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sinistra

Sotto la pioggia. Inondazioni e presidenti nel Sahel

di Mauro Armanino

Niamey, agosto 2018, sotto la pioggia. Da queste parti lei arriva come un’intrusa. Necessaria come il pane, prevista, attesa e sperata fin dall’inizio dell’anno. La pioggia rimane una sorpresa a cui nessuno in città si abitua. Le strade, i cortili, le zone basse dei quartieri, l’unico sottopassaggio del Paese e il fiume Niger, sono impreparati a riceverla. Solo i bambini, con la consueta perizia, si avventurano a giocare partite di calcio improvvisate sotto la pioggia. Sono i contadini per ora, invisibili ai più, che l’accolgono con riconoscenza e timore. Rischiano di seminare alla prima parvenza di acquazzone e implorano il dio incaricato di ricordarsi e provvedere la regolarità delle pioggie. E’ accaduto più di una volta, infatti, che smetta di piovere e allora una seconda o terza semina sono necessarie, con gli scongiuri necessari ai nemici delle stagioni. Sotto la pioggia è nel Sahel uno spettacolo da non perdersi per nulla al mondo. Alla prima avvisaglia di temporale si annullano riunioni importanti. I pochi automobilisti intrappolati nel traffico corrono a rifugiarsi sotto i tre cavalcavia della capitale. Le moto si parcheggiano sotto le tettoie che costeggiano le strade. I vigili spariscono coi loro cellulari sempre accesi.

Non siamo soli. Inizio giugno, nella florida capitale economica della Costa d’Avorio, Abidjan, si erano registrati une ventina di morti, circa 200 i feriti e danni materiali ingenti. I giornali parlavano di immagini apocalittiche nelle zone colpite dalle inondazioni. Centinaia di botteghe sono state spazzate via in pochi minuti di pioggie torrenziali, non rare nel Paese. Quasi ogni anno il copione si ripete, con in più gli esperti che ormai predicono, con qualche successo, le inondazioni a venire. Si attendeva infatti una stagione delle pioggie particolarmente intensa. Morti e sfollati facevano parte del calcolo, accurato,degli esperti meteo che hanno stilato con perizia il rapporto in questione. La profezia annunciata si è avverata. Nel vicino Mali forti pioggie e decessi a Kaye e Naufunké, villaggi dei quali mai si sarebbe parlato senza questi disastri. Lo stesso è accaduto nel confinante Burkina Faso e non solo nella capitale Ouagadougou. Altri nomi prima sconosciuti, come quello di Gorom-Gorom, si trovano alla ribalta grazie alle pioggie abbondanti. Come sempre non mancano i ministri e le prime dame che visitanono e assitono gli sfollati, sotto le telecamere.

Anche il Niger, come sempre in queste circostanze, non è stato di meno. Il passato 6 agosto il governo ha annunciato il decesso di 22 persone e circa 50 mila sfollati di cui 2000 nella capitale Niamey. Nulla di troppo strano, se si pensa alle previsioni degli esperti e alla regolarità dell’accaduto. Ancora prima si lamentavano nel Paese la morte di 13 persone a causa delle inondazioni. Una parvenza di guerra che, come sempre, colpisce i poveri che per vari motivi costruiscono le case in luoghi a rischio. Per loro vivere è già un rischio e dunque mettono in conto e sulla bilancia la precarietà che li accompagna nel quotidiano. Quanto al Presidente, aveva programmato e il tempo è giunto, di rinnovare il Palazzo Presidenziale. Sarà l’Indonesia a incaricarsi dell’operazione che costerà, secondo il comunicato del vice-ministro degli Esteri indonesiano, 14 miliardi di Franchi, circa 23 milioni di euro. Si tratta, infatti, di un palazzo dell’epoca coloniale che, a tutta evidenza, non è più adatto allo stile presidenziale del momento. Si tratta dell’inizio di una fruttuosa collaborazione tra i due Paesi. Nel futuro si prevedono interventi in ambito commerciale e professionale.

il presidente dietro i vetri un po' appannati
fuma la pipa
il presidente pensa solo agli operai
sotto la pioggia.
stanno arrivando da lontano
con il futuro nella mano
sotto la pioggia

Per i vetri si può vedere ma la pipa no. Il nostro Presidente non fuma la pipa come faceva il Presidente Sandro Pertini nella nota canzone di Antonello Venditti del secolo scorso. Tantomeno pensa ai pochi e contesi operai malpagati nel Paese. Non fuma la pipa e, pur essendo dell’area socialista, crede poco agli operai col futuro nella mano. Ci sono in cambio i cinesi e tra non molto gli indonesiani che hanno promesso di terminare i lavori del palazzo in 17 mesi, tra una pioggia e l’altra.

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