazioni.
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Hanno mentito sull'Afghanistan. Hanno mentito sull'Iraq. E stanno mentendo sull'Ucraina
di Chris Hedges - ScheerPost
Il manuale che gli sfruttatori della guerra usano per attirarci in un fiasco militare dopo l'altro, che include Vietnam, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e ora Ucraina, non cambia. La libertà e la democrazia sono minacciate. Il male deve essere sconfitto. I diritti umani devono essere protetti. È in gioco il destino dell'Europa e della NATO, nonché di un "ordine internazionale basato sulle regole". La vittoria è assicurata.
Anche i risultati sono gli stessi. Le giustificazioni e le narrazioni vengono smascherate come bugie. Le previsioni ottimistiche sono false. Coloro per conto dei quali si suppone che stiamo combattendo sono tanto venali quanto quelli contro cui stiamo combattendo.
L'invasione russa dell'Ucraina è stata un crimine di guerra, anche se provocato dall'espansione della NATO e dal sostegno degli Stati Uniti al colpo di Stato "Maidan" del 2014, che ha spodestato il presidente ucraino democraticamente eletto Viktor Yanukovych.
Yanukovych voleva l'integrazione economica con l'Unione Europea, ma non a spese dei legami economici e politici con la Russia. La guerra si risolverà solo attraverso negoziati che consentano all'etnia russa in Ucraina di avere autonomia e la protezione di Mosca, nonché la neutralità ucraina, il che significa che il Paese non può entrare nella NATO. Più questi negoziati verranno ritardati, più gli ucraini soffriranno e moriranno. Le loro città e infrastrutture continueranno a essere ridotte in macerie.
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Greed? No, thank you
di Maurizio Franzini
Maurizio Franzini riflette sul tema dell’avidità e dei suoi effetti, partendo dalla notissima affermazione ‘greed is good’. Franzini, richiamando anche alcuni studi recenti, considera la possibilità che l’avidità sia ‘brutta e cattiva’ (bad and ugly) e, dopo aver cercato di darne una definizione analitica, enuncia alcune conclusioni (provvisorie) tra cui quella che nel contesto istituzionale contemporaneo e date le caratteristiche di molte transazioni, l’avidità è facilmente ‘brutta e cattiva’.
“Greed, for lack of a better word, is good”, cioè, traducendo, “l’avidità, in mancanza di parole migliori (e, aggiungo, forse ve ne sarebbe bisogno) è una cosa buona”. Questa è la frase che Michael Douglas, nei panni dello spregiudicato finanziere Gordon Gekko, pronuncia a metà del film ‘Wall Street”. Siamo nel 1987 e la frase, come si direbbe oggi, è destinata a diventare virale. Ventidue anni dopo, all’inizio del 2012, Michael Douglas, interpretando solo se stesso, dichiara, sostanzialmente che ‘Greed is not good’. Lo fa in occasione del suo impegno per una campagna dell’FBI contro l’insider trading e le frodi delle società finanziarie, forse preoccupato (e stanco) di apparire lui stesso, e non solo Gekko, come il difensore di quelle pratiche truffaldine che la frase del 1987 voleva giustificare. Ma la frase del 2012 – e di certo non c’è da sorprendersi – non diventa virale.
Forse, in un’epoca nella quale l’avidità sembra – quanto meno – trovare forme nuove per manifestarsi (è interessante che si parli, rispetto all’inflazione di greedinflation riferendosi all’aumento dei profitti) vale la pena riflettere sulle due contraddittorie affermazioni di Gekko-Douglas magari ampliando l’orizzonte.
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Il comunismo della decrescita: l'ultima svolta di Marx
di Peter Boyle
Anche se il marxista giapponese Kohei Saito non avesse scritto Marx in the Anthropocene: Towards the Idea of Degrowth Communism, la sinistra oggi dovrebbe ancora prendere sul serio l'idea della decrescita.
Questo perché, spiega l'economista e antropologo Jason Hickel in Less is More, «Sebbene sia possibile passare al 100% di energia rinnovabile, non possiamo farlo abbastanza velocemente da rimanere sotto gli 1,5°C o i 2°C, se continuiamo a far crescere l'economia globale ai ritmi attuali».
Non è solo la dipendenza dai combustibili fossili a mettere in pericolo il pianeta, ma la ricerca cronica della crescita economica da parte del capitalismo. Crescita illimitata significa maggiore domanda di energia. E una maggiore domanda di energia rende più difficile sviluppare una capacità sufficiente per generare energia rinnovabile nel breve tempo rimasto per evitare un riscaldamento catastrofico.
Questo è il motivo per cui la rilettura di Saito dell'opera di una vita di Karl Marx è cruciale per i socialisti di oggi. Come egli sostiene, l'ecologia non era una considerazione secondaria per Marx, ma al centro della sua analisi del capitalismo. E mentre si avvicinava alla fine della sua vita, Marx si rivolse sempre più alle scienze naturali e si convinse profondamente che una crescita illimitata nel capitalismo non poteva essere sfruttata per scopi umani o ambientali. Piuttosto, come spiega Saito, Marx capì che il comunismo avrebbe portato sia abbondanza che decrescita.
Altro che riscaldamento globale
Oggi, gli attivisti ambientali in genere si concentrano sul riscaldamento globale.
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Minneapolis chiama Nanterre, la Francia risponde: il caos e l’onda
di Alessio Galluppi
Nanterre, sobborgo di 90 mila anime a Nord Ovest di Parigi, iper marginalizzata, povera, violenta, criminosa, precaria. Roccaforte per anni del Front National (ora Rassemblement National) di Le Pen. Sempre meno “Francia Europea” e sempre più Francia variegatamente Africana. Nanterre e la Francia in una mattina di fine giugno diventa improvvisamente Atlanta, Chicago, Ferguson, Minneapolis.
Nahel, 17 anni, viene ucciso con spietata freddezza a un posto di blocco della polizia. L’omicidio ha tutte le sembianze di una esecuzione: stop del veicolo da parte di poliziotti in motocicletta; pistola alla tempia di Nahel alla guida; le grida dei poliziotti; prima un colpo alla testa con il calcio della pistola; Nahel sbatte contro lo sterzo, il piede scivola via dalla frizione, l’auto già ferma si impenna di quel poco; un secondo colpo, ma dal lato della canna della pistola viene sparato per fermare la fuga del pericoloso ragazzo francese dalla faccia poco Europea e troppo Algerina; Nahel colpito al petto muore.
Nahel Francese figlio di discendenti Algerini, ammazzato come tanti giovani afroamericani dalla polizia in America. La Francia si infiamma e soprattutto si lacera profondamente come stiamo assistendo in questi giorni.
Il solo razzismo sistemico capitalista dell’Occidente colonialista e imperialista non basta a spiegare questa esecuzione a morte sul posto. Così come l’improvvisa ribellione che ne è seguita solo in parte trova la sua radice nella materialità di un futuro precario per le nuove generazioni di francesi figli della immigrazione extra europea.
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Gli individui e la storia
di Michele Castaldo
Dico in premessa che scrivo per chi è disposto a capire le leggi dinamiche del materialismo storico, e pazienza per chi volge le spalle alla rivoluzione in cammino.
In questi giorni sono tre i personaggi sotto i riflettori di cui si discute tanto e si interroga la palla di vetro sul futuro della guerra in Ucraina con riflessi su tutto il pianeta sia geografico che politico.
Qualche giorno prima della “rivolta” di Prigozhin “contro” Putin, giovedì 22 giugno 2023, compare sul Corriere della sera un articolo in prima pagina dal titolo poetico: L’omino in maglia militare, sul quale vale la pena appuntare l’inizio del nostro ragionamento, perché l’autore coglie un punto d’analisi teorico degno di nota, ovvero il rapporto tra chi evoca i fantasmi e il loro ruolo che sfugge di mano agli evocatori. L’autore parla di Zelensky e rivolgendosi agli addetti ai lavori sostiene una tesi nient’affatto peregrina: si, il personaggio avrà anche agito su stimolo delle alte sfere d’oltreatlantico (e dello Stato d’Israele, aggiungiamo noi) ma poi ha incominciato a giocare in proprio, ovvero a voler divenire l’eroe della guerra di liberazione contro la Russia e non è disposto perciò a giocare il ruolo dell’utile idiota trattato come un servo che serve finché serve per essere poi buttato nel cestino quando il suo ruolo è giunto a compimento. La conclusione di Buccini è da segnalare a quanti si affannano a leggere la storia non per le forze impersonali che la muovono, ma nel vedere sempre il complotto di super uomini, preferiamo perciò riferirlo con le parole di Buccini «Sempre e solo “influenze” in attrito sul planisfero. Sempre e solo entità imperiali in eterno dissidio tra loro come permalose divinità dell’Olimpo. Dimenticando i cittadini e il loro sogni, le loro voci, i loro voti.
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Diario della crisi | La borsa sulla vita. Crisi della riproduzione sociale e reinvenzione del quotidiano
di Cristina Morini
In questo dodicesimo contributo per il Diario della crisi (pubblicato congiuntamente su Effimera, Machina e El Salto), Cristina Morini riflette sul significato della riproduzione sociale e della sua crisi. Nel capitalismo contemporanee, dove piattaforme tecnologiche e app organizzano la messa a valore della vita, la riproduzione sociale va oltre la famiglia e la cura di partner e figli. Essa definisce nuovi legami produttivi ai quali ci viene chiesto di adattarci, posti tra il biologico e il sociale, tra i corpi e la relazione che intrattengono tra loro e il mondo circostante. Ma proprio la centralità che oggi assume, nell’essere perno della valorizzazione contemporanea, la pone in costante crisi. Più gli atti della vita (cura, linguaggio, relazione) si avvicinano a diventare una merce qualunque, oggetto di mercificazione e di scambio economico, diretto o indiretto, più essi perdono di significato nella rete delle relazioni sociali, erotiche, nei collegamenti solidali tra viventi. La svalorizzazione si manifesta su tre livelli in particolare: crisi dei sistemi sanitari nazionali (la dismissione del corpo malato); crisi della riproduzione biologica (crisi demografica); crisi della riproduzione ambientale. La crisi della riproduzione sociale rappresenta la summa delle crisi di fronte alle quali oggi ci troviamo anche poiché rischia di indurre una trasformazione antropologica. Per questo sono fondamentali una politica della vita e una reinvenzione del quotidiano, come insegna il femminismo. Da qui dobbiamo ripartire.
*****
Muta la razza, muta ormai la specie, tra poco tali volti saranno appena percepiti e, percepiti, anch’essi imperdonabili, tanto estranei al contesto, al sistema che li racchiude.
Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987
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Capitalismo di crisi e automatismi del declino – viva il capitalismo!
di Fabio Vighi
Le sabbie mobili del “capitalismo di crisi” ci stanno inghiottendo. Profonde mutazioni nel codice della macchina del capitale alimentano nuove forme di controllo e devastazione. Il cambio di paradigma è conseguenza del raggiungimento del limite interno del modo di produzione capitalistico, per cui una crisi non inaugura più un nuovo ciclo espansivo; piuttosto, serve a nascondere l’impotenza di sistema favorendone la transizione autoritaria. Ciò che muta, dunque, è la funzione epistemica della crisi, che – così come un’emergenza geopolitica, climatica, o epidemiologica – è funzionale alla gestione del declino socioeconomico. Non possiamo farci illusioni: il motore del modo di produzione si è ingolfato da tempo, e le “distruzioni creative” di Schumpeter si portano appresso solo macerie. La dipendenza dal credito del capitalismo ultra-finanziarizzato determina accentramento di denaro e potere nelle mani di pochi soggetti e, insieme, la graduale demolizione della domanda reale, e del legame sociale che essa sostiene. A questo serve la nuova “industria delle emergenze”: propagare un flusso di shock che autorizzino la gestione centralizzata di un modello di valorizzazione economica sempre più stagnante, e dunque sempre più iniquo e violento.
L’implosione di sistema prosegue indisturbata, tra apatia, disorientamento, e false contrapposizioni manipolate dall’alto. Le voci critiche condividono un fondo di nostalgia per un mondo che sta evaporando nel nulla da cui era nato: quella “società del lavoro salariato” che il capitale stesso rende obsoleta. Giovani youtuber che fatturano 200mila euro all’anno filmandosi su una Lamborghini mentre distruggono una famiglia che viaggia con la Smart sono l’emblema dell’inevitabile perversione del modello di società del lavoro in cui ancora ci illudiamo di vivere.
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La Grande Convergenza e il revival del colonialismo occidentale
di Stefano G. Azzarà (Università di Urbino)
1. Dal “guevarismo” alla riabilitazione del colonialismo
In un libro del 1931, Der Mensch und die Technik, un Oswald Spengler impegnato a combattere la Repubblica di Weimar ma soprattutto a impedire che la sua crisi avesse un esito rivoluzionario, e dunque intenzionato a delegittimare i comunisti che intendevano riproporre l’esperienza bolscevica in Germania, notava che «anche i popoli “sfruttati” all'interno dei paesi europei e degli Stati Uniti», in spregio alla retorica internazionalista dei partiti marxisti (compresa la SPD), hanno in realtà a loro volta «beneficiato dello sfruttamento internazionale». Anche le classi subalterne, anche gli operai che lamentano rumorosamente la sottomissione del regime di fabbrica e l’estrazione di plusvalore, a guardar bene, hanno goduto e godono di un «lussuoso tenore di vita», se confrontato con quello dei popoli extraeuropei. E questo in virtù dell’«alto salario dell'operaio bianco», un salario di lusso che «si basa esclusivamente sul monopolio fondato dai capitani d'industria» e dunque sulla compartecipazione ai sovraprofitti coloniali1 .
Si trattava certamente di un espediente retorico, volto a contrapporre alla versione marxista del socialismo quella versione “nazionale”, già esposta in Preupentum und Sozialismus (1919)2, che postulava un interesse comune e una comune responsabilità tra l’operaio e l’imprenditore, entrambi al servizio della comunità. Nelle sue parole c’era tuttavia qualcosa di vero, dato che a suo tempo anche Lenin aveva inquadrato questo fenomeno e aveva dovuto mettere in guardia dal socialsciovinismo della socialdemocrazia, la quale con Bernstein e altri suoi esponenti aveva pensato già diversi anni prima di risolvere la questione sociale tramite l’espansione coloniale3.
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Berlusconi e il trentennio inglorioso
di Francesco Sinopoli
La scomparsa di Silvio Berlusconi ci spinge a interrogarci su ciò che è accaduto nel nostro paese in questo lungo trentennio, oggettivamente segnato da un pesante arretramento, sul piano civile, culturale e democratico. Da presidente di una fondazione che ha tra le sue missioni la ricerca nel campo della storia del movimento operaio, oltre che economica e sociale e della formazione sindacale, penso sia nostro compito contribuire alla costruzione di un giudizio complessivo su quello che molti già definiscono il trentennio inglorioso, volutamente contrapposto ai trenta gloriosi, gli anni che dopo la seconda guerra mondiale hanno portato a gran parte delle conquiste sociali e civili, che in questa sede per ragioni di spazio non posso affrontare. Ciò che conta è che progressivamente arretriamo.
Non ho mai pensato che la responsabilità di tutto ciò che è accaduto in questi lunghi anni di crisi fosse esclusivamente sua e degli esecutivi da lui guidati. Molti governi di vario colore, in una fase storica che ha visto una ridefinizione dei rapporti di forza tra capitale e lavoro a vantaggio del primo, hanno contribuito all’arretramento oggettivo sul piano dei diritti del lavoro e dei diritti sociali. Pensiamo Jobs Act renziano, che è riuscito dove non era riuscito Berlusconi. Oppure all’intervento del governo Monti sulle pensioni. Così come mai ho pensato che le vicende giudiziarie potessero rappresentare la cifra sostanziale per leggere la sua stagione politica, uno degli errori strategici dell’antiberlusconismo.
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Come cambia l’industria?
L’ultimo libro di Vincenzo Comito
di Antonio Cantaro
In un agile e documentato saggio (Come cambia l’industria. I chip, l’auto, la carne, Roma, Futura editrice, 2023) Vincenzo Comito ci racconta come il nostro modo di produrre, di lavorare, di consumare sta cambiando in tutto il mondo. Da occidente a Oriente. Un libro d’altri tempi, che parla del nostro tempo.
L’industria sta mutando rapidamente, in Italia, in Europa e nel mondo. Le nuove tecnologie trasformano prodotti e sistemi produttivi, le attività si spostano da Occidente a Oriente, il lavoro muta profondamente, sia nella quantità che nella qualità, la questione ambientale assume un ruolo di assoluta centralità, mentre ritornano sulla scena le politiche industriali dei governi. Il volume di Vincenzo Comito analizza tutte queste trasformazioni (e le conseguenze per il nostro Paese) con riferimento all’alta tecnologia dei semiconduttori, alla transizione dell’automobile verso l’elettrico, ad una produzione di carne sempre più industrializzata.
Un libro settoriale e totale
Un libro “settoriale” e agile (una densa e trasversale introduzione, tre asciutti e essenziali capitoli), sorprendentemente “totale”, senza essere mai ideologico, come è nell’inconfondibile storytelling dell’autore, lontano da ogni accademismo e preoccupazione disciplinare. Senza alcuna falsa modestia: «Questo libro – confessa Vincenzo Comito nell’incipit – cerca, con tutte le difficoltà del caso, di analizzare le trasformazioni in atto nel campo industriale, tentando di individuare almeno alcune tra le linee di movimento principali e lo fa guardando in particolare a tre settori oggi tra i più rilevanti».
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Benvenuti nel Quarto Reich
di Alessandro Taddei
Alessandro Taddei scava nella memoria: Stato, mafia, Gladio e altre orribili cose vicine a tutte/i noi… che è necessario ricordare (o scoprire). In coda trovate molti link utili
Con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria …
(Fabrizio De Andrè)
Il concetto di «destabilizzazione italiana-Gladio-P2» andrebbe allargato a un periodo ben più ampio di quello degli anni ’70/’80.
I soggetti coinvolti sotto Gladio, nel corso degli anni, passano dal terrorismo politico-eversivo alla mafia, attraverso attentati dinamitardi nelle piazze (Fontana, Loggia), nei treni e nelle stazioni (Italicus, Gioia Tauro, Bologna), nei luoghi della socialità per poi passare ai magistrati più impegnati e ai luoghi storico-artistici simbolo della «bellezza italica».
Dal 1964 ad oggi – generale De Lorenzo docet – assistiamo a un processo continuativo della «strategia della tensione» in cui cambiano non solo i rapporti “cittadino-violenza-paura” ma anche i soggetti che la perpetuano.
I soggetti utilizzati da Gladio e poi P2 cambiano a seconda del momento storico in cui ci si trova ad operare. Eppure è come se una mano militare invisibile regnasse su tutti indistintamente e allungasse il filo della storia senza mettere mai in discussione questa strategia. Sappiamo dunque che questa Entità oscura non morirà per una vicissitudine economico-politica o nel momento in cui uno “storico” segnerà la fine di un’epoca.
È soprattutto per questo fenomeno sistemico che l’Italia non sta avendo un’evoluzione, in termini sia economici che culturali.
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La "grande bufala" del partito della guerra e l'interlocutore (immaginario) dagli Usa
di Alastair Crooke per Strategic Culture
Il Presidente Putin ha dichiarato di essere aperto, in qualsiasi momento, a colloqui con un interlocutore americano.
Perché allora nessuno si è fatto avanti? Perché, quando tra l'opinione pubblica americana cresce l'ansia per il fatto che la guerra in Ucraina sembra destinata a un'escalation permanente e si teme che "Joe Biden e i 'guerrafondai del Congresso' stiano conducendo gli Stati Uniti a un 'olocausto nucleare'"? Questo è stato il duro monito dell'ex candidata alla presidenza, Tulsi Gabbard, nel seguitissimo show di Tucker Carlson.
L'urgenza di fermare lo scivolamento verso l'escalation è chiara: mentre lo spazio di manovra politico si riduce continuamente, lo slancio dei neoconservatori di Washington e di Bruxelles per sferrare un attacco fatale alla Russia non si esaurisce. Al contrario, in vista del vertice NATO si parla piuttosto di prepararsi a una "guerra lunga".
Urgenza? Sì. Sembra così semplice – basta iniziare a parlare. Ma visto dalla prospettiva di un ipotetico mediatore statunitense, il compito è tutt'altro.
L'opinione pubblica occidentale non è stata condizionata ad aspettarsi la possibilità che emerga una Russia più forte. Al contrario, ha sopportato che gli "esperti" occidentali sbeffeggiassero le forze armate russe, denigrassero la leadership russa come incompetente e presentassero alle loro TV gli "orrori" dell'"invasione" russa.
Si tratta – a dir poco – di un ambiente molto sfavorevole per qualsiasi interlocutore che voglia "avventurarsi". Il dottor Kissinger (un anno fa a Davos) è stato "stroncato" quando ha suggerito cautamente che l'Ucraina potrebbe dover cedere un territorio alla Russia.
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Relire Il Capitale
di Antonino Morreale
Curato dall'infaticabile M. Musto, oggi uno degli studiosi più importanti di Marx, esce il volume Il Capitale alla prova dei tempi. Nuove letture dell'opera di Marx. (Allegre Roma pp.383)
Si compone di due parti, la prima sul Capitale, la seconda si estende, a partire da quello, ad alcune tematiche tra le più attuali, come l'ecologia, il genere, le periferie del mondo.
Una Introduzione molto estesa ed accurata di Musto apre il volume e ci aggiorna sulle risultanze ultime attorno alla biografia e alla produzione di Marx. Operazione indispensabile vista la mole e qualità dei nuovi elementi emersi dal lavoro della MEGA2.
È da quella iniziativa di pubblicare tutto Marx ed Engels, nata nel 1975 e giunta ormai alla conclusione, che occorre partire. Ci lasciamo dietro una storia cominciata a fine '800 col lavoro di editore di Engels e poi di Kautsky, e negli anni '20 di Riazanov, per iniziarne una nuova, su basi filologiche affidabili, all'altezza delle sfide di oggi.
Auspichiamo perciò che quanto prima si possa disporre, almeno, di una nuova edizione italiana dei libri II e III del Capitale perché molte e significative sono le novità rispetto alle edizioni di Engels di fine '800. Per il primo libro del Capitale il problema non si pone perché dal 2011 disponiamo del lavoro enorme e raffinato di Fineschi (nel volume del quale parliamo, invece, viene utilizzata la traduzione di Macchioro e Maffi della UTET).
Undici i saggi di specialisti di livello internazionale, appartenenti a diverse generazioni (dal “vecchio” Balbar al giovane Saito, e dagli USA a Francia, Italia, Giappone, etc.)
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Introduzione alla storia delle teorie sulla crisi
di Anwar M. Shaikh
Presentazione. La crisi e le teorie delle crisi è una raccolta monografica tratta delle teorie sulla crisi ed intende contribuire all’approfondimento di un tema che viene continuamente affrontato da molti ma con una superficialità disarmante. A grandi linee, quando useremo il termine “crisi” ci riferiremo ad un insieme generalizzato di fallimenti nel sistema delle relazioni politiche ed economiche della riproduzione capitalistica. Stando così le cose occorre riprendere un dibattito sulla crisi e le sue tipologie che nel corso del tempo si è sviluppato tra gli studiosi che hanno abbracciato la teoria generale di Marx e di coloro che hanno invece utilizzato il suo metodo per poter analizzare le dinamiche di una economia che, dopo il “miracolo” manifestatosi nel dopoguerra, manifesta regolarmente dei crolli alternati a fasi di ripresa sempre più asfittiche. Occorre ormai rassegnarsi allo stato comatoso in cui versa il modo di produzione capitalistico sul lungo periodo che è stato pesantemente peggiorato dal dramma della pandemia che non vogliamo intenzionalmente affrontare vista la miriade di articoli e studi caratterizzati dalle più svariate impostazioni.
Inizialmente la raccolta si apre con un vecchio articolo di Shaikh che riassume le posizioni più importanti delle teorie delle crisi espresse dalla scuola marxista, mentre Maniatis riprende tali teorie approfondendone la critica. L’intervento intitolato “Una critica alle tesi della finanziarizzazione delle imprese non finanziarie” di Francisco Paulo Cipolla e Paolo Giussani (l’ultimo lavoro che ha prodotto prima di venire a mancare) ha il pregio di criticare alla radice le tesi che imputano la crisi recente esclusivamente alla finanziarizzazione dell’economia ponendo al centro il fattore strutturale della crisi rappresentato dal declino permanente degli investimenti con una spiegazione adeguata.
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A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
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Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
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