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ilpedante

Migrazioni terapeutiche o i pericoli delle fiabe

di Il Pedante

Il 10 maggio scorso La Stampa titolava: «Sempre più allergici e malati. Ma a rafforzare i nostri bimbi saranno i microbi africani». L'articolo riportava le conclusioni di uno studio scientifico sulla correlazione tra l'impoverimento dell'ecosistema microbico nell'organismo e l'insorgere sempre più frequente e precoce di malattie autoimmuni nei paesi sviluppati. L'ambiguità del titolo e della tesi non troppo velatamente suggerita nel testo («le popolazioni africane potrebbero aiutarci a recuperar[e] una parte [di quell'ecosistema]») alzava la palla alla redazione di Left, che lo stesso giorno traduceva così la notizia sul suo sito: «L’arrivo dei migranti fa bene alla salute». Punto. Svolgimento:

Non solo la nostra economia, ma anche il nostro sistema immunitario ha bisogno dell’apporto dei migranti. È quanto emerge da uno studio condotto da un team di ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze e pubblicato da la Stampa. Secondo i biologi, i migranti africani portano con loro una serie di batteri, finghi (sic) e microbi che abbiamo perso.

L'occasione era in effetti ghiotta, di sbattere in faccia a «la xenofobia populista» che schifa di stringere la mano a una persona di colore o di viaggiare sul suo stesso treno, la nemesi di una promiscuità dove l'esposizione a «batteri, f[u]nghi e microbi» disseminati dai corpi dei nostri fratelli d'Africa ci riscatterebbe da un declino non solo culturale, ma finanche organico e microbiologico. Un'occasione ghiotta, ghiottissima. Forse troppo per essere vera.

Apprendiamo da Google che lo «studio condotto da un team di ricercatori del dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze» a cui si fa riferimento negli articoli non è stato (ovviamente) «pubblicato da La Stampa» nel 2017. Il giornale torinese ha solo ripescato un paper apparso su PNAS il 17 agosto 2010 (sette anni prima) con il titolo "Impact of diet in shaping gut microbiota revealed by a comparative study in children from Europe and rural Africa". Lì un gruppo di scienziati guidati da Carlotta De Filippo e Duccio Cavalieri confrontavano la microflora intestinale dei bambini di Firenze con quella dei loro coetanei di Boulpon, un villaggio rurale del Burkina Faso il cui ambiente «assomiglia ancora a quello dell'agricoltura neolitica di sussistenza» e dove «tutte le risorse alimentari sono prodotte localmente, coltivate e raccolte nei pressi del villaggio dalle donne» e, quindi, «gli effetti della globalizzazione sulla dieta sono meno profondi». La ricerca concludeva che

... rispetto ad altre possibili varianti come l'etnia, la sanitizzazione, l'igiene, la geografia o il clima, la dieta ha un ruolo dominante nella formazione del microbiota intestinale [e] la riduzione di ricchezza che osserviamo nei bambini europei rispetto a quelli del Burkina Faso può indicare come il consumo di zuccheri, grassi animali e cibi ipercalorici nei paesi industrializzati stia rapidamente limitando il potenziale adattivo del microbiota. Questa semplificazione porta con sé il rischio di deprivare il nostro pool genetico microbiale di riserve ambientali di geni potenzialmente utili per l'adattamento a diete peculiari.

Nello studio non si cita mai l'immigrazione, né mai vi si allude. Il «rapido aumento dell'incidenza di malattie intestinali non infettive» riguarda del resto «sia il mondo occidentale, sia i paesi in via di sviluppo» e non è legato all'etnia o alla provenienza geografica, ma alla dieta. E poiché non risulta che gli immigrati africani in Italia pratichino una «agricoltura neolitica di sussistenza» né che vi consumino esclusivamente cibi «coltivati e raccolti nei pressi dei villaggi», l'idea di sradicare e dislocare quelle popolazioni invece di imitarne le più sane abitudini alimentari non solo non può far «bene alla salute» degli europei, ma fa sicuramente male a quella degli africani. A voler proprio cercare nel paper un messaggio politico (che non c'è) dovremmo semmai concludere che la globalizzazione e la correlata libertà di movimento delle masse nuocciono alla salute di quelle masse. Per dirla con gli autori dello studio, che «la riduzione di ricchezza microbiale è probabilmente uno degli effetti indesiderati della globalizzazione».

Dall'amplesso di fantasia e scienza nasce la fantascienza. Continua l'articolo: «[gli immigrati] portano anticorpi. Difese che abbiamo perso, e che sono essenziali alla nostra sopravvivenza, aiutando così il nostro organismo a combattere infezioni alle quali non è più preparato». Peccato che lo studio citato si occupi di malattie «non infettive» e che poche righe dopo lo stesso articolo parli di «malattie auto immuni, infiammazioni e allergie», cioè di patologie causate da un eccesso, non da un deficit di risposta immunitaria. Ma anche volendo stare al gioco, è da capire in quale fantauniverso gli anticorpi si «portino» da un individuo all'altro. Fosse così, sarebbe più comodo assumerli in loco o importarli in pratiche compresse.

Un ribaltamento così totale della verità scientifica non può essere solo frutto di scarsa informazione. Alla sua base devono agire altre forze, deve esserci il desiderio di avverare una tesi al costo di fare della realtà un pretesto. Dopo essersi applicato con scarso successo agli auspicati traguardi della globalizzazione europea, il wishful thinking alza così il tiro e si esercita in scala mondiale con le retoriche dell'immigrazione di massa. In un articolo recente abbiamo commentato altri esempi del caso, laddove si insisteva a dirsi che l'«accoglienza» dei nuovi immigrati sarebbe finanziata dall'Unione Europea, o che i richiedenti asilo sarebbero una risorsa economica perché gli stranieri tutti contribuirebbero per quasi un decimo al PIL nazionale. È in quell'humus che nasce l'ennesima fiaba, quella del «nostro sistema immunitario [che] ha bisogno dell’apporto dei migranti».

Ciò che più imbarazza in queste forzature è la loro pretesa di tutelare chi immigra. Se è inaudito che l'immigrazione di massa giovi alla salute degli europei - come è controverso che vi nuoccia - sono invece indiscutibili e gravi i problemi sanitari che essa infligge alle popolazioni dislocate. In una recente sintesi della letteratura scientifica disponibile, il Parlamento europeo scriveva che «all'inizio del loro viaggio i migranti tendono a godere di condizioni di salute relativamente buone». Successivamente, la pena del viaggio e le condizioni di vita nei paesi di transito li espongono a lesioni fisiche come «ferite... bruciature, vesciche, scottature, deidratazione e problemi muscoloscheletrici», ipotermia e infezioni trasmesse da alimenti (salmonellosi, epatite A, colera) o da artropodi contaminati (malaria, lesmaniosi, borreliosi, rickettsiosi, tifo). Lo stress e la scarsa protezione dagli agenti climatici ne indeboliscono il sistema immunitario e li rendono vulnerabili a virus influenzali e infezioni delle vie respiratorie. All'esperienza migratoria si accompagnano anche l'insorgenza e il peggioramento di patologie non trasmissibili come ipertensione, malattie respiratorie e cardiocircolatorie croniche, diabete e tumori, e un ampio spettro di problemi psichiatrici associati al disturbo post-traumatico da stress, spesso anche in conseguenza delle violenze subite: umiliazioni, aggressioni, stupri, sequestri.

Poi ci sono gli incidenti, non di rado mortali. Solo nel 2016, e solo nel Mediterraneo, sono morte 5079 persone: 14 al giorno. Dall'inizio del 2017 a oggi si contano 1735 vittime in mare e più di 300 (numero certamente sottostimato) in Africa.

Sono questi gli effetti salutari dell'immigrazione di massa.

***

Le fiabe fanno soprattutto male a chi ci crede. Se chi si spende per migliorare le condizioni e la percezione degli immigrati lo fa ricorrendo a informazioni inesatte, irrilevanti o anche inventate, ciò che ottiene è la diffidenza e l'ostilità degli interlocutori. Nell'ipotesi migliore sarà accusato di essere inaffidabile, nella peggiore di mentire per dissimulare altri fini. In tutti i casi contribuirà a polarizzare un conflitto dove i primi a cadere saranno proprio coloro che vorrebbe proteggere dalla discriminazione e dall'odio.

Ma ancora più grave è che, nel liquidare problemi veri con risposte false, quei problemi si riproducono e si allargano, si radicano nell'indifferenza di chi se ne dovrebbe preoccupare. Nell'articolo citato si osservava come la spesa sostenuta dallo Stato italiano - e non da Leuropa - per l'accoglienza dei richiedenti asilo sia odiosa non tanto per la sua funzione, ma perché è obbligatoriamente sottratta ad altri servizi pubblici essenziali in forza dei vincoli monetari e di bilancio imposti ai membri dell'eurozona. Che i soldi per l'immigrazione siano tolti ai terremotati e agli ospedali non è scritto nella fantasia degli xenofobi, ma agli artt. 7 e 21 del Trattato di Maastricht e all'art. 81 della Costituzione. Si è anche visto come la disoccupazione e la sottoccupazione dei nuovi immigrati, e quindi la loro marginalizzazione, non siano il prodotto de «il razzismo» ma di politiche di deflazione e depressione del lavoro che prima ancora colpiscono gli italiani. Tra gli altri esempi più recenti, il rinnovo delle sanzioni al governo siriano è un atto di guerra destinato a provocare nuovi flussi di persone in fuga. Prima di protestare perché non si accolgono abbastanza profughi, bisognerebbe chiedere di provocarne di meno. E prima di indignarsi se si indaga su alcune ONG del mare ci si dovrebbe accertare se in effetti, e ammettiamo pure con le migliori intenzioni e in assenza di una politica di quote e corridoi per chi ne ha diritto, esse non stiano incentivando le partenze indiscriminate, e quindi i traffici, e quindi le tragedie.

Se si considerassero le cause e non i fenomeni ci si accorgerebbe che molti problemi cosiddetti dell'immigrazione colpiscono in modi diversi tanto i rappresentanti de «la xenofobia populista» quanto il «migrante». Sicché nel denunciarne le radici si potrebbe almeno tentare di unire i fronti in una battaglia comune invece di tifare per l'una o l'altra vittima, di dividere il mondo in buoni e cattivi. Che, appunto, funziona solo nelle fiabe e nelle menti di chi ci crede, o di chi se ne avvantaggia.

Comments

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Mario Galati
Sunday, 18 June 2017 16:02
È indubbio, però, che il razzismo, se non è causa della crescita dell'esercito industriale di riserva incrementato dall'immigrazione, ha la funzione di marginalizzarlo e opprimerlo di più per sfruttarlo più intensamente. E con esso, tutti i lavoratori, abbassandone i costi. Ha l'altra funzione di offrire un capro espiatorio e un gradino più basso della scala sociale persino agli strati più infimi della nostra società, contenendone le frustrazioni e soddisfacendone l'autostima, legandoli al sistema.
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