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Ma chi è il nemico della Costituzione?

Dante Barontini

Landini, Rodotà e Vendola avevano puntato molto sulla manifestazione di ieri. L'avevano indetta prima della crisi di governo poi risoltasi con la “fiducia” votata anche da Berlusconi. Avevano in fondo scommesso sulla rottura delle “larghe intese” e mirato a candidarsi come legittimi e “popolari” sostituti del centrodestra (magari spaccato in mille pezzi, alcuni dei quali “recuperabili”) in un esecutivo guidato dal PD con priorità un po' diverse da quelle attuali.

La loro “difesa della Costituzione” era totalmente e debolmente antiberlusconiana, ed è rimasta fortemente spiazzata dalla prosecuzione delle “larghe intese”. Che la Costituzione sia sotto pesante attacco, non c'è dubbio. Il problema è che Landini, Rodotà e Vendola non vogliono neppure chiedersi “chi” stia smantellando a colpi di maglio la Carta nata dalla Resistenza. Dovrebbero fare i nomi di Napolitano e Letta, quindi dell'intero Pd, oltre che citare ovviamente l'Unione Europea.

Chi è che ha trasformato il ruolo del Presidente della Repubblica in quello di “facitore dei governi” invece che di “custode delle regole costituzionali”?

Chi è che ha nominato un “comitato di saggi” che deve sfornare un progetto di “riforma” che poi questo Parlamento (di “nominati”, quasi per intero incompetente e disinteressati alle materie costituzionali) dovrà soltanto approvare?

Qual è il partito che con più zelo rappresenta la fedeltà assoluta ai diktat della Troika?

Chi è che ha preteso l'inserimento nella Carta dell'obbligo al pareggio di bilancio, impedendo per sempre la possibilità di affrontare le emergenze economiche e sociali o di “limitare” lo strapotere dei mercati finanziari?

Rispondere a queste domande (retoriche, lo ammettiamo) significherebbe fare chiarezza, e rompere definitivamente con i soggetti che stanno realizzando la distruzione dell'assetto istituzionale repubblicano. Un'eventualità che non può neppure esser presa in considerazione da quanti, sulla cosiddetta “via maestra”, puntavano soltanto a fare la “spalla sinistra” di uno schieramento che per definizione non è più “costituzionale”, ma ormai il suo contrario.

La fine politica di Berlusconi toglie di mezzo l'ultimo equivoco che ha reso possibile gli svicolamenti dei tre mancati eroi di ieri, ma anche quelli di una Rifondazione sempre esitante tra rottura e accordo, tra costruzione di un'alternativa indipendente al centrosinistra e alleanza in posizione subordinata pur di recuperare “di straforo” una qualche presenza in Parlamento. Non è più da tempo addebitabile al solo Cavaliere il progetto di rovesciare come un guanto la Costituzione repubblicana. Va invece addebitato soprattutto a coloro che lo hanno infine chiuso in un angolo e costretto alla resa. I nemici della Costituzione abitano al Quirinale e a Palazzo Chigi, e prendono ordini dagli istituti sovranazionali privi di legittimità democratica che stanno determinando non solo le politiche economiche, ma anche le “riforme istituzionali” che ne possano facilitare l'approvazione senza inciampi.

Se Landini, Rodotà e Vendola avessero voluto davvero perseguire l'obiettivo della “difesa” della Carta avrebbero dovuto portare la loro gente allo sciopero generale del 18 e alla manifestazione nazionale dei movimenti sociali, il 19. Avrebbero dovuto unire le forze invece di dividerle – scientemente – per non affrontare né di petto né “di sguincio” il problema dei problemi: di che tipo è la trasformazione in atto e soprattutto chi la sta portando avanti.

Beffardamente, Giorgio Napolitano ha scelto proprio la giornata di ieri per ribadire la “necessità urgente” di stravolgere l'assetto costituzionale italiano. E a poche ore di distanza sia Letta che il berluschino Renzi hanno fatto lo stesso, chiudendo di fatto la porta in faccia a qualsiasi pretesa possa venire dalla “sinistra del centrosinistra”. L'idea di Landini, Rodotà e Vendola non sta in piedi, non ha spazio, non affronta la realtà, non ha alleati dentro “l'arco governativo”.

L'unico risultato della manifestazione di ieri, insomma, è aver sottratto forze all'opposizione sociale, perpetuando quella confusione politica tipica del “ventennio berlusconiano”, quando il problema di “battere Lui” veniva prima di tutto, e qualsiasi sacrificio doveva essere accettato in nome di questa necessità salvifica.

Quel tempo e quel mondo sono finiti. Non ci sono più vere contraddizioni all'interno del blocco sociale dominante (tra un'ala liberista-europeista-tecnocratica e una arraffatrice-clientelare-mafiosa).

C'è un nuovo sceriffo in città: i terminali dell'Unione Europea e dei mercati finanziari. Tutti gli altri ex protagonisti si vanno allineando, alla ricerca di nuova funzione e altri (minori) spazi. Se poi la costruzione europea dovesse esplodere, com'è probabile, riemergeranno con la faccia della feccia fascista, con i nazionalismi identitari e straccioni (come in Grecia, Ungheria e persino in Francia). E non saranno le altrettanto nostalgiche “riedizioni dell'Unione” che potranno contrastarli.

Per questo è urgente scendere in piazza, mobilitarsi, chiarire che l'avversario vero è ora l'Unione Europea e quanti qui ne eseguono le direttive. Questa settimana facciamo il primo passo, con ben due manifestazioni nazionali a Roma. Soltanto il primo passo. Non sarà sulla “via maestra”, ma nella direzione giusta.

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