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quadernirozzi

Le parole di Gheddafi

Per riflettere sulle manovre colonialiste di questi giorni

di Riccardo Paccosi

In Libia, la Francia sta nuovamente provocando il caos al fine di impossessarsi delle risorse naturali di quel paese e al fine di estromettere l’italiana Eni dall’attuale posizione dominante.

La destabilizzazione di oggi è figlia di quella di sette anni fa, voluta da Sarkozy, Caameron e Hillary Clinton, nonché sostenuta da una sinistra italiana che, da vent’anni e passa, tifa per qualunque potere – non importa se una nazione straniera o un organismo sovranazionale – purché fuori dai confini italiani e, conseguentemente, fuori dal controllo degli organismi democratici ed elettivi.

Tutto questo mi fa tornare in mente un testo che ebbi il coraggio di recitare pubblicamente alcuni anni fa, poco dopo la morte di Gheddafi, nell’ambito del Caffè Letterario che si svolgeva, a Bologna, presso il pub Macondo di Via del Pratello.

Dico “ebbi il coraggio”, perché ricordo vividamente il timore provato prima di iniziare a recitare. Il timore, cioè, di essere stigmatizzato dai più. A quei tempi, frequentavo in prevalenza persone che, come me, si riconoscevano nella sinistra politica.

Nel 2011, con la crisi in Libia, tra me e le persone di sinistra si materializzò una lacerazione insanabile sulla politica estera (alla quale pochi mesi dopo si unì, sul versante della politica interna, una lacerazione altrettanto grave conseguente all’avvento del Governo Monti). 

Gli stessi individui che nel 2003 avevano manifestato in piazza contro l’aggressione all’Iraq governato da Saddam Hussein e in nome del diritto internazionaale, infatti, nel 2011 e tutto d’un colpo si dicevano favorevoli al fatto che la Nato aggredisse e bombardasse quei paesi che l’America etichettava come “dittatoriali”.

Proprio come nel caso dell’Iraq, l’aggressione occidentale si rivelò basata su fake news create a tavolino dagli apparati militari. Per bocca di Obama, Cameron, Sarkozy nonché del nostro Napolitano, i media riportarono la notizia secondo cui Gheddafi aveva bombardato una folla che manifestava contro di lui e creato fosse comuni. Mentre per smascherare le menzogne su cui si era fondata l’aggressione all’Iraq ci erano voluti degli anni, in questo contesto libico la bufala fu invece disvelata immediatamente: fin dal primo giorno dei bombardamenti Nato sulla Libia, l’inviato a Tripoli di Repubblica – Vincenzo Nigro – rivelò che non c’era alcuna fossa comune né vi era mai stato alcun bombardamento sui manifestanti; quelle notizie – proseguiva Nigro – erano state inventate di sana pianta dalla rete tv Al Jazeera (emittente di proprietà dell’emiro del Qatar, ovvero d’un paese che, come gli altri della Lega Araba, era favorevole alla caduta di Gheddafi) e quindi riportate pedissequamente dai media europei e americani senza alcuna verifica preliminare. Malgrado il disvelamento della bufala, però, i media e i partiti politici occidentali proseguirono come nulla fosse nella propaganda di guerra a favore dell’aggressione Nato. In Italia, nessun brandello della sinistra si recò in piazza a protestare.

Oggi come allora, assisto alla putrefazione morale d’una sinistra che appoggia tutte le politiche americane di aggressione in giro per il mondo: la guerra civile in Ucraina capeggiata dalle formazioni neonaziste, il finanziamento occidentale ai terroristi jihadisti in Siria e così via. Oggi come allora,  differenza degli altri manifestanti del 2003 all’idealismo guerrafondaio, io sento il dovere di di schierarmi contro l’imperalismo e contro le guerre di aggressione.

Quelle che seguono, sono le ultime parole di Muhammar Gheddafi, pronunciate nell’aprile 2011 e da me recitate pubblicamente, a Bologna, dieci o undici mesi dopo. Parole che sono un testamento politico e anche una profezia.

Io sono a favore del costituzionalismo democratico e, quindi, non assumo certo il sistema istituzionale eretto da Gheddafi a modello. Penso anche, però, che sarebbe ipocrita pretendere che i paesi africani e mediorientali potessero fuoriuscire dal colonialismo con tanti bei sistemi carini e perfettini di tipo europeo.

Detto questo, chi nel leggere queste parole non prova, perlomeno, un senso di storico rispetto verso l’uomo che le ha pronunciate, dimostra d’essere una spugna imbevuta d’ideologia e d’aver messo in ombra la propria umanità.

“Per 40 anni, o forse di più, ho fatto tutto quello che ho potuto per dare al popolo case, ospedali, scuole.

E quando avevano fame, gli ho dato cibo. Ho trasformato Bengasi da un deserto in terra fertile, ho resistito agli attacchi del cowboy Reagan quando, tentando di uccidermi, ha ucciso un’orfana, mia figlia adottiva, una povera bambina innocente.

Ho aiutato i miei fratelli e le mie sorelle africani con denaro per l’Unione Africana. Ho fatto di tutto per aiutare il popolo a comprendere il concetto di vera democrazia, nella quale i comitati popolari governano il nostro paese.

Per alcuni tutto questo non bastava mai, gente che aveva case di 10 stanze, abbigliamento e mobilio ricchi. Egoisti come sono, chiedevano sèmpre di più a spese degli altri, erano sempre insoddisfatti e dicevano agli Statunitensi e ad altri visitatori che volevano “democrazia” e “libertà”.

Non si volevano rendere conto che si tratta di un sistèma di tagliagole, dove il cane più grosso divora tutto. Si facevano incantare da queste parole, non rendendosi conto che negli Usa non c’erano medicine graatuite, ospedali gratuiti, case gratutite, istruzione gratuita, cibo garantito. Per costoro non bastava nulla che facessi, ma per gli altri ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l’unico vero leader arabo e musulmano che avessimo avuto dai tempi di Saladino, un uomo che restituì il Canale di Suez al suo popolo come io ho rivendicato la Libia per il mio popolo. Sono state le sue orme che ho cercato di seguire, per mantenere il mio popolo libero dal dominio coloniale, dai predoni che ci vorrebbero derubare.

Ora sono sotto attacco della più grande forza militare della storia. Il mio piccolo figlio africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, le nostre gratuite abitazioni, la nostra gratuita medicina, la nostra gratuita istruzione, il nostro cibo sicuro, e sostituirlo con il ladrocinio stile Usa chiamato “capitalismo”. Ma noi tutti, nel Terzo Mondo, sappiamo cosa ciò significhi. Significa che le imprese governano i paesi, il mondo, e che i popoli soffrono.

Così per me non c’è alternativa, devo resistere e, se Allah vorrà, morirò seguendone la via, la via che ha arricchito il nostro paese di campi fertili, viveri, salute e ci ha perfino consentito di aiutare i nostri fratelli africani e arabi a lavorare qui con noi, nella Giamahiria libica.

Non desidero morire, ma se dovessi arrivarci, per salvare questa terra, il mio popolo, le migliaia di miei figli, che allora sia.

Lasciate che questo testamento sia la mia voce al mondo. Dica che mi sono opposto agli attacchi dei crociati Nato, alla crudeltà, al tradimento, all’Occidente e alle sue ambizioni colonialiste. Che ho resistito insieme ai miei fratelli africani, ai miei veri fratelli arabi e musulmani.

Ho cercato di fare luce. Quando altrove si costruivano palazzi, ho vissuto in una casa modesta e in una tenda. Non ho mai dimenticato la mia gioventù a Sirte, non ho sprecato le nostre ricchezze nazionali e, come Saladino, il nostro grande condottiero musulmano che salvò Gerusalemme per l’Islàm, ho preso poco per me…

In Occidente qualcuno mi ha definito “pazzo” e “demente”. Conoscono la verità, ma continuano a mentire. Sanno che la nostra terra è indipendente e libera, non soggetta al colonialismo. Sanno che la mia visione e il mio cammino sono sempre stati onesti e nell’interesse del mio popolo. Sanno che lotterò fino all’ultimo respiro per mantenerci liberi. Che Dio ci aiuti.”

Muhammar Gheddafi, Tripoli, 5 aprile 2011

Comments

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Eros Barone
Saturday, 08 September 2018 20:42
Prendo le mosse dal linciaggio di Gheddafi ad opera delle bande di tagliagola salafiti finanziati, armati e addestrati dai servizi segreti degli USA, della Francia e della Gran Bretagna. Con la spettacolarizzazione di quel feroce e prolungato assassinio, esponendo in modo osceno le immagini orrende del corpo ferito e martoriato di Gheddafi, la stampa imperialista riuscì persino a superare il primato sadico delle foto scattate nel 1967 al cadavere di Che Guevara. Questa totale mancanza di ‘pietas’ nei confronti di un nemico dell’imperialismo occidentale dà un’idea particolarmente plastica sia della barbarie dei mercenari sia del fine, ad un tempo monitorio e terroristico, che la NATO attribuì all’azione militare che essa aveva esercitato, per interposta persona ma anche direttamente, nel vicino paese nord-africano. Per quanto mi riguarda, l’ammirazione che ho sempre provato nei confronti di Muhammar Gheddafi, leader della Giamahiria libica, risale al periodo della rivoluzione anticolonialista da lui guidata negli anni ’60, nonché all’opzione socialista e alla linea coerentemente antimperialista che questo esponente della piccola borghesia rivoluzionaria araba ha sempre perseguito marcando con l’impronta di una personalità fiera, coraggiosa e intelligente non solo il movimento dell’islamismo radicale, ma anche quello dell’unità panafricana. In effetti, fedele sino all’ultimo all’impegno militante che aveva contrassegnato tutta la sua vita, Muhammar Gheddafi affrontò le estreme conseguenze della grande sfida sull’uso della violenza, che egli aveva lanciato alle potenze imperialiste fin da quando nel 1969, con un colpo di Stato militare, rovesciò la monarchia del re Idris e dette inizio alla decolonizzazione della Libia e alla costruzione di un regime popolare e socialista: la Giamahiria. A potenze che avevano la pretesa di essere le uniche a decidere quanta violenza sia lecita nelle relazioni internazionali Gheddafi lanciò così il guanto della sfida, entrando nel novero di quei dirigenti del Terzo Mondo che non si trincerarono dietro nessun paravento e utilizzarono la violenza o, comunque, la forza in tutta una serie di azioni: garantire le acque territoriali, partecipare alla politica mondiale sostenendo e finanziando movimenti di liberazione e rivolte antimperialiste e anticolonialistiche, dall’Ira alla resistenza palestinese, ivi comprese le uccisioni mirate degli oppositori (arma strategica usata peraltro, e su larga scala, da Israele e dagli Usa). La politica internazionale di Gheddafi fu quella di mettere la Libia al centro della periferia nella lotta contro il centro imperialista. Inoltre, la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo e le sue risorse naturali ne fecero un paese molto poco trattabile rispetto agli altri paesi usciti dalla decolonizzazione. A ciò si aggiunga che la Libia non entrò mai in alcun blocco, ad esempio in quello sovietico, e ciò la privò di qualsiasi copertura internazionale, come apparve chiaro nel 1986 e come fu confermato dagli eventi del 2011. Vi è poi un’altra questione, a mio avviso assai rilevante, che nasce dalla riflessione sulla guerra di aggressione contro la Libia, e che provo a riassumere in questi termini: come mai il signor Pietro Ingrao, la signora Rossana Rossanda, la signora Susanna Camusso, gli attori Dario Fo e Franca Rame, lo stesso Presidente della Repubblica, esponenti prestigiosi della sinistra italiana, si schierarono a fianco della NATO? Si tratta, in questo caso, di una questione politico-ideologica che non esito a definire sconvolgente, poiché riguarda l’atteggiamento della stragrande maggioranza della sinistra rispetto alla guerra contro la Libia e non, semplicemente, l’opinione personale dello scrivente. Sarebbe necessario, volendo abbozzare una risposta a questo interrogativo, approfondire le ragioni della decadenza, che data perlomeno dagli ultimi trent’anni, di un punto di vista comunista sulle questioni internazionali: un punto di vista che ha finito con l’abbandonare la categoria interpretativa dell’imperialismo e ha completamente abbracciato l'ideologia imperialistica di quello che si può definire “interventismo umanitario”. L’atto di nascita di questa ideologia risale, non a caso, alla guerra del Kosovo (1999), quando fu attribuita al ‘sanguinario dittatore’ dei Balcani, Milosevic, la responsabilità di un genocidio inesistente che sarebbe stato compiuto contro la popolazione albanese del Kosovo, ragione per cui i bombardamenti della NATO contro la Serbia furono nobilitati da siffatta motivazione ‘etica’. Ricordo, a questo proposito, che una lucida analisi critica della teoria imperialistica dell’‘interventismo umanitario’ è stata svolta dal filosofo del diritto Danilo Zolo nel saggio intitolato “Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale” (2000). Sennonché coloro che vivono sotto il tallone di ferro dell’imperialismo e sono consapevoli del nesso tanto sanguinoso quanto inscindibile che stringe l’imperialismo alla guerra e alla reazione, non dimenticheranno mai l’esempio di coerenza, di coraggio e di fierezza che ha fornito Muhammar Gheddafi, abbandonato dall'opportunismo trasformista di quanti avrebbero dovuto difenderlo, a cominciare dalla sinistra europea.
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