Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 3151
La scienza economica dominante come religione pubblica
di Nicolò Bellanca
Plasmando i nostri modelli mentali e le nostre azioni, l’odierna teoria economica dominante si rivela in grado di convertirci, operando come una religione pubblica. Senza tenere in adeguato conto questa sua capacità si capisce poco dell’affermazione planetaria del neoliberismo. Una riflessione a partire dagli ultimi libri di Mauro Gallegati
In quest’articolo non esaminerò tutte le argomentazioni degli ultimi due libri di Mauro Gallegati. Mi concentrerò su una sua tesi particolarmente incisiva e provocatoria: «nonostante esteriormente assomigli alla fisica, e nonostante il presunto equipaggiamento di molte leggi, l’economia non è una scienza»,[1] e anzi «assomiglia a una religione».[2]
L’odierna teoria economica mainstream è caratterizzata, in linea generale, dalle seguenti assunzioni di base: agente rappresentativo (i consumatori o le imprese sono tutti identici, e quindi basta studiare l’agente-tipo), perfetta razionalità degli agenti (chiamata talvolta “olimpica”, poiché esprime requisiti che soltanto un dio potrebbe possedere), aspettative razionali (gli agenti usano le informazioni in modo efficiente, formulando quindi le previsioni più corrette) e scelte fondate sulla massimizzazione di una funzione obiettivo (l’agente individua e seleziona l’alternativa migliore tra quelle disponibili).[3]
La macroeconomia è quella parte della disciplina che (tra l’altro) dovrebbe spiegare le crisi, e quindi oggi la Grande recessione.
I macroeconomisti mainstream sostengono che la loro teoria dev’essere una versione aggregata della teoria dell’equilibrio generale, stabilendo uno sconcertante apriori metodologico per il quale l’equilibrio è il canone per studiare tutto quello che nega l’equilibrio: sentieri dinamici, processi innovativi, instabilità e crisi.
- Details
- Hits: 3111
Guerra terrorismo e diritti umani. La nascita dello Stato islamico
di Ferdinando Imposimato
Negli ultimi decenni un governo mondiale invisibile, ma reale e concreto, muove le fila dei governi nazionali, dei centri di potere economico e militare, e, con media subalterni, alimenta il terrorismo. E lo fa per giustificare nuove guerre per un nuovo ordine planetario contro Stati detentori di risorse energetiche, per stravolgere le costituzioni e giustificare interventi militari di grandi potenze in aree strategiche del pianeta. Emblematica è stata la guerra all’Iraq del 2003 di Usa, Gran Bretagna e Francia: non fu guerra contro il terrorismo di Saddam Hussein, ma di conquista. Non fu effetto dell’11 settembre 2001 in quanto fu decisa prima dell’attacco alle torri gemelle. Ed è stata proprio quella guerra la causa della crisi e del dilagare del terrorismo nel mondo1.
L’attacco all’Iraq per una lotta al terrorismo fu smentito dopo decenni sia dall’ex presidente George Bush sia da Tony Blair, che hanno ammesso «l’errore». Il 2 dicembre 2008, Bush, in un’intervista alla rete tv ABC, ammise l’errore della guerra all’Iraq, «viziata da informazioni di servizi di intelligence infondate» sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq.
Oggi sappiamo con certezza che sono stati ammazzati in Iraq più di un milione di civili, è stato bruciato più di un trilione di dollari e la crisi economica che sconvolge il mondo intero è la tragica conseguenza di una guerra ingiusta spacciata per lotta al terrorismo. In Iraq non c’erano armi di distruzione di massa.
- Details
- Hits: 3273
Politiche espansive e crescita debole. Siamo in una stagnazione secolare?
di Vittorio Daniele
1. Una lunga convalescenza
Da qualche anno, le Banche centrali delle principali economie mondiali (Stati Uniti, Eurozona e Giappone) stanno attuando politiche fortemente espansive. La base monetaria, sotto forma di liquidità o di riserve detenute dalle banche commerciali, è aumentata enormemente: negli Stati Uniti, all’inizio del 2016, era quattro volte quella del 2008. La BCE ha adottato una serie di misure espansive, finanziando a basso costo il sistema bancario e attuando un programma di acquisto di attività (quantitative easing) di 80 miliardi di euro mensili per una durata prevista di due anni.
Si tratta di un’iniezione di liquidità senza precedenti, che ha fatto scendere i tassi d’interesse a breve e a lungo termine a valori prossimi allo zero (e, in alcuni casi, negativi, come in Giappone o in Europa). Ciò avrebbe dovuto stimolare gli investimenti e, dunque, i consumi e il reddito. I risultati sono, però, largamente inferiori alle attese. Nell’Eurozona, i dati sul Pil e sull’inflazione mostrano, infatti, come la ripresa sia molto debole. Anche negli Stati Uniti, dove la crescita è più elevata di quella europea, il Pil rimane al di sotto del potenziale (Fig. 1).
- Details
- Hits: 3941
Katechon/Interregno
Dario Gentili
1. Quello della crisi dello Stato-nazione è, ormai da tempo, un motivo ricorrente. Il suo refrain è diventato insistente soprattutto dopo il 1989, ma come un rumore di fondo ha attraversato tutto il Novecento. Ha animato tanto il discorso delle grande ideologie internazionaliste quanto quello della globalizzazione economica, del libero mercato su scala planetaria. Oggi è proprio quest’ultimo discorso a ripetere con più vigore il motivo della crisi dello Stato (salvo poi ricordarsi dello Stato quando, come in seguito alla crisi del 2008, si è trattato di pagare i debiti delle banche e degli istituti di credito). Ne è la controprova che, in alcuni casi, un certo pensiero anti-capitalista e anti-liberista ha addirittura attribuito allo Stato un ruolo di resistenza, un argine allo strapotere economico – e pertanto la piccola Grecia, proprio in quanto Stato, è diventata la scorsa estate la portatrice di un ritorno della politica. In realtà, credo che sia l’auspicato ritorno dello Stato sia il suo de profundis siano entrambi espressione di una questione politica – o più schiettamente geopolitica – che va ben al di là delle sorti dello Stato. Si tratta nondimeno della configurazione che la politica deve assumere nell’epoca del dominio della ragione neoliberale.
Posta in questi termini – nei termini appunto del dominio di una razionalità di matrice economica che ha assunto prerogative politiche di governo –, la questione di una alternativa “politica” al neoliberalismo è affrontata dal pensiero filosofico e politico o sul piano del potere o su quello del governo.
- Details
- Hits: 2403
Rivoluzione colorata a ritmo di samba
by Federico Dezzani
È torbido il clima in Brasile, teatro in questi mesi di una violenta campagna politico-giudiziaria per spodestare Dilma Rousseff, riconfermata alla presidenza nemmeno due anni fa: il termine “golpe” è entrato ormai nel vocabolario comune della politica. L’operazione è un ibrido tra la nostrana Tangentopoli, dove il gigante petrolifero Petrobas ricopre il ruolo dell’Enimont ed il giudice federale Sergio Moro quello del pm Antonio Di Pietro, e la più recente Euromaidan, dove le Chiese evangeliche hanno assunto la direzione delle proteste di piazza. La posta in gioco per le oligarchie atlantiche è alta: ristabilire, dopo Argentina e Venezuela, la propria egemonia in Brasile, sabotare la Nuova Banca di Sviluppo ideata dai Paese emergenti e “liberare” il Banco Central do Brasil dalla supervisione della politica, per assoggettarlo al controllo alla finanza internazionale.
* * *
Un gigante fuori controllo
Gli anni ’10 del XXI secolo presentano analogie sempre maggiori con quegli ’70 del secolo precedente: la profonda crisi economica, sociale e politica dell’impero angloamericano (vedi l’addio unilaterale degli USA al sistema di Bretton Woods nel 1971), accompagnata ora come allora da sconfitte militari strategiche (ieri il Vietnam, oggi l’Afghanistan e la fallita balcanizzazione di Siria ed Iraq) è accompagnata dal fiorire del terrorismo, dal moltiplicarsi dei colpi di Stato e da un solco sempre più profondo tra la “retorica democratica” e la concretezza quotidiana, connotata dell’esplosione della violenza politica in tutte le sue forme (omicidi mirati, ghettizzazione degli avversari, eliminazioni per via giudiziaria degli oppositori, etc. etc.).
- Details
- Hits: 2058
M€rcati, pubblico/privato e l'esercito europeo
Unica assente, la realtà
di Quarantotto
1. Proviamo a tornare sul tema dell' "esercito €uropeo"...che garantisce la democrazia.
Il problema sostanziale al riguardo non è politico-militare o storico-etno-culturale: porre l'attenzione su tali aspetti, che ostacolerebbero l'operatività futura di un tale "€sercito", equivale tutto sommato a soffermarsi su un problema consequenziale e applicativo che, nello scenario effettivo in cui si svolgono le politiche dell'UE, non è considerato, dagli effettivi "decidenti", così rilevante.
Il problema, o meglio l'essenza di queste politiche ha, invece, più a che fare con le implicazioni e le decisive influenze, tornate in queste ultime ore particolarmente attuali, determinate dall'ideologia, propria dei trattati UE, della assoluta prevalenza dei mercati, e quindi della prevalenza di alcune persone fisiche, che siano esponenti dei gruppi industriali e finanziari, sulle istituzioni (ormai teoricamente) democratiche.
Che questo sia il nodo della questione, che è dunque quello di una politica della "difesa" orientato a favorire i "mercati", più che le effettive e praticabili esigenze operative di protezione dei cittadini assoggettati a tali politiche sovranazionali TINA, ce lo aveva ben illustrato la serie dei 4 post "Fortezza Europa" di Riccardo Seremedi.
- Details
- Hits: 4548
L’Ungheria e l’oblio di Lukàcs
Ferdinando Gueli intervista Janos Kelemen
Un rapporto da sempre tormentato quello tra il grande pensatore marxista ed il suo Paese natale, tanto che pochi giorni fa le autorità accademiche ungheresi hanno annunciato la revoca dei finanziamenti all’archivio Lukàcs di Budapest, che rischia pertanto la chiusura. Ne parliamo con Janos Kelemen, professore emerito di filosofia e linguistica dell’Università di Budapest, nonché direttore dell’Accademia d’Ungheria a Roma dal 1990 al 1995, e conoscitore del pensiero di Lukàcs
Quello tra Gyorgy Lukàcs ed il suo paese natale, l’Ungheria, è sempre stato un rapporto tormentato, per lui vale sicuramente l’antico detto latino nemo propheta in patria. Dalla rivoluzione bolscevica del 1919 guidata da Bela Kun e che lo vide giovane protagonista, all’esilio in Unione Sovietica negli anni tra le due guerre, durante il regime autoritario dell’Ammiraglio Horthy, dal periodo stalinista di Ràkosi al governo Nagy e alla rivoluzione del 1956, e infine negli anni successivi fino alla sua morte, avvenuta nel 1971. Ma anche dopo la morte di Lukàcs le classi dirigenti ungheresi, politiche ed accademiche, non hanno mai visto di buon occhio questo intellettuale che, invece, a livello internazionale, è riconosciuto come uno dei più grandi e brillanti filosofi marxisti del XX secolo. Nell’ultimo ventennio, dopo la caduta del socialismo reale ed il ritorno dell’Ungheria nel sistema capitalistico, si è assistito ad una vera e propria opera di rimozione sistematica della presenza e del lascito culturale di Lukàcs, potremmo definirla “operazione oblio”.
L’ultimo recente episodio è particolarmente significativo: si è avuta notizia che l’Accademia Ungherese delle Scienze sta revocando, per addotti motivi di bilancio, il finanziamento dell’archivio Lukàcs, l’unica piccola struttura rimasta, quasi ai margini, che raccoglie documentazione di fondamentale interesse scientifico per lo studio del pensiero lukacsiano, e che rischia così la definitiva chiusura.
Abbiamo intervistato, nella sua Budapest, a poche centinaia di metri dall’archivio Lukàcs, Janos Kelemen, filosofo e linguista, professore emerito dell’Università di Budapest, già direttore dell’Accademia d’Ungheria a Roma dal 1990 al 1995, nonché studioso del pensiero di Lukàcs, per comprendere cosa stia accadendo in questo momento in Ungheria e cosa rimanga del passaggio di Lukàcs nella memoria culturale del popolo magiaro.
* * *
DOMANDA: Janos, o meglio Jimmy, come ti fai chiamare da compagni e amici, in questi giorni si e' avuta la notizia della possibile chiusura dell'archivio Lukàcs a Budapest. Cosa sta succedendo e qual'e' l'importanza scientifica di questo archivio?
RISPOSTA: Circolavano già da anni notizie sulla possibile soppressione dell’Archivio Lukacs.
- Details
- Hits: 2101
Che altro può fare Mario?
Biagio Bossone e Stefano Sylos Labini
Pubblichiamo un post di Biagio Bossone e Stefano Sylos Labini. Biagio Bossone presiede il Group of Lecce on global governance ed è membro del Comitato di sorveglianza del Centre d’Études pour le Financement du Développement Local. Stefano Sylos Labini, ricercatore ENEA, geologo, esperto di energia, dal 2004 al 2014 ha collaborato con Giorgio Ruffolo, con il quale (2012-2014) è stato editorialista di Repubblica su temi di economia e politica. Dal 2014 ha iniziato a lavorare sul Progetto della Moneta Fiscale
Costi quel che costi…
Fermo sul suo ormai arcinoto pronunciamento di esser disposto a fare qualunque cosa (whatever it takes) pur di riuscire a ravvivare le economie della zona euro, il presidente della BCE Mario Draghi dal 10 marzo scorso ha impegnato il suo istituto ad acquistare obbligazioni emesse da società non bancarie localizzate nella zona euro nell’ambito del programma di acquisto di obbligazioni aziendali (CSPP) (1). In aggiunta agli interventi non convenzionali già in atto, la nuova misura dovrebbe fornire un’ulteriore opzione di politica monetaria espansiva nel tentativo di rafforzare le condizioni di finanziamento dell’economia reale e di riportare l’inflazione dell’area in linea con l’obiettivo ufficiale del 2%.
La novità assoluta del CSPP è quella di attivare un nuovo canale di trasmissione della politica monetaria attraverso cui il denaro appena stampato affluirebbe direttamente all’economia reale piuttosto che essere risucchiato da un sistema bancario inceppato. Il CSPP promette quindi di conseguire un maggiore impatto rispetto alle altre misure tentate dalla BCE finora. Non c’è dubbio che il coraggio e la determinazione del Presidente della BCE meritino riconoscimento.
Eppure, prima di scommettere sull’efficacia del CSPP, occorre dare risposta ad alcuni interrogativi importanti che esso pone, dal quadro applicativo indefinito alla questione fondamentale se la politica monetaria sia sufficiente da sola a trascinare l’Eurozona fuori dalla stagnazione secolare, senza che la BCE debba assumere su di sé responsabilità di natura quasi fiscale, come, ad esempio, quella di mettere denaro direttamente nelle tasche della gente (2).
- Details
- Hits: 2587
Caro Yanis, ti scrivo...
Lettera aperta a Varoufakis dopo il lancio di DiEM 25
di George Souvlis e Samuele Mazzolini
"Democratizzazione o Barbarie” è l’alternativa posta in questo incisivo intervento, che appare in inglese su LeftEast. George Souvlis studia per il PhD in Storia presso l’Istituto Universitario Europeo di Firenze e scrive per varie testate di sinistra (Jacobin, ROAR, Enthemata Avgis); Samuele Mazzolini (MA in Latin American Studies ad Oxford) ha lavorato come consulente per il governo dell’Ecuador, scrive tuttora per il quotidiano di quel paese El Telégrafo e studia Ideology and Discourse Analysis presso la University of Essex.
* * *
Caro Yanis,
abbiamo deciso di scriverti dopo aver seguito attentamente il lancio di DiEM 25 a Roma, il 23 marzo. Questa nostra lettera si propone di discutere una serie di aspetti della tua iniziativa che abbiamo trovato poco convincenti, facendone una critica costruttiva. Chiariamo subito perciò che il nostro obiettivo non è né di bocciare a priori il progetto né di fare i saputelli che sanno meglio di chiunque altro com’è che vanno fatte le cose (atteggiamento non del tutto sconosciuto all'universo della sinistra). Desideriamo piuttosto formulare pubblicamente alcune domande che - sospettiamo – sono già venute in mente a molti e intorno alle quali si è già discusso in modo informale: domande che possano fungere da scintille per una correzione in meglio dell'iniziativa in oggetto.
- Details
- Hits: 6295
La partita del referendum
di Annalisa Corrado
«La vittoria del SÌ al referendum del 17 aprile potrebbe dare una spallata ad un castello di bugie e mostrare che la strada verso la democrazia energetica, verso una promozione sostenibile dei talenti sani dei nostri territori è segnata e che non si torna più indietro», Sbilanciamoci.info, newsletter 467, 31 marzo 2016
Pensavo fosse incompetenza o mancanza di visione. Fresca di laurea, folgorata sulla via dell’energia come “madre di tutte le battaglie” da combattere (contro le crisi internazionali, i ricatti dei potenti detentori delle risorse, contro le crisi sociale, ambientale e poi anche economica), ero ingegneristicamente innamorata dell’idea che sole, vento, biomassa, maree e calore della Terra, assieme alle intelligenti evoluzioni della tecnologia, avrebbero mostrato di lì a poco la via per costruire una nuova “democrazia energetica” e, ingenuamente, pensavo il freno fosse causato “solo” dalla manifesta incapacità strategica di un apparato politico/burocratico stanco, cinico e clientelare.
E invece sbagliavo di grosso. La strategia esiste. Esiste e appare dettata da un potere apartitico (evidente se si analizza l’assoluta continuità nelle scelte fossili degli ultimi 4 governi, dalla destra di Berlusconi/Romani, ai tecnici Monti/Passera, passando per la “sinistra” di Letta/Zanonato, fino al governo del partito della “nazione” di Renzi/Guidi, il più fossile di tutti) gestito attraverso schiere di azzeccagarbugli che usano la normativa contro i cittadini, contro la partecipazione, contro le migliori idee ed energie del Paese.
L’ascolto è riservato esclusivamente ai soliti noti, per i quali un varco nel ginepraio della burocrazia si riesce sempre ad aprire (le autostrade, gli inceneritori, il cemento, le trivelle dello “sbloccaItalia” ne sono la manifestazione plastica).
- Details
- Hits: 3793
La fine dell’Eternità
by Jehu
Nel suo libro, "Dall'Eternità a qui" (edizioni Adelphi), Sean M. Carroll discute sulla peculiare natura dell'universo così come viene vista secondo la prospettiva della Scuola di Copenaghen. Tale peculiare natura, può esere descritta per mezzo di quattro caratteristiche della materia, su scala quantica:
1 - La materia si comporta sia come una particella discreta che come un'onda meno discreta.
2 - La materia, ogni volta che si cerca di osservarla, vale a dire quando si interagisce con essa, cambia improvvisamente dal comportamento di onda a quello di particella
3 - Il passaggio istantaneo dal comportamento di onda a quello di particella è:
a) irriducibilmente casuale: vale a dire, possiamo prevedere il suo risultato finale, in anticipo, solo approssimativamente
b) irreversibile: vale a dire, non possiamo conoscere lo stato precedente della particella; la nostra interazione con una particella distrugge in maniera irrimediabile le informazioni relative al suo stato precedente.
4 - Nel momento in cui proviamo a misurare il processo, c'è un livello irriducibile di incertezza
Nella fisica classica, lo sviluppo di un processo può essere spiegato per mezzo di un insieme di regole basate sulle leggi fisiche di Newton; ma nel mondo naturale descritto dalla meccanica quantistica lo sviluppo di un processo appare essere governato da due insiemi di leggi fisiche del tutto differenti, che Carroll spiega così:
- Details
- Hits: 2575
Cultura pubblicitaria e berlusconismo
di Federico Repetto
Introduzione a Cultura pubblicitaria e berlusconismo. Le origini dell’egemonia della tv commerciale e il suo declino all’epoca dei social media” di Federico Repetto (prefazione di Roberto Trinchero, edizioni Aracne, 2015)
1. L’oggetto della ricerca
Il saggio è un tentativo di ricostruire la genesi della neotelevisione (la televisione multicanale a colori che trasmette 24 su 24, pagata in tutto, o in buona parte – nel caso della Rai – dalla pubblicità) e il suo ruolo nella formazione dei bambini e dei ragazzi come futuri cittadini, nella convinzione che, in seguito al suo sviluppo, negli anni ottanta si sia delineata una nuova configurazione relativamente stabile della cultura italiana, distinta da quella precedente degli anni sessanta-settanta. È da qui che sarà possibile alla fine della ricerca porsi degli interrogativi anche sul nostro prossimo futuro, nel momento in cui la nostra cultura conosce nuove importanti trasformazioni.
La ricerca non pretende di essere libera da giudizi di valore: nessuna ricerca storica a mio avviso lo è. Sono i valori che determinano le domande che lo storico pone ai fatti irriducibilmente molteplici e multidimensionali della storia. In questo caso le domande riguardavano il livello di realizzazione, nelle condizioni determinate dallo sviluppo dei nuovi media, di alcuni fondamentali valori contenuti nella prima parte della nostra Costituzione, e in particolare dell’impegno della Repubblica a promuovere eguali possibilità di partecipazione alla vita pubblica per tutti i cittadini.
- Details
- Hits: 2635
Ateismo nel cristianesimo
di Renato Caputo
Stimolati dai più recenti avvenimenti, che riportano tragicamente al centro dell’attenzione il complesso rapporto fra religione, ideologia, società e politica, ritorniamo sul rapporto fra filosofia marxista e religione cristiana. Dopo aver affrontato in precedenti articoli la questione nel giovane Marx richiamiamo ora l’attenzione sui suoi significativi sviluppi nella riflessione filosofica sul cristianesimo di Ernst Bloch
Che la visione del mondo mitologico-religiosa continui a segnare, anche in modo eminentemente tragico, la vita sociale e politica a livello internazionale, credo sia sotto gli occhi di tutti. Per quanto possano essere sovradeterminati, inconsapevolmente, da interessi più profondi di carattere strutturale, ossia socio-economico, per quanto possano essere strumentalizzati da dinamiche geopolitiche, è indiscutibile che dei giovani che si immolano “volontariamente”, uccidendo degli altri esseri umani per i quali non nutrono un odio specifico, non possono che farlo sul fondamento di credenze di carattere religioso. Per altro, come è altrettanto noto, la destra nei paesi a capitalismo avanzato, tende a giustificare la guerra imperialista (co-responsabile di questa micidiale spirale fatta di colonialismo e poi imperialismo neocolonialista-terrorismo-guerra di civiltà) proprio richiamandosi ai valori della tradizione cristiana.
Come abbiamo visto la stessa dialettica politica nazionale e la questione decisiva dei diritti civili continuano a essere ostaggio di un pesantissimo retaggio mitologico-religioso, che spesso costituisce uno dei principali argini alla soluzione non solo sul piano universale della ragione di tali problematiche, ma anche sul piano del diritto formale.
- Details
- Hits: 2488
Appunti dall'inferno
di Sebastiano Isaia
Dopo l’ennesima «strage di innocenti» perpetrata a Pasqua dai talebani nel nome del noto Dio Misericordioso, Giuliano Ferrara ha sbottato contro il Santo Padre della cristianità, reo di aver definito «insensata» quella carneficina. L’insensatezza attribuita dal Papa Progressista all’eccidio di Pasqua in Pakistan è la sola cosa che suona insensata alle capaci orecchie del giornalista di sicuro spessore e di eccezionale peso. E non a torto, a mio più che modesto avviso. Scrive Ferrara: «Se le dichiarazioni rivolte da Francesco diventano una regola di prudenza legata allo spirito inter-religioso del dialogo allora vuol dire che non si vuole ammettere che la persecuzione dei cristiani nel mondo è opera del risveglio del fondamentalismo» (Il Foglio). Diventa così chiaro che è a partire da una ben diversa prospettiva che chi scrive giudica l’attacco terroristico a Lahore perfettamente sensato, ossia inscritto in una logica comprensibile perché organica alla dimensione del Dominio che sperimentiamo a qualsiasi latitudine di questo pessimo (disumano) mondo. Provo a spiegarlo con il breve scritto che segue.
* * *
1. «Quel giovane di origine magrebina prima era una persona normale: lavorava, beveva, fumava, aveva una ragazza, insomma conduceva una vita in tutto simile alla nostra. Poi, improvvisamente, si è radicalizzato».
- Details
- Hits: 3077
Quattro brevi punti più uno che è utile considerare quando discutete del problema islamico
di Pierluigi Fagan
Ad estrema e brutale sintesi dello studio che svolgemmo sull’islam in diversi momenti e più puntate (qui, qui), vorremmo mostrare quattro punti della sua costituzione teorico – storico – politica, che è utile –a nostro avviso-, conoscere. A premessa, va detto che l’islam è un corpo di dottrine che si fonda come credo religioso ma comporta anche disposizioni giuridiche che poi diventano sociali e politiche e che si basa non su una scrittura sacra com’è il caso degli altri sue monoteismi ma divina, nel senso che le parole contenute nel Corano sono parola di Dio, espresse e trasmesse senza interpretazioni terze, da Dio stesso. Dio, nel Corano, dice di aver parlato chiaramente e quindi esclude debba esserci qualcuno che intermedi ovvero interpreti le sue parole, tant’è che ritiene questa Sua rivelazione, l’ultima, quella dopo la quale non ve ne saranno altre. Avvicinandosi con fede e cuore aperto alla scrittura, chiunque può entrare in contatto con la parola di Dio, quindi con Dio stesso. Questo porta ad escludere in via di principio vi possa essere una Chiesa islamica che intermedia tra Dio e fedeli per cui, ciò che è scritto nel Corano, è valido per l’eternità e non ha declinazione storica. Detto ciò, ci sentiamo di segnalare quattro punti critici perché invece, una problema di interpretazione -a nostro avviso- rimane:
- Muhammad ricevette la rivelazione divina lungo ventidue anni (610-632). Fintanto che fu in vita, sia lui che i credenti che lo seguivano, recitarono i versetti ricevuti da Dio a memoria, l’intero corpo era orale.
- Details
- Hits: 3574
Dewey e il Ministero del Disturbo
La rivoluzione darwiniana e il suo impatto filosofico
di Andrea Parravicini
Il significato e gli effetti della teoria dell’evoluzione di Darwin per il pensiero e la cultura occidentali sono ancora oggi spesso poco compresi, se non fraintesi, anche da parte di affermati filosofi e intellettuali. Il contributo che segue intende presentare alcune delle originali e profonde riflessioni che circa un secolo fa John Dewey, uno dei più grandi pensatori americani di tutti i tempi, dedicò alla questione. L’obiettivo di Dewey era quello di mettere a fuoco in modo ampio e lucido l’influenza profonda esercitata dalla rivoluzione darwiniana non solo sul nostro sguardo nei confronti del mondo vivente, ma anche riguardo al nostro modo di intendere le questioni etiche e politiche, mirando a un rinnovamento radicale del pensiero filosofico che oggi deve ancora largamente compiersi.
* * *
Le teorie scientifiche, si sa, hanno sempre avuto un ruolo importante per il pensiero filosofico, la cultura, il senso comune. Si pensi alla rivoluzione copernicana, alla relatività einsteiniana, alla fisica quantistica. La teoria dell’evoluzione di Darwin, che attualmente costituisce il nucleo teorico fondamentale del programma scientifico evoluzionistico, ha avuto in particolare un impatto enorme non solo sulla filosofia e sul senso comune, ma anche sul pensiero etico-sociale e politico.
- Details
- Hits: 2141
Bruxelles, sequenze di attentatori in tv tra propaganda e delirio
nique la police
Tra gli attentati di Parigi e Bruxelles, un atto della guerra asimmetrica tra Europa e Medio Oriente che sta attraversando il continente, la copertura mediatica europea ci rivela politiche della comunicazione tutte da leggere
Soffermiamoci al caso per noi più diretto, quello italiano, senza omettere però che i media europei, per quanto militarizzati, non arrivano al iivello di comunione mistica con i poteri costituiti come nel nostro paese. Solo in un paese in preda ad effetto Orwell, come lo è l'Italia, si poteva presentare l'arresto di un presunto jihadista, gambizzato dalla polizia, come il salvataggio di una bambina. Infatti la bambina altri non è che la figlia del presunto jihadista. In un mondo dove le foto di bambini sui media vengono sgranate per non ledere la sfera emotiva del minore, anche quando non ce n'è bisogno, sparare a qualcuno che ha accanto a sua figlia è "salvare la bambina". Altro che eredi di 1984, qui siamo un piano inarrivabile, celeste di reinvenzione del reale.
E che dire di Salah, indicato dai media globali come componente del commando degli attentati parigini? Salah è stato dato "secondo fonti ufficali", formula usata dal mainstream italiano, prima pentito del gesto, poi fuggitivo in Belgio, poi in Siria, poi semplicemente fuggitivo. Una volta arrestato in Belgio è stato dato, sempre con la stessa formula giornalistica, come pentito che rifiuta l'estradizione in Francia. Poi è stato dato come pentito che chiede, espressamente, l'estradizione in Francia. Poi come pronto a farsi saltare in aria a Bruxelles se non fosse stato scoperto. Facciamo notare che Salah, secondo fonti ufficiali, sarebbe stato coperto per mesi dall'Isis e poi addirittura inserito in un commando per un nuovo attentato.
- Details
- Hits: 5790
Il socialismo e la gestione democratica delle imprese
di Bruno Jossa
1. Ampiamente diffusa oggi è l’opinione che il marxismo sia morto perché il sistema sovietico di pianificazione centralizzato è fallito. Ma è vera, invece, l’opinione contraria. «Sono lontani i tempi – scriveva Bensaïd nel 2009 – in cui una stampa sensazionalistica annunciava trionfalmente al mondo la morte di Marx. […] Oggi il suo temuto ritorno fa scalpore. L’edizione tedesca del Capitale ha triplicato le vendite in un anno. In Giappone la sua versione manga è diventata un bestseller. […] A Wall Street ci sono state addirittura delle manifestazioni al grido di: “aveva ragione Marx!” (cfr., per es., Kellner, 1995, Stone, 1998 e soprattutto Cohen, 1978 e 2000). Quest’ultimo argomenta che «il fallimento sovietico può essere considerato un trionfo per il marxismo».
Oggi, infatti, conosciamo un modo per liberarci del capitalismo senza violenza rivoluzionaria, in base a decisioni parlamentari, perché il lungo dibattito sulla teoria economica delle cooperative di produzione che si è avuto, a seguito di un celebre articolo di Ward del 1958, ha mostrato chiaramente che è possibile creare un sistema d’imprese gestite dai lavoratori, che è un nuovo modo di produzione nel senso di Marx e che, pur non essendo il paradiso in terra, può funzionare assai bene.
Sartre ha scritto che «il marxismo rimane insuperabile perché le circostanze che l’hanno generato non sono state ancora superate» (1960).
- Details
- Hits: 2609
Agnelli sacrificali
di Alexik
Gli attentati di Bruxelles hanno lasciato sul terreno i corpi di 31 persone inermi e più di 100 feriti negli ospedali. A reti unificate, in questi giorni, ne stiamo conoscendo i volti, le storie. Possiamo rimpiangerne i desideri spezzati, identificarci con loro.
Altri morti di questa sporca storia non hanno avuto tanti riflettori. Nella migliore delle ipotesi, hanno dovuto accontentarsi di essere rappresentati da un numero. Molto più spesso la loro fine è stata oscurata dal buio dei nostri teleschermi. Il cordoglio e lo sdegno sono ‘privilegi’ riservati solo ai nostri morti, e vanno sapientemente amplificati, per spingerci attorno a una bandiera e motivare nuove avventure militari.
Avventure come queste: “Near Mosul, six strikes struck two separate ISIL tactical units and destroyed an ISIL assembly area, an ISIL supply cache, and three ISIL vehicles and damaged an ISIL-used bridge section and suppressed an ISIL fighting position” (19 marzo 2016).
Dovrebbe rassicurarci questa nota del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che sintetizza la cronaca di uno dei tanti attacchi aerei sull’Iraq. Rincuorarci sulla geometrica potenza, sulla precisione chirurgica della risposta occidentale al terrorismo. Se non fosse che a Mosul, occupata dal Daesh, ci abitano un milione e mezzo di persone, e che il bombardamento in questione ha ucciso, oltre a 40 combattenti jihadisti, decine di civili. Alcune fonti parlano di 25 civili morti, altre ne calcolano più di cento per l’attacco al campus universitario. I nostri media non si sono scomodati a contarli.
- Details
- Hits: 3072
Lo scontro tra civiltà come arma pop di atomizzazione di massa
di Bazaar
Consideriamo una risposta positiva come un augurio di Buona Pasqua. Per tutti...
Introduzione- Imperialismo globale, menti elementari e fallacia fallaciana
John Maynard Keynes, a proposito del governo britannico, in una lettera a Duncan Grant del 15 dicembre 1917
Ricordiamo come – stando con Braudel – le correnti della Storia fluiscano a velocità diverse: ed invece, ci troviamo a constatare come la comune esperienza porti a credere che «geografia, civiltà, razza e struttura sociale» siano un dato di fatto. Oggetti immutabili, come le leggi stesse che li governano.
I motivi sono principalmente due: il primo – come sconsolati dovettero prendere atto Marx ed Engels – è che l'ignoranza della storia è diffusissima[1] anche in gran parte delle classi più istruite; il secondo, invece, lo aveva ben chiaro Adolf Hitler: i dominati con «un cervello illuminato da alcune nozioni di storia, giungerebbe a concepire alcune idee politiche, e questo non andrebbe mai a nostro vantaggio»[2].
- Details
- Hits: 9176
L'era dei robot e la fine del lavoro
Un bene o un male per l'umanità?
di Fabio Chiusi
È un giorno qualunque, nell’era dei robot, e il lavoratore tipo esce di casa per recarsi in ufficio. Le macchine, per strada, si guidano da sole. Il traffico pure: si dirige da sé. Lo sguardo può dunque alzarsi sopra la testa, dove, come ogni giorno, droni consegnano prodotti e generi alimentari di ogni tipo – oggi, per esempio, il pranzo suggerito dal frigorifero “intelligente”. Sul giornale – quel che ne resta – gli articoli sono firmati da algoritmi. Giunto alla pagina finanziaria, il nostro si abbandona a un sorriso beffardo: il pezzo, scritto da un robot, parla delle transazioni finanziarie compiute, in automatico, da altri algoritmi.
Entrato in fabbrica, poi, l’ipotetico lavoratore di questo futuro (molto) prossimo si trova ancora circondato dall’automazione; per la produzione, ma anche per l’organizzazione, la manutenzione, perfino l’ideazione del prodotto: a dirci cosa piace ai clienti, del resto, sono ancora algoritmi. Quel che mi resta, pensa ora senza più sorridere, è coordinare robot, o robot che coordinano altri robot. Finché ne avranno bisogno.
Ma per quanto ancora? Per rispondere, basta tornare al presente. Nei giorni scorsi, l’intelligenza artificiale di Google chiamata ‘AlphaGo’ ha umiliato il campione Lee Sedol in uno dei giochi più complessi, astratti, e dunque tipicamente umani – così pensavamo – mai esistiti: il millenario Go.
- Details
- Hits: 2572
L’insensato parallelo tra jihadismo e Brigate rosse. Di nuovo
di Militant
Già dopo gli attentati a Parigi di novembre avevamo scritto una riflessione sull’uso strumentale dell’accusa ai jihadisti di essere come le Brigate rosse: un parallelismo disgustoso quanto frequente, come testimonia l’immagine trovata su internet che apre questo contributo, sulla quale ogni commento sarebbe superfluo. Un parallelismo bislacco, privo di senso, senza alcun valore non solo politico, ma anche storiografico. Insomma, quello che a Roma si chiama «buttare in caciara», un modo da un lato per chiamare alla sacra unione nazionale contro il nemico e dall’altro per bollare come «nemica» e «criminale» qualsiasi ipotesi di cambiamento radicale del sistema in cui viviamo.
Dopo gli attentati di martedì a Bruxelles, politici e giornalisti italiani non hanno perso tempo per riproporre l’assurdo parallelismo. Così prima di tutti Renzi, che nella conferenza stampa ufficiale ha inizialmente elogiato le forze dell’ordine italiane che avrebbero una vasta esperienza nella lotta alle emergenze – «dalla mafia, al terrorismo, al brigatismo», come se fossero la stessa cosa – e poi si è rivolto (in un crescendo che andava dal nazismo sconfitto dai nonni alla sua generazione, a coloro che hanno studiato giurisprudenza dopo gli omicidi di alcuni magistrati per mano mafiosa) alla generazione dei suoi genitori, che «hanno avuto la prova del terrorismo e del brigatismo: durante le loro lezioni all’università si sparava».
- Details
- Hits: 4359
Chi parte da sè fa per tre
L'inutile fatica di essere se stessi nel capitalismo contemporaneo
di Giovanni Di Benedetto
Nell’Ottobre del 2014 si svolse ai Cantieri Culturali alla Zisa, a Palermo, un seminario di studi che provava a mettere a fuoco la connessione sempre più stringente fra sofferenza psichica, disagio sociale e totalitarismo dell’universale capitalistico. Da quell’incontro seminale, col quale anche la redazione di Palermograd ha provato a confrontarsi (si vedano gli interventi di Calogero Lo Piccolo qui e Salvatore Cavaleri qui), è nato adesso un volume che raccoglie i contributi, rielaborati, dei relatori di quell’incontro. L’inutile fatica: soggettività e disagio psichico nell’ethos capitalistico contemporaneo, è questo il titolo del libro pubblicato da Mimesis Edizioni (2016) e curato da Salvatore Cavaleri, Calogero Lo Piccolo e Giuseppe Ruvolo, un testo che prova a impiantare, riuscendoci brillantemente, un dialogo transdisciplinare tra attivisti sociali, psicoterapeuti, filosofi e psicologi.
Il punto di partenza della riflessione è dato dalla constatazione di quanto sia stata devastante l’incidenza della crisi economica, e dei dispositivi di potere del capitalismo che l’ha generata, sulla precarizzazione esistenziale delle soggettività. La nostra è l’epoca dell’ideologia competitiva e concorrenziale del mercato. Da qui scaturiscono vissuti esistenziali catturati in una rovinosa spirale depressiva imposta dalla pretesa sempre più saturante all’autosufficienza. Nella società della competizione narcisistica il desiderio, trasfigurato in incessante istanza di godimento, viene reificato e oggettivato.
- Details
- Hits: 3627
Gli attentati, la crisi, i fallimenti e i tradimenti
di Piotr
E' una questione di logica elementare fare il secondo passo in più e cercare di capire gli obiettivi dei padrini degli attentati
1. Vi ricordate Beppe Braida e le sue notizie a Zelig sui contrattempi di Berlusconi, che esposti in un crescendo di esagerazioni dai vari telegiornali finivano col TG5 che decretava immancabilmente: "Attentato! Trattasi di attentato!"?
Il mainstream sta facendo un percorso inverso e partendo da veri, orrendi attentati dove persone reali, come me e come voi, hanno perso tragicamente la vita, in un retro-crescendo di panzane finisce per sminuire, volutamente, l'origine e il significato degli attentati di Bruxelles.
Sembra ad esempio che ci sia uno sforzo per reprimere una serie di domande del tutto naturali: Come mai mentre l'Europa sta discutendo se e come intervenire in Libia "contro l'ISIS", il suo centro nevralgico viene provocato con un sanguinoso attentato? È una coincidenza? O è fatto per impaurirci? Per dirci di non provarci? O, al contrario, per spingerci a lasciar perdere la prudenza e intervenire?
In compenso il fatto che i fratelli Bakraoui, oggi indicati come i responsabili dell'attentato all'aeroporto di Bruxelles, fossero noti ai servizi segreti ma siano lo stesso riusciti a entrare in zone sorvegliatissime senza nemmeno tentare di camuffarsi, desta la solita meraviglia e il solito stupore che vediamo in bocca agli "esperti" ad ogni attentato.
- Details
- Hits: 2998
Quando la guerra non c’era
La questione si potrebbe riassumere nei seguenti termini: l'uomo sarebbe un lupo per l'uomo, e lo stato di natura corrisponderebbe ad uno stato di guerra permanente. La guerra di tutti contro tutti, insomma. In questo si può riconoscere l'antropologia pessimista di Hobbes e la sua opera principale, il Leviatano. In contrapposizione a questo pregiudizio troviamo la visione irenica di un Rousseau, per il quale, al contrario, l'uomo è naturalmente buono ma viene corrotto dalla società.
Sembra quasi che si debba scegliere, in una linea che parte da Hobbes ed arriva a Rousseau, dove piazzare il cursore. Ma, davvero, la violenza e lo stato di guerra sono sempre esistiti? Cosa ne pensano gli archeologi e gli studiosi di preistoria, come ad esempio Marylène Patou-Mathis, la quale sull'argomento ha scritto un libro, « Préhistoire de la violence et de la guerre » (Odile Jacob 2013).
Cominciamo dal concetto di guerra, e diciamo da subito che la guerra, definita come uno stato di conflitto armato fra più gruppi politici costituiti, all'epoca dei cosiddetti "cacciatori-raccoglitori" semplicemente non esisteva! Se la definizione di "guerra" può variare a seconda dell'autore, lo spirito rimane il medesimo: è un atto di violenza che ha come sua caratteristica essenziale quella di essere metodica ed organizzata, ed è volta a costringere l'avversario ad eseguire la nostra volontà. Nel caso delle guerre cosiddette "tribali" si tratta allora di un "modo di risolvere una crisi intervenuta durante la conduzione di transazioni pacifiche, ossia come sostituto", e vanno distinte le "guerre sia difensive degli agricoltori che quelle offensive dei pastori - e quelle punitive nel nome del sovranno contro i vassalli refrattari".
Sappiamo dalle ricerche archeologiche che "nel corso del paleolitico, fra molte centinaia di ossa umane esaminate, solamente due attestano atti di violenza volontari". E sono stati perpetrati dall'uomo moderno (homo sapiens)".
Page 405 of 613