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Notizie sull'operazione speciale condotta dall'esercito russo in Ucraina
Il 17 settembre il governo cinese ha ordinato alle principali aziende tecnologiche del paese di interrompere l’acquisto e l’uso di chip Nvidia, inclusi l’RTX Pro 6000D e l’H20, due chip progettati appositamente per aggirare le restrizioni imposte dal governo americano all’export di hardware USA avanzato in Cina. Nei giorni immediatamente precedenti, la Cina aveva avviato un’indagine antitrust in merito all’acquisizione di Mellanox: un’azienda israelo-americana, specializzata nell’interconnessione di rete ad alte prestazioni, comprata da...
Poco fa Vance ha riferito che quello di Trump non è un cambiamento di posizione sul conflitto, ma che è solo "molto impaziente" e vuole che la guerra finisca perché danneggia la Russia, e se non negozieranno la pace sarà molto male per il paese. Da Mosca, immagino, ringraziano per l'interessamento. Che non sia un cambio di posizione è abbastanza chiaro, ad ogni modo. Lo dicono fonti ucraine (Tatarigami ad esempio, che pubblica analisi interessanti anche se a volte sbilanciate), e varia altra gente - Goncharenko, Zheleznyak e Fesenko, ad...
Fulvio Grimaldi, classe 1934, giornalista di lungo corso, inviato di guerra per la RAI e la BBC e autore indipendente. Negli anni ha scritto per storiche testate militanti di sinistra e collaborato con importanti giornali come La Repubblica, L’Espresso e Il Manifesto. Grimaldi è da sempre famoso per le sue posizioni filo-palestinesi riguardo al conflitto arabo-israeliano. È noto soprattutto per aver seguito da vicino il conflitto israelo-palestinese e aver prodotto numerosi reportage e documentari, frutto di esperienze sul campo a Gaza, in...
Droni à gogo, si sarebbe detto un tempo. Chi più ne ha, più ne metta. Sembra la moda del momento e solamente i più indolenti si lasciano sfuggire l'occasione di “avvistamenti”, “sconfinamenti” e, alla fin fine, “abbattimenti”... Ieri è stata la volta di Danimarca e Norvegia, in una spinta “verso ovest” che non lascia dubbi sulla matrice di tale pericolosa escalation provocata da quella che è oggi la capitale più ostinata del cosiddetto “asse del male”. Così pochi dubbi, che La Repubblica non perde nemmeno tempo a dire qualcosa che non siano...
Nel 2022 avevo recensito Gli immorali, il romanzo d’esordio di un nuovo autore del panorama noir italiano, Fabio Nobile. A distanza di tre anni Nobile ci regala il suo secondo romanzo, La stanza 49 (Edizioni Efesto, euro 15). Si tratta di una conferma della capacità di questo autore di utilizzare questa forma letteraria, il noir, non solo per farci passare qualche ora piacevole immersi in una lettura avvincente, ma anche per descrivere in modo acuto la società italiana odierna. Infatti, come dicevamo già in riferimento a Gli immorali, si...
Ci risiamo! Continuano a prenderci per idioti… 1- La versione ufficiale-FBI- dell’assassinio di Kirk sembra un film di Ridolini: il colpevole dichiarato, Tyler Robinson, arriva in macchina sotto l’edificio perfetto per il tiro, parcheggia e sale sul tetto con un enorme Mauser, invisibile ma supposto infilato smontato nello zainetto di 40×50 (??). Sul tetto si cambia (!sic), monta il fucile col cacciavite, spara un colpo solo mortale su Kirk che è di fronte a lui a 150m, smonta il fucile col cacciavite- che però dimentica lì, si cambia di...
L’indiscutibile riuscita della piazza di ieri ha relegato, almeno per il momento, ogni manovra da “piccolo cabotaggio” che aveva caratterizzato il movimento di solidarietà per la Palestina nel passato, generando una grande giornata di mobilitazione che ha esondato tutti i soggetti organizzati di movimento. Questo è stato possibile grazie a una straordinaria mobilitazione delle coscienze di fronte a un genocidio in corso e al rigetto della complicità totale e asservita di ogni singolo governo occidentale all’infame colonizzazione sionista. La...
Il fantasma dell’Unione Sovietica ha aleggiato per settant’anni sull’Occidente capitalista, togliendo il sonno ai grandi accumulatori di ricchezze che hanno dovuto confrontarsi costantemente con un esempio diverso di economia che non fosse necessariamente ed esclusivamente quella del “laissez faire” e del profitto privato. La Rivoluzione Russa e la nascita di uno Stato comunista grande territorialmente e pieno di risorse furono un episodio che sfuggì al controllo della storia; qualcosa che non fu possibile arginare da parte dei ceti...
L'effetto politico-economico dello strano sconfinamento di droni russi nei cieli polacchi è stato certamente la chiusura del confine tra la Polonia e la Bielorussia. E' bene ricordare, innanzitutto che il confine polacco è peraltro un confine che delimita sia i territori sotto la “protezione” della Nato e soprattutto un confine anche dell'area economica retta dall'Unione Europea. Ed è proprio questo aspetto a rendere la decisione di Varsavia di rilevanza internazionale se non mondiale. Infatti la rotta “continentale” che le merci cinesi...
All’inferno. Ogni discorso che non parta da questa consapevolezza è semplicemente privo di fondamento. I gironi in cui ci troviamo non sono disposti verticalmente, ma disseminati nel mondo. Ovunque gli uomini si associano, producono inferno. I gironi e le bolge sono dappertutto intorno a noi, che riconosciamo, come nei caprichos di Goya, i mostri e i diavoli che li governano. Cosa possiamo fare in quest’inferno? Non tanto o non solo, come diceva Italo, custodire una parcella di bene, quello che nell’inferno non è inferno. Poiché è stata...
Uno degli effetti più dirompenti causati dalla guerra “contro tutti” scatenata da Israele dopo gli attentati terroristici del 2023 è che si è diffusa nel mondo arabo la percezione che nessuno possa sentirsi al sicuro. Ciò vale anche se si tratta di paesi formalmente difesi dagli stessi Stati Uniti o da altri paesi occidentali. Abbiamo visto infatti che, nel corso di questi terribili anni in Medio Oriente Israele ha bombardato la Siria, il Libano, lo Yemen, l'Iran e il Qatar. Ad aver generato il massimo scalpore nel mondo arabo sono stati i...
Il giornalista statunitense Max Blumenthal ha felicemente definito così la guerra ibrida che Israele sta conducendo negli Stati Uniti, e che – per il momento – è essenzialmente incentrata sulla propaganda, ovvero sul controllo dei media. Gli USA sono l’insostituibile retrovia dello stato ebraico, senza il cui appoggio – economico, militare, politico e diplomatico – semplicemente scomparirebbe entro pochi mesi. Il controllo di questa retrovia, pertanto, è una questione vitale per Israele. Sino a ora, era stato possibile esercitarlo...
Dalla mia postazione con fucile a tappo, prendo spunto da un recente post di Andrea Zhok, una delle poche menti libere in circolazione, per suggerire al lettore una critica. “Oggi la vera, principale, essenziale resistenza”, sostiene il filosofo, “è la memoria, memoria che per rimanere vitale deve essere rielaborazione, e che deve rimanere strettamente legata ad una richiesta di giustizia inflessibile. Chi oggi non può sconfiggere il male, domani non deve dimenticarlo”. Zhok conclude così un denso e, in sé, del tutto condivisibile...
Considerazioni generali: negli anni ben pochi hanno fatto caso alla licenza Creative Commons sull'home page di questo blog: non commerciale - non opere derivate- unported. In soldoni significa che da questo blog non ho mai incassato un centesimo. Qualcuno mi ha fatto notare che questo è del tutto atipico nel contesto dell' "economia digitale". Non me ne può fregare di meno. Continuo a vivere tranquillamente della mia professione. Per questo motivo ho francamente provato fastidio per le pubblicità e i product placement nei video di Sabine...
La compagnia di navigazione Haijie Shipping Company ha inaugurato ieri il progetto artico cinese, denominato China-Europe Arctic Express. Si tratta di una connessione di navi portacontainer tra l’Estremo Oriente e l’Europa, lungo una rotta commerciale che attraversa l’Oceano Glaciale Artico invece dell’Oceano Indiano. Il China-Europe Arctic Express sarà operato dalla nave Istanbul Bridge, capace di trasportare 5.000 container per viaggio. Salpando dal porto di Quingdao (a nord di Shanghai), avrà come possibili destinazioni Felixstowe in Gran...
Allarmi per sconfinamenti quotidiani nei ristretti corridoi aerei del Baltico spacciati per attacchi aerei russi, le consuete (si tengono ogni 4 anni) esercitazioni Zapad tra russi e bielorussi presentate come una minaccia d’invasione contro cui erigere fortificazioni reticolati, campi minati, trincee e cavalli di Frisia. La febbre bellica che attraversa la regione baltica coinvolgendo Estonia, Lettonia e Lituania questa volta non sembra dovuta solo alla tradizionale sensibilità anti-russa che anima le classi dirigenti di queste nazioni che...
Mentre i nostri occhi pieni di orrore sono per forza di cose puntati su Gaza, le cancellerie d’Europa – in testa la Commissione europea – sembrano fare di tutto per far precipitare la guerra contro la Russia. Nel giro di neanche un mese, abbiamo assistito alla reintroduzione della leva militare in Germania (al momento volontaria, ma con «opzione di obbligo» nel caso non si raggiunga un numero sufficiente di arruolati); al clamore mediatico – dal chiaro linguaggio bellicista – sull’incontro tra Putin, Xi Jinping e Kim Jong-un a Pechino; alla...
La vicenda “Charlie Kirk” è meritevole di riflessione non tanto con riferimento al personaggio in sé, per cui personalmente, non essendo americano, nutro un modesto interesse, ma per ciò che le reazioni alla sua morte hanno consentito di scorgere. Come ampiamente discusso nei giorni scorsi, una significativa fetta di persone con pedigree “progressista” o “di sinistra” ha espresso soddisfazione, comprensione o giustificazione per l’omicidio. Il filo del ragionamento in questi casi è stato, più o meno: “Era una persona orribile con opinioni...
Mentre la Commissione europea propone il 19° pacchetto di sanzioni contro la Russia, e continua a ripetere gli identici errori commessi in passato – armare ulteriormente l’Est della Nato e Kiev, in modo che Mosca si senta ancor più minacciata e prosegua la brutale offensiva in Ucraina – nulla di paragonabile accade sul fronte medio orientale, dove lo Stato d’Israele sta liquidando i palestinesi a Gaza, ed è pronto ad annettere quasi tutta la Cisgiordania oltre a Gerusalemme Est, occupate dal 1967. Se si eccettuano Spagna e Irlanda,...
L’agenzia statunitense di rating, Fitch, ha appena alzato il punteggio dell’Italia, portandolo da BBB (merda di cane) a BBB+(merda di vacca). Può sembrare una differenza minima, ma era dal 2021 che non succedeva. Tra le motivazioni principali c’è il fatto che il debito pubblico sta scendendo. Ora, facciamo pure finta che Fitch non sia la stessa agenzia di rating accusata, insieme ad altre agenzie come Standard & Poor e Moody’s, di aver assegnato rating eccessivamente elevati a titoli finanziari legati ai mutui subprime, contribuendo così alla...
Furfanti, canaglie, falsari: difficile raccapezzarsi nella scelta delle caratteristiche per cui si distinguono, in un pericoloso crescendo, i guerrafondai euroatlantisti e i manigoldi delle redazioni belliciste che fanno loro da portavoce. «Sfida di Putin nei cieli della NATO», è il titolone di prima pagina del Corriere della Sera dopo il presunto sconfinamento di tre jet russi nello spazio aereo estone. Ovvio che la secca smentita del Ministero della difesa russo, secondo cui non c'è stato alcuno sconfinamento, come confermato dai...
Quando ho pubblicato il mio libro, “L’Età dello Sterminio” nel 2024, non immaginavo che potesse essere così profetico quando ho notato la tendenza storica delle minoranze ad essere sterminate dai gruppi più grandi. È esattamente ciò che stiamo vedendo a Gaza. Lì potremmo presto assistere agli effetti della “sindrome da rialimentazione” che causa la morte rapida delle persone dopo un lungo periodo di fame, anche se vengono fornite loro delle provviste alimentari. È un ulteriore esempio dell'effetto Seneca espresso con la frase “La rovina è...
L’ analisi dei fatti, sempre ben riportata da Simplicius, ci sollecita sempre la domanda: dove stiamo andando? Ho già spiegato a iosa il mio punto di vista: i banksters ci stanno portando in una WW3 che avrà come sempre l’epicentro in Europa. Quindi ogni volta si tratta solo di chiederci: a che punto siamo? A questo ho risposto in altra occasione che siamo in uno “stallo”; nel momento in cui i “piani A” dei due contendenti, NATO e Russia, sono sostanzialmente falliti ma esiste ancora, in realtà esisteva fino a due settimane fa, una “finestra”...
Il Cremlino è tornato a sfidare l’Europa” titolano più o meno con questi termini quasi tutti i giornali in Italia e in Europa dopo le supposte violazioni dello spazio aereo estone da parte di 3 Mig-31 russi, “abbattuti” o forse solo “intercettati” (a seconda dei giornali e dei TG) dagli F-35 italiani basati ad Amari (Estonia) nell’ambito della NATO enhanced Air Policing (eAP) nella regione baltica dove, a rotazione con altre forze aeree NATO, difendono lo spazio aereo delle tre repubbliche prive di aerei da guerra e di difesa antiaerea...
L’attacco da parte dell’esercito israeliano deciso unilateralmente dal governo Netanyahu contro Gaza City assomiglia sempre più a una sorta soluzione finale di tragica memoria. Avviene nella totale complicità e indifferenza non solo del mondo occidentale (con sporadiche eccezioni, vedi Spagna e Irlanda) ma anche del mondo arabo. In questi giorni a Bruxelles si è riunita la Commissione Esteri della UE, che ha approvato un pacchetto di misure, che viene definito dalla stampa, “senza precedenti nei confronti di Israele: si va dalla sospensione...
Le politiche di Netanyahu hanno scavato un solco tra Israele e la base trumpiana. Una parte consistente di quest’ultima ora accusa lo Stato ebraico di complicità nell’uccisione di Kirk L’assassinio dell’attivista conservatore Charlie Kirk dà un’ulteriore accelerata alla crisi che sta disgregando il tessuto socio-politico americano. L’intensificarsi della violenza politica è un sintomo del declino statunitense. Essa ha colpito esponenti repubblicani e democratici, e non ha risparmiato neanche il presidente Donald Trump, vittima di due falliti...
Il 7 ottobre del 2023 è stata scritta una pagina di Storia da parte della Resistenza arabo-palestinese. L’Operazione Diluvio di al Aqsa è stato un atto rivoluzionario per la liberazione della Palestina, che ha mostrato come una popolazione indigena, da quasi 80 anni espropriata da una entità colonizzatrice di ogni diritto all’esistenza sociale e politica, possa tentare l’impossibile, ovvero mettere in ginocchio una potenza nucleare, avamposto dell’imperialismo occidentale. Quell’assalto “Ha insegnato che ci si può tirare fuori dalla fossa più...
Si dice che Trump non sia stato consultato e neppure avvertito dell’attacco dell’aviazione israeliana a Doha. Dato che l’attacco non avrebbe potuto avvenire senza la piena connivenza e la costante assistenza delle forze armate statunitensi, se ne dovrebbe concludere che ormai Trump sia diventato un Biden 2.0, un presidente di facciata, sempre meno capace di intendere e di volere. Ma il vero scoop relativo all’attacco a Doha è stato la notizia secondo la quale il Mossad avrebbe espresso la propria contrarietà, tanto da non partecipare...
A Gaza, capitalismo, imperialismo, colonialismo e i gruppi umani che concretamente ne incarnano e realizzano le logiche di funzionamento si mostrano per quello che storicamente sono: modi di produzione e governo che tendono a distruggere tutto ciò che ritengono inutile o di ostacolo al proprio dominio. È questo che il Governo e l’esercito di Israele, in complicità con quello degli Stati Uniti e di tutte le imprese e gli stati che con essi collaborano, stanno facendo da decenni, con un’accelerazione radicale, giunta fino alla forma del...
Io davvero non riesco a capire come siamo finiti in questo tombino dialettico permanente, fatto di dicotomie e polarizzazioni inutili, stupide, anti logiche, di timore reverenziale nei confronti della argomentazione, anzi della precisione delle parole, dell’utilizzo assennato dei loro significati, del vittimismo costante, del mal riposto riflesso d’indignazione, della sudditanza verso il vuoto conformismo del silenzio, oppure della frase di circostanza a corollario del lutto, della perdita, dello shock. Un intellettuale di nome Odifreddi dice...
E’ bastato un anno per verificare che “l’agenda Draghi” era una tigre di carta. O, più precisamente, che si trattava di mega-piano costruito sul wishful thinking, una sfilza di desideri messi nero su bianco, ma sostanzialmente privo di programmazione, direzione politica e operativa, connessione stretta tra mezzi e obiettivi. Irrealistico, insomma. Parlando di nuovo a Bruxelles, nella conferenza della Commissione Ue sul primo anno del suo report sulla competitività, ieri “superMario” ha recitato come sempre la parte del guru che saprebbe come...
Netanyahu “mi sta fottendo”. Così Trump ai suoi collaboratori dopo il bombardamento israeliano del Qatar. Lo riporta il Wall Street Journal, secondo il quale il presidente, pur frustrato per l’ennesima volta dall’iniziativa del premier israeliano, non può rompere pubblicamente. Secondo il WSJ si spiega con la sua stima per gli uomini forti. Una seconda spiegazione, più convincente, è per “l‘influenza del leader israeliano sul Congresso e sui media repubblicani“… Altra spiegazione, che potrebbe sommarsi a quest’ultima, l’ha data l’ex...
Uno degli insegnamenti fondamentali della storia è che per comprendere i destini dell'Europa bisogna guardare alla Francia. Una verità questa che probabilmente è vera sin dai tempi della nascita dello stato nazione francese, ma che è diventata sempre più vera con il passare dei secoli nei quali si sono verificati – proprio in Francia - fenomeni peculiari come l'Illuminismo, la Rivoluzione Francese e l'epopea napoleonica. Ancora oggi è così, la Francia è l'unico paese dell'UE ad avere il deterrente nucleare e a sedere nel Consiglio di...
In qualsiasi conflitto, le parole sono utilizzate per velare la realtà – se non per mistificarla. E, ovviamente, l’ennesimo divampare cinetico della lunga guerra di liberazione della Palestina non fa eccezione. Quando Netanyahu e la sua gang di fanatici messianici parlano di Grande Israele e di “ridisegno del Medio Oriente”, stanno ammantando con un linguaggio trionfalistico e ambizioso quello che è, in effetti, un disegno strategico che nasce da profonde preoccupazioni. Israele ha sempre avuto, sin dalla sua fondazione, l’imperativo di...
L’assassinio di Charlie Kirk rischia di diventare un altro 11 settembre americano, e forse mondiale se ripeterà l’effetto domino di allora. Per ora ha scatenato una reazione durissima in ambito repubblicano, dal presidente Trump in giù, contro l’estremismo cosiddetto di sinistra. Reazione che sembra poter dar vita a un maccartismo di ritorno, ma più estremo del precedente, che vedrebbe indebite convergenze tra la lotta contro i movimenti cosiddetti “antifa” a quella contro l’immigrazione clandestina e, soprattutto, quella contro la causa...
Mentre in tutto il mondo si mobilitano milioni di persone per sostenere la Sumud Flottilla e da Gaza le voci di giornalisti, militanti della Resistenza, a partire dal FPLP, medici e comuni Gazawi si levano voci a favore di questa straordinaria iniziativa, Radio Gaza, in L’Antidiplomatico, opera un’azione di sabotaggio e delegittimazione dell’impresa. Ricordando che intorno alla Flottilla , per supportarla si sono mobilitati artisti famosi, intellettuali, attivisti e cittadini sensibili alla causa palestinese, siamo sconcertati da una...
La portata del piano di riarmo tedesco è enorme. Ma altrettanto gigantesca è la sua sottovalutazione. In tanti, sottolineando giustamente la difficoltà di adeguare le dimensioni della Bundeswher alla montagna di armi di cui verrà rifornita, concludono che alla fine tutto finirà in una bolla di sapone. Più esattamente in una mera operazione economica, utile a tener su l’economia in una fase in cui boccheggia, ma del tutto inadeguata al fine di far riemergere l’antica potenza militare di Berlino. Davvero stanno così le cose? Ne dubitiamo assai....
Quando si scopre che la maggioranza (73% secondo l’ultimo poll) della civile, colta, democratica popolazione israeliana supporta una sorta di “soluzione finale” nei confronti dei palestinesi non ci si può che chiedere: com’è possibile che ciò accada? Com’è possibile che qualcuno di fronte a manifeste, continue forme di prevaricazione e violenza nei confronti di soggetti innocenti (bambini, anziani, civili) continui a difendere serenamente queste attività? La risposta è in effetti semplice: nel caso della popolazione israeliana si tratta di...
Il titolo di Oracle, in una sola seduta di Borsa, ha guadagnato il 40%, portando la capitalizzazione della società non lontana dai 1.000 miliardi di dollari. Era già salito del 45% nelle giornate precedenti. Da che cosa è dipesa una simile impennata? I numeri reali parlano di un fatturato di 57 miliardi di dollari, quattro in più rispetto al 2024 e di un utile netto di 12 miliardi, due in più dell'anno precedente. Numeri importanti, dunque, ma che forse non giustificano un'esplosione come quella registrata in pochissime sedute, su cui hanno...
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Nuove note su “lavoro di cittadinanza”, salari minimi, Piano del lavoro e terzo settore
di Jacopo Foggi
A poche settimane di distanza dalla più volte rinviata pubblicazione del libro da me curato (Tornare al lavoro. Lavoro di cittadinanza e piena occupazione, Castelvecchi) dedicato al “lavoro garantito”, “occupazione di ultima istanza” o “lavoro di cittadinanza”, che dir si voglia, mi sembra opportuno riprendere il filo del discorso per aggiornarlo alla luce di dibattiti e vicende più recenti ed esplicitarne alcuni aspetti in funzione delle esigenze di sviluppo del nostro martoriato paese.
Per chi si fosse perso il tema di cui stiamo parlando, sintetizziamo brevemente gli elementi centrali. Si tratta di una politica che consiste, almeno in prima battuta, in un intervento pubblico di “occupazione di ultima istanza” che, rifacendosi appunto all’azione delle banche centrali come prestatrici di ultima istanza, vede le istituzioni governative entrare in campo come datori di lavoro di ultima istanza nel momento in cui il mercato prevedrebbe o di non offrire alcun posto di lavoro retribuito oppure di fornirne solo di pagati al di sotto delle soglie dei redditi minimi consentiti e stabiliti per legge, o in generale a livelli di povertà – per la misera retribuzione o per le troppo poche ore. Analogamente al modo in cui la Banca centrale garantisce alle banche e allo Stato anticipazioni o scoperti di conto ad un tasso prestabilito sostenibile nei momenti di carenza di liquidità, stabilendo così un tetto massimo al tasso di interesse e garantendo la circolazione monetaria, allo stesso modo lo Stato decide di fornire un impiego retribuito, a un livello salariale di base ma dignitoso, a tutti coloro ai quali il mercato imporrebbe condizioni inaccettabili, vuoi perché semplicemente inesistenti, vuoi perché troppo basse per essere ritenute socialmente accettabili, stabilendo così un pavimento minimo alle retribuzioni1.
L'intreccio patriarcato-capitalismo libero dai marxismi
di Franco Romanò
Questo saggio è stato ampiamente discusso nella redazione ed è solo la prima parte di una riflessione più ampia che seguirà. Una rinnovata critica radicale al sistema capitalistico non può prescindere dai suoi intrecci con il patriarcato: è questo il nodo che i marxismi novecenteschi in tutte le loro declinazioni, non hanno saputo o potuto affrontare. Nel pensiero più vitale e meno determinista di Marx, liberato dalle tradizioni novecentesche, ci sono tuttavia spunti che riteniamo dense di futuro. A partire da questa considerazione e dalla pratica di resistenza dei movimenti contemporanei, il saggio si propone di offrire riflessioni e idee in divenire per una nuova soggettività antagonista
Introduzione
Continuiamo a rileggere Karl Marx. Un po’ per lasciarci alle spalle tutti i ‘marxismi’, un po’ perché nel Marx giovane continuiamo a trovare sorprese sulle quali ci sembra molto opportuno riflettere; ma su Overleft abbiamo anche lo sguardo puntato sul presente, soprattutto su ogni movimento che definisca la propria lotta dentro una critica radicale al capitalismo e al suo intreccio col patriarcato, un presupposto quest’ultimo per noi irrinunciabile che proviene dalle analisi e lotte di buona parte del femminismo. Il sistema patriarcale e capitalistico continua a produrre i propri antagonisti come accadeva nei due secoli precedenti (La storia non è finita con buona pace di Fukuyama e di chi è succube del Tina, There Is No Alternative, l’espressione varata da Margarteh Thatcher). Il capitalismo reale, seguito alla caduta del socialismo reale che nell’immaginario era la causa di tutti mali, ha prodotto decine di guerre nel giro di trent’anni, un impoverimento vertiginoso delle classi salariate e dei ceti medi, lo smantellamento del welfare, l’aumento vertiginoso di costi ambientali che rischiano di diventare irreversibili, riciclato tutti i modelli di oppressione a cominciare da quella di genere, modulandola in modo diverso nei diversi contesti. Tuttavia, sono nate del in questi anni ribellioni e movimenti, a volte più strutturate altre volte più caotiche, che hanno comunque prodotto lotte sociali e forme di resistenza che si collocano all’esterno e spesso contro le formazioni politiche e sindacali del marxismo novecentesco.
Con la Nuova Via della Seta la Cina è vicina, anzi è tra noi
di Pino Nicotri
E anziché cercare il dominio politico militare cerca l’incremento degli scambi. Non solo commerciali
Il Mediterraneo – una volta il Mare Nostrum – tornerà ad essere ciò che il suo nome significa, e cioè “In mezzo alle terre”, dove per terre si intende l’Europa, l’Africa e l’Asia? E’ possibile, se non probabile o certo. E a riempire concretamente il significato del suo nome sarà il poker d’assi porti italiani di Genova e Trieste e quelli spagnoli di Bilbao e Valencia più quello portoghese meridionale di Sines: questo infatti anche se affacciato sull’Atlantico farà da snodo verso l’Africa. Questi cinque porti saranno i terminali occidentali del gigantesco progetto cinese Belt and Road Initiative, in sigla BRI, noto anche come Nuova Via della Seta, al quale hanno già aderito 60 Paesi più oltre 40 organizzazioni internazionali e che intende stimolare anche con rotte navali non solo l’integrazione dei commerci e delle economie dei tre continenti citati, ma diventare per loro “un percorso che porta all’amicizia, allo sviluppo condiviso, alla pace, all’armonia e ad un futuro migliore”. Lo ha dichiarato a Shangai lo scorso novembre il presidente della Cina Xi Jinping all’International Economic and Trade Forum, al quale il 5 novembre ha partecipato, con il suo secondo viaggio in Cina, il nostro vicepremier e ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio (https://video.repubblica.it/politica/shanghai-la-gaffe-di-luigi-di-maio-il-presidente-xi-jinping-diventa–ping/318842/319471).
Poche settimane dopo avere pronunciato quelle parole il presidente Xi è stato in visita in Spagna dal 27 al 29 dello scorso novembre per proporre l’adesione alla BRI anche alla Spagna, Paese nel quale l’anno scorso la compagnia navale cinese Cosco Shipping Holdings si è aggiudicato il 51%, cioè la maggioranza assoluta, del gruppo spagnolo Notaum Port, gestore dei servizi portuali per le navi container a Bilbao e Valencia. E se la Spagna si è riservata di decidere, il Portogallo invece lo scorso 5 dicembre ha aderito e concesso per la BRI lo sbocco nel porto di Sines, sulla costa meridionale del Portogallo e poco distante dallo Stretto di Gibilterra.
I gilets jaunes visti da vicino: un’analisi di classe del movimento
I limiti della sinistra italiana
di Lorenzo Battisti
Spesso per comprendere la natura di un fenomeno sociale è bene osservarlo da una certa distanza. Quando vivevo in Italia questo mi permetteva di cogliere meglio certi aspetti delle vicende francesi, poiché non ne ero personalmente coinvolto. Al contempo questa distanza dovrebbe permettere ai compagni italiani di leggere meglio di me (che ora vivo in Francia) il movimento dei Gilets Jaunes, i gillet gialli.
L’impressione purtroppo sembra opposta: per qualche ragione i compagni italiani hanno di questo movimento un’immagine che non corrisponde affatto alla realtà. Cercherò di fare un’analisi del movimento e di spiegare le ragioni di questa attitudine italiana a scambiare i propri sogni per la realtà.
Genesi del movimento: l’ecotassa sul carburante
Il movimento è partito nel mese di Novembre come protesta spontanea e auto-organizzata contro l’introduzione di un'accisa sui carburanti volta a finanziare il passaggio del parco auto francese verso modelli meno inquinanti. L’idea del governo era di punire i gli inquinatori, per premiare con gli introiti i cittadini responsabili. In realtà si è trattato della goccia che ha fatto traboccare il vaso di una Francia già soggetta un carico fiscale importante[i].
La struttura attuale dell’Unione Europea infatti non colpisce solo i lavoratori, lanciandoli in una competizione al ribasso, in cui ciascuno è costretto ad accettare condizioni di lavoro sempre peggiori per ottenere che il lavoro venga svolto nel proprio paese invece che nel paese a fianco. Questa colpisce anche i sistemi fiscali che vengono messi in competizione l’uno contro l’altro per far sì che le grandi imprese investano nel proprio paese. Se il paese a fianco fa uno sconto fiscale del 30%, noi dobbiamo farlo del 40%, cosa che porterà un terzo paese a farlo del 50%. Il risultato è che le grandi imprese multinazionali di fatto non pagano più imposte, e ora la competizione è sugli incentivi per farle venire o per non farle andare via: il loro saldo fiscale è passato da negativo a positivo. Queste imprese pagano imposte zero, e ricevono una parte delle imposte pagate dagli altri sotto forma di incentivi.
Il carattere della Rivoluzione russa: il Trotsky del 1917 contro quello del 1924
di Lars T. Lih
Nell’aprile del 1917, Georgii Plekhanov – venerando esponente della socialdemocrazia russa, ma in quel momento confinato nell’ala “difensista” dello spettro socialista – scriveva una coppia di articoli che, per una via inaspettata e sorprendente, sono divenuti la base dell’odierna narrazione del “riarmo” dei bolscevichi durante la rivoluzione. In questi articoli, Plekhanov formulava le seguenti asserzioni:
1. Nelle sue Tesi di aprile, Lenin proclamava il carattere socialista della Rivoluzione russa.
2. Così facendo, Lenin sottovalutava la natura arretrata della società russa.
3. La nuova posizione assunta da Lenin costituiva un’esplicita rottura rispetto all’ortodossia marxista da lui stesso propugnata in precedenza.
4. Affermare il carattere socialista della Rivoluzione russa rappresentava una necessità logica per chiunque sostenesse il trasferimento del vlast (l’autorità politica sovrana) ai soviet.
5. Il riconoscimento della natura democratica-borghese della rivoluzione implicava logicamente il sostegno al Governo provvisorio.
Queste cinque proposizioni sono ortodossia assolutamente incontrovertibile per la maggioranza degli autori, tanto accademici quanto militanti, che si occupano di Rivoluzione russa. Curiosamente, tuttavia, lo stesso Lenin respinse ognuna di queste affermazioni.
In un articolo rivolto contro Plekhanov, pubblicato sulla Pravda il 21 aprile, Lenin sottolineava che “se i piccoli proprietari costituiscono la maggioranza della popolazione e se non esistono le condizioni oggettive per il socialismo, come può la maggioranza della popolazione dichiararsi a favore del socialismo?! Chi può dire e chi dice di introdurre il socialismo contro la volontà della maggioranza?!”. Fatto cruciale, Lenin asseriva che la via verso il potere al soviet era cionondimeno dettata dalla natura democratica della rivoluzione: “Com’è allora possibile , senza tradire la democrazia, pur intesa alla maniera di Miliukov, pronunciarsi contro la «conquista del vlast politico» da parte della «massa lavoratrice russa»?” (Si veda il quinto post di questa serie, “‘Una questione fondamentale: le glosse di Lenin alle Tesi di aprile’”).
Il documento politico approvato dal Coordinamento nazionale di Potere al Popolo del 24 marzo
“Sono tempi difficili, lo so, ma non cedete alla rassegnazione, non abbandonate la speranza, mai! Neppure per un attimo. Anche quando tutto sembra perduto e i mali che affliggono l’uomo e la terra sembrano insormontabili, cercate di trovare la forza e di infonderla nei vostri compagni. È proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve. E ricordate sempre che ogni tempesta comincia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia”.
Sono queste parole, scritte dal combattente YPG e partigiano italiano Lorenzo “Orso”, ad aver ispirato il Coordinamento Nazionale di domenica 24 marzo. Queste parole, così come il video e l’esempio di Lorenzo, hanno colpito noi come migliaia di persone. Perché hanno dimostrato di cosa è possibile una singola persona quando è animata da una grande idealità e da un forte sentimento del collettivo, ci hanno riportato al senso originario del nostro fare politica, che a volte si perde fra mille urgenze e problemi, ci hanno dato forza e mostrato l’orizzonte.
Ci siamo rivisti in queste parole perché Potere al Popolo! nasce proprio come una sfida: che tanti singoli partigiani e diverse “bande” che quotidianamente resistono, potessero mettersi insieme, trasformare le singole gocce che oggi si perdono o vengono assorbite, in una tempesta che lavi via lo sporco del nostro paese e di questo mondo.
Ci siamo rivisti in queste parole perché Potere al Popolo! non ha mai voluto essere l’ennesima forza di sinistra, magari più estrema, a fianco e in conflitto con le altre, ognuna fissata con la sua piccola verità. Ma soprattutto un messaggio, un movimento popolare, una struttura di collegamento, di diffusione e di organizzazione di pratiche, di condivisione di saperi e competenze, di finalizzazione delle lotte, di spinta all’autorganizzazione sui territori, di visibilità di un’altra Italia, di quella città futura, come diceva Gramsci, che già oggi esiste in embrione, ma che deve affermarsi contro chi impoverisce le nostre vite.
«La radio al buio e sette operai / sette bicchieri che brindano a Lenin / e Stalingrado arriva nella cascina e nel fienile / vola un berretto un uomo ride e prepara il suo fucile / Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa / D’ora in poi troverà Stalingrado in ogni città.»
Stalingrado, Stormy Six.
La ricorrenza del centoquarantesimo anniversario della nascita di Iosif Vissarionovic Giugasvili, detto Stalin (1879-1953), costituisce un’occasione per interrogarsi sul ruolo di una personalità che, dopo aver dominato la scena della politica interna del suo paese e la scena della politica internazionale del mondo intero nella prima metà del ventesimo secolo, ha continuato a proiettare una lunga ombra sugli sviluppi politico-ideologici dei decenni successivi sino ai nostri giorni.
Può allora essere utile ricordare il significato di questo soprannome, gridando il quale (“Sa Stalina!”, ossia “Per Stalin!”) milioni di soldati sovietici combatterono nella Grande Guerra Patriottica, sacrificando la loro vita per difendere il primo Stato socialista del mondo: Stalin, cioè ‘acciaio’, un soprannome che indica due qualità essenziali di questo metallo, la durezza e la flessibilità, e la loro incarnazione in un leader bolscevico che lo stesso Lenin ebbe a qualificare come “quel meraviglioso georgiano” (definizione etnica che compare nel sottotitolo di una bella biografia di Stalin scritta da Gianni Rocca 1). Poiché una figura come quella di Stalin non permette di operare un taglio netto fra la leggenda (sia eulogica sia demonizzante), che ben presto si è formata attorno a tale figura, 2 e la concreta funzione storica che questa personalità ha svolto nel “secolo degli estremi”, proverò ad accendere su questo soggetto ad alta tensione interpretativa alcuni ‘flash’ che ne fissano quelli che, secondo il mio giudizio, sono i tratti salienti.
In Impero di Toni Negri vi è l’analisi della condizione presente del capitalismo assoluto; la “rete capitale” è un’invisibile gabbia d’acciaio, il suddito vive la sussunzione formale e materiale, in media, senza percepirne l’onnipresenza. La rete del capitale produce ininterrottamente merci, astrae materie prime, ma il potere è creatura prometeica e demiurgica, nello stesso tempo produce, con lo stesso ritmo, merci e coscienze. Il potere è biopotere che predetermina la vita, la gabbia d’acciaio è il trascendentale, il potere censura linguaggi, stabilisce gerarchie, attraverso le sue maglie filtra un modo di essere e di esserci prestabilito, il tempo presente con i suoi stili di vita è così eternizzato. La guerra è il mezzo attraverso cui l’impero risolve le contraddizioni, essa diviene la condizione quotidiana in cui ogni contradizione ed alterità è assimilata al male “reductio ad Hitlerum” è la legge che prepara l’eliminazione/assimilazione in nome delle libertà, dei diritti civili. Si combatte il male in nome del bene, dei diritti umani, pertanto i bombardamenti umanitari sono necessari perché il bene trionfi, la crisi è la normalità dell’impero, una tattica di governo per rafforzare l’impero, per tenere in tensione i sudditi, per farli sentire, senza capire, che abitano nella parte giusta, che sono l’impero del bene in perenne lotta contro il male1:
”C’è qualcosa di inquietante in questa rinnovata attenzione per il concetto per il concetto di justum bellum che la modernità o meglio, la moderna secolarizzazione ha ostinatamente cercato di sradicare dalla tradizione medioevale. Il concetto tradizionale di guerra giusta comporta la banalizzazione della guerra e la sua valorizzazione come strumento etico: due assunti risolutamente respinti dal pensiero politico moderno e dalla comunità degli stati-nazione. Queste tradizionali caratteristiche sono invece riapparse nel nostro mondo postmoderno: da un lato, la guerra viene ridotta ad un intervento di polizia internazionale e, dall’altro, viene sacralizzato il nuovo tipo di potere che può legittimamente esercitare funzioni etiche mediante la guerra. (…) La guerra è divenuta un atto che si giustifica da sé.
Come funziona e un’analisi dei pro e dei contro: Ci sono sia gli uni che gli altri, ma non si può bocciare senza appello una misura che allevierà le condizioni di un numero elevato di persone, da 2,7 milioni (stima Istat) a 3,6 (secondo l’Upb). Il confronto con gli impieghi alternativi e le ipotesi sui moltiplicatori fiscali, che potrebbero essere migliori di quelli dichiarati dall’esecutivo
L’introduzione del Reddito di cittadinanza nel sistema di welfare italiano è stato fortemente voluto dal Movimento cinque stelle ora al governo insieme alla Lega, ed è stato un cavallo di battaglia della campagna elettorale che lo ha portato a un forte successo, con il 32% dei voti nelle elezioni dello scorso anno. Nonostante il nome, si tratta di una misura non universale, ma condizionata a documentate condizioni di disagio economico del nucleo familiare ed alla disponibilità, per i beneficiari che siano in età da lavoro e disoccupati, ad accettare percorsi di formazione e offerte di lavoro. Esso consiste nell’erogazione di un reddito fino a un massimo di 500 euro mensili per un singolo individuo, e poi articolato secondo la tipologia familiare: ad esempio 900 euro per una coppia con due figli minori e di 1050 euro (l’importo più alto) per famiglie più numerose, che può essere ulteriormente integrato da un contributo fisso di 280 euro mensili per il pagamento dell’affitto. Il RDC potrà essere versato per intero oppure come integrazione di un reddito (da lavoro o da pensione) inferiore a quelle soglie (quindi ad esempio un anziano che vive solo e percepisce una pensione di 400 euro mensili, non ha proprietà oltre una certa soglia e non ha altre fonti di reddito riceverà una somma di 100 euro mensili ad integrazione del proprio reddito). I beneficiari in età da lavoro riceveranno Il RDC per un ciclo di 18 mesi, che potrà essere rinnovato per altri 18 ma a condizioni più stringenti.
Si tratta quindi di una misura di sostegno del reddito e contrasto alla povertà simile a quanto già esiste in quasi tutti i paesi europei, ma che nel contesto italiano, prima di questo provvedimento, era presente solo in forma molto limitata, sia per numero di persone raggiunte, sia per l’importo modesto del reddito erogato.
Questo libro di Emanuele Leonardi[1], il cui sottotitolo è “Andrè Gorz tra marxismo e decrescita”, individua dei temi sui quali è necessario prendere posizione per collocare correttamente il discorso ambientale. Nella sua intenzione compie il difficilissimo tentativo di mettere in comunicazione l’area culturale, frastagliata e non omogenea ma certamente anti-marxista, della “decrescita”[2] con gli esiti dell’evoluzione dell’operaismo[3], con riferimento alla versione trontiana. Lo snodo è il progressismo, esplicito o implicito, e quindi l’atteggiamento verso lo sviluppo tecnologico e la società industriale. Ciò che rende pensabile il ponte, malgrado la grande distanza delle rive, è la valorizzazione, nel post-marxismo del recente operaismo, del ‘cognitivismo’, dei ‘commons’, nella migrazione progressiva dal concetto originario di “operaio massa”[4], a quello di “operaio sociale”[5], ed infine, nella versione negriana di “moltitudine”.
Leggere un libro, l’autore mi perdonerà, significa sempre ri-collocarlo entro il proprio universo di discorso, e dunque io lo collocherò esattamente al punto in cui termina, prematuramente, l’ultimo post sul fenomeno mediatico e sociale di Greta Thunberg[6]. E, magari, al punto di intersezione con questo post di Andrea Zhok, con il quale sono in accordo. Bisogna prendere le distanze “dall’ecobuonismo” liberale, in ogni e qualsiasi travestimento (di cui alcune versioni della “decrescita”, interpreti dello spirito borghese, sono espressione) ed inquadrare il superamento della crisi ambientale come parte, importante, dello sforzo di mettere in questione radicalmente quella che Leonardi chiama “logica del valore”, ovvero lo “spirito del capitalismo”. Nel post “Greta Thunberg”, lo squilibrio essenziale che ha consentito agli spiriti animali del capitalismo, in primo luogo incarnati nelle grandi imprese monopoliste finanziarie e non, di superare la crisi di accumulazione degli anni settanta, prolungandola e facendola pagare alle classi lavoratrici di tutto il mondo, è stato descritto, seguendone l’esteriorità, come sfruttamento di ‘periferie interconnesse’[7] nel sistema mondo.
Convegno internazionale a vent’anni dall’aggressione della Iugoslavia
Il contributo dei pellegrini di Sarajevo
Coloro che in questi giorni, in occasione del XX anniversario dell’aggressione Nato alla Serbia, si stracciano le vesti per una guerra che ha lacerato l’Europa e sancito la fine dello jus gentium, del diritto che regola i rapporti tra i popoli e impone il governo della legge su abusi e arbitri, sono quelli che il 24 marzo 1999, la mattina dopo le prime bombe, si armarono di menzogne e partirono per Sarajevo. Quinte colonne di pellegrini della pace accorsi a offrire un contributo alla frode che parlava di nazionalismo etnico dei serbi, del “dittatore” Milosevic, della persecuzione degli albanesi nel Kosovo, dell’assedio stragista dei serbi alla città bosniaca, del massacro di 8000 innocenti di Srebrenica (solo miliziani del capobanda Nasr Oric, fiduciario del fascista islamista Izetbegovic, massacratore – vero – di 3.500 serbi attorno a Srebrenica. Ma è Karadzic, il difensore dei serbi dalle orde jihadiste del fascista Izetbegovic, reclutate dalla Nato, che oggi viene condannato all’ergastolo dal tribunale pinocchiesco dell’Aja).
Sicari civili del generale bombarolo Wesley Clark esordivano alla grande a Sarajevo e Belgrado nella missione di asfaltare, con le calunnie sui serbi e sul loro governo, la via alla distruzione dell’ultimo lembo di quel grande esperimento di convivenza e progetto comune che era stata la Jugoslavia socialista di Tito. Comunità sovrana di popoli perno di un altro grande e positivo progetto di alternativa allo spadroneggiare dell’imperialismo: l’organizzazione dei Non Allineati.
Kosovo: l’inversione delle pulizie etniche
Insieme ai pionieri del 1992, Pannella e Bonino, in mimetica accanto ai neo-ustasha croati, al Papa polacco in testa alle sue truppe in tonaca, al pacifista Alex Langer convertitosi al bellicismo Nato, con l’invocazione di bombardamenti sui serbi, ai revanscisti di Berlino, che i serbi, pur con una mano legata dietro alla schiena, avevano sconfitto da soli, torme di Ong avevano già invaso il Kosovo e s’erano già fatte apprezzare da vivandiere degli squartatori dei Balcani.
Europee: coazione a ripetere e dissolvimento della sinistra
di Domenico Moro, Fabio Nobile
Il contesto politico italiano appare significativamente modificato rispetto ad appena un anno fa. Secondo il sondaggio Emg Acqua per Agorà, se si votasse oggi, la Lega avrebbe il 31% dei voti contro il 17,4% delle elezioni politiche di un anno fa, mentre il M5s avrebbe il 23,4% contro il 32,7%. Il Pd appare in lieve risalita, dal 18,5% al 21%. I sondaggi non sono elezioni e possono sbagliare anche di alcuni punti percentuali. Tuttavia, è indiscutibile che il rapporto di forze tra Lega e M5s si sia ribaltato.
Il voto fuoriesce dal M5s sia verso destra sia verso sinistra, sia per le difficoltà del M5s a mantenere le promesse elettorali, sia per l’egemonia che, all’interno del governo, si è conquistato Salvini. Questi è stato molto abile a focalizzarsi su un tema a costo zero, gli immigrati, mentre il M5s è alle prese con temi complessi e difficili, come quello dello sviluppo economico. Il non aver fatto i conti con i vincoli europei, a dispetto delle promesse “sovraniste”, rende esigui i margini di manovra, ad esempio sul reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del M5s. Tali limiti sono accentuati dall’impreparazione dei quadri del M5s e dal recente scandalo, che coinvolge il presidente del Consiglio comunale di Roma. Si tratta di un grave danno per il M5s che ha fondato la sua identità di partito sull’onestà e sulla critica morale alla “casta” dei politici.
Se quanto abbiamo detto è vero, allora la sinistra radicale dovrebbe e potrebbe intercettare almeno una parte del voto in uscita dal M5s, anche perché è verso il M5s che è andata molta parte del voto della sinistra radicale nell’ultimo decennio[1]. Invece, il rischio concreto è che la sinistra radicale non riesca in tale compito e che il voto in uscita dal M5s o vada all’astensionismo, in cui staziona molta parte delle classi subalterne, o rifluisca nel Pd.
A proposito di Europa, sovranismi ed elezioni europee
di Enzo Gamba
Il confronto tra le forze politiche di sinistra sul programma e le alleanze in vista delle elezioni europee ha palesato problemi e limiti riguardanti la corretta valutazione dei rapporti di forza e la radicalità vista come antidoto al tradimento di classe e al riformismo
Complici le imminenti elezioni europee, si sta sviluppando un dibattito politico sulla questione europea tesa a delineare una posizione politica di classe alternativa a quelle che vanno per la maggiore nel quadro politico italiano ed europeo: quella europeista liberista e quella nazional-sovranista.
Nelle minoritarie forze comuniste, o in quelle che quantomeno rimangono ancorate ad una visione di classe ed ad una prospettiva di società socialista, sembra essere abbastanza acquisito il fatto che le due impostazioni ideologico-politiche dominanti, in apparenza contrapposte, siano in realtà due facce della stessa medaglia, che rispondono, all’interno del fronte borghese, l’una alla grande borghesia sovranazionale, l’altra alla piccola e media borghesia nazionale del piccolo capitale, accomunate però da un’unica politica di classe antidemocratica ed antipopolare. Appare scontato ricordare che proprio la grande borghesia sovranazionale, quella del grande capitale monopolistico finanziario transnazionale, in concomitanza con il deflagrare e acuirsi della crisi dagli anni 70/80 in poi, ha diretto e gestito il processo europeo e che la contrapposizione nazional-sovranista della piccola borghesia è espressione di una contraddizione intra-capitalista in cui essa è storicamente e strategicamente perdente, contraddizione tutta interna al campo borghese.
Per non rimanere però ad un livello di critica sovrastrutturale è bene ricordare, seppur in modo succinto e schematico, alcuni aspetti che definiscono l’attuale fase imperialista europea, quella del grande capitale monopolistico finanziario transnazionale europeo. Innanzitutto il processo di “transnazionalità” che ha interessato i vari imperialismi nazionali europei, così come li abbiamo conosciuti nel secondo dopoguerra, è tuttora un aspetto che opera in maniera forte nel quadro economico del vecchio continente, anche se è ben lungi dal determinare l’esito di un imperialismo europeo univoco e strutturato, come è il caso di quello usa-americano e che come tale si pone come unico e unitario attore sulla scena imperialista internazionale.
Capitolo 3 - Condizioni strutturali e informative di realizzazione della pianificabilità (parte II)
Introduzione di Paolo Selmi
Rimasi colpito da questa immagine sin dal primo momento che la vidi, per puro caso, oltre dieci anni fa, senza sapere chi l’avesse fatta e chi ritraesse. Mi colpiva la capacità avuta dal fotografo di riprendere, con discrezione esemplare (quel saper mettersi di lato senza dare fastidio, fino a confondersi con i soprammobili) e un sapiente uso della composizione fotografica (anche un profano capisce immediatamente che stiamo parlando di musica), della messa a fuoco selettiva (lessi poi che l’obbiettivo era stato aperto a f/4,5 sul volto del personaggio ritratto), e dei tempi lenti (1/15 sec., sempre seppi poi, utili a trasferire su sali d’argento la tensione dinamica della mano in primo piano), una scena per nulla semplice da “de-scrivere con la luce” (foto-grafia), come quella di un musicista al lavoro.
L’ho ritrovata qualche anno fa, sfogliando vecchi numeri del giornale Sovetskoe Foto1, raccontata dall’autore stesso, il fotografo Viktor Rujkovič. Il compositore ritratto altro poi non era che Vasilij Pavlovič Solov’ev-Sedoj (1907-1979), versatile autore di alcune fra le canzoni sovietiche più celebri del secolo scorso, nonché colonne sonore di film e balletti. Ebbene, l’autore di Podmoskovnye večera e Solov’i, in quell’immagine mi aveva colpito come sapesse scrivere e leggere le note al punto di ascoltarle senza sentirle, completamente immerso nella sua composizione al punto prefigurare e partecipare emotivamente alla sua esecuzione, vedendo i piani e i forti, cogliendo le sfumature di ciascuna parte, così come la visione d’insieme: il tutto, partendo da una semplice, “bidimensionale”, scrittura sul pentagramma, che tuttavia la sua mente sentiva già nell’aria come alla sera della prima.
La stessa capacità di visualizzazione o, meglio, di previsualizzazione, la ritrovai qualche anno più tardi in tutt’altro ambiente. Ansel Adams inaugurava la sua monumentale trilogia sulla fotografia teorizzando proprio come, nel momento dello scatto, il fotografo dovesse già prefigurare, avere in mente il prodotto finale, la stampa (in bianco e nero, ovviamente) che voleva ottenere:
Il provincialismo è una malattia culturale grave. Quasi mortale. Lo dimostra ogni giorno il livello della discussione pubblica – imposta dai media mainstream – normalmente al di sotto degli standard minimi vigenti altrove. E, come andiamo ripetendo da anni, questa brutta malattia è diffusa soprattutto “a sinistra”, dove è totale la sudditanza alle cazzate sparate da Repubblica e Tg3 (che pure non dovrebbe più poter essere scambiato con la TeleKabul del compianto Sandro Curzi).
Ma neppure noi osavamo credere a una sindrome autenticamente bipolare (in senso quasi clinico), per cui se un’analisi critica impietosa dell’Unione Europea viene fatta da compagni italiani viene immediatamente bollata come “sovranista” (o peggio), mentre se arriva in traduzione da una prestigiosa rivista francese ottiene una pubblicazione in prima pagina.
E’ quello che è accaduto con la versione italiana di Le Monde Diplomatique, tradotta e pubblicata in allegato da il manifesto. Ovvero da un quotidiano che ha pesantemente contribuito a diffobdere, qui da noi, una visione ideologica, “romantica” assolutamente e fasulla della Ue.
Vi proponiamo perciò l’editoriale di apertura di Frédéric Lordon, che potremmo sottoscrivere pressoché per intero, con distinguo veramente marginali. Straordinaria, secondo noi, soprattutto l’analisi sulla “sinistra colta” incapace di prendere atto della realtà; e, al contrario, l’atteggiamento del nostro “blocco sociale” che capisce immediatamente qual’è il problema (dovendo fare i conti con la perdita di potere d’acquisto dall’introduzione dell’euro in poi).
Buona lettura e che l’ideologia “europeista” vi abbandoni…
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Invece di vertere sui problemi comuni dell’Unione, le elezioni europee giustappongono ventisette consultazioni sulla politica interna. Nella maggior parte degli Stati, gli elettori si pronunceranno soprattutto a favore o contro la squadra al governo.
Internet: una storia di evocazione, di bolle e di sussunzione del capitale
di humanaesfera
Internet: una forma che inizialmente ha impedito la proliferazione della materia bruta, selvaggia, e che ha richiesto decine di anni per poter essere domata, ed essere sussunta realmente al capitale
1.Una forma che non era in grado di opporsi all'irruzione di un contenuto sociale indomabile (ma che si trovava ad essere contenuto all'interno dei suoi limiti)
L'iniziale apparizione pubblica di Internet (negli anni '90, con il World Wide Web [*1]) ha generato delle circostanze sociali inedite che il capitale, per decine d'anni, non è stato in grado di sussumere realmente all'interno della forma merce e della forma capitale. Per circa 20 anni, la pirateria (relativa al software, alla conoscenza e all'arte) è stata irreprimibile e generalizzata, e c'erano migliaia di ambiti (forum di discussioni, siti a tema ...) dove era possibile a chiunque - di solito, facendo uso di pseudonimi - appropriarsi, sviluppare, creare e condividere gratis ogni tipo di conoscenza e arte direttamente con qualsiasi altro essere umano sulla faccia della terra che frugasse su Internet. Uno degli aspetti era la potente comunità di software libero che spesso dettava quelli che erano i progressi di Internet e del software in opposizione alle imprese, contro la mercificazione e contro lo Stato.
L'iniziale struttura fisica di Internet era una forma materiale creata e foraggiata attraverso un afflusso di capitali provenienti da tutto il mondo, alla folle ricerca di opportunità che promettevano accumulazione. L'effetto collaterale è stato quello di creare condizioni tecniche selvagge, che a partire da una tale base, almeno sul piano intellettuale ed artistico, hanno portato ad una proliferazione di contenuto sociale libero, che nella pratica affermava senza troppe chiacchiere il principio: «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni».
Di fronte ad un simile contenuto sociale, la proprietà privata ( e pertanto l'estrazione di plusvalore) era non solo inadeguata, ma impraticabile.
La proposta di un lavoro di cittadinanza nasce dalla necessità di offrire un’alternativa sostenibile alla disoccupazione e all’inattività, purtroppo in crescita, andando a garantire un reddito a chi ne è attualmente privo. Contemporaneamente, si consente la fornitura di servizi che altrimenti sarebbero fuori mercato, aumentando il benessere della comunità, cioè la ricchezza reale condivisa di beni e servizi, diminuendo la spesa pubblica assistenziale e aumentando il Prodotto Interno Lordo.
Perché è necessario affrontare la disoccupazione? Perché è un problema rilevante dal punto di vista economico, sociale e politico: il disoccupato non ha di che vivere e dipende interamente dai sussidi pubblici, dalla carità o dai parenti; non partecipa all’organizzazione economica e sociale del paese; rappresenta uno spreco di risorse produttive, perché non viene impiegato nella forza lavoro e il suo contributo, grande o piccolo che sia, viene comunque perso. Disoccupazione, sottoccupazione e inattività deprimono la domanda interna e costringono a fare affidamento sulla domanda estera, che non possiamo, e nemmeno vogliamo, controllare; esse, infine, aumentando «l’esercito industriale di riserva», indeboliscono il potere contrattuale nei rapporti di forza capitale-lavoro.
La proposta di attuare programmi di lavoro non è nuova, ha una storia illustre – il New Deal dell’amministrazione Roosevelt, per citare l’esempio più noto – e vanta un pedigree accademico di tutto rispetto, dal momento che a teorizzare l’intervento dello Stato per la creazione di posti di lavoro in modo diretto in fase di recessione economica furono economisti come J.M. Keynes e Hyman Minsky; oggi a spingere per questa proposta è soprattutto la scuola della Teoria della Moneta Moderna (MMT), i cui principi sono alla base delle proposte di Bernie Sanders del Programma di Lavoro Garantito Federale e del Green New Deal.
Uscire o non uscire dall’Euro? Questo il dilemma. Per Riccardo Bellofiore, Francesco Garibaldo e Mariana Mortágua la risposta non è né sì né no, ma “mu”: parola giapponese che rappresenta un terzo termine logico possibile il cui significato è “non fare la domanda”. Viene usato quando il contesto della domanda “diviene troppo angusto per la verità della risposta”. Così gli autori di Euro al capolinea? La vera natura della crisi europea – edito da Rosenberg & Sellier (in distribuzione dallo scorso mese) – rispondono alla famosa domanda: usano le parole di Robert Pirsig in Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, affermando che l’uscita dall’Euro è la risposta alla domanda sbagliata.
Il libretto può sembrare l’ennesimo saggio sull’Euro, argomento ormai inflazionato e intorno al quale siamo abituati a leggere almeno dallo scoppio della crisi dei subprime. Invece, si tratta – a dispetto delle sole 159 pagine – di un testo ricco di spunti di ricerca poco esplorati dai maggiori commentatori europei. In particolare i bersagli critici sono rappresentati dai due filoni principali di interpretazione della crisi europea: quella dominante e quella cosiddetta eterodossa, ai quali viene dedicata la prima parte del volume.
Entrambi i suddetti filoni mettono al centro dello studio, anche se in modo diverso, gli squilibri commerciali. Dalle istituzioni europee e monetarie, ma anche da numerosi studiosi, particolare attenzione, al fine di assicurare la stabilità europea, è stata data alla disciplina di bilancio, alla politica monetaria di bassa inflazione, all’integrazione e sviluppo dei mercati finanziari. Secondo le teorie neoclassiche gli squilibri commerciali nei paesi con redditi più bassi “sarebbero la conseguenza del processo di convergenza” (p. 27).
La storia a partire dal tardo XIX secolo ha già dimostrato come lo sviluppo reale di una rivoluzione industriale avvenga in maniera disomogenea e dopo periodi di incubazione più o meno lunghi. La nascita di una nuova tecnologia non comporta di per sé il «balzo» di una corrispondente rivoluzione socio-economica e la rispettiva tecnologia di base richiede a sua volta un certo periodo di maturazione e l’interazione con innovazioni su altri livelli. Ad esempio, negli anni Ottanta del XIX secolo l’automobile era già stata inventata ma le fondamenta della seconda rivoluzione industriale vennero gettate solo a partire dal 1913 con la «scienza del lavoro» di Taylor e con i nuovi metodi di produzione di Ford; essa inoltre, dopo un primo tentativo naufragato con la crisi economica mondiale, riuscì ad affermarsi a livello globale solo molto più tardi, cioè attorno al 1950. Uno sviluppo di questo genere, durato più di mezzo secolo, può andare incontro naturalmente a interpretazioni differenti e contraddittorie, fino al momento in cui non si manifesta distintamente il suo carattere autentico di rivoluzione epocale.
Le novità tecnologiche della terza rivoluzione industriale comparvero in un’epoca in cui la seconda rivoluzione non aveva neppure terminato di imporsi. È facile individuare la qualità delle tre grandi avanzate dello sviluppo industriale in base all’attività nel processo capitalistico di produzione: la prima rivoluzione industriale si contraddistinse essenzialmente per la sostituzione della forza fisica umana con quella delle macchine mentre la seconda fu caratterizzata dalla «razionalizzazione» o, si potrebbe dire, per la «robotizzazione» della forza-lavoro umana attiva nel sistema delle macchine. Il marchio fondamentale della terza rivoluzione industriale non poteva che essere la facoltà di rendere superflua la forza-lavoro umana nel processo di produzione industriale e la «razionalizzazione per riduzione» della medesima forza-lavoro grazie a meccanismi di controllo automatico e ai sistemi informatici.
È la redditività degli investimenti capitalistici che guida la crescita e l'occupazione, non le dimensioni del deficit pubblico
“Le identità contabili che equiparano le spese aggregate alla produzione ed entrambe ai redditi valutati ai prezzi di mercato sono ineludibili, indipendentemente dalla vostra preferenza per il tipo di economia keynesiana o classica. Dico sempre agli studenti che il rispetto di queste identità è il primo tocco di saggezza che distingue gli economisti da coloro che espongono l'economia. Il secondo? ... Le identità non dicono niente sulle cause”. James Tobin, keynesiano di sinistra, 1997.
"Il denaro è in definitiva una creazione del governo, ma ciò non significa che solo i deficit governativi determinino il livello della domanda in qualsiasi momento. Anche le azioni e le convinzioni del settore privato sono importanti. E questo a sua volta significa che è possibile avere eccedenze di bilancio ed eccesso di domanda allo stesso tempo, proprio come si possono avere deficit di bilancio e domanda carente”. Jonathan Portes (ortodosso keynesiano).
Il dibattito sempre più astruso tra gli economisti (mainstream, eterodossi e di sinistra) continua sulla validità della Teoria della moneta moderna (Modern monetary theory - MMT) e sulla sua rilevanza per la politica economica. Il dibattito tra le sinistre è ha innescato un’altra marcia a seguito della pubblicazione della feroce critica alla MMT condotta da sinistra da parte di Doug Henwood, visibile su Jacobin. Il principale esponente della MMT, Randall Wray ha risposto con rabbia al tentativo di demolizione di Henwood (qui). E poi dal cuore della terra del MMT, Pavlina Tcherneva, direttrice di programma e professore associato di economia al Bard College e un ricercatore associato presso il Levy Economics Institute hano risposto a Henwood sempre dalle colonne del Jacobin.
Tra gli economisti mainstream, Paul Krugman ci ha provato, ricevendo una risposta da Stephanie Kelton. Kelton è una professoressa di politica ed economia pubblica presso la Stony Brook University di Long Island (New York). È stata l'economista capo dei Democratici nello staff della Commissione Bilancio del Senato degli Stati Uniti e consigliere economico della campagna presidenziale del 2016 del senatore Bernie Sanders.
La notte tra il 23 e il 24 marzo 1999, la NATO dette inizio ai bombardamenti aerei sulla Serbia. I raid continuarono per 78 giorni, fino al 10 giugno, infliggendo danni per miliardi di dollari, distruggendo le strutture industriali, i ponti sul Danubio, i servizi essenziali del paese e causando la morte di centinaia di civili. Sabato 6 aprile se ne discuterà in un convegno nazionale a Bologna e ci saranno dibattiti in diverse città nei prossimi giorni. Il motivo? Non essere complici dell’oblìo su quella guerra in Europa, voluta e attuata dalle potenze della Nato ed anche dall’Italia. Una guerra pretestuosa funzionale agli Usa e alla Ue per ridisegnare la mappa geopolitica non solo dei Balcani ma dei corridoi strategici che vanno da est a ovest, e viceversa.
In una pubblicazione di quelle settimane e cercando di chiarire la posta in gioco in quel conflitto, scrivevamo che: “I bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia, sembrano essere un passaggio brutale della guerra tra Stati Uniti ed Europa per la spartizione dei mercati dell’Est. Da un lato l’aperto ostracismo degli USA contro la Serbia ha ottenuto anche il risultato di interdire i progetti europei, dall’altro l’asse anglo-americano dentro la NATO non fa mistero delle sue ambizioni al controllo strategico dei punti vitali della regione balcanica.
Gli USA hanno sabotato il progetto originario del Corridoio nr.10 ponendo il veto sull’attraversamento della Serbia. A tale scopo hanno pagato 100 milioni di dollari alla Romania per convincerla a far passare gli oleodotti più a nord (in Ungheria) invece che sul territorio jugoslavo da dove sarebbero arrivati a Zagabria, in Slovenia e poi in Germania.L’obiettivo è duplice : tagliare fuori la Jugoslavia dalle nuove rotte dell’economia e ostacolare qualasiasi interesse della Russia nei Balcani del Sud.
In secondo luogo, l’ENI aveva previsto una pipeline da Pitesti (Romania) alla raffineria di Pancevo (Jugoslavia) per la raffinazione del greggio per farlo poi arrivare con un oleodotto di 250 chilometri al terminale di Trieste.
"E' l'Europa che sta spingendo l'Italia ad accettare i soldi cinesi"
di Joseph Stiglitz
Parla all'Huffpost il premio Nobel: "Italexit? Se Roma esce è una tragedia per Ue, se resta è tragedia in Italia. Berlino si svegli". Con un'introduzione-commento di Giuseppe Masala
Stiglitz, il Bibitaro. Non ha sollevato alcun dibattito l'intervista rilasciata da Joseph Stiglitz all'edizione italiana dell'Huffington Post e concessa a Bruxelles a margine della presentazione del suo ultimo libro dal titolo emblematico: "'Rewriting the rules of the European Economy", riscrivere le regole dell'economia europea.
Due affermazioni in particolare avrebbero dovuto portare ad una qualche riflessione. Ecco la prima:<<Se l'Italia esce causa una tragedia in Europa, se rimane la causa in Italia>>. Ed ecco l'altra:<<L'euro funziona solo se i paesi che lo usano sono simili. Ma in Europa non è così, ci sono regimi fiscali che si fanno la concorrenza all'interno della stessa Ue, i paesi si sono allontanati invece che avvicinarsi ed è successo proprio per colpa delle regole dell'euro. Vanno cambiate>>.
Mi pare evidente che Stiglitz intenda dire che un'uscita dall'Italia dall'Euro comporti una catastrofe economica e finanziaria probabilmente di livello globale mentre una sua permanenza - a regole invariate - comporti la necrosi del nostro sistema produttivo e il conseguente collasso economico e sociale. Il discorso dell'Economista è peraltro più ampio: rileva che le asimmetrie della zona euro sono insostenibili. Regole fiscali diverse per ogni singolo paese appartenente all'area (peraltro usate a fine di dumping fiscale), regole di bilancio statali rigide per tutti senza tener conto dei fondamentali [conti con l'estero]. Tutto ciò comporta la netta divaricazione sociale ed economica tra gli appartenenti all'unione. Io peraltro umilmente sostengo che l'Euro non è una moneta ma una moneta per nazione all'interno dell'area e una moneta unica verso l'esterno dell'area. Ha una natura chiaramente ambivalente.
Tornando a Stiglitz da notare anche la sottolineatura sui trattati che hanno imposto queste regole folli per il governo della moneta [Trattato di Maastricht in primis]; sono state pensate ere geologiche fa, ai tempi della sconfitta del comunismo, all'alba dell'imposizione di un sistema liberista (quelle erano le intenzioni all'epoca, poi che ci siano riusciti è altro discorso).
Tria lancia un pacchetto di incentivi alle imprese ma la tesi della bassa intensità di investimenti per spiegare la bassa crescita dell’Italia non trova conferme. Piuttosto è Berlino a condurre i giochi nell’Euro-area. Così anche la Via della seta risulta uno sbocco per la Cina e per la Germania
Inquadramento delle politiche a sostegno della crescita degli investimenti
Il governo del Paese si accinge a prefigurare delle misure economiche e finanziarie per rilanciare il Paese. Il segno delle misure ricalca quanto già predisposto da altri governi. Il sole 24 ore del 17 marzo 2019 giustamente titola: “Da fisco e investimenti manovra per la crescita economia”. Le proposte del ministro dell’Economia Giovanni Tria sono relative al Patent Box semplificato, all’ampliamento dei mini-bond per finanziare le Pmi, alla Sabatini-quater in forma estesa e una nuova sezione del Fondo centrale di garanzia mirata alle medie imprese. Nel pacchetto dovrebbe rientrare anche il super-ammortamento e il taglio generalizzato dell’Ires sugli utili e le riserve che rimangono in azienda (Quest’ultimo provvedimento dovrebbe essere sostenuto con l’abbandono della mini-Ires appena nata, ma subito finita al centro di critiche per le difficoltà operative che comporterebbe la sua applicazione pratica).
L’obbiettivo è quello di rilanciare gli investimenti in macchinari e, in particolare, quelli a maggior contenuto tecnologico, unitamente ad una contrazione del carico fiscale in capo alle imprese. Se i vincoli finanziari europei compromettono gli investimenti pubblici, attraverso gli incentivi fiscali si immagina di rilanciare almeno gli investimenti privati (Cristian Perniciano della CGIL, esperto fiscale, stima gli aiuti pubblici verso le imprese pari a 10 miliardi strutturali tra il 2015 e il 2018). La logica sottesa è quella dell’ex ministro Carlo Calenda: innoviamo il sistema produttivo nazionale per rafforzare il made in Italy, in particolare nella produzione di beni strumentali e intermedi (addentrandosi nella questione, è saggio compiere una fondamentale quanto banale distinzione circa la composizione degli incentivi e le modalità con cui sono concessi; esistono, infatti, Paesi come l’Italia e la Francia che scommettono principalmente sull’utilità degli incentivi fiscali, mentre altri, come la Germania, che prediligono il finanziamento diretto a progetti selezionati tramite bando, anche attraverso la Kfw).
Uno dei fatti più notevoli degli ultimi anni è l’evoluzione accelerata dei partiti verso l’adozione di forme movimentiste. Come conseguenza della critica alla rappresentanza e dell’ingresso in una società più fluida, le iniziative politiche hanno finito per integrare nuove forme d’impegno politico, non necessariamente più democratiche. I casi più degni di nota in Francia sono En Marche! e La France Insoumise, in parte erede del Parti de gauche. Analisi di una mutazione a partire dal caso del movimento fondato da Jean-Luc Mélenchon
In La ragione populista (2005), Ernesto Laclau già spiegava come gli effetti del capitalismo globalizzato abbiano prodotto forme di dislocazione interna ai campi politici e pure ciò che si può chiamare liquefazione dei rapporti sociali; è il carattere sempre più fragile delle norme e dei parametri di riferimento. Predisse, a tal riguardo, l’emergere accelerato delle forme movimentiste a spese delle forme-partito tradizionali. I movimenti restano, in senso generico, dei partiti, ma rompono con le forme istituzionalizzate ereditarie della generalizzazione del suffragio universale avvenuto nel XIX e XX secolo. Inoltre, quando essi emergono nella sinistra tradizionale, operano una frattura rispetto alla forma del partito di massa [1], modello dei movimenti operai. In Francia, il PCF è stato a lungo ideal-tipo [2] del partito di massa, organizzato in maniera piramidale e con più livelli in teoria ubbidienti al principio del centralismo democratico: la sezione, la federazione, il consiglio nazionale e la direzione nazionale. Per certi aspetti il PS, in continuità con la SFIO [la socialdemocrazia francese prima della sua rifondazione da parte di Mitterand, n.d.r] , ha mantenuto queste forme, mentre si organizzava attraverso correnti. Oltre a questo modello c’erano piccoli partiti trotzkisti fondati sul principio dell’avanguardia illuminata. Questi partiti erano elitari, selettivi e facevano affidamento sul ruolo guida di una piccola minoranza nei processi rivoluzionari. Il Parti de gauche, fondato nel 2009 da Jean-Luc Mélenchon da una scissione del PS, è da questo punto di vista più vicino alla tradizione trotzkista e al modello del partito di quadri [3]. Ci sono diverse cause nell’emergere di movimenti e nel crollo delle strutture tradizionali. Tutto ciò ha inizio con l’avvento dei movimenti anti-globalizzazione degli anni ’90, come ATTAC che ha portato ai comitati del No al referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo. Poi, dagli anni 2000, abbiamo assistito al rapidissimo sviluppo dell’uso politico di internet e dei social network.
L’assemblea che il 9 marzo, a Roma, ha lanciato il Manifesto per la sovranità costituzionale, ha avviato un processo che può portare, in tempi non remoti, alla costituzione di un soggetto politico capace di fare uscire dal minoritarismo, e dal ghetto informativo in cui è stato rinchiuso dal mainstream, il discorso che da tempo lega la questione sociale e la questione nazionale, la lotta al liberismo e la lotta all’Unione europea.
Proprio per facilitare questo processo è opportuno iniziare a puntualizzare ed approfondire alcune questioni nodali, sia perché ogni salto politico-organizzativo richiede un avanzamento nell’analisi e nell’articolazione della proposta, sia perché quando si inizia ad uscire da spazi ristretti è necessario tradurre i concetti in un linguaggio comprensibile ed efficace. Se cominciamo a fare sul serio abbiamo bisogno di un ragionamento più complesso e di un discorso più semplice.
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Nello spirito del Manifesto non inizio dalla questione, pur dirimente, dell’Ue e dell’euro, perché dobbiamo abituarci a concentrare il nostro discorso sugli elementi propositivi e positivi, e non su quelli negativi e distruttivi. Ho già detto, e ripeto, che il limite maggiore del sovranismo storico (un termine con cui non indico questa o quella organizzazione, ma una cultura, uno stile di pensiero ed un insieme di riflessi mentali che sono anche in me) sta nel presentarsi di fatto come il partito del “No Ue – No euro”, esaltando più il mezzo che il fine e presentando all’esterno il lato più complicato e problematico della propria proposta: cosa che può concorrere a spiegare il minoritarismo di quest’area, nonostante la ricchezza delle intuizioni e delle analisi.
E’ per questo che il Manifesto (che pure sull’Ue dice cose non equivocabili) non parte dalla questione europea ma dalla questione italiana. Una questione che a mio avviso deve essere riassunta nella necessità di ricostruzione di uno stato degno di questo nome, come risposta alle esigenze essenziali degli italiani e di tutti coloro che in Italia vivono e lavorano.
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
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