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“Più disoccupazione con il decreto Dignità? Falso”

Giacomo Russo Spena intervista Pasquale Tridico

Per l’economista, nonché consigliere esperto di Di Maio, questo provvedimento va in direzione opposta rispetto al passato: “Non esiste alcuno studio serio in Europa da cui si evince che il tasso di rigidità del mercato del lavoro sia causa di maggiore disoccupazione. Anzi, è l’esatto contrario. I risultati dimostrano che laddove i Paesi hanno ceduto meno al dogma della flessibilità, si palesano migliori guadagni di produttività del lavoro”. E poi si dice convinto che, reinserendo le causali, oltre a contrastare la precarietà, l’imprenditore sarà orientato a rivalutare il contratto a tempo indeterminato: “Ciò permetterà una spirale occupazionale positiva”.

“L’occupazione non si crea con le norme ma dipende dalla domanda aggregata e dagli investimenti. Con questo provvedimento, però, si ridà dignità al lavoro e non è poca cosa”. Pasquale Tridico, professore di Economia del Lavoro all’Università di Roma Tre e consigliere esperto del ministro Luigi Di Maio, si dice molto soddisfatto dal decreto uscito da Palazzo Chigi: “È un ottimo testo che pone l’Italia in linea con le direttive europee”. Le polemiche con il M5S sono acqua passata.

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Professore, in campagna elettorale era stato inserito nella squadra di governo del M5S come possibile ministro del Lavoro, poi ha avuto qualche attrito col MoVimento perché dal contratto di governo siglato con le Lega era sparita la reintroduzione dell’art 18 né si parlava di abrogazione del Jobs Act. Adesso è contento del Decreto Dignità?

Ci sono alcune novità che questo Paese attendeva da tempo. Tutte le riforme del mercato del lavoro dagli anni 90 in poi sono riconducibili allo stesso filone di pensiero, il dogma della flessibilità. Questo decreto è il primo che va in direzione opposta. Rispetto al passato, è un grande risultato.

 

Per Confindustria il decreto è un segnale molto negativo per il mondo delle imprese perché i vincoli al contratto temporaneo scoraggerebbero gli investimenti. Come replica?

I dati della ricerca scientifica ce lo dicono chiaramente: non esiste alcuno studio serio in Europa da cui si evince che il tasso di rigidità del mercato del lavoro sia causa di maggiore disoccupazione. Anzi, è l’esatto contrario. I risultati dimostrano che laddove i Paesi hanno ceduto meno al dogma della flessibilità, si palesano migliori guadagni di produttività del lavoro. Questo per due ragioni.

 

Quali sarebbero, secondo lei?

Innanzitutto perché si innescano meccanismi che avvantaggiano lavoro qualificato (e stabile) e, quindi, maggiori investimenti delle imprese in capitale umano. La precarietà non solo genera problemi sociali ma ha un impatto negativo sull’economia, e qui veniamo al secondo punto: il lavoro a termine incentiva investimenti e strategie da parte delle imprese cosiddette labour intensive, che non si affidano all’innovazione e al progresso tecnico, e che generano pochi guadagni di produttività. Il working poor porta a redditi più bassi per i lavoratori innescando una dinamica che disincentiva gli investimenti sull’innovazione. I recenti studi europei lo affermano ormai con chiarezza: i maggiori investimenti in innovazione avvengono quando il lavoro costa di più. La ricchezza sul lungo periodo non si crea puntando sulla compressione dei diritti salariali ma proprio sull’innovazione.

 

Il decreto reintroduce la giustificazione causale per le assunzioni a termine e la somministrazione a tempo determinato. Il problema è che lo fa solo dopo i primi 12 mesi, con il fondato rischio, peraltro già corso e sperimentato dopo la riforma Monti-Fornero del 2012, di un enorme turn-over tra giovani lavoratori, condannati a ruotare su contratti di breve durata. Non trova?

È un parere legittimo ma strumentale e che non comprendo. Nell’ultima direttiva dell’Unione Europea si prevede un periodo che può andare dai 6 ai 12 mesi di contrattazione durante il quale l’imprenditore e il lavoratore iniziano ad instaurare un rapporto. Una volta conosciuti, l’imprenditore ha due possibilità: assumere la persona con un contratto a termine indicando una causale o assumerla a tempo indeterminato. Se si interviene per restringere i margini per i quali un’azienda assume a tempo determinato, e senza ragioni, mi pare ovvio che si avvantaggi il contratto a tempo indeterminato. Inoltre, a pieno regime, a nessuna azienda conviene un lavoratore diverso ogni 6 mesi. Non conviene in termini di performance lavorativa, incentivo allo sforzo del lavoratore, accumulazione di capitale umano, rapporto di fiducia (importantissima tra imprenditore e lavoratore).

 

In base ai dati dell’Inps le assunzioni a tempo indeterminato sono crollate, tranne nel breve periodo in cui il governo Renzi aveva posto gli incentivi per le aziende, mentre c’è il boom della contrattazione sotto i 12 mesi. Con questo decreto è veramente convinto che si possa invertire il trend?

Negli ultimi 3/4 anni nessuno assumeva più a tempo indeterminato perché la contrattazione a termine è stata totalmente liberalizzata. Il punto è: in tempo di incertezza economica perché un imprenditore deve scegliere di assumere a tempo indeterminato quando può farlo a tempo determinato? Questa è la domanda da porsi. Nell’incertezza, il datore di lavoro farà sempre la scelta di breve termine. Per questo si deve ribaltare il paradigma. Reinserendo le causali, l’imprenditore sarà orientato a rivalutare il contratto a tempo indeterminato che è anche più vantaggioso. Ciò permetterà una spirale occupazionale positiva.

 

In realtà un articolo uscito sul Sole24ore dimostra come la stretta sui contratti a termine porterà alla perdita di 8mila posti di lavoro in meno all’anno...

Non sono convinto di queste cifre, sono stime inverosimili. Ipotesi. Dopo 24 mesi l’impresa può assumere a tempo indeterminato se ha bisogno. Se non ha bisogno, non assumerebbe comunque con qualsiasi tipo di contratto. Inoltre, si può affermare che, dato che il contratto a termine è più costoso dello 0,5, gli imprenditori assumeranno di più a tempo indeterminato.

 

Rispetto alle riforme degli anni passati si nota sicuramente una discontinuità nellimpianto del Decreto Dignità. Ma la montagna non ha partorito un topolino? Si può davvero parlare di abrogazione dellimpianto del Jobs Act?

Abbiamo toccato alcuni punti centrali che venivano affrontati dal Jobs Act modificando, ad esempio, le norme dell’81/2015 e del licenziamento illegittimo. Si è deciso di cancellare i passaggi nefasti di quei provvedimenti.

 

Quali migliorie auspica che il Parlamento apporti al testo?

Non sono un deputato e, quindi, questa domanda andrebbe posta a chi siede in Parlamento. Quel che posso dire è che si potrebbe inserire una clausola (incentivata) di trasformazione automatica del contratto a termine verso il contratto a tempo indeterminato. Sarebbe un ulteriore passo in avanti contro la precarietà.

 

Adesso sembra che ci siano frizioni tra Lega e M5S, con il Carroccio che vorrebbe apportare delle modifiche al decreto. Cosa ne pensa, ad esempio, della possibile reintroduzione dei voucher?

C’è un grande equivoco: i voucher già esistono per una serie di categorie di persone (disoccupati, giovani e pensionati). Sono una realtà sulla piattaforma dell’Inps, solo che poche persone ne sono a conoscenza, e hanno delle difficoltà procedurali. Quello di cui si sta discutendo nel governo è la possibilità di migliorarne l’accessibilità e la semplificazione. Bisogna vigilare sul corretto utilizzo dei voucher evitando che diventino uno strumento per destrutturare il mercato del lavoro.

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