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machina

Lo stratega contro

L’attualità antagonista di Guy Debord

di Gabriele Fadini

0e99dc d157657ff58a4e848838da8434a70463mv2A chi lo definiva un filosofo, Guy Debord rispondeva di essere uno stratega. Per comprendere appieno ciò che egli intendeva Gabriele Fadini comincia dal momento in cui nell’opera di Debord la strategia non è solo riscontrabile tra le righe come una modalità di azione, ma in cui diviene il tema stesso di un’opera: Il gioco della guerra, ovvero il resoconto di una partita a un gioco di strategia, ideato dallo stesso fondatore dell’Internazionale Situazionista. A partire da qui, Fadini può approfondire alcuni aspetti del pensiero teorico-politico di Debord, confrontandosi anche con le interpretazioni di Agamben, Freccero e Bifo. 

* * * *

Come mostrano ancora queste ultime riflessioni sulla violenza, non ci saranno per me né ritorno, né riconciliazione. La saggezza non verrà mai [i]

Iniziare un testo dedicato a Guy Debord citando le ultime parole della sceneggiatura del suo ultimo film In girum imus nocte et consumimur igni non significa solo installarci in quel «gioco» secondo cui la massima fedeltà ad un autore consiste nella massima infedeltà, quanto più riflettere sulle regole del particolare gioco che è quello debordiano e ancor di più sull’utilità di questo gioco per un pensiero che si voglia antagonista. Il nostro intento, infatti, è quello di dimostrare come il gioco fornisca un accesso peculiare, originale ma soprattutto fortemente attuale, alla riflessione dello stratega francese. 

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quadernidaltritempi

L’egemonia della Tecnica e la speranza della Magia

di Roberto Paura

Federico Campagna: Magia e tecnica. La ricostruzione della realtàEdizioni Tlon, Roma, 2021, pp. 337, € 18,00

in rilievo letture magia tecnica 05“Un altro mondo è possibile” fu lo slogan che il movimento no-global adottò in occasione delle drammatiche contestazioni del G8 di Genova, nel 2001, di cui in questi giorni ricorre il ventennale. Un’aspirazione ambiziosa, perché sosteneva – e sostiene ancora oggi – la possibilità di pensare un mondo unito, ma non secondo le logiche del mercato. La sconfitta di quel movimento, che coincise con la più grande vittoria del there is no alternative con cui il neoliberismo si è imposto negli ultimi quarant’anni, non ha tuttavia sopito le speranze che un altro mondo sia davvero possibile: un discorso tornato in auge fin degli inizi del 2020, quando la pandemia di Covid-19 ha mostrato tutte le contraddizioni di un sistema da lungo tempo in crisi e reso urgente la necessità di un ripensamento complessivo.

Quanto sia complessa l’operazione ce lo mostra il filosofo Federico Campagna, italiano trapiantato a Londra, in un libro giunto da noi in un momento quanto mai opportuno rispetto all’originale uscita inglese nel 2018: Magia e tecnica. La ricostruzione della realtà non è un manuale per il “dopo”, un ricettario per business coach, uno di quegli innumerevoli instant-book con cui guru improvvisati cercano di motivare una società terribilmente provata dagli ultimi avvenimenti, quanto piuttosto – scrive Campagna nell’introduzione – “un libro per chi giace sconfitto dalla storia e dal presente”.

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lafionda

Agamben, il green pass e il ruolo della filosofia

di Gabriele Guzzi

ergwergerger“Negli anni a venire ci saranno solo monaci e delinquenti. E, tuttavia, non è possibile farsi semplicemente da parte, credere di potersi trar fuori dalle macerie del mondo che ci è crollato intorno. Perché il crollo ci riguarda e ci apostrofa, siamo anche noi soltanto una di quelle macerie.[i]

Ci sono epoche della storia in cui il bivio che ci contraddistingue come umani si radicalizza, i tempi impongono una demarcazione netta, delle soglie antropologiche, che costringono la storia umana ad una scelta, ad una vocazione, ad una svolta. Il libro di Giorgio Agamben, “La casa che brucia”, parla di questo. Negli anni futuri ci saranno solo monaci e delinquenti, poeti e assassini; le terze vie, i compromessi, le zone di confine saranno sempre meno abitabili, si imporranno delle decisioni ultime, degli scatti, su cui o saremo di qua o di là. E questa, tutto sommato, è una buona notizia.

Agamben non parla della pandemia, delle giuste misure di prevenzione, delle risposte sanitarie. Il punto è proprio imparare a decostruire il discorso monolitico che i principali media e partiti politici impongono, per comprendere da dentro le contraddizioni, le assurdità, le derive irragionevoli e perciò sospette. Si tratta di discernere il grano dalla gramigna, senza estremismi, senza complottismi, ma neanche con l’ingenuità subdola che ogni potere auspica sempre di poter suscitare nel popolo e nei suoi rappresentanti.

Il bivio si radicalizza proprio in questo: le derive antidemocratiche non prendono le forme classiche dei totalitarismi. I rischi per le nostre democrazie non stanno, come in realtà molti avevano ingenuamente pensato, (tanto) nei ritorni di potenziali fascismi o razzismi (che esistono ma come fenomeni minoritari), ma nell’applicazione pratica di principi giusti, su cui nessuno potrebbe dissentire, come la prevenzione della salute dei cittadini.

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paroleecose2

Habermas: anche una storia della filosofia

di Leonardo Ceppa

Habermas1. Una possibile idea di filosofia

Nella Prefazione dell’ultima opera (Auch eine Geschichte der Philosophie, Suhrkamp 2019) si nasconde il sale della gigantesca impresa. Che idea ha oggi Habermas della filosofia? Che compito vuole assegnarle? Nella cultura contemporanea è domanda grandiosa. Di fronte a questo libro ci chiediamo: si tratta del dettagliato racconto di uno sviluppo storico (che perlustra gli stadi secolari attraverso i quali si è formata la proposta di una filosofia postmetafisica) oppure di un’intuizione teorica proiettata all’indietro, che per un verso organizza a posteriori il passato e per l’altro verso si presenta ora (a fine carriera) in tutta la sua potenza come dichiarazione esistenziale, rivoluzione antipositivistica, battaglia argomentativa? Non vogliamo banalizzare la questione al vecchio circolo, tra filosofia e storia della filosofia, di cui prende coscienza ogni matricola studentesca. Come tutti sanno, a differenza delle altre materie scientifiche, della filosofia non si può raccontare la storia senza prima disporne di una implicita idea teorica, ma di tale idea non ci si impadronisce, senza prima averla trafugata (magari senza saperlo) ai materiali di una venerabile storia istituzionale.

Soggettivamente, Habermas si trova impigliato in una trappola. Si vergogna del sollievo (eigentlich unseriös) di non dover daccapo consultare la dilagante letteratura secondaria, di non dover ripetere dimostrazioni più volte sviluppate nei decenni precedenti.

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sinistra

Derealizzazione, circo mediatico e verità

di Salvatore Bravo

743987gisLa reificazione e l’atomocrazia nel capitalismo assoluto si struttura con un diffuso scollamento tra realtà storica e vita del soggetto, la condizione schizoide è la normalità dello stato presente. Tali processi sono consustanziali alla sostituzione della verità con il paradigma dell’utile. Le filosofie scettiche fungono da sovrastruttura al dominio globale del mercato. In tale contesto i soggetti “addomesticati” al solo conteggio del PIL non possono che ritirarsi dalla storia e rinunciare alla comprensione dell’orizzonte in cui sono “gettati”. La verità non è che “un mito” del passato, pertanto si rinuncia a capire “il proprio tempo nel pensiero” e la verità della natura umana, senza di essi è improbabile la partecipazione alla prassi. Il cittadino diviene suddito globale, si rifugia nella realtà virtuale (tecnologie e realtà aumentata) limitandosi all’uso delle stesse e specialmente sostituisce la verità con il calcolo dell’utile. Gradualmente la realtà diviene estranea e straniera, si vive in una contingenza a cui ci si adatta, ma non si comprende. Si precipita in un irrazionalismo insidioso, si scambia il virtuale e l’ideologia annessa per realtà, e dunque, la scissione tra pensiero e realtà consolida il capitalismo assoluto, fino a rendere gli esseri umani “accidenti” che appaiono nella storia come elementi complementari del sistema. Costanzo Preve con l’ontologia dell’essere sociale ha l’obiettivo di fondare la comunità e la politica su un principio veritativo capace di veicolare il discernimento tra vero e falso. Per uscire dalla caverna della derealizzazione Costanzo Preve utilizza l’ontologia dell’essere sociale e la deduzione sociale delle categorie.

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exagere

È lucida quella vita che sa rifiutare la sua artificializzazione via rete

Federica Biolzi si confronta con Paolo Bartolini e Lelio Demichelis

Paolo Bartolini, Lelio Demichelis: La Vita Lucida, Un dialogo su potere, pandemia e liberazione - Jaca Book Edizioni, 2021

Foto 18una vitaPaolo Bartolini, analista filosofo, formatore e saggista e Lelio Demichelis, che insegna Sociologia economica all’Università degli Studi dell’Insubria, ci propongono con La Vita Lucida, Un dialogo su potere, pandemia e liberazione (Edizioni Jaca Book), un’interessante e approfondita analisi sulla lungi-miranza, passione e poesia che dovrebbero guidarci per far fronte a questi momenti di difficoltà dovuti, non ultimo, alla pandemia. Per la nostra rivista, ne è nato uno stimolante confronto che vi proponiamo.

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Il vostro è un libro che fa riflettere. Di fronte all’accelerata impressa dalla pandemia a problematiche già presenti è un invito a restare lucidi. Cosa significa esattamente?

L.D.: Una vita lucida è quella capace di ragione (che non è la razionalità strumentale che riduce tutto a calcolo e a profitto in cui viviamo) e di responsabilità e di cura (verso gli altri e verso l’Altro, verso la biosfera e le future generazioni, oltre che verso se stessi come esseri molteplici e complessi); lucida perché capace di immaginazione e di progettazione e – per quanto possibile – di lungi-miranza, e poi di passione e di poesia, di saggezza e di gentilezza – tutto il contrario di ciò che ci impone il tecno-capitalismo. Lucida è quella vita che è consapevole delle scelte che vuole compiere e che non segue conformisticamente la massa, oggi digitale.

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coku

L’obbedienza alla ragione è un invito alla rivolta. La proto-Grammatologia di Hamann

di Leo Essen

images037hdrNel 1756 Johann Georg Hamann, concittadino e amico di Kant, si reca a Londra per una missione segreta. La ditta Berens (Isaiah Berlin, Il mago del Nord) gli affida una missione la cui esatta natura è a tutt’oggi un mistero. Il compito di Hamann sarebbe stato quello di proporre agli inglesi un eventuale distacco dell’area baltica «tedesca» dall’Impero russo e la nascita di uno Stato autonomo o semiautonomo. La missione si conclude con un nulla di fatto.

A Londra Hamann abita in casa di un insegnante di musica, inizia a suonare il liuto e si vota a una vita di terribile dissipazione. Dopo solo 10 mesi accumula debiti per 300 sterline, versa in uno stato di prostrazione, miseria e solitudine. Poi lascia la casa del musicista e si trasferisce in una modesta pensione, dove, da buon pietista, il 13 marzo 1758 inizia a rileggere le Bibbia. Annota i suoi progressi spirituali giorno per giorno.

Tornato in Germania rifiuta l’invito di Kant di scrivere un manuale di fisica a quattro mani, e nel 1767 accetta un posto di funzionario all’Amministrazione generale delle imposte e dei dazi.

Nel Settecento, la Prussia di Federico il Grande, è, tra tutte le provincie tedesche, la più progressista. La burocrazia di Berlino deve raggiungere il livello di quella francese. Esperti stranieri, soprattutto francesi, vengono invitati alla corte di Potsdam e messi al lavoro. La lingua della corte è il francese.

Ai francesi (Voltaire, Maupertuis e La Mettrie, solo per citare i più famosi), dice Berlin, vengono assegnati gli incarichi intellettuali di maggior prestigio. Sono messi a capo degli uffici amministrativi dello Stato, con grave onta di tutti i veri prussiani (specie nella zona orientale del paese, roccaforte del tradizionalismo), che brontolano, ma obbediscono.

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gyorgylukacs

L’irrazionalismo come fenomeno internazionale nel periodo dell’imperialismo

Prefazione a La distruzione della ragione

di György Lukács

e1e1314be581632fc40af1dcb702ec73 XLQuesto libro non pretende affatto di essere una storia della filosofia reazionaria o addirittura un trattato sul suo sviluppo. L’autore sa bene che l’irrazionalismo, di cui viene qui presentato l’affermarsi e l’estendersi a indirizzo dominante della filosofia borghese, è solo una delle tendenze importanti nella filosofia reazionaria borghese. Benché non vi sia praticamente filosofia reazionaria che non celi un determinato elemento irrazionalistico, il campo della filosofia reazionaria borghese è molto più ampio di quanto non sia quello della filosofia irrazionalistica, nel senso proprio e rigoroso del termine.

Ma neppure questa limitazione basta a circoscrivere il nostro compito. Anche in quest’ambito più ristretto, non si tratta di fare una storia vasta e particolareggiata dell’irrazionalismo, che aspiri alla completezza, bensì di tracciare la linea principale del suo sviluppo, di analizzare le tappe e i rappresentanti più importanti e più tipici. Questa linea principale va presentata come la risposta più significativa e grave di conseguenze data dalla reazione ai grandi problemi degli ultimi centocinquanta anni.

La storia della filosofia, alla stessa maniera della storia dell’arte e della storia della letteratura, non è mai, come pensano i suoi storici borghesi, semplice storia di idee filosofiche o magari di personalità. I problemi e i modi di risolverli vengono stabiliti per la filosofia dallo sviluppo delle forze produttive, dall’evoluzione sociale, dallo svolgersi delle lotte di classe.

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perunsocialismodelXXI

Sulla filosofia imperfetta di Costanzo Preve

Ovvero: come valorizzare le intuizioni di un marxista eretico, riconoscendone i limiti ma anche andando al di là delle scomuniche di cui fu vittima

di Carlo Formenti

Dopo il post su Bordiga, proseguo la riflessione su alcuni autori che, pur avendo portato un contributo significativo alla teoria marxista, sono stati messi all’indice e rimossi dalla sinistra a causa delle loro tesi “eretiche” e politicamente “scorrette”. Questa seconda puntata è dedicata al pensiero di Costanzo Preve

preveIn uno dei miei ultimi lavori (1) ho dedicato un paragrafo al “caso Preve”, nel quale osservavo come il contributo di questo autore controverso e geniale alla teoria marxista sia stato oggetto di una rimozione radicale, se non di un vero e proprio linciaggio ideologico, sia per le sue critiche feroci a una sinistra in via di autodissoluzione (formulate in tempi in cui ciò era ancora considerato intollerabile), sia perché la scomunica di cui fu vittima a causa di tale “colpa”, contribuì ad esacerbarne il carattere ombroso, innescando certi suoi atteggiamenti provocatori che gli costarono un isolamento pressoché totale. In questo scritto proverò a spiegare i motivi per cui ritengo importante – tanto sul piano teorico quanto sul piano politico – rivisitarne certe intuizioni che meritano di essere approfondite cercando, al tempo stesso, di evidenziarne limiti e contraddizioni. A tale scopo prenderò in esame due testi distanziati da un quarto di secolo: La filosofia imperfetta (1984) e Finalmente! L’atteso ritorno del nemico principale (2009) (2). La parte dedicata a quest’ultimo testo anticipa alcuni dei temi che affronto nella Prefazione che ho scritto per una nuova edizione, prevista per il prossimo settembre.

 

1) La filosofia imperfetta

Il libro del 1984 si articola in cinque parti dedicate, rispettivamente, 1) ai tre “discorsi” che, secondo Preve, sostanziano il corpus teorico marxiano; 2) ad alcune delle principali correnti marxiste del Novecento; 3) al pensiero di Heidegger, indicato come la vetta più elevata del pensiero borghese novecentesco; 4) all’utopia concreta di Ernst Bloch; 5) all’ontologia dell’essere sociale di Gyorgy Lukacs.

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materialismostorico

I fondamenti filosofici della società virale

Nietzsche e Hayek dal neoliberalismo al Covid-19

di Paolo Ercolani (Università di Urbino)

Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2020, a cura di Stefano G. Azzarà, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0

images04fusoL’emergenza sanitaria, seguita alla comparsa del virus denominato Covid- 19, ha prodotto due effetti sostanziali: il primo concerne l’esperienza traumatica, fondamentalmente a livello psicologico, di un fenomeno che ha scardinato le sicurezze dell’uomo odierno rispetto alla sua capacità di padroneggiare (o perlomeno controllare) quell’ecosistema biologico di cui è ospite e non padrone; il secondo riguarda la vera e propria crisi sociale che, in più contesti, ha rivelato fino in fondo le storture del modello neoliberista, ormai dominante nello scenario internazionale almeno a partire dalla data simbolica del 1989.

Nel primo caso, per esprimersi in termini freudiani, possiamo parlare dell’ennesima «ferita narcisistica» subìta da un soggetto, l’uomo, soventemente invaso da un irrealistico delirio di onnipotenza, che in questa situazione di emergenza sanitaria si è tradotto nell’individuazione di «verità» alternative e nella negazione dell’emergenza stessa, a fronte dell’individuazione «paranoica» di complotti e trame segrete1. Nel secondo caso, che poi è quello che qui ci interessa specificamente, possiamo cogliere l’occasione per ricostruire e al tempo stesso mettere in discussione i fondamenti filosofici su cui si fonda il liberismo. Ossia quella teoria che ha plasmato il sistema sociale e valoriale del nostro tempo, imponendo un «ordine» in cui l’umano e il fisiologico sono ridotti a strumento al servizio di scopi che non possono deragliare dal profitto economico e dal progresso tecnologico.

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micromega

Ritorno a Francoforte

di Giorgio Fazio

È recentemente uscito per Castelvecchi “Ritorno a Francoforte. Le avventure della nuova teoria critica”. Ne pubblichiamo qui l’introduzione per gentile concessione dell’autore e dell’editore, che ringraziamo

Schermata del 2021 05 07 14 08 46La teoria critica della Scuola di Francoforte è oggi al centro di una nuova attenzione. In un passaggio storico che vede il moltiplicarsi di crisi che vanificano aspettative di benessere, provocano sentimenti di disorientamento e di impotenza, generano bisogni di sicurezza che alimentano pulsioni identitarie e autoritarie, si torna a leggere i testi di questa corrente di pensiero novecentesca, trovandovi strumenti per capire la nostra contemporaneità. Si ha l’impressione, anzi, che alcune diagnosi “francofortesi” siano diventate più vere oggi rispetto a qualche decennio fa, quando ancora sembrava potessero perpetuarsi gli equilibri sociali del capitalismo democratico del dopoguerra, prima che prendesse avvio la stagione del neoliberismo.

Quando si parla di teoria critica della Scuola di Francoforte si fa riferimento innanzitutto al gruppo di ricerca interdisciplinare raccoltosi attorno alla figura di Max Horkheimer nei primi anni Trenta del XX secolo. La sede istituzionale di questo circolo fu l’Istituto per la ricerca sociale, l’organo in cui vennero pubblicati i risultati delle sue ricerche la Zeitschrift für Sozialforschung. Entrambi furono luoghi di indagini innovative sulla società, a cui presero parte, in modo diverso, figure del calibro di Theodor Wiesegrund Adorno, Walter Benjamin, Erich Fromm, Otto Kirchheimer, Leo Löwenthal, Herbert Marcuse, Franz Neumann, Friedrich Pollock e altri.

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marxismoggi

Losurdo e la sfida di un materialismo storico per il XXI secolo

di Sabato Danzilli

il materialismo 50c8c8ee35274La raccolta di saggi contenuta in Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica, pubblicata da La scuola di Pitagora, a cura di Stefano Giuseppe Azzarà, Paolo Ercolani ed Emanuela Susca, offre una panoramica completa dei principali interessi della ricerca di Domenico Losurdo, con interventi da parte dei suoi collaboratori più stretti e di alcuni colleghi. Il filosofo pugliese, scomparso quasi tre anni fa, è stato tra i più importanti pensatori della sinistra italiana degli ultimi decenni, e la sua influenza si estende sempre più sul piano internazionale.

La sua analisi unisce infatti una grande profondità storica a un forte carattere militante. L’indagine storica dei sistemi filosofici presi in considerazione nelle sue opere, compiuta con rigore, non rimane mai confinata in un ambito strettamente teoretico, ma è sempre sottoposta a un esame attraverso una verifica della declinazione nella pratica politica concreta del pensiero dell’autore considerato. In Losurdo è infatti centrale il ruolo del “giudizio politico” nella comprensione del proprio tempo, che è il compito specifico della filosofia.

Il libro si articola in tre sezioni: “Filosofia classica tedesca, universalismo e liberalismo”, “Crisi del marxismo e ricostruzione del materialismo storico” e “Tradizione conservatrice e ideologie della guerra”.

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micromega

Maschere democratiche. La figura dell’ipocrisia tra storia e critica

di Camilla Emmenegger

Schermata del 2021 04 18 18 08 11Per Leonard Mazzone, il quale l'ha argomentato in "Ipocrisia. Storia e critica del più socievole dei vizi", (uscito da poco per Orthotes), la nostra vita politica è affollata di esempi di “ipocrisia democratica”, dal tradimento sistematico dei valori di eguale libertà, pure affermati in generale. Si tratta di una strategia di immunizzazione dal potere della critica.

Tra il 2015 e il 2016 la deregolamentazione del mercato del lavoro prevista dal Jobs Act – che include tra le altre cose l’eliminazione dell’obbligo di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa – è stata promossa dal governo in carica in nome dei benefici che ne sarebbero derivati per i lavoratori, soprattutto in termini di aumento dell’occupazione. Tra il 2018 e il 2019 il primo governo Conte ha giustificato la politica dei “porti chiusi” sostenendo che le nuove misure avrebbero dissuaso i migranti a partire dalle coste nordafricane, diminuendo così il numero di morti nel mar Mediterraneo. Più recentemente, l’operazione politica che ha portato alla nomina di Mario Draghi a Presidente del Consiglio è stata presentata come l’unica soluzione possibile per far fronte a un’emergenza politica e istituzionale, al punto da ottenere uno dei sostegni più ampi nella storia della Repubblica.

Secondo l’analisi proposta da Leonard Mazzone in Ipocrisia. Storia e critica del più socievole dei vizi, uscito da poco per Orthotes, questi sono tutti esempi di “ipocrisia democratica”.

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coku

Bataille e la Teoria del valore-lavoro

di Leo Essen

Carte didentité de Bataille 1940I

In primo luogo Bataille si rivolge al valore-uso, e mostra il suo incardinamento nell’economia ristretta. Dunque, mostra come sia vana la proposta, presente, per esempio, in Pasolini e in Marcuse, di rifiuto del valore-scambio e di un ritorno al valore-uso. Il valore-uso non solo è il puntello del valore-scambio, come pensa Marx, ma è esso stesso, in quanto prodotto, momento di quel processo di valorizzazione che si compie (Aufheben) nel ritorno (ROI) dell'investimento.

In secondo luogo, e soprattutto, Bataille si rivolge proprio all’investimento, mostrando come ogni investimento, in quanto passaggio dall’intenzione all’atto, dalla cattiva possibilità all’attualità, è il momento mediano di un processo che lega l’inizio alla fine, che tiene in pugno, o pretende di tenere in pungo, il futuro.

In terzo luogo, Bataille si volge all’utilità e dice che è utile il prodotto che non ha altre possibilità se non quelle computate dall’inizio, e che dunque l’utilità del neo-classicismo pone il mercato, e non viceversa.

L’operaio, dice Bataille, produce un bullone per il momento in cui il bullone servirà a sua volta a montare una macchina di cui qualcun altro godrà sovranamente, nelle sue passeggiate contemplative.

Non bisogna leggere in questa posizione il disprezzo per il lavoro manuale che si trova, per esempio, in Oscar Wilde. Bataille non vuol contrapporre il lavoro manuale al lavoro artistico o intellettuale e dire che il lavoro manuale è servile mentre il lavoro artistico o il lavoro di ingegno è libero (sovrano). Non vuole nemmeno dire che il lavoro manuale è asservito alla direzione di un altro, del padrone, mentre il lavoro artistico è autonomo.

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An-archē e Indifferenza: Tra Giorgio Agamben e Reiner Schürmann

di Malte Fabian Rauch

Malte3.001Il saggio di Malte Fabian Rauch An-archē and Indifference: Between Giorgio Agamben and Reiner Schürmann sarà pubblicato dalla, e consultabile sulla, rivista Philosophy Today, 65:3 (Summer 2021). Questo saggio pionieristico di Rauch tocca uno degli assi di ricerca più fecondi e cari al Laboratorio di Archeologia Filosofica — la relazione tra il pensiero di Giorgio Agamben e quello di Reiner Schürmann — tentando di esortare chi legge al confronto nonché alla rielaborazione (in) comune di questo nesso cruciale e, tuttavia, ancora largamente inesplorato. Di seguito, in anteprima, la traduzione annotata a cura di F. Della Sala e F. Guercio.

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Nelle ultime pagine de L’uso dei corpi di Giorgio Agamben, il concetto di ‘vera anarchia’ si rivela come il punto di fuga politico dell’intero progetto Homo sacer[1]. Reiner Schürmann, il quale era sembrato finora solo un riferimento molto occasionale, appare qui improvvisamente come uno degli interlocutori decisivi di Agamben. Alcuni dei lettori più attenti di quest’ultimo, Jean-Luc Nancy ed Étienne Balibar, hanno sottolineato l’importanza di questo riferimento[2]. E tuttavia nella trattazione generale dell’opera di Agamben tale connessione ha ricevuto per lo più scarsa attenzione. Prova ne è che, per avvicinarsi alla nozione agambeniana di anarchia, seppur l’opera di Schürmann è stata utilizzata, non si è però fatta menzione della sua discussione esplicita[3]. Questo saggio è un tentativo di chiarire l’importanza di questo rapporto – sia per l’effetto che ha avuto sul lavoro di Agamben, sia per la leggibilità del lavoro di Schürmann nel presente.