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Guerra Ucraina: note sul punto di vista dell’altra metà del mondo
di Alessandro Visalli
Con 141 voti favorevoli, 5 contrari e 35 astenuti è passata all’Onu una risoluzione che condanna l’invasione russa dell’Ucraina. Hanno votato contro la Russia, la Bielorussia, la Corea del Nord, l’Eritrea e la Siria, voleva votare anche il Venezuela, ma gli è stato impedito con un cavillo. Gli astenuti, posizione molto difficile in questo contesto, sono la Cina, l’India, l’Iran, l’Iraq, il Pakistan, l’Algeria, l’Angola, l’Armenia, il Bangladesh, la Bolivia, il Burundi, la Repubblica Centro Africana, il Congo, El Salvador, il Kazakistan, il Kyrgystan, il Madagascar, il Mali, la Mongolia, il Mozambico, la Namibia, il Nicaragua, il Senegal, il Sud Africa, il Sud Sudan, il Tajikistan, l’Uganda, la Tanzania, il Vietnam, lo Zinbabwe. Quindi molti paesi asiatici, africani e sudamericani.
La risoluzione chiedeva la fine della guerra ed il ritiro delle forze di invasione.
Si sono espressi con un’astensione paesi che complessivamente comprendono oltre quattro miliardi di persone. Proviamo a vedere quali ragioni avevano.
Sulla stampa cinese. Maria Siow su South Csulina Morning Post[1] si chiede se il rifiuto della Cina e dell’India di condannare la Russia danneggerà la loro reputazione nell’Asean (che ha votato a favore della risoluzione dell’Onu con l’astensione, oltre che di Cina e India, solo di Vietnam e Laos). La posizione cinese è quindi descritta come ambivalente, dal ministero degli esteri che accusa gli Usa di aver provocato la guerra allo stesso Ministro che, tuttavia, si dichiara addolorato per il conflitto e le perdite civili.
Il China Daily[2] descrive, come tutte le altre testate, l’apertura della 13° sessione del NPC nella quale Xi ha proposto l’ampliamento del budget militare del 7,1% (la Cina spende ca 250 miliardi di dollari, gli Usa 780 e la Russia 61 miliardi, l’India 72, la Ue 378 miliardi).
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Quando Foucault parlò con un operaio
L'(in)attuale rispetto di una “star” filosofica per il sapere dei lavoratori
di Andrea Muni
“L’intellettuale serve a mettere insieme le idee, ma il suo sapere è parziale rispetto al sapere dei lavoratori”. Con questo titolo esce su Libération del 26 maggio 1973 una conversazione tra José, operaio della Renault vicino alla Gauche Proletarienne – Sinistra Proletaria (gruppo di estrema sinistra maoista/spontaneista) e il già celeberrimo filosofo Michel Foucault. La splendida e “canonica” traduzione italiana di questo scambio si trova in M. Foucault, “Il discorso, la storia, la verità (Interventi 1969-1984)”, a cura di Mauro Bertani, Einaudi 2001. [Qui la traduzione degli estratti è mia]
A cosa serve andare a ripescare una conversazione in tutti i sensi inattuale come questa? Una conversazione tra quella che, nel 1973, è già una “star” filosofica come Foucault e un operaio della Renault? Serve in primo luogo per apprezzare la dimensione di ascolto, di non-paternalismo e non-pedagogismo che Foucault assume nei confronti di José. In secondo luogo, serve come spunto storico per riflettere sul livello di simpatia e complicità che i grandi intellettuali “militanti” degli anni ’60 e ’70 nutrivano pubblicamente, senza problemi, nei confronti di quelle frange della militanza politica che non disdegnavano di portare la lotta nelle strade, nelle università e nelle fabbriche. A Lens, dopo la morte di un gruppo di minatori per una fuga di gas, nel 1970 i militanti maoisti della GP attaccano fisicamente l’amministrazione della fabbrica. Mentre il processo della giustizia ordinaria procede contro i mao’s, questi convincono niente meno che l’anziano Jean Paul Sartre (e altri importanti intellettuali dell’epoca) a difenderli dall’aggressione della Giustizia e dello Stato borghesi. E’ così che Sartre, per evitare che venga chiuso, assume la direzione del giornale della GP (La cause du peuple), e accetta anche di presiedere le sedute di un tribunale popolare incaricato di giudicare, inversamente, i crimini dei nemici della classe operaia.
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La Transizione digitale come biforcazione storica
di S. Bellucci
La fase storica che stiamo vivendo non è inquadrabile nel concetto di crisi ma in quello di transizione. La rivoluzione tecnologica è anche una rivoluzione sociale e politica e sta producendo i suoi esiti in conflitto con i vecchi assetti del mondo industriale e finanziario. Il lavoro salariato perde la sua centralità pur mantenendo la sua forma di sfruttamento ma ad esso si affiancano nuove forme di estrazione del valore basate sulla logica della gestione dei dati. La lotta si configura tra i modelli centralizzati e quelli decentralizzati e l’abilitazione di produzione diretta di valore d’uso.
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Il fattore chiave per comprendere le trasformazioni in atto e scegliere le opportune linee di azione, attiene alla valutazione della fase. La maggioranza delle analisi parte da una “tradizionale” percezione degli accadimenti e li inquadra all’interno della categoria della “crisi”. All’interno di questo approccio, inoltre, si sviluppa la convinzione di un recupero o della vecchia forma di stabilità (sia economica, sia di modello sociale e statuale) o del possibile “ritorno” a forme di contestazione, conflitto, lotta che consentirono, soprattutto nel secolo lungo del capitalismo industrial-finanziario di acquisire conquiste sociali, diritti, forme di rappresentanza in grado di produrre processi di identificazione e di delega. Questo anche nelle formazioni politiche e sociali che, pur auspicando un cambiamento “generale”, continuano a pensare che esso possa essere prodotto a partire dal “recupero” della “forza” (politica e sociale) che in passato avevano avuto le organizzazioni del mondo del lavoro.
Una sorta di ossimoro storico: per cambiare occorrerebbe ripristinare!
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La guerra in Ucraina, l’Occidente e noi
di Maurizio Lazzarato
In questo articolo Maurizio Lazzarato propone una riflessione sulle cause che hanno provocato l’attuale Guerra in Ucraina, partendo da un’analisi delle più importanti rivoluzioni del XX secolo, durante le quali si sono riconfigurati i rapporti di forza tra Occidente e Oriente, tra Nord e Sud del Mondo. Secondo Lazzarato proprio la mancata analisi di quelle rivoluzioni ha fatto si che, dopo il crollo del Muro di Berlino, non siano stati sufficientemente compresi i nuovi assetti strategici e, di conseguenza, che non si sia intravisto il pericolo di nuove inevitabili guerre, come quella scoppiata proprio in Ucraina.
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“La catastrofe è la condizione di vita e il modo normale di esistenza del capitale nella sua fase finale”.
Rosa Luxemburg (1913)
Le parole d‘ordine «No alla guerra», «Pace», «né con Putin, né con Biden» sembrano deboli e impotenti se non trovano la loro forza in un «contro Putin e contro Biden». L'opposizione alla guerra deve fondarsi su una feroce lotta contro le diverse forme di capitalismo e sovranità in lizza tra loro, tutte capaci di dominio, sfruttamento e guerra.
L’appello dei partiti socialisti alla conferenza internazionale di Zimmerwald del 1915 ci ricorda una verità molto semplice, sebbene attivamente dimenticata. La guerra «nasce dalla volontà delle classi capitaliste di ogni nazione di vivere dello sfruttamento del lavoro umano e delle ricchezze naturali dell’Universo» – per cui il nemico principale è, o è anche, nel nostro stesso paese.
Siamo sorpresi, siamo disorientati, come se questa guerra fosse una novità arrivata come un fulmine nel cielo sereno della pace. Eppure, da quando il Dipartimento di Stato nel 1989 ha annunciato la fine della storia, la pace e la prosperità sotto la benevolenza dello Zio Sam, il Pentagono e l’esercito degli Stati Uniti si sono impegnati in una serie impressionante di «missioni umanitarie per la fratellanza tra i popoli»:
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Parla l’imprenditore russo: “Vi dico la verità sulle sanzioni”: Rettifica
Il lato oscuro delle misure imposte alla Russia dalla Comunità internazionale
a cura di Beatrice Nencha
Aggiornamento ore 19.30
Abbiamo rimosso l’intervista ad un imprenditore russo pubblicata stamattina e firmata da Beatrice Nencha. Ad una successiva e più approfondita verifica, infatti, ci siamo resi conto che molte delle cifre fornite dall’imprenditore erano errate. I numeri si discostavano così tanto dalle stime realistiche che abbiamo preferito eliminare del tutto l’intervista. Ce ne scusiamo con i lettori e li ringraziamo per la comprensione.
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La guerra imperialista è la realtà del capitalismo
di Nico Maccentelli
Una realtà sempre possibile, che la deterrenza nucleare del secondo dopoguerra aveva mitigato verso crisi geopolitiche locali, guerre per procura e conflitti limitati. Ma che oggi nasce da due tendenze contrapposte insite nel modo di produzione capitalistico e delle sue formazioni economico-sociali, nei suoi capitalismi (come La Grassa definisce il sistema mondo): la tendenza a imporre un sistema mondo unipolare da parte degli USA e del suo blocco di potenze imperialiste alleate e vassalle… e la crescita di un multipolarismo che è già nei fatti, d parte di neopotenze capitaliste come la Cina, la Russia, l’India e altri attori minori ma con uno sviluppo economico e sociale molto veloce.
Questa contraddizione nasce poi dalle crisi economiche che ciclicamente investono l’intero modo di produzione capitalistico con sovrapproduzione di capitali, quindi la valorizzazione del capitale stesso nella caduta tendenziale del saggio di profitto. Un andamento che ormai ha una sua ciclicità strutturale e che si manifesta con l’ipertrofia finanziaria e l’esplosione di bolle speculative sempre più devastanti.
E’ in questo quadro che si innesca il conflitto ucraino, determinato essenzialmente dall’espansionismo della NATO a est (disattendendo gli accordi fatti nel dopo URSS: non un pollice di allargamento), che pone sotto minaccia nucleare diretta la Russia, potenza ricostituita con un forte dispositivo tecnologico militare.
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Capitan Ucraina
di Pierluigi Fagan
L’attore comico milionario ucraino, arrivato al potere con un partito che era la casa di produzione di un serial televisivo da lui finanziato, prodotto, scritto, diretto ed interpretato dove lui diventava presidente, oggi circondato da giovanotti che sembrano nazisti nazionalisti ma non lo sono, che in certi video pubblici di poco tempo fa tirava su il naso e spalancava gli occhi serrando la mascella senza per questo essere cocainomane, è diventato il nuovo eroe Marvel ed ora conduce fiero l’ennesima puntata del Bene contro il Male. Ma questo non è un film e voi non siete solo gli spettatori.
Ha coscritto la popolazione maschile che ha accompagnato le proprie mogli e figli alla partenza salutandole forse per l’ultima volta. Abbiamo e sempre più avremo milioni di profughi, vedove e orfani, che l’ONU ci avverte creeranno problemi logistici al limite della risolvibilità non per nostra cattiva volontà, ma perché la logistica è la logistica e non si fa con le chiacchere. Ha spinto con le buone e con le cattive uomini civili ad andare contro uno degli eserciti più grandi e potenti del mondo con le molotov. Sta facendo distruggere materialmente grande parte del suo paese e mi fermo qui perché oltre si scade in ciò che non è evidente. Le stesse cose le ha dette padre Alex Zanotelli. Inonda di propaganda di guerra tutti i mezzi possibili, intrattenendosi con tutti i leader occidentali più volte al giorno, ricordandoci che guerra e radiazioni stano venendo da noi, manca poco, sempre meno, in un crescendo di paranoia indotta. Invoca invio armi, uomini, mezzi per il suo tragico Armageddon che non avrà alcun finale alternativo a quello che ogni analista militare conosce già dal primo giorno. Per cosa?
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Il nuovo disordine mondiale /3: i discorsi della guerra
di Sandro Moiso
Si è conclusa l’era della pace (Mateusz Jakub Morawiecki, primo ministro polacco – intervista al «Corriere della sera»)
Data per scontata la fine della pace illusoria che ha dominato il discorso politico degli ultimi decenni in Italia e in Occidente, a seguito degli avvenimenti degli ultimi giorni in Ucraina, occorre per meglio comprendere i reali sviluppi degli stessi esporre alcune considerazioni di carattere politico, economico e militare. In particolare sul concetto di guerra-lampo e sulla strategia militare russa; sul riarmo europeo e in particolare tedesco; sull’andamento delle borse che hanno premiato le industrie produttrici di armi o collegate al settore degli armamenti e, infine, sulle ritorsioni di carattere economico adottate dall’Occidente nei confronti della Russia putiniana e delle loro possibili conseguenze sul piano interno russo e su quello militare, guerra nucleare compresa. Compreso, last but not least, un sintetico commento sul linguaggio di guerra dei media di ogni parte coinvolta e di quelli occidentali in particolare.
Linguaggio, propaganda e guerra sono assolutamente indivisibili poiché mentre le esigenze dell’ultima rimodulano obbligatoriamente i primi due elementi, questi, a loro volta, foraggiano e rivitalizzano in continuazione la stessa. In un girotondo in cui i termini tecnici perdono il loro reale significato, distorto a scopo propagandistico, e l’emozionalità sostituisce la razionalità di qualsiasi discorso inerente ai fatti reali. In cui la costante denigrazione e demonizzazione del “nemico” avviene in un contesto in cui, come già affermava Hannah Arendt ai tempi della guerra in Vietnam e dei Pentagon Papers, la “politica della menzogna” è destinata principalmente, se non esclusivamente, ad uso interno e alla propaganda nazionale1.
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L’invasione russa dell’Ucraina apre una nuova fase storica
di Giacomo Marchetti
L’inizio della cosiddetta Operazione Speciale del Cremlino in Ucraina è uno spartiacque per le relazioni internazionali.
Tale azione ha, ed avrà, conseguenze che complicheranno ulteriormente il difficile quadro di governance della crisi dell’attuale modo di produzione capitalistico, giunto ora ad un punto di svolta nella definizione di diversi blocchi contrapposti.
É chiaro che gli apprendisti stregoni che hanno portato a tale punto di macerazione le storture di questo sistema delle relazioni internazionali si stanno già adoperando per far ricadere sulle classi subalterne le proprie scelte scellerate, nel mentre alimentano uno sciovinismo guerrafondaio ed una guerra psicologica assolutamente preoccupante, e per certi versi inedita, a questi livelli.
Cercano di colmare con lo sciovinismo la strutturale mancanza di fiducia nell’operato delle élite, ma è un succedaneo che esprime la debolezza di chi ha perso da tempo la propria capacità egemonica.
Questo avviene in un contesto in cui le contraddizioni strutturali di questo sistema sembrano approfondirsi anziché risolversi: tendenza alla guerra, crisi ecologica, incapacità di assicurare uno sviluppo (anche scientifico) che appaghi i bisogni delle popolazioni, o quanto meno inverta il processo di immiserimento crescente, torsione autoritaria – non solo in Occidente – che annulla i processi di partecipazione democratica sulle scelte politiche di fondo e relativizza ancora ulteriormente il ruolo dei “corpi intermedi”.
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Il Diavolo, Annibale e la reazione “democratica”
di Norberto Fragiacomo
Oggi è politicamente corretto, anzi obbligatorio, definire Vladimir Putin un pazzo e un brutale assassino e addirittura auspicare la sua soppressione fisica, come fanno schiere di pacifinti sui social network. Questa reazione isterica all’invasione dell’Ucraina non ha nulla di genuino, a parte l’ottusità dei tanti che in (inescusabile) buona fede la diffondono, prestandosi a un gioco infinitamente più grande di noi tutti le cui regole non sono state dettate dalla Russia.
E’ persino banale osservare che la Storia dell’umanità è stata scritta da grandi personalità amorali, che per raggiungere i propri obiettivi non hanno lesinato sofferenza e privazioni a masse di individui e popoli interi, sacrificati come pedoni su una scacchiera: in una nota del suo romanzo Annibale, lo scrittore tedesco Gisbert Haefs contrappone il protagonista ad Alessandro Magno, Cesare e Napoleone, evidenziando che solo il primo combatté per impedire la rovina della patria – e va perciò moralmente assolto – mentre gli altri condottieri citati meritano la taccia di criminali poiché, una volta dissoltasi l’iniziale ammirazione per l’obiettiva grandezza delle loro imprese, ci appaiono nelle vesti di conquistatori spietati. Su questo giudizio si potrebbe discutere, ma merita tenerlo presente dal momento che pure Annibale è tecnicamente un “aggressore”. Sono in molti tuttavia a sostenere che la sua fu in sostanza una guerra difensiva cui fu indotto dall’intransigenza di Roma che, ingerendosi nelle vicende spagnole, cercava lo scontro risolutivo – e lo ottenne, anche se per vincerlo e annientare la rivale dovette impegnarsi e soffrire più del previsto.
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Sull’invasione russa (e americana?) dell’Ucraina
di Istituto Onorato Damen
L’imperialismo contemporaneo è la più criminale forma di racket che ci sia mai stata nella storia del capitalismo e questa guerra lo conferma. Per fermare la guerra occorre un nuovo partito comunista e internazionalista.
Nel nostro tempo ogni guerra, anche se camuffata da guerra di religione o di liberazione nazionale, da guerra “umanitaria” per la difesa dei diritti umani e per il rispetto del diritto internazionale, e così via, è sempre un momento di quella guerra imperialista permanente che da decenni imperversa per il mondo intero, seminando morte, fame e distruzione.
Lo è stata quella appena conclusa in Afghanistan, lo sono quelle in corso in Medio Oriente, quelle in Africa e in Asia, e lo è anche quest’ultima appena iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Putin dice che è stato costretto a farlo per difendere la popolazione russofona del Donbass dal “genocidio” perpetrato dall’esercito di Kiev.
In realtà, come George Bush fece al tempo dell’invasione americana dell’Afghanistan, anche Putin potrebbe dire ai suoi sodali: «Non commettiamo errori. Questo è per il petrolio. È sempre per il petrolio»[1]. E – aggiungiamo noi – per il gas e per la moneta con cui questi si scambiano.
«Oggi – scriveva già nel 2014 Marco D’Eramo – la Russia di Putin e “l’Occidente” [ossia, gli Usa – n.d.r.] condividono un’identica visione basata sulla ricerca di profitto e di potere: in tutto tranne su un punto, e cioè a chi debbano andare profitto e potere.»[2]
Condivisione e Conflitto
È pertanto uno scenario di condivisione e conflitto, da cui discende un tale groviglio di interessi che non è sempre facile distinguere dove finisce la condivisione e dove inizia il conflitto.
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Bugie, la principale arma di guerra in Ucraina
di Aram Aharonian – Giornalista uruguaiano
Il mondo teme che l’umanità sia sull’orlo di un conflitto militare su larga scala: terminale? Oggi, non solo stiamo assistendo a un’estrema ideologizzazione e a una parzialità nella copertura degli eventi in Ucraina, ma le menzogne e la manipolazione dell’immaginario collettivo si stanno rafforzando sui social media e stanno portando all’ipertrofia di una massa di informazioni che sfugge al controllo e alla verifica.
Ancora una volta, i media – compresi i social network – hanno agito in modo subdolo per generare un conflitto che può solo beneficiare i venditori di armi, le compagnie petrolifere transnazionali, che sono quelle che hanno alimentato il conflitto. La verità è la prima vittima della guerra, diceva il greco Eschilo più di 2.500 anni fa. Oggi sappiamo che le bugie sono un’arma di guerra.
I media egemonici installano la guerra nell’immaginario collettivo, quando la cosa più sensata da fare sarebbe deplorare il conflitto per ciò che implica in termini di sofferenza umana e distruzione materiale e insistere non sulla competizione per dimostrare chi è il più forte, ma sulla necessità di una soluzione attraverso il dialogo. È quello che chiamano guerra ibrida, la menzogna come arma e la verità come vittima.
La copertura della crisi ucraina da parte dei media mainstream è imperfetta, oltre che palesemente razzista e prevenuta, nella ripetizione dei mantra russofobi fabbricati a Washington per strumentalizzare la guerriglia geopolitica e ideologica delle “forze del bene” – la civiltà occidentale – contro la “forza del male”: i “comunisti” russi, caucasici ed eurasiatici.
Nel frattempo, continuano a ignorare il profilo ultradestra dell’attuale presidente Volodymyr Zelensky, e dei gruppi di estrema destra e neonazisti che partecipano e sostengono il governo.
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Scuola, Università, Costituzione: la necessaria “polemica contro il presente”
G. Carosotti e R. Latempa intervistano Tomaso Montanari
Proponiamo ai lettori una recente intervista al professor Tomaso Montanari, Rettore dell’Università per stranieri di Siena, in tema di scuola e università, sui problemi e i processi di riforma che le coinvolgono. Introduzione dell’insegnamento delle soft skills, alternanza scuola- lavoro, orientamento, test INVALSI, formazione del capitale umano, autonomia differenziata regionale. Questi, alcuni dei temi trattati nella discussione con lo studioso, a partire dall’osservazione e dal vissuto dello stato delle cose: il “declino della democrazia partecipativa”, le recenti manifestazioni studentesche, l’urgenza di una scuola fatta di “insegnanti e dirigenti coscienti del proprio ruolo” e non semplici “erogatori del servizio” che orientano e instradano i giovani sempre più precocemente. La scuola, e poi l’Università, dovrebbero offrire ai giovani proprio la possibilità di non adattarsi, di “prendere in mano la propria vita” e agire nello spazio pubblico con spirito critico. Di mettere atto, per ricordare le parole di Piero Calamandrei nel 1955, una necessaria “polemica contro il presente”.
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G. Carosotti: L’attualità ha visto soprattutto ultimamente il governo in difficoltà, ad esempio sul tema dell’apertura/chiusura si sono manifestate molte inefficienze, rispetto alla priorità da affrontare. I tre provvedimenti che avrebbero dovuto maggiormente fare argine al rischio di tornare alla didattica a distanza, che erano la diminuzione del numero di alunni per classe, un sistema di trasporti adeguato e anche un intervento immediato e finanziariamente importante sul sistema di areazione nelle classi, non sono stati attuati, probabilmente sperando che i problemi si risolvessero da sé.
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Benvenuti nel nuovo mondo
di Pasquale Cicalese
Tre giorni fa ho ospitato sul blog l’intervento dell’economista Guido Salerno Aletta sullla de-dollarizzazione. Articolo molto letto, secondo i canoni del mio piccolo blog, e che ha acceso un dibattito tra diverse persone su whattupp e con il telefono. Ho ritenuto perciò opportuno chiedere loro un contributo. I primi tre li pubblico oggi, probabilmente ce ne saranno altri. Il fine è aprire un dibattito anche tra voi lettori, che potete dire la vostra nella finestra dei commenti. E’ un articolo lungo, vi prego di prestare pazienza e attenzione. Ne vale la pena. Ecco i contributi.
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Duello&triello
di Roberto Sassi, filosofo e saggista
La guerra senza limiti comprende esiti frastagliati…La competizione interimperialistica, in un mondo multipolare, è un triello alla Sergio Leone, non un duello alla John Ford (Gattei docet). Nel duello vince chi spara per primo.Nel triello, chi spara per primo muore (cf. Il buono, il brutto e il cattivo). Questa situazione mette nell’angolo gli USA, che sono ancora la maggiore potenza militare mondiale. Per uscire dall’angolo, gli USA vogliono:
- Costringere l’UE nella morsa atlantica
- Bloccare la via della seta
- Tornare al duello est-ovest
Così si capiscono 8 anni di temporeggiamento russo e la posizione defilata della Cina.
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Fermarsi davanti al precipizio
di Tanner Greer
Il pubblicista e ricercatore indipendente Tanner Greer, collaboratore di Foreign Policy, sul suo sito The Scholar's Stage, offre interessanti spunti di riflessione sul processo decisionale nella politica estera occidentale degli ultimi decenni, che gli appare come guidato più da imperativi moralistici che da lucide e dettagliate riflessioni razionali. Anche negli ultimi precipitosi eventi in Ucraina le decisioni politiche dell'Occidente sembrano più informate a giudizi di valore e al bisogno impellente di "fare qualcosa" che ad una attenta valutazione delle conseguenze delle proprie scelte. Certamente questo aspetto morale e valoriale delle decisioni politiche è e dovrebbe essere sempre presente. Il problema si pone - come pare in questo caso - quando ci si costruisce degli imperativi morali senza mantenere solide basi di realtà.
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La risposta occidentale all'invasione russa arriva con violenza e rapidità. Le azioni dell'UE, delle nazioni dell'Anglosfera e del Giappone sono sia straordinarie che consequenziali: diversi stati della NATO hanno sfacciatamente dichiarato la loro intenzione di armare le forze ucraine con armi convenzionali e di precisione e persino aerei militari. Lo spazio aereo europeo è chiuso a tutti gli aerei russi. Le capitali occidentali non hanno solo annunciato sanzioni agli oligarchi del Cremlino, ma anche restrizioni alla banca centrale russa. Le istituzioni russe vengono rimosse dal sistema SWIFT. I norvegesi, con una manovra che sarà sicuramente imitata, hanno scaricato tutti gli asset russi dal loro fondo sovrano. Olaf Scholz ha ripudiato in un discorso tutto l'ultimo decennio della politica energetica e di difesa tedesca. E ora si parla di far entrare Svezia e Finlandia nella NATO.
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Il nuovo disordine mondiale /2: Tamburi di guerra
di Jack Orlando
Il primo proiettile sparato da un tank di Mosca, non ha colpito il suolo d’Ucraina, o un suo soldato, ma è andato a impattare dritto contro la supponente quanto ingenua arroganza dell’Occidente nel credersi il padrone del mondo.
Ha mandato in frantumi quella certezza della NATO che nessuno, al di fuori di essa, può permettersi il lusso di invadere un paese sovrano e ridisegnarne gli scopi. La fine di quella certezza ha lasciato posto prima al panico, subito dopo al livore e si è messo in moto un ingranaggio pericoloso, alimentato a piombo e mania di onnipotenza.
Un intero mondo di musi gialli, di sporchi arabi, di dannati negri sta guardando il terribile sovrano occidentale schiaffeggiato sulla soglia di casa. Il rischio che i tremori europei si propaghino oltre il Vecchio Continente, decretando la fine definitiva del sistema-mondo a egemonia atlantica e dando il via a nuovi tentativi di disgregare l’ordine, è un rischio reale e gli amministratori della potenza occidentale non possono in alcun modo permetterlo.
Una vittoria della Russia, non sarebbe solo una sconfitta in Ucraina, sarebbe la fine di un primato di potenza e l’inizio di un mondo che le sfugge dalle mani.
È per questo che si continua a ripetere ossessivamente “Putin deve fallire”. È una questione di vita o di morte o, quanto meno, di irreversibile declino .
E non è diverso per il capo del Cremlino, ora che ha imboccato una via a senso unico contendendo alla NATO il monopolio dell’espansione imperialista: le alternative sono tra una vittoria militare con un conseguente (quanto difficoltoso ad oggi) cambio di status del paese invaso o di un compromesso vincente, oppure di un tragico tracollo per la Russia, ridimensionata definitivamente nel suo ruolo di potenza e relegata, bene che vada, ad un ruolo di subordine nello schema globale.
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Pólemos è padre di tutte le cose
di Giovanna Cracco
Cinque giudici del CGA siciliano ripercorrono le problematiche che ruotano intorno alla campagna vaccinale Covid e chiedono dati scientifici al governo: l’obbligo potrebbe arrivare davanti la Corte costituzionale, mentre la politica si muove in (apparente) stato dissociativo legiferando discriminazioni e un Green Pass permanente
“La politica non è un asilo: in politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa.”
Il 6 gennaio scorso il governo Draghi decreta l’obbligo vaccinale Covid 19 per i cittadini di età superiore a cinquant’anni: riguarda non solo le due dosi della “vaccinazione primaria” ma anche il cosiddetto booster, e si traduce in sospensione dall’impiego senza retribuzione per i lavoratori non in regola con la vaccinazione e privi del Green Pass da guarigione. Il provvedimento è chiaramente spinoso dal punto di vista costituzionale – lo vedremo – e sociale – per la fase pandemica nel quale si colloca, al di là della questione no vax – ma il presidente del Consiglio non ritiene di dover argomentare la decisione; lo farà solo quattro giorni dopo, aggiungendo le scuse per aver “sottovalutato le attese per una conferenza stampa”. Noblesse oblige titolano i principali media italiani (“Draghi si scusa”), incapaci (o servili al punto da diventarlo) di riconoscere l’arroganza del potere quando sorride e ha modi garbati; quell’arroganza che ritiene di poter decidere senza dover dare alcuna spiegazione. A sua discolpa, dobbiamo tuttavia riconoscere che Draghi non è abituato a vestire l’abito del politico: nulla gli è più alieno del concetto di ‘rappresentanza del popolo’. E probabilmente considera la Costituzione un vetusto fardello inadeguato alle attuali esigenze dei mercati globali e del sacro Pil.
Iniziamo a entrare nelle questioni.
C’è un giudice a Palermo
“È innegabile che quei crimini furono commessi nell’ambito di un ordine ‘legale’, e che anzi fu questa la loro principale caratteristica.”
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Uno contro cento
L’internazionalismo alla prova dei fatti in Ucraina
di Rostrum, Comzanros
La marea sale, il vento soffia, per molti è dura mantenere la fermezza di una posizione coerentemente internazionalista, ammesso che l’abbiano mai avuta. Ne siamo mortificati, ma non cederemo di un millimetro di fronte ai tentativi di mettere l’internazionalismo proletario in una falsa posizione, per giustificare l’incapacità di reggere l’urto delle trombe assordanti, non della realtà – si badi bene – ma della propaganda di guerra e del conseguente sentire diffuso.
In generale, tra i sofismi e le sottigliezze con cui finora si è argomentato contro le dichiarazioni internazionaliste – quelle autentiche, senza “se” e senza “ma” – il trait d’union è sempre stato quello di mettere, di fronte all’evento guerra imperialista, la divisione sociale, la lotta di classe, “tra parentesi”.
Siamo tutti internazionalisti – ci mancherebbe – “ma” di fronte ad un’aggressione imperialista e all’invasione del proprio territorio l’appello all’unità internazionale della classe operaia deve cedere il passo ad un ritorno in prima linea della “questione nazionale”, che si tratti del Donbass oppresso o dell’Ucraina occupata. Lo spazio per la lotta di classe si aprirà “in un secondo momento”, prima viene la lotta dei “popoli” per la loro indipendenza, autodeterminazione, ecc. Niente di nuovo, dal 1914 ad oggi.
Ma abbiamo letto anche di peggio.
C’è stato chi ha agito in maniera più ambigua – e perciò più pericolosa – provando ad aggirare l’obiezione fondamentale di qualunque internazionalista degno di tale nome: la divisione sociale, la lotta di classe non è mai “tra parentesi”, né graffa, né quadra, né tonda.
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Il caos capitalistico riflesso in Ucraina
di Michele Castaldo
I fatti di questi giorni non sono un fulmine a ciel sereno, Putin avrebbe perso all’improvviso i lumi della ragione e ha deciso di scatenare la guerra contro l’Ucraina, come si tenta di far credere, oppure per la sete espansionistica che mirerebbe a restaurare il vecchio impero zarista. Le cose sono molto più semplici e molto più complicate al tempo stesso.
Che si cerca di accerchiare la Russia attraverso la Nato fino ai confini ucraini, dovremmo ricordare che ci sono stati accordi firmati dalle potenze occidentali con la Russia all’indomani dell’implosione dell’Urss. E in quegli accordi si stabiliva che la Nato non avrebbe dovuto raggiungere i confini con la Russia, e in modo particolare attraverso l’Ucraina. Accordi, scritti e firmati, non chiacchiere. Dopodiché la Nato, ovvero gli Usa e le maggiori potenze economiche europee hanno risucchiato uno a uno tutti i paesi che si erano liberati dall’orbita sovietica, in modo particolare a Est, ma anche a Nord. E la Russia ha subito.
Vogliamo essere oltremodo chiari: le repubbliche che si sono liberate dall’influenza della ex Urss non lo hanno fatto esclusivamente su ordine dei comandi occidentali, lo hanno fatto anche perché attratti dalle luci scintillanti dell’Occidente. Dunque le Repubbliche baltiche, la Polonia, la stessa Ucraina, la Romania, l’Ungheria abbandonarono una nave ritenuta ormai in via di affondamento, e per aspirare a uno sviluppo autoctono della propria economia incominciarono a occhieggiare con l’Occidente e l’Occidente accolse volentieri nel suo seno nuove possibilità di mercato e un nuovo proletariato da sfruttare. Altrimenti detto: nuova linfa per rilanciare l’insieme del modo di produzione capitalistico che mostrava qualche affanno proprio lì nel suo cuore pulsante.
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Conflitto russo-ucraino: essere per la pace significa adoperarsi per una piena neutralità dell’Italia
di Sirio Zolea
Quella era un’epoca così gaia! La morte intrecciava già le sue mani ossute al di sopra
dei calici da cui bevevamo. Noi non la vedevamo, non vedevamo le sue mani.
Joseph Roth, La cripta dei cappuccini
L’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, si legge nell’art. 11 della nostra Costituzione. Traducendo in legge un saggio approccio di politica estera italiano, con cui per decenni governanti di ben altro spessore di quelli di oggi avevano praticato questo fondamentale principio costituzionale, il legislatore del 1990 (legge n. 185) aveva, tra l’altro, escluso in generale l’esportazione e il transito di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto armato. Ecco che, peraltro senza un minimo di dibattito nel corpo diffuso del Paese, sotto l’impulso di un sistema mediatico colto da qualche giorno da un parossismo di frenesia bellicista, il Governo decide di indossare l’elmetto e, in un Consiglio dei Ministri estemporaneo, decide nientemeno che di derogare, tra l’altro, alla suddetta legge (e, aggiungerei, di fatto, alla Costituzione) per autorizzare la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina (decreto-legge n. 16 del 28 febbraio 2022). Perché, in nome del cielo? Possibile che l’unica sirena che riesce a farsi sentire sia quella dell’industria degli armamenti, mentre il vicolo cieco di sanzioni alla Russia e aiuti militari all’Ucraina si annunzia come la pietra tombale per un numero impressionante di imprese italiane che stavano appena iniziando a intravedere l’alba dopo i disastri dell’epidemia?
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Guerra, "pacifisti" e anti-imperialisti
di Fosco Giannini, direttore di "Cumpanis"
Da sempre, la guerra imperialista è "la potenza in sè" che determina le due opzioni fondamentali (e tertium non datur, come per sempre ha insegnato la logica aristotelico-scolastica del "terzo escluso"): quella malsana delle forze ideologicamente e a volte - solo a volte - inconsapevolmente subordinate all'imperialismo e l'opzione conseguentemente antimperialista, rivoluzionaria, libera da ogni retaggio della weltanshauung capitalista.
E, da sempre, la guerra imperialista è lo spartiacque tra le forze "kautskiane", che continuamente, dalla Seconda Internazionale in poi, si ripresentano tra le file del movimento operaio, e le forze che, organizzando il loro pensiero innanzitutto attorno al cardine dell'antimperialismo, possono comprendere la fase, la natura delle forze in campo e in virtù di ciò possono saper stare da una parte della barricata. Ricordando il monito di Lenin: "Chi non sta da una parte della barricata è la barricata".
Oggi è innanzitutto il tempo, di fronte alla drammatica crisi russo - ucraina, di fronte alla potenza di fuoco del mastodontico apparato mediatico occidentale che ha la funzione che negli antichi eserciti aveva la cavalleria, che attaccava ai fianchi l'esercito nemico, del ripristino dell' opzione conseguentemente antimperialista, della verità.
Sant'Agostino affermava che l'uomo può giungere gradualmente alla verità solo avvicinandosi alla propria anima e più le si accosterà più essa sarà illuminata dal Verbo di Dio.
Se sostituiamo al Verbo di Dio la coscienza di classe e la piena consapevolezza antimperialista, sapremo come trasformare un'anima confusa (quella del gruppo dirigente di Rifondazione Comunista?) in un'anima illuminata dalla verità.
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La critica del marginalismo nelle lezioni
di Franco Romanò
Lasciamo di nuovo Neri Salvadori e Kurz, per ritornare allo Sraffa degli anni ’20. Proseguendo nella disamina dei marginalisti, Le Lezioni mettono in evidenza anche le differenze che esistono fra le diverse scuole: Marshall, in particolare, riprende anche alcune delle argomentazioni di Ricardo. Ciò che mi sembra rilevante, sono però le conclusioni cui egli approda e dalle quali inizia il suo affondo nei confronti della teoria e ancora una volta Sraffa sceglie, in questo come in altri passaggi, la strategia comunicativa della critica indiretta. Affida a Petty quello che lui stesso in fondo pensa e cioè che i sentimenti non giocano alcun ruolo nel determinare il costo di produzione, qualunque sia la nozione di costo che si decide di adottare e gli contrappone subito, pur senza entrare nel merito, la concezione soggettivistica di Marshall, poi così prosegue:
… Comincerò paragonando … il costo di produzione secondo W. Petty e i Fisiocratici e secondo la concezione di Marshall. Prima di entrare nel vivo della materia, tuttavia, c’è un punto da chiarire. Dovrò parlare spesso della concezione che i vecchi economisti avevano del costo come se essi possedessero una nozione chiara e accuratamente definita del medesimo. In realtà questo non è vero. Fino a tempi recenti, il costo non è stato considerato dagli economisti come una categoria indipendente – di solito veniva confuso e spesso identificato, con il valore o il prezzo. Persino Ricardo, quando si domanda “se l’affitto entri o meno nel costo di produzione” egli affermava che “l’affitto non è una reale misura del valore”… Mescolando in questo modo diversi problemi che noi oggi consideriamo interamente distinti, soltanto raramente vediamo usata da loro un’espressione come “costo di produzione”: perciò dobbiamo sempre essere all’erta sul pericolo di leggere nei classici non tanto ciò che davvero hanno scritto ma ciò che ci piacerebbe che avessero scritto.
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Il nuovo disordine mondiale: chi semina vento raccoglie tempesta
di Sandro Moiso
Il mondo è più grande dell’Occidente, che non lo domina più (Dmitrij Suslov, consigliere di Vladimir Putin – intervista al «Corriere della sera»)
Sembrerà un’affermazione cinica, ma per chi, come il sottoscritto, da anni si occupa di guerra come inevitabile punto di arrivo di tutte le contraddizioni di un sistema basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo per conseguire come fine ultimo l’accumulo privato di profitti e capitali, l’esplodere di un conflitto come quello russo-ucraino (per ora) almeno un merito ce l’ha ed è proprio quello di portare in piena luce e davanti agli occhi di tutti quelle stesse contraddizioni, troppo spesso sommerse da un mare di menzogne e illusioni, cui si è prima accennato.
Contraddizioni di ordine economico, geo-politico, militare, sociale, produttivo e ambientale che di volta in volta vengono segnalate singolarmente, in nome di un’eccezionalità che invece, vista in una dimensione più ampia e completa, dovrebbe essere percepita come norma di un sistema che, dopo aver suscitato appetiti ed aspettative esagerate in ogni settore di una società in/civile basata sull’egoismo proprietario e l’individualismo atomizzante, non può soddisfare le aspirazioni materiali ed ideali che si manifestano globalmente, sia a livello macroscopico che molecolare.
Prima con la spartizione del mondo in due blocchi, definiti più dal punto di vista ideologico che da quello della effettiva struttura economica, poi con il preteso nuovo ordine mondiale a sola guida statunitense dopo il fallimento del blocco definito come orientale o sovietico, era sembrato agli analisti politici ed economici superficiali e agli ideologi da strapazzo come Francis Fukuyama (politologo e teorico statunitense della “fine della Storia”) che fosse possibile un lento e progressivo affermarsi dei valori democratici e liberali occidentali e del conseguente modello di sviluppo e progresso capitalistico, sotteso dagli stessi, a livello mondiale.
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Le conseguenze dell'umiliazione della Russia
di Michael Brenner* - Consortium News
Ieri, John Pilger uno dei più grandi giornalisti e documentaristi viventi ha scritto, riguardo all'articolo di Brenenr, sul suo profilo Twitter: Per coloro che sono interessati al "perché" dell'invasione illegale dell'Ucraina da parte della Russia, questo pezzo raro è consigliato
La mafia non è nota per il suo uso creativo del linguaggio al di là di termini come "sicario", "vai a prendere i materassi"( frase tratta dal film 'Il Padrino', significa l'inizio di una guerra tra famiglie NDT,) "vivere con i pesci" e simili. Ci sono, tuttavia, alcuni detti concisi che portano una saggezza duratura. Uno riguarda l'onore e la vendetta: "Se hai intenzione di umiliare qualcuno pubblicamente in modo davvero grossolano, assicurati che non sopravviva per prendersi la sua inevitabile vendetta". Umilialo a tuo rischio e pericolo.
Questa duratura verità è stata dimostrata dalle azioni della Russia in Ucraina che, in larga misura, sono il culmine delle numerose umiliazioni che l'Occidente, su istigazione americana, ha inflitto ai governanti russi e al Paese nel suo insieme negli ultimi 30 anni .
È stato trattato come un peccatore condannato ad accettare il ruolo di un penitente che, vestito di sacco, segnato dalla cenere, dovrebbe apparire tra le nazioni a capo chino per sempre. Nessun diritto ad avere i propri interessi, i propri problemi di sicurezza o anche le proprie opinioni.
Pochi in Occidente hanno messo in dubbio la fattibilità di una tale prescrizione per un paese di 160 milioni, territorialmente il più grande del mondo, che possiede vaste risorse di valore critico per altre nazioni industriali, tecnologicamente sofisticato e custode di oltre 3.000 armi nucleari.
Nessun mafioso sarebbe stato così ottuso. Ma i nostri governanti sono fatti di un tessuto diverso anche se il loro pavoneggiamento e la loro presunzione spesso corrispondono a quelli dei capotasti.
Questo non vuol dire che la classe politica russa sia stata incline alla vendetta per un decennio o due – come la Francia dopo l'umiliazione da parte della Prussia nel 1871, come la Germania dopo la sua umiliazione nel 1918-1919, o come "Bennie dal Bronx" picchiato davanti alla fidanzata di Al Pacino in Carlito's Way.
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Russia: dalle sanzioni al crollo?
di Michael Roberts
La guerra economica tra il gruppo di paesi della NATO guidato dagli Stati Uniti e la Russia si sta intensificando insieme alla vera guerra nella stessa Ucraina. In risposta all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, gli Stati Uniti e l'Europa hanno alzato la posta imponendo sanzioni economiche, in primo luogo la sospensione di qualsiasi relazione con le diverse importanti banche russe, comprese le due maggiori, Sberbank e VTB. Tuttavia, è significativo che le sanzioni escludano la Gazprombank, il principale finanziatore russo alle società che esportano energia. Chiaramente, l'Occidente non vuole interrompere le esportazioni di petrolio e gas a causa delle sanzioni, quando la sola Germania fa affidamento sul 40% della sua energia dalle importazioni russe.
Di conseguenza, il pacchetto di sanzioni della NATO prevede sostanziali eccezioni. In particolare, mentre sanziona le maggiori istituzioni finanziarie russe, esclude alcune transazioni con quelle istituzioni legate all'energia e alle materie prime agricole, che rappresentano quasi i due terzi delle esportazioni totali. Significativamente, l'Italia ha fatto pressioni con successo per esentare dal divieto di esportazione la vendita delle borse di Gucci ai ricchi russi! Pertanto ora la leader dell'UE Von der Leyen e Biden alla Casa Bianca hanno annunciato che "lavoreremo per vietare agli oligarchi russi di utilizzare le loro risorse finanziarie sui nostri mercati". Biden dichiara che gli Stati Uniti "limiteranno la vendita della cittadinanza - i cosiddetti passaporti d'oro - che consentiranno ai ricchi russi legati al governo di Mosca di diventare cittadini dei nostri paesi e di accedere ai nostri sistemi finanziari". L'UE e gli Stati Uniti stanno lanciando una task force per "identificare, dare la caccia e congelare i beni delle società e degli oligarchi russi sanzionati, i loro yacht, le loro ville e qualsiasi guadagno illecito che possiamo trovare e congelare".
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