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Il populismo russo: percorsi carsici
di Pier Paolo Poggio
Nel lessico politico della sinistra populismo è parola bollata negativamente, su ciò concordano le due principali correnti intellettuali e di pensiero politico dell’Otto e del Novecento, quella liberale e quella marxista. Anche in un contesto profondamente diverso dal nostro, quale quello americano, le cose non cambiano: i liberali e i progressisti individuano nel populismo il loro peggiore nemico; rimando in proposito al libro fondamentale, anche se discutibile, di Christopher Lasch, Il paradiso in terra. Populista è stato considerato il fascismo, così come il nazismo, nonché il comunismo sovietico, ovviamente il peronismo, le dittature sudamericane, ma anche Bossi e Berlusconi sono etichettati come populisti (io stesso ho curato una raccolta di saggi intitolata Dal leghismo al neopopulismo).
Secondo Lasch sono le ideologie del progresso che individuano nel populismo l’avversario da sconfiggere; la posta in gioco riguarderebbe la modernizzazione, con il libero dispiegarsi della lotta di classe, la differenziazione del popolo in classi e lo sviluppo di una produzione ideologica e anche letteraria, capace di rappresentare il pieno avvento della modernità, la sconfitta dei provincialismi, dei regionalismi, di ogni forma di localismo. Forse qualcuno ricorderà il libro di Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo (1965).
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Libia, come si saccheggia una nazione
di Giacomo Gabellini
La storia non raccontata di una Libia divenuta un pericolo per il processo di globalizzazione e che doveva essere ricondotta all’ordine
La Libia è oramai una mera espressione geografica, per usare un’espressione del principe Von Metternich. Dall’intervento occidentale contro Muhammar Gheddafi, il Paese – le regioni del Sahel con cui confina – è infatti sprofondata nel caos, con un nugolo di fazioni autofinanziate mediante quella che si configura in tutta evidenza come una moderna tratta degli schiavi e armate di fucili, lanciarazzi, pistole, ecc. sottratti dagli arsenali della Jamahiriya ormai distrutta che si contendono il territorio. Una situazione da cui le grandi imprese sperano di trarre ottimi profitti, attraverso l’applicazione di disegni egemonici studiati a tavolino quali quello spiegato al «Corriere della Sera» da Paolo Scaroni, l’ex amministratore delegato dell’Eni riciclatosi come vice-presidente della Banca Rothschild (la stessa in cui si è formato Emmanuel Macron). A detta di Scaroni, «occorre finirla con la finzione della Libia, Paese inventato» dal colonialismo italiano. È necessario «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», cosa che spingerebbe inevitabilmente Cirenaica e Fezzan a dotarsi di propri governi regionali con lo scopo di amministrare in autonomia le proprie ricchezze.
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La rivoluzione la faranno i robot
di Maria Rosaria Nappa e Antonio Noviello
Dalla rivista D-M-D' n°11
“In altri termini: ciò deriva dal fatto che le forze produttive generate dal modo di produzione capitalista moderno, al pari del sistema di ripartizione di beni che esso ha creato, sono entrati in contraddizione flagrante con questo stesso modo di produzione, e ciò a un grado tale che diviene necessario un rovesciamento del modo di produzione e di ripartizione eliminando tutte le differenze di classe, se non si vuole vedere perire tutta la società.” [Engels, Anti-Duhring]
Nel 2099, i centri di produzione mondiali contavano solo poche unità umane, le quali dietro a spessi vetri e davanti a grandi monitor controllavano sterminate distese di robot superintelligenti. Questi non erano i robot impacciati del 2016, quando occorrevano algoritmi da milioni di linee di codice per simulare un piccolo movimento del braccio; ora i robot erano in grado di auto-apprendere e di trasformare in azione, all’istante, un comando che arrivava dal loro centro di controllo, ed erano in grado di impartire lo stesso ordine anche ai colleghi di lavoro.
All’interno di queste “cittadelle produttive” erano pochi gli uomini che avevano ancora un lavoro.
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Votare non è più democratico?
di Damiano Palano
Le elezioni e la "sindrome da stanchezza democratica". Una critica a David Van Reybrouck dalla rivista Spazio filosofico
1. Introduzione
Rileggendo oggi Solar Lottery di Philip K. Dick, è quasi scontato riconoscere come già in quel primo romanzo fossero presenti molti dei motivi che avrebbero in seguito contrassegnato la produzione dello scrittore americano. Risulta in effetti evidente sin dalle prime pagine come la sua idea della science-fiction tendesse a fuoriuscire dal perimetro di una letteratura di genere destinata allora prevalentemente a un pubblico di giovani (e giovanissimi) lettori, e come la sua raffigurazione di un remoto futuro fosse in realtà una critica della società americana degli anni Cinquanta. Ma più di sessant’anni dopo la sua pubblicazione, si può forse intravedere in Solar Lottery anche una sorprendente prefigurazione delle società dell’inizio del XXI secolo e dei processi che investono le democrazie occidentali. In quel vecchio romanzo Dick immaginava infatti che le società occidentali avessero adottato il sistema della lotteria non solo per distribuire le merci ma anche per assegnare il potere politico. I governanti non erano dunque scelti dagli elettori e le procedure di voto erano state sostituite dall’estrazione a sorte di un Quizmaster, al quale era affidato un potere sostanzialmente assoluto1. E proprio per questo, se certo la distopia di Dick prefigurava la nascita dell’“azzardo di massa”2, lo scenario allestito nel romanzo può essere letto anche come l’anticipazione – certo estrema – di un ripensamento del ruolo che il momento della scelta elettorale ricopre nelle democrazie contemporanee.
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Ripensare l’Intelligenza Artificiale
di Nicola Nosengo*
Algoritmi come cervelli umani: promesse e illusioni del deep learning, la tecnica che ha rivoluzionato il campo
Come l’inverno dello scontento di cui parla Riccardo III nell’omonimo dramma shakespeariano, anche l’inverno dell’intelligenza artificiale si è oramai trasformato in una gloriosa estate. È stato un inverno freddo e lungo. Magari non trent’anni, come la guerra delle Due Rose a cui allude Riccardo, ma a chi lavora in quel settore sembrava comunque non finire mai. La metafora non ce la siamo inventata, nell’ambiente si dice proprio così: “AI winter”, il periodo in cui gli investimenti sull’intelligenza artificiale erano ai minimi storici, il pubblico si era stufato di promesse strombazzate e non mantenute, e molti tra gli stessi ricercatori dubitavano che il loro lavoro andasse mai da qualche parte. Per la precisione di inverni ce ne sono stati due, uno alla fine degli anni Settanta e un altro, il più rigido, tra la fine degli Ottanta e la prima metà dei Novanta. Ma le temperature sono rimaste bassine anche dopo, se è vero che ancora nel 2012 il fisico David Deutsch scriveva, nei primi paragrafi di un suo saggio pubblicato su Aeon, che “il tentativo di ottenere un’intelligenza artificiale generale non ha fatto alcun progresso durante sei decenni di esistenza”.
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Violenti desideri
di Tommaso Baris
Forse sono un po’ svanito/ma il domani non esiste
e quest’oggi io non voglio essere triste
Gianfranco Manfredi, Ma non è una malattia, 1976
Il volume di Alessio Gagliardi (Il 77 tra storia e memoria, Manifestolibri, Roma, 2017, p. 122, euro 12) torna a ragionare sul ’77, ponendosi alcuni obiettivi precisi. Il primo è fuoriuscire dalla memoria e dalla rievocazione individuale come chiave di lettura di quel periodo. È un approccio, nota l’autore, che oscillando tra silenzio e ostentata rivendicazione “ha steso sul ’77 una coltre di reticenze, omissioni, distorsioni, prese di distanza, o al contrario, strumentalizzazioni celebrative” (p. 10). Il secondo è ridiscutere l’interpretazione oggi diventata senso comune e riproposta con forza dai principali media che hanno ridotto un complesso ed articolato movimento sociale “all’aspetto della violenza, che pure fu uno degli elementi distintivi”, identificando con essa l’intera esperienza del ’77, mentre sono stati lasciati fuori da ogni attenzione “altri elementi non meno rilevanti” (p.11). Il terzo è ripensare l’immagine, trasversalmente diffusa, del ’77 come “sintomo, spia, epitome di un momento di transizione” (p. 12) dell’Italia, dal fordismo al post-fordismo, dalla fabbriche al terziario avanzato, dai grandi partiti di massa e movimenti collettivi ai partiti personali e alla politica della società liquida; insomma il ’77 letto come anticipazione della modernizzazione degli anni Ottanta caratterizzata infine dalla crisi della politica e dal ritorno al privato.
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Dialettica e domanda filosofica all’epoca del turbocapitalismo
di Salvatore Bravo
Costanzo Preve nel testo Storia della dialettica delinea attraverso lo sviluppo della dialettica la tragedia del capitale. La storia della dialettica è funzionale alla drammatica comprensione del presente. La furia del dileguare come affermava Hegel è la vita trascorsa nell’immediatezza, ovvero nell’irrazionalità, poiché è razionale solo ciò che è compreso. Tutto ciò che è reale è razionale, tutto ciò che è razionale è reale, la ben nota citazione di Hegel nell’interpretazione di Preve significa che solo ciò che è pensato diventa razionale, poiché ciò che è mediato dalla dialettica del pensiero, dal concetto, diviene reale, in quanto riconfigurato e risimbolizzato. Il capitalismo globalizzato ha dichiarato guerra ad ogni forma simbolica in modo che gli “oggetti – merce” vampirizzino, come affermava Marx, i suoi sudditi. Il dominio assoluto coincide con l’eliminazione delle forme simboliche e dialettiche, è un tragico algoritmo che cospira a far diventare l’umanità serva inconsapevole dell’unico linguaggio possibile: la riduzione di ogni ente ed esistente a funzione del sistema. Dalla Buona scuola allo jus soli, all’abolizione dell’articolo 18, ogni riforma, in realtà controriforma, deve essere organica al sistema capitale. Preve concettualizza essenziale nel suo scritto: la dialettica, il dialogo socratico, è sostanziale e non solo formale, poiché si esplica all’interno di rapporti segnati dall’isonomia (uguaglianza davanti alla legge) e dall’isegoria (uguale diritto di parola). La polis socratica è una società costituita da piccoli produttori, nella quale la proprietà privata trova il suo limite nella comunità quale fine dell’azione dei singoli, ovvero il singolo ha senso solo all’interno della comunità per cui la proprietà assume connotazioni sociali mai privatistiche.
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Come ti spiego i Bitcoin al Cenone di Natale
di Francesco Bolici*
Al bar, in treno o a una cena tra amici, capita sempre più spesso che all’improvviso qualcuno chieda: “Hai visto quanto sto guadagnando con i Bitcoin?”. È lì che la conversazione deraglia verso terreni inesplorati e la maggior parte degli interlocutori rimane in silenzio. Indomito, il primo rincalza sostenendo di aver guadagnato dodicimila euro in sei mesi. “Li ho comprati a 2000 e venduti a 14.000!”, afferma con soddisfazione. Segue un altro momento di silenzio e stupore, poi la richiesta di chiarimenti diventa irresistibile.
Al cenno “spiegami, cosa è questa cosa?”, si scatena un’infinita dissertazione, più o meno accurata, sul mondo Bitcoin. Poche notizie attraggono l’attenzione più dei guadagni facili e veloci. Ma prima di avventurarsi nel Far West delle valute digitali, con tutti i rischi annessi, è meglio capire bene cosa sono e come funzionano. Se all’inizio non è tutto perfettamente chiaro non c’è da preoccuparsi: anche gli esperti discutono ancora animatamente tra di loro su molti aspetti. Di seguito tre informazioni di cui non può più fare a meno chiunque voglia continuare ad andare al bar, prendere il treno o cenare con gli amici.
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L’irrazionalità del neomercantilismo
di Guglielmo Forges Davanzati
Il neomercantilismo è una modalità di riproduzione capitalistica basata sull’obiettivo di generare crescita economica attraverso l’aumento delle esportazioni e la riduzione delle importazioni[1]. E’ questa la linea di politica economica dominante oggi soprattutto (ma non solo) nell’Eurozona e che si traduce mediaticamente nell’ossessione della competitività. L’Unione europea, nei Trattati più recenti che ne hanno configurato l’architettura attuale, è formalmente concepita come economia sociale di mercato estremamente competitiva. I due strumenti fondamentali ipotizzati (e attuati) per raggiungere questo obiettivo, per tutti i Paesi membri, consistono nel consolidamento fiscale (ovvero la generazione di avanzi primari, mediante riduzioni della spesa pubblica) e nelle c.d. riforme strutturali, nella forma della liberalizzazione dei mercati dei beni e dei servizi e deregolamentazione del mercato del lavoro (per generare moderazione salariale) e della detassazione degli utili d’impresa. Ciò nella convinzione che consentire alle imprese di contenere i costi di produzione sia il presupposto essenziale per consentire loro di vendere all’estero a prezzi ridotti. In più, le misure di moderazione salariale, combinate con il consolidamento fiscale, sono pensate per ridurre le importazioni.
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La battaglia anti-euro è ancora possibile/auspicabile?
di Riccardo Achilli
Pubblichiamo questa ricca e articolata analisi di uno dei nostri redattori, Riccardo Achilli, pur non condividendone la proposta, convinti che sia comunque un contributo molto importante su un tema fondamentale quale quello della possibile uscita dall’euro e dalla UE
A pochissimi mesi dalle imminenti elezioni politiche, in una fase di sostanziale rimozione della riflessione sull’Europa, dopo le tornate elettorali nei principali Paesi europei che hanno, sia pur per il momento, fugato i timori delle élite circa la possibile vittoria dei populismi anti-euro, corre l’esigenza di riprendere il filo del ragionamento in proposito. Siamo al momento dello scioglimento del nodo fondamentale: è possibile, adesso, nelle condizioni createsi, collocare al centro della proposta politica l’uscita dall’euro?
Io sono stato, per molti motivi, un sostenitore molto acceso dell’uscita dall’euro, sia pure dentro compatibilità di accordo politico e di utilizzo del tema in termini negoziali, per strappare concessioni significative in termini di direzione delle politiche economiche dell’euro-area. Credo, però, che prima o poi la realtà si imponga, per così dire, da sola. Non guardarla in faccia è un crimine, per chi voglia fare politica, o anche solo ragionare politicamente. Ci sono motivi politici che rendono impraticabile la strada dell’uscita dall’euro come proposta programmatica da offrire all’elettorato. Motivi politici interni ed esterni.
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Tempo, ordine, potere
Su alcuni presupposti concettuali del programma neoliberale
di Maurizio Ricciardi
Il saggio sostiene che, nonostante le significative trasformazioni successive, un momento ordoliberale agisca all’interno del programma neoliberale. L’ordoliberalismo stabilisce una specifica antropologia politica fondata sulla centralità dell’agire economico e su una temporalità a-rivoluzionaria che valoriz- za la continuità normativa della tradizione. Anche contro le specifiche configurazioni che lo Stato può assumere, in particolare di quella democratica, esso punta inoltre sulla costante riattivazione di un politico inteso come decisione fondamentale in favore dell’economico
«Die Gefahren des Chaos sah er nicht»1.
1. Ordine e sistema
Il programma neoliberale si costruisce attorno al concetto di ordine. La frequenza del termine e la sua densità concettuale sono tali che dall’ordoliberalismo tedesco fino al compiuto neoliberalismo di Friedrich A. von Hayek è cosa ovvia affermarne la rilevanza2. Il programma neoliberale nasce dalla percezione di uno scacco epocale che va ben oltre la reazione alla crisi economica degli anni Trenta, che viene derubricata a conseguenza comprensibile delle normali dinamiche economiche3, mentre viene messo in primo piano lo stallo consolidato del progetto settecentesco di egemonia della libertà individuale. Questa diagnosi complessiva si accompagna in Germania alla dichiarazione di fallimento del «laboratorio borghese»4 che aveva dato forma alla politica tedesca nel XIX e nei primi decenni del XX secolo. Quel laboratorio, nel quale la scienza tedesca agiva da fattore costituzionale, viene ora abbandonato, perché non viene più considerato in grado di produrre mediazioni politiche e sociali all’altezza delle tensioni che attraversano la società. L’«eredità fallimentare dell’epoca borghese» deve essere rifiutata perché il suo patrimonio è stato accumulato sotto il segno dello storicismo, che ha prodotto un «fatalismo» politico che porta a compromettersi con ogni emergenza sociale, riconoscendole comunque una legittimità storica.
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Potere al popolo, il fronte anticapitalista e l’unità dei comunisti
di Roberto Villani
Per l’assemblea nazionale del 17 dicembre, alcune considerazioni sulla prospettiva futura di Potere al Popolo: la costruzione di un fronte anticapitalista dei comunisti
Il percorso nato al Teatro Italia su iniziativa dei compagni di Je so’ pazzo, ad oggi denominato “Potere al popolo” ha sparigliato le carte del litigioso e confuso mondo della sinistra, incidendo in particolare sulle vie intraprese dalle organizzazioni ad impostazione marxista.
I giovani e capaci militanti napoletani, coadiuvati dalle loro “articolazioni territoriali”, tra tutti i Clash city workers di Roma, inserendosi nello spazio lasciato libero dalle macerie del Brancaccio, sono riusciti a creare le condizioni per la nascita di un progetto coerente e ben delineato che, differentemente da molti precedenti tentativi fatti a sinistra, ha legami solidi e ben visibili con la classe lavoratrice e proletaria, con i precari, i disoccupati, gli occupanti, gli sfruttati, i licenziati… e più in generale con chi subisce la crisi generata dal capitale.
Molti lavoratori impegnati come avanguardie nelle diverse vertenze sono stati immediatamente coinvolti: da quelli di Almaviva, a quelli di Sky, agli autisti di Atac, ai metalmeccanici delle acciaierie di Terni, ai lavoratori autoconvocati della scuola e tanti altri ancora…
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L’Europa tedesca sempre più irriformabile
Il non paper di Schäuble e le nuove iniziative della Commissione
di Alessandro Somma
Cambio di vertice all’Eurogruppo
Buone notizie dall’organo che raccoglie i Ministri delle finanze dei Paesi dell’Eurozona, e che in pratica decide le loro politiche economiche. Tra un mese circa lascerà l’attuale presidente, quel Jeroen Dijsselbloem che ricorderemo per le sue uscite particolarmente odiose, come l’affermazione per cui “il Sud spende soldi per alcool e donne”. Il politico olandese sempre prono ai diktat tedeschi, tanto da meritarsi l’appellativo di delivery boy: il “ragazzo delle consegne” al servizio dei custodi dell’ortodossia neoliberale utilizzata come strumento per asservire Bruxelles agli interessi di Berlino.
Dijsselbloem sarà sostituito da Mario Centeno, Ministro delle finanze portoghese, tra i principali artefici della politica adottata dal Primo ministro Antonio Costa: leader di un esecutivo socialista sostenuto da comunisti e verdi che ha adottato politiche di sostegno alla crescita attraverso aumenti salariali e pensionistici, riduzione dell’orario di lavoro e investimenti pubblici, in particolare nella sanità. Il tutto nonostante l’Unione europea abbia tentato di tutto per impedire la nascita di un esecutivo che con le sue ricette ha risollevato il Paese e sconfessato così le politiche rigoriste imposte dalla Troika.
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Asimmetrie
di Panagiotis Grigoriou
Traduzione a cura di Rododak del post di Panagiotis Grigoriou sulla sua partecipazione alla sesta edizione del convegno Euro, mercati, democrazia, postato originariamente su Greek Crisis
Pioggia e vento. In passato in questo periodo credevamo di preparare il Natale. La scorsa settimana, gli amministratori coloniali della Troika hanno trascorso il loro solito soggiorno ad Atene, per ricevere i ministri-istrioni locali all’hotel Hilton. Si tratta in particolare di sorvegliare la puntuale esecuzione del programma di annientamento della loro preda. Il 2018 sarà l’anno in cui il processo di degrecizzazione dell’economia diventerà più veloce, passando per il sequestro dei beni dei greci, sia privati sia pubblici. I ministri di Tsipras sorridono costantemente alle telecamere, e i greci li odiano. Sì, è odio, e questo significa l’assoluta scomparsa dell’atto politico.
Le aste, oggi online, degli immobili sequestrati dalle banche e dal “fisco greco” sono state in grado di riprendere, secondo una richiesta… storica e insistente delIa Troika. I media riferiscono che saranno liquidati più di 18.000 immobili, ed è solo l’inizio. Va notato che coloro che perdono la loro proprietà (e più spesso si tratta di case e appartamenti utilizzati come prima casa) non avranno il diritto di “riscattarli” al 5% del loro valore (attraverso un accordo con le “loro” banche, per esempio), né, come regola generale, potranno farlo gli altri cittadini del paese. Perché gli acquirenti (i soli autorizzati a “ricomprare” questi beni al 5% del loro valore) sono esclusivamente legati ai famosi fondi esteri, o in alcuni casi ai loro partner greci, selezionati attraverso un vaglio molto severo.
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Lenin per l’oggi: la centralità della politica contro i piloti automatici
di Ascanio Bernardeschi
Vladimiro Giacché ci parla della raccolta da lui curata degli scritti di Lenin sull'economia della Russia dopo la rivoluzione di Ottobre
Vladimiro Giacché ha recentemente curato una raccolta di scritti di Lenin (Economia della rivoluzione, edito da Il Saggiatore) aventi come tema centrale i problemi della realizzazione del sistema economico di transizione verso il socialismo nella drammatica realtà della Russia post rivoluzionaria. La scelta degli articoli e le parti introduttive, sia quella iniziale che quelle ai singoli capitoli, rendono un grande servizio, nel centenario dell'Ottobre russo, agevolando la comprensione delle difficoltà incontrate lungo un quantomai impervio percorso. Ne viene fuori chiaramente l'approccio leniniano a quelle problematiche, all'interno di un quadro completamente inedito e in cui predominavano arretratezza economica, guerra civile, accerchiamento da parte delle maggiori potenze imperialistiche, carestia e via dicendo. Un approccio fatto di assoluto antidogmatismo, di capacità di ammettere e correggere gli errori, di praticare “ritirate strategiche”, di scendere a patti con forze avverse, per salvare la rivoluzione dalla sconfitta.
* * * *
D. Intanto, Vladimiro, ti ringraziamo per la disponibilità a ragionare con noi di una storia che ci fornisce insegnamenti preziosi anche per l'oggi. Ti chiediamo preliminarmente le ragioni che ti hanno indotto a pubblicare questa antologia e se questo lavoro rientra in un programma più esteso di ricerca sull'economia dei paesi socialisti.
R. Da diversi anni desideravo pubblicare un’antologia di scritti economici di Lenin. Per due motivi.
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Argentina 2017. Violenza neoliberale e trasformazione dello Stato
di Sebastian Torres
Pubblichiamo un intervento in forma epistolare di Sebastian Torres, un compagno argentino che ha già collaborato con noi negli ultimi anni, nel quale viene tracciato un primo bilancio del regime neoliberale del governo Macri, dopo il suo successo nelle elezioni di medio termine. Il recente passato argentino è stato caratterizzato da un deciso protagonismo dei movimenti, che sono riusciti a conquistare quote evidenti di potere sociale. Allo stesso tempo la politica kirchnerista, che cercava di catturarne e indirizzarne la vitalità, si è retta anche grazie a una peculiare combinazione di nazionalismo, statalismo e neo-estrattivismo, che di fatto ha anticipato alcune scelte del nuovo governo. È probabilmente giunto il momento di formulare un giudizio articolato tanto sulle vicende argentine quanto sulle esperienze latino-americane degli ultimi anni e sul loro tentativo di inceppare il tempo complessivo della globalizzazione neoliberista. D’altra parte, la violenza con cui si vuole oggi cancellare ogni traccia di quelle esperienze segnala che esse sono state certamente percepite come una minaccia intollerabile all’ordine neoliberale. Per questo occorre chiedersi se la fine del kirchnerismo non possa segnare anche la fine dell’incanto peronista e della sua ipoteca simbolica e pratica sull’immaginazione politica argentina.
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La parabola del Bitcoin
di Andrea Fumagalli e Gianluca Giannelli
In questi giorni, il fenomeno bitcoin è su tutte le pagine de giornali. Il bitcoin è una moneta elettronica o criptomoneta che è stata creata nel 2009 da un anonimo inventore, noto con lo pseudonimo Satoshi Nakamoto. Per convenzione, il termine Bitcoin, con l’iniziale maiuscola, si riferisce alla tecnologia e alla rete, mentre il minuscolo bitcoin si riferisce alla valuta in sé.
Una delle caratteristiche che hanno reso celebre il bitcoin (il poter essere potenzialmente una moneta alternativa, oltre che complementare) sta nel fatto che essa non viene emessa da una istituzione monetaria in condizione di monopolio di emissione, non fa uso quindi né di un ente centrale né di meccanismi finanziari sofisticati. Il valore è determinato dall’incrocio tra domanda e offerta, in un contesto di cambi flessibili: esso utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, ma sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali, come la generazione di nuova moneta e l’attribuzione della proprietà dei bitcoin.
La rete Bitcoin consente il possesso e il trasferimento anonimo delle monete; i dati necessari a utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più personal computer o dispositivi elettronici quali smartphone, sotto forma di “portafoglio” digitale, o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili a una banca.
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Domenico Losurdo, “Il marxismo occidentale”
d Alessandro Visalli
Il libro del filosofo Domenico Losurdo è del 2017, e rappresenta una densa e coraggiosa carrellata su tutti i motivi più sensibili della tradizione marxista, al contempo con uno spirito militante e rigore storico. A metà tra la storia delle idee e l’interpretazione della dinamica storico-sociale la tesi del filosofo marxista, assolutamente al centro dei dibattiti che agitano la contemporaneità nel campo del pensiero critico, è che abbiamo avuto in sostanza negli ultimi cento anni non un paradigma marxista internazionale, ma almeno due: quello occidentale e quello orientale.
All’origine della divergenza, che a tratti è stata scontro, è una differenza essenziale di priorità, prima ancora che di posizione e ruolo:
- - Dove il marxismo ha trionfato, sempre in paesi deboli e periferici rispetto al centro imperiale del capitalismo occidentale, il tema che si è guadagnato la centralità è sempre stato la sopravvivenza. Quindi l’indipendenza e la difesa dal colonialismo, ferocemente perseguito con assoluta determinazione dalle potenze occidentali.
- - Dove il marxismo, invece, si è sviluppato come pensiero e prassi critica di opposizione, sbarrata nell’accesso reale al potere, ovvero in occidente, il tema divenuto centrale è stato l’antiautoritarismo in chiave di antinazionalismo e di attesa messianica e millenarista di una finale dissoluzione dello Stato.
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Come hanno vinto i bolscevichi
di Alexander Rabinowitch
Nel mio contributo vorrei rivisitare le principali conclusioni dei miei scritti sul 1917, soprattutto per ciò che riguarda la spinosa, e tuttora profondamente politicizzata questione, su come i bolscevichi hanno prevalso nella lotta per il potere a Pietrogrado nel 1917. Tuttavia, lasciatemi iniziare con poche parole sulle opinioni degli storici che in precedenza si sono occupati di quest’argomento.
Per gli studiosi sovietici, la Rivoluzione d’ottobre del 1917 fu la legittima espressione della volontà delle masse rivoluzionarie di Pietrogrado: un’insurrezione popolare armata a sostegno del potere bolscevico, guidata da un partito d’avanguardia fortemente disciplinato e brillantemente diretto da V.I. Lenin. Gli storici occidentali, d’altro canto, tendevano a vedere il successo dei bolscevichi come conseguenza della debolezza del governo provvisorio nei confronti della sinistra radicale; un incidente storico o, più spesso, il risultato di un golpe militare ben riuscito, privo di un significativo sostegno popolare, realizzato da una piccola, compatta, profondamente autoritaria e cospirativa organizzazione controllata da Lenin e sovvenzionata dalla nemica Germania. Per gli storici che esprimono quest’ultima opinione – tra cui, attualmente, molti studiosi russi – la struttura e le pratiche del partito bolscevico nel 1917 rappresentano l’ineludibile antecedente dell’autoritarismo sovietico.
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Moneta Fiscale, le bugie di Bankitalia
Recentemente Banca d'Italia ha criticato la proposta di Moneta Fiscale. In questi due articoli i promotori del progetto – autori anche di un ebook per MicroMega – rispondono punto per punto alle questioni sollevate: “Se sono queste le critiche, ci permettiamo di sentirci ancora più confortati in merito alla bontà del progetto della Moneta Fiscale”.
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Marx e la Rivoluzione francese; la "poesia del passato"
di Michael Löwy
Nel momento in cui esce nelle sale il film di Raoul Peck sul giovane Marx, vale la pena interrogarsi sul rapporto che aveva Marx con la rivoluzione, ed in particolare con la Rivoluzione francese. Infatti, secondo Michael Löwy, Marx è stato letteralmente affascinato dalla Rivoluzione francese, così come molti altri intellettuali tedeschi della sua generazione: ai suoi occhi, essa era semplicemente la rivoluzione per eccellenza - più precisamente «la più colossale rivoluzione [Kolossalste]» [*1].
Si sa che nel 1844, Marx aveva intenzione di scrivere un libro sulla Rivoluzione francese, a partire dalla storia della Convenzione. Nel 1843, egli aveva cominciato a consultare delle opere, a prendere delle note, a spulciare attentamente periodici e collezioni. Queste erano soprattutto delle opere tedesche - Karl Friederich Wilhelm, Ernst Ludwig Wachsmuth - ma in seguito predominano i libri francesi, fra i quali le memorie di Levasseur [montagnardo che aveva fatto parte della Convenzione], i cui estratti avevano riempito molte pagine dei quaderni di note di Marx redatti a Parigi nel 1844. Oltre a questi quaderni (riprodotti da Maximilien Rubel nel III volume delle "Œuvres" pubblicate nella "Pléïade"), i riferimenti citati in quegli articoli o in quei quaderni (soprattutto negli anni 1844-1848) testimoniano sulla vasta bibliografia consultata: La "Histoire parlementaire de la Révolution française", di Buchez et Roux, La "Histoire de la Révolution française", di Louis Blanc, quelle di Carlyle, Mignet, Thiers, Cabet, dei testi di Camille Desmoulin, Robespierre, Saint-Just, Marat, ecc. Si può trovare un resoconto parziale di questa bibliografia nell'articolo di Jean Bruhat su «Marx et la Révolution française», pubblicato negli «Annales historiques de la Révolution française», nell'aprile-giugno del 1966.
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La società artificiale
Controllo sociale, lavoro e trasformazione del sistema politico
di Renato Curcio
Incontro-dibattito sul libro La società artificiale. Miti e derive dell'impero virtuale, di Renato Curcio (Sensibili alle foglie, 2017), presso il Csa Vittoria, Milano, 14 settembre 2017
Il lavoro di ricerca è sempre un lavoro teso su una corda, nel senso che stiamo cercando di affrontare dei processi sociali nuovi, che ci sorprendo perché, come abbiamo tentato di dire soprattutto nel primo lavoro, L'impero virtuale (1), sono processi ad altissima velocità storica e sorpassano la nostra capacità di adattamento. Il tempo, la storia, dell'Ottocento e del Novecento, per rimanere negli ultimi due secoli, aveva un passo molto più lento: il lavoratore del sud Italia che veniva a lavorare alla Pirelli a Milano o alla Fiat di Torino, poteva arrivare anche digiuno di quella che era una cultura del mondo del lavoro, sindacale, di classe ecc., e aveva poi il tempo per entrare progressivamente nei problemi che stava vivendo insieme ai diversi contesti che attraversava e che erano abbastanza omogenei: i contesti urbani dei quartieri, quelli di fabbrica, i contesti sociali più organizzati. Oggi questo non c'è più. Oggi i tempi sono talmente violenti e veloci che ci mettono di fronte a delle dinamiche che sono mondiali, e che solo dieci anni fa non esistevano. Facebook, per esempio, che nel 2007 entra come processo sociale non più riferito a un piccolo gruppo di università, e dieci anni dopo raggiunge i due miliardi di utenti. È quindi comprensibile che le persone che vi si sono riversate lo vivano più esperenzialmente e intuitivamente che avendone contezza e gli strumenti per leggere che cos'è, come funziona, come funzionano loro stessi mentre utilizzano questo tipo di strumenti.
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Sinistra senza popolo
L’onda populista (e il fallimento delle élite) secondo Luca Ricolfi
di Damiano Palano
Nel suo recente Non è una questione politica (Italosvevo, pp. 67, euro 10.00) Alfonso Berardinelli si pone un interrogativo sulla scelta di adottare il termine «populismo» per indicare quegli attori che negli ultimi due decenni hanno sfidato i partiti tradizionali. «Mi chiedo da anni chi è che ha deciso di chiamare ‘populismo’ ogni fenomeno politico che incontra il favore crescente dei cittadini», scrive infatti il critico (affrontando un nodo che, a dispetto del titolo del volumetto, è ovviamente ‘politico’). E la risposta che suggerisce è molto semplice: «Ho detto ‘mi chiedo’. Invece c’è poco da chiedersi, perché si sa già. Da quasi un quarto di secolo una sinistra che ha perso il ‘senso della storia’ (per dirla con una sua vecchia formula), che ha perso la sintonia con quanto avviene nelle nostre società e coccola invece le minoranze snob prendendo per diritti i loro desideri, se la prende con la volgarità del ‘popolo’» (p. 16). E, in termini ancora più espliciti, ciò significa per Berardinelli che la sinistra non rappresenta più quelle classi sociali di cui era stata (o aveva preteso di essere) il principale referente.
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Chi scrive è un maschio
Questione “Weinstein”
di Franco La Cecla
Chi scrive è un maschio, bianco, occidentale, anzi peggio, europeo, non indigeno, non appartenente a fedi religiose orientali, di mezza età, single, con un’educazione occidentale, anzi classica, – che altro devo dire per anticipare con i distinguo le classificazioni bio-politiche senza le quali non ho diritto a parlare di questa faccenda? – ho varie tessere, arci, feltrinelli, amici della musica, palestra e piscina, sono abbonato ad alcuni quotidiani cartacei e online oltre che alla metro milanese.
Ecco la tiritera delle appartenenze che mi rendono inadeguato a parlare di cose che hanno a che fare con l’affettività e con il sesso. Ancora una volta Simone De Beauvoir, che sostiene che non esistono uomini capaci di parlare di se stessi come appartenenti a un sesso. Ho scritto sulla questione una risposta proprio alla De Beauvoir in forma di libro, Modi Bruschi, antropologia del maschio (Eleuthera) e un altro qualche anno dopo Il punto G dell’uomo, desiderio al maschile (Nottetempo).
Eppure nella contingenza post-weinstein, com’è stata battezzata, ho molto ritegno a parlare. Ho dietro le spalle una vita affettiva e sessuale di quattro decadi e quindi sono a rischio perché dal passato può emergere qualunque presenza che ho sicuramente in un modo o nell’altro fatto soffrire.
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Il meraviglioso mondo del lavoro deregolamentato
di Jean-Luc Debry
Al momento in cui la «gestione sociale della crescita» non viene più ritenuta necessaria per il buon andamento degli «affari», il lavoro creatore di valore finanziario - parzialmente ridistribuito nel quadro delle politiche socialdemocratiche di ispirazione keynesiana - diventa un modello che, sotto la pressione di una devastante mutazione capitalista, i poteri pubblici si sforzano di sopprimere nel nome dell'indispensabile adattamento alle necessità della «globalizzazione felice»[*1]. Allo stesso tempo, l'obiettivo enunciato e perseguito, con tutti i mezzi possibili, consiste nel ripristinare il processo di creazione del valore comprimendo, da un lato, la massa salariale attraverso l'intensificazione delle politiche di austerità, e dall'altro per mezzo del prelievo fiscale sulle imprese, fino a ridurlo ad un modesto contributo necessario al mantenimento dell'ordine (polizia, magistratura, esercito). Tutto questo si basa, politicamente, sulle aspirazioni ideologiche degli strati medi, superiori ed intermedi della società.
Attraverso la formazione ed il "coaching", le riunioni ed i rituali di iniziazione, l'ideologia manageriale moltiplica gli incantesimi relativi al pragmatismo [*2]. Fa appello al buon senso dei lavoratori salariati affinché questi rinuncino ai loro «privilegi» (sic) e si diano anima e corpo alla «cultura aziendale 4.0» per guadagnare in performance seguendo i precetti dello «Human Inside» [*3].
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