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marx xxi

Dopo il vertice Trump-Putin, alcuni spunti da un articolo di F. Rampini* 

di Marco Pondrelli

Solo un grande progetto euro-asiatico ed euro-mediterraneo di cooperazione pacifica, dal Portogallo all’estremo Oriente, all’Africa, può dare ad un’Italia sovrana nuova centralità nello scenario mondiale, e nuove opportunità di crescita e sviluppo

“Un ordine internazionale sembra sul punto di dissolversi a 70 anni dalla sua fondazione da parte di Franklin Roosevelt, Harry Truman, George Marshall, e una vasta famiglia di leader dell’Europa occidentale di estrazione democristiana, liberale, socialdemocratica.

Quel sistema subisce l’attacco concentrico di Donald Trump e Vladimir Putin, sancito nell’abbraccio di Helsinki. Ma quel sistema era già minato al suo interno da una profonda crisi di fiducia. Molti americani ed europei, cittadini e leader, sembrano aver perso interesse verso l’integrazione Ue, la cooperazione atlantica; ritengono che queste abbiano esaurito la propria funzione storica.[...]

La sensazione che la Nato abbia perso utilità, è evidente nei comportamenti di diversi Paesi membri che da anni rifiutano di pagarne i costi. Adesso l’America trumpiana, più mercantilista che isolazionista, vede i partner europei come dei parassiti. A rimanere arciconvinti che la Nato sia indispensabile, ormai ci sono solo quei Paesi baltici e scandinavi che temono l’espansionismo russo alle loro frontiere, ma non bastano.

L’Unione europea subisce defezioni (Brexit), l’ascesa di partiti apertamente anti- europeisti, una perdita di leadership e di progettualità nella nazione-baricentro che è la Germania. Gli attacchi senza precedenti di Trump all’Europa “nemica” vengono solo a rafforzare dall’esterno una perdita di coesione e di convinzione.

Che vantaggi possono ricavare i due protagonisti del vertice di Helsinki, che più si sono adoperati per la disgregazione dell’ordine post- bellico? Putin ha un’agenda chiara e appare come un sicuro beneficiario della disgregazione a Ovest. Coglie l’occasione della rivincita, dopo aver costruito la sua leadership sulla narrazione di un accerchiamento occidentale. Ha raccontato al suo popolo che da Gorbaciov a Eltsin ci fu un lungo tunnel di umiliazioni e cedimenti, ora la grande Russia rialza la testa, si riprende il suo ruolo fra le nazioni, recupera un rapporto di quasi-parità con l’America. Al di là del trionfo d’immagine che ha incassato ieri a Helsinki, per Mosca c’è un concreto recupero d’influenza già in atto in Medio Oriente e che ora potrà estendersi all’Europa: dove le lobby confindustriali si uniscono ai diversi partiti russofili nel chiedere la fine delle sanzioni. Al momento opportuno Putin potrà rilanciare il suo vecchio progetto di una comunità economica Eurasiatica. L’obiettivo finale è spezzare l’aggancio “ innaturale” Ue- Usa, due realtà separate da un oceano, per risucchiare l’Europa nel suo alveo naturale: piccola propaggine del continente asiatico. Se questa è la direzione di marcia, lo slittamento a Oriente finirà per rafforzare la Cina ancor più della Russia. Putin è un gigante in politica estera, come nella tradizione dei grandi zar, ma proprio come gli imperatori Alessandro e Caterina non è stato capace di pilotare un vero decollo e una modernizzazione compiuta del suo Paese. La Russia rimane un nano economico, a parte il petrolio e il gas non ha molto da offrire agli europei. Le Nuove Vie della Seta di Xi Jinping che raggiungono l’Europa centrale e il Mediterraneo, hanno dietro ben altra potenza industriale e finanziaria.

Trump non è uomo di grandi progetti a lungo termine, né ha una visione geostrategica. C’è però un elenco di benefici che lo attraggono verso la distruzione dell’atlantismo. Il risparmio sulle spese militari è un vantaggio concreto per il contribuente americano ( anche se sgradito al Pentagono e alle lobby industriali belliche). Il ritorno a un bilateralismo nei rapporti commerciali esalta il potere contrattuale dell’America che può estorcere condizioni migliori. Se si va verso una sorta di G3 Usa-Russia-Cina, un simile direttorio delle superpotenze potrebbe stabilizzare e disciplinare alcune aree turbolente del globo, evitando all’America oneri e rischi legati al ruolo di gendarme mondiale. Putin ieri a Helsinki ha anche accennato a un vantaggio concreto per gli europei: il suo modello di stabilizzazione del Medio Oriente che punta sulla “ ricetta Assad”, promette di fermare i flussi migratori con l’aiuto dei vari sultani locali.

Questo scenario però implica la presa d’atto che la leadership americana è in declino e quindi va condivisa; inoltre che gli unici interlocutori validi (efficaci) sono regimi autoritari o “ democrature” illiberali. Il nuovo ordine sarebbe comunque instabile, se esalta due potenze come Cina e Russia che sono “ revisioniste”: cioè non accettano lo status quo, vogliono cambiare i rapporti di forza e rivedere le sfere d’influenza. Per questo il piano Trump, ammesso che sia tale, preoccupa non solo il partito democratico ma un pezzo di establishment repubblicano. Dal Pentagono ai servizi d’intelligence, dalla diplomazia ai grandi think tank, anche l’America conservatrice vorrebbe… conservare quel che ha costruito lei stessa da 70 anni; l’alternativa le sembra una resa ai rivali di sempre.”


* la repubblica, 17 luglio

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