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Ma perché Renzi attacca Bankitalia?

di Aldo Giannuli

Che un segretario di partito attacchi a testa bassa Bankitalia, chiedendo il siluramento del governatore, è cosa che non ha precedenti. Era capitato, al tempo del centro sinistra, che ci fosse qualche mugugno dei socialisti compreso qualche ministro) o dell’opposizione di sinistra contro l’allora governatore Carli, ma subito il Presidente del Consiglio ed il ministro del Tesoro (invariabilmente democristiani) scattavano in sua difesa e nessuno osava chiedere l’augusta testa di via Nazionale.

La caduta di Paolo Baffi, nel 1979, non fu opera del ceto politico ma del pesante intervento della Procura di Roma che portò all’arresto del vice direttore generale Mario Sarcinelli : i due saranno pienamente assolti da ogni addebito e si sospettò che dietro le loro disavventure ci fosse stata la mano della P2. Ma, il ceto politico non ebbe alcun ruolo nella vicenda e semmai difese i due (sulla vicenda ha scritto con autorevolezza Beniamino Andrea Picone).

Poi, dopo il “divorzio fra Tesoro e Banca centrale -di cui dirà diffusamente un pezzo di Ivan Giovi che pubblicherò mercoledì-, non c’è stato più alcuno scontro fra politici e Banca, salvo qualche frizione fra Tremonti (che dovrà dimettersi) da un lato e Fazio da un altro e, per mandare via quest’ultimo, ci volle la catena di scandali Parmalat- Popolare di Lodi- Antonveneta con tanto di seguito giudiziario. Ne seguì un terremoto che portò ad una riforma di istituto che abolì il mandato a vita. Ma anche dopo questa parziale correzione che un po’ ridimensionava il potentissimo Governatore, Bankitalia è rimasta una munitissima fortezza che nessuno si è azzardato a prendere di punta.

Dunque, nessun dubbio sul fatto che l’uscita del Pd e personalmente di Renzi è una uscita inedita che configura una crisi istituzionale di prima grandezza. Perché mai, ad una manciata di mesi dalle elezioni, il rissoso fiorentino si è tirato addosso questa pentola di brodo bollente? Gli hanno dato addosso Mattarella e Napolitano, Scalfari e Veltroni, l’opposizione interna e Prodi, la Finocchiaro , la Camusso e Bersani, Brunetta ed il vice presidente di Confindustria, poi 46 economisti che firmano un appello in difesa di Visco e contro Renzi e Gentiloni che si sfila a metà.

L’uomo è un bullo di periferia e le risse uno contro tutti gli piacciono, d’accordo, ma qui siamo ad un comportamento da Kim Jong Un e perché in un momento così delicato, a un passo dalle elezioni politiche e con le banche in fibrillazione per quel che si profila?

La prima spiegazione è la più semplice: il mandato di Ignazio Visco sta scadendo e si sa che buona parte del mondo politico e finanziario vedrebbe volentieri una sua conferma per altri sei anni, mentre il Pd e Renzi vedrebbero volentieri un altro, magari Padoan. E qui, con i tempi ci siamo, ma non con i modi: se, per lanciare un candidato alternativo vai con una carica di rinoceronti, il risultato più probabile è quello di bruciare il candidato alternativo. Magari si lascia fare l’attacco ai 5 stelle (che erano quelli che avevano dato il via a fuoco d’artificio con l’interrogazione di Ferdinando Alberti) ai quali si fanno arrivare, in qualche modo, documenti utili all’attacco, o si fa un colpo di mano in consiglio dei ministri (anche se poi bisogna vedersela con il Presidente della Repubblica), magari si cerca di fare un ragionamento molto alto, in tema di orientamenti di politica economica (anche se poi il motivo vero è un altro), magari si cerca un magistrato amico (ne avranno uno!) per la bisogna. Insomma ci sono almeno altri venti modi meno “spaccatutto” per procedere e con maggiori probabilità di successo. Per poi concludere con una ingloriosa ritirata e accettare la conferma di Visco che ne esce più forte di prima.

Capiamoci, nel merito Renzi dice cose vere quando accusa Bankitalia di aver esercitato i suoi poteri di controllo con i piedi: qui c’è una dozzina di istituti che franano in malo modo, bruciando i depositi di centinaia di miglia di risparmiatori, le responsabilità di via Nazionale sono oggettivi e Visco avrebbe dovuto trarne le conseguenze già da tempo. Se non si è dimesso e nessuno gli ha chiesto di dimettersi è stato sia perché nessuno dei partiti di sistema (Pd renziano in testa) poteva parlare, dato che era stato fatto tutto di tacito accordo. O pensate che Renzi potesse davvero auspicare controlli più severi di Bankitalia sul Banco dell’Etruria? E magari mettere becco nella sua provvidenziale riforma delle Banche Popolari?

Dunque il punto non è questo, ma allora perché ce l’ha con Visco? Ho una mia interpretazione dei fatti:

Renzi non ce l’ha affatto con il Governatore e lo slogan “Fuori Visco!” è solo una false flag che copre altro. Io credo che sia iniziata la guerra della commissione parlamentare di inchiesta sugli scandali bancari. Certo, si sono assicurati con la presidenza di Casini che, se si tratta di addormentare le cose è meglio del Tavor, ma questo non basta: ci sono istruttorie penali in atto, i personaggi coinvolti hanno l’oggettivo interesse ad uno scaricabarile reciproco e fra loro e la classe politica. Casini o non Casini, una situazione può sfuggire di mano e magari la tentazione di buttare tutto in cagnara può farsi troppo forte.

Magari, a qualcuno che pensa di azzoppare Renzi sin prima delle elezioni, potrebbe venire in testa un vecchio gioco italico: lo schiaffo del soldato, con Renzi in mezzo mentre si parla di Etruria. Il ragazzo di Rignano, però non ci sta (povera stella, si può capire) e propone un altro gioco: muoia Sansone con tutti i filistei. Si fa così: voi parlate di Etruria ed io tiro giù tutto, a cominciare da Bankitalia. Poi Visco può anche restare dove è, ma Governatore avvisato mezzo salvato, come tutti gli altri. Dite che sono troppo complottista?

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