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facciamosinistra

Non solo App. Dietro le start up c’è la forza lavoro

di Roberto Ciccarelli

startupLe piattaforme dei servizi on-demand – la cosiddetta gig economy, l’economia dei «lavoretti» – stanno scoprendo l’esistenza dei lavoratori. Questa estate gli autisti di Uber in Inghilterra hanno portato l’azienda davanti al tribunale del lavoro, come i loro colleghi americani. I bikers di Deliveroo hanno protestato a Londra e Parigi contro il piano dell’azienda di spostarli da un pagamento a ora a un altro a consegna. Nella filiale italiana della tedesca Foodora a Torino, i fattorini in bicicletta hanno chiesto un contratto a part-time verticale, il riconoscimento di un salario minimo orario più il costo della consegna.

Come per gli autisti di Uber, anche sulle spalle dei riders grava il costo dell’attrezzatura con cui lavorano: nel primo caso le spese per la macchina e l’assicurazione sono a carico degli autisti, nel secondo i fattorini acquistano la bicicletta e pagano le spese dello smartphone. Se cadono, fanno un incidente o si ammalano, non sono coperti. Se non lavorano, non hanno un sussidio di disoccupazione. Se non rispondono a una chiamata, hanno una valutazione negativa dall’algoritmo e possono essere allontanati dalle zone dove c’è richiesta dei clienti, guadagnando ancora meno. 

QUESTO MODELLO È LA FRONTIERA del cottimo digitale, un taylorismo 2.0, l’estremizzazione della prestazione job-on call: non si paga per il tempo che dai, ma per i lavori che fai.

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conness precarie

Noi possiamo osare

Il tempo dello sciopero sociale transnazionale è ora

Possiamo osareDal 21 al 23 ottobre si svolgerà a Parigi il secondo meeting della Transnational Social Strike Platform. L’incontro avrà luogo a tre settimane di distanza dallo sciopero delle donne polacche contro la proposta di riforma della legge sull’aborto e a pochi mesi dalla grande sollevazione francese contro la loi travail e il suo mondo. In entrambi i casi lo sciopero è andato ben oltre la pratica istituzionalizzata nell’iniziativa sindacale. Esso è stato politicamente più significativo della momentanea rottura di un rapporto di forza nei luoghi di lavoro. I primi grandi scioperi francesi contro la riforma si sono riversati nelle strade e nelle piazze coinvolgendo milioni di persone, rifiutando il brutale dominio sul presente e sul futuro di intere generazioni. Lo sciopero in Francia è stato sociale perché ha connesso segmenti altrimenti separati del lavoro vivo investiti dalla loi travail e dall’austerità europea. Le donne polacche hanno mostrato che la parola d’ordine dello sciopero mantiene il suo potentissimo richiamo anche al di fuori dei luoghi di lavoro. La rivendicazione della libertà di aborto non ha soltanto prodotto grandi manifestazioni di piazza e la forzatura dei limiti imposti dalla legislazione sullo sciopero. Essa ha ridefinito le posizioni individuali e messo in discussione le gerarchie sessuali e sociali, stabilendo le connessioni che hanno portato così tante donne e molti uomini a esprimersi contro un modo complessivo di governare che non riguarda solo la società polacca. Lo sciopero in Polonia non è stato sociale perché ha difeso un diritto più o meno universale, ma perché la rivolta di una parte della società ha fatto valere una differenza contro un ordine complessivo dei rapporti sociali e sessuali.

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sbilanciamoci

L’algoritmo della precarietà, il caso Foodora

Arianna Tassinari, Vincenzo Maccarrone

Lo sciopero dei fattorini di Foodora ricorda quanto avvenuto questa estate a Londra, dove a scioperare sono stati i lavoratori di Deliveroo e UberEats. La gig economy, tra riproposizione del “vecchio” e elementi di novità

algoritmos 3Sabato 8 ottobre una cinquantina di lavoratori di Foodora, impresa attiva nel settore della consegna cibo tramite fattorini in bicicletta, sono scesi in piazza a Torino per protestare contro le condizioni di lavoro imposte dall’azienda. La vicenda ha avuto molto risalto mediatico e diversi quotidiani hanno parlato dell’azione dei lavoratori di Foodora come del primo sciopero in Italia della cosiddetta sharing economy.

Questa terminologia è però scorretta. Si parla solitamente di sharing economy in riferimento all’attività di aziende come Blablacar o Aibnb, che operano tramite piattaforme online che hanno essenzialmente la funzione di mettere in rete compratori di servizi e venditori che ‘condividono’ un loro bene, come la propria auto o la casa. Diverso è invece il caso di imprese come Foodora o Deliveroo: queste compagnie offrono un servizio di consegna cibo dai ristoranti agli utenti, utilizzando lavoratori che danno la propria disponibilità in precise fasce orarie tramite una applicazione per smartphone. L’unico elemento in comune tra i due tipi di attivitá é il fatto che basano le proprie operazioni su piattaforme digitali, ma la somiglianza finisce qui. L’uso di una app per intermediare la domanda e l’offerta di servizi e consumi e per gestire l’allocazione delle prestazioni lavorative accomuna dunque Foodora e Deliveroo ad altre piattaforme digitali di ‘micro-lavoro’, come Uber, MechanicalTurk o Task Rabbit, che ben poco hanno a che fare con l’idea di ‘condivisione’. In questo caso si tende perciò a parlare di gig economy, o “economia dei lavoretti” (gig).

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gramsci oggi

Il lavoro tra operai digitali e cottimisti del voucher

di Bruno Casati

lavoratori cottimoSolo negli ultimi 5 anni l’Italia ha perso un milione di occupati, di cui 300mila nel settore metalmeccanico. La piccola risalita fatta registrare l’anno scorso, pur così enfatizzata (l’Italia della retorica Renziana che riparte), è stata del tutto assorbita in quanto drogata dagli sgravi che il Governo regalava agli imprenditori che assumevano. Finita la droga si è tornati a licenziare in scioltezza e si sono gettati al vento chi dice 10 chi dice 20 miliardi di Euro. Va così in tutta Europa? Solo in Spagna si sono verificate perdite di occupati pari a quelle intervenute in Italia. In Germania invece si è tornati al livello degli anni precedenti la crisi e, quindi, mentre l’Italia ha perso, come si è detto, 1 milione di occupati, la Germania ha aumentato i suoi di 1 milione e mezzo. Pare proprio si sia configurata un’Europa del Lavoro e dell’Economia a due velocità. Ed allora la Gran Bretagna ha pensato bene di salutare questa Europa con il referendum di giugno. E la Gran Bretagna non è la Grecia, che è stata calpestata un anno fa, e va ascoltata. Perché la Brexit ci costringe per davvero a ragionare sull’esistenza o meno di un’alternativa “allo stato di cose presenti” che l’assetto economico assunto dall’UE ci impone, a partire dal lontano trattato di Maastrich. E quel trattato, impedendo la compressione della disoccupazione, da allora considerata “elemento funzionale al mantenimento degli equilibri interni al sistema economico capitalistico”, negava anche l’intervento pubblico in Economia (bloccati gli aiuti di Stato, eccezion fatta per le Banche ben s’intende) e imponeva le privatizzazioni. E un furia privatizzatrice spazzò l’Italia che, con Bersani in testa, enfatizzava privatizzazioni a “lenzuolate”.

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blackblog

La crisi del lavoro oggi

Sviluppo tecnologico, instabilità dell'occupazione e crisi del capitalismo

di Maurilio Lima Botelho

Quest'articolo di Maurilio Lima Botelho cerca di affrontare il tema della crisi del lavoro, discutendone le sue tre dimensioni: il ruolo dello sviluppo tecnologico nell'eliminazione di posti di lavoro; la costante trasformazione nei processi produttivi, che crea instabilità nell'occupazione; e l'improduttività progressiva della forza lavoro globale. Queste riflessioni sono la base per una più ampia discussione sulla crisi della società del lavoro, vale a dire, la contraddizione strutturale, con cui oggi ci confrontiamo, di una società in cui il lavoro è il meccanismo alla base della socializzazione, ma che allo stesso tempo mobilità tutti i mezzi per eliminarlo

brasile5È da più di un decennio che, in Brasile, la discussione a proposito della "crisi della società del lavoro" è stata relegata nello sgabuzzino della teoria sociale. La profonda critica rivolta al ruolo centrale occupato dal lavoro, sia nella filosofia e nella scienza borghese (liberalismo, protestantesimo ed economia politica) che nella teoria socialista (marxismo), è stata scartata come errore di interpretazione. L'idea della crisi del lavoro sarebbe un'impossibilità oggettiva, dal momento che il lavoro sarebbe la relazione eterna dell'uomo con la natura. L'ontologia è servita da base inconfutabile per la rinuncia ad una critica radicale della società borghese. Ma tale rifiuto non si limita al piano teorico, poiché le difficoltà di un mercato del lavoro sempre più ristretto e selettivo vengono tacciate di essere solamente una falsa percezione: l'instabilità del mercato del lavoro sarebbe una costante nella storia capitalista. In questo modo, le singolarità stesse della nostra epoca hanno cominciato ad essere ignorate.

Si arriva adesso alla base storica di questo rifiuto: gli anni dello "spettacolo della crescita" sono serviti da illusione per coloro che ancora confidano nel "paese del futuro" e nello "sviluppo nazionale" - perfino intellettuali critici dell'economia di mercato si sono arresi alle fantasie del breve ciclo di ascesa fittizia, credendo che gli indici manipolati del mercato del lavoro abbiano liquidato questo dibattito.

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conness precarie

Il regime europeo del salario 3

Germania: sostenere la precarizzazione, esigere lo sfruttamento

di Lavoro Insubordinato

Vedi anche Il regime europeo del salario #1, Regno Unito e #2, Francia

Regime del salario EU G 768x432Guardando agli ultimi teatrali battibecchi tra i leader europei, sembrerebbe che vi sia nell’UE una divergenza di vedute sulle politiche migratorie. Le lunghe e vivaci discussioni al vertice di Bratislava parrebbero tradire la fine della coesione tra Italia, Germania e Francia, mentre a Est si forma un blocco a 4 che minaccia di dare un volto ancora più destro all’Unione, specie in fatto di migranti. A ben vedere, al di là delle tensioni, una tale sintonia tra i governi in tema di comando del lavoro e di governo della mobilità non si era mai vista. Il tanto osannato modello tedesco, avviatosi con l’agenda Schröder 2010 e le leggi Hartz – non a caso fondate sullo stesso principio del «sostenere ed esigere» («Fordern und Fördern») che ora Merkel sbandiera come principio cardine del governo delle migrazioni – è realmente esemplare in termini di impoverimento del lavoro e tagli al welfare. Un modello esaltato perché avrebbe portato la Germania al tasso di occupazione maggiore degli ultimi anni. Eppure, ciò che non si dice è che questo calo della disoccupazione ha significato un abbattimento dei salari e un incremento esponenziale di lavoro precario. In Germania, come in ogni Stato europeo, la lotta alla disoccupazione nasconde la logica secondo cui il lavoro è un privilegio da accettare a qualsiasi condizione. Imponendosi come espressione di politiche di respiro quanto meno europeo, questo modello detta la linea, fornendo la ricetta perfetta per un regime del salario fatto di compressione e precarizzazione dei resti di welfare, sfruttamento dei migranti extraeuropei e degradazione dello status dei migranti interni.

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euronomade

Introduzione a Sindacalismo sociale. Lotte e invenzioni istituzionali nella crisi europea (DeriveApprodi, 2016)

di Alberto De Nicola e Biagio Quattrocchi

Sciopero Fast FoodIl libro che avete tra le mani è una raccolta di interventi con a tema la nuova natura delle lotte sociali che si sono presentate sulla scena della più grande e devastante crisi economica e istituzionale degli ultimi decenni. Nonostante comincino ad essere numerose le iniziative editoriali sui movimenti contro le politiche di austerity, ciò che qui ci apprestiamo a presentareha una caratteristica piuttosto singolare: si tratta del tentativo di leggere come espressioni di una tendenza comune la variegata costellazione di pratiche sociali che in Europa e non solo hanno tentato di resistere allo smantellamento del Welfare State, alla compressione dei salari, all’aumento della precarizzazione del lavoro e dell’impoverimentosociale. Più precisamente, abbiamo provato ad intendere le pratiche di riappropriazione del reddito e di autogestione dei servizi, gli esperimenti di mutualismo così come le nuove forme di conflitti sul lavoro e per il salario, come indicatori di un nuovo fenomeno sindacale. Con l’utilizzo della definizione di“sindacalismo sociale” si è dunque puntata l’attenzione su quanto questi conflitti, apparentemente scollegati, stessero riproponendo ed al contempo radicalmente riconfigurando, gli assi fondamentali che hanno caratterizzato l’esperienza storica del sindacalismo: le forme organizzative della forza lavoro, la pratiche negoziali e i conflitti sulla distribuzione del reddito e della ricchezza.

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centrostudieiniz

E se il lavoro fosse senza futuro? (Appendice)

Perché la crisi del capitalismo e quella dello stato sociale trascinano con sé il lavoro salariato

Giovanni Mazzetti

Quaderno Nr. 8/2016 - Formazione online - Periodico di formazione on line a cura del centro studi e iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo

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Presentazione Ottavo quaderno di formazione on line

Pubblichiamo l'appendice delle cinque pubblicazioni di "E se il lavoro fosse senza futuro? Perché la crisi del capitalismo e quella dello stato sociale trascinano con sé il lavoro salariato".

Qui, qui, qui, qui, qui le parti precedenti.

 

Appendice

Perché la metafora della “fine del lavoro” è sbagliata

E’ ovvio che, dopo aver concluso il nostro cammino, non possiamo sottrarci ad un confronto più puntuale con le argomentazioni di coloro che hanno proposto una teoria della “fine del lavoro”. Come il lettore si sarà reso conto, pur distinguendoci da  loro abbiamo sin qui difeso la posizione di quanti si sono addensati attorno a quell’ipotesi.1  Se ci ha letto con l’indispensabile approccio critico, oltre che con la necessaria dose di pazienza, a questo punto dovrebbe sorgergli spontanea una domanda: ma se la teoria della “fine del lavoro” non è una “emerita bufala”, se non corrisponde alla mera “proiezione utopistica di fantasie” da parte di visionari, per quale ragione, dopo esser comparsa sulla scena, si è consumata come una meteora, fino a dissolversi nel nulla?2

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effimera

La sussunzione del sapere vivo, ovvero la governance del lavoro cognitivo

di Andrea Fumagalli

METROPOLIS 1927 UFA film 006I recenti fatti di repressione diretta della libertà di ricerca non ci devono far dimenticare che nella realtà quotidiana  l’attività di ricerca è sempre più sottoposta a forme di condizionamento e di indirizzo tanto più potenti quanto maggiore è la sua importanza nel processo di accumulazione e valorizzazione capitalistica e quindi nella gestione del comando sociale.

Nell’attuale capitalismo bio-cognitivo, la conoscenza svolge un ruolo nevralgico, sia nel momento della sua generazione (economie di apprendimento) che nella fase di trasmissione e diffusione (economie di rete). La conoscenza è, da questo punto di vista, sia un input che un output. E strumento di produzione (espressione del comune – al singolare –  come metodo, appunto, di produzione) e nello stesso tempo bene comune. Da questo punto di vista  il controllo della generazione della conoscenza così come il controllo della sua trasmissione/diffusione rappresentano dei cardini imprescindibili per la governance del processo produttivo e del mercato del lavoro.

Tale governance si sviluppa a più livelli, che, in questa sede, ci limitiamo semplicemente a elencare, scusandoci per la schematicità.

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prismo

Ranking e lotta di classe

di Roberto Ciccarelli*

La Californian Ideology e il sogno dell'automazione totale nascondono un segreto. E cioè che il lavoro non è finito: al contrario, è sempre di più. Solo che è talmente invisibile che a nessuno viene in mente che vada pagato

Ciccarelli heroUn paio di settimane fa ho visto la puntata Il pianeta dei robot di Presa diretta, una delle poche trasmissioni Tv che fanno inchiesta in Italia. Bella trasmissione, e se siete interessati potete rivederla qui. Peccato che abbia accreditato la solita versione apocalittica della cosiddetta “ideologia californiana”.

Per Richard Barbrook e Andy Cameron, autori venti anni fa dell’omonimo libro, la cosiddetta Californian Ideology è quel mix di libero spirito hippie e zelo imprenditoriale yuppie su cui fonda l’intero immaginario della Silicon Valley. Questo amalgama degli opposti si rispecchia nella fede indiscussa nel potenziale emancipatorio delle nuove tecnologie dell’informazione, nella credenza che la robotica e l’automazione renderanno inutile la forza lavoro, e nella previsione che con la cancellazione di milioni di posti di lavoro (dai trasporti alla logistica, fino alla sanità e tutto il resto) non ci sarà modo di guadagnare da un’occupazione. A meno che non ci sia un reddito di base universale.

In questa miscela di cibernetica, economia liberista e controcultura libertaria, frutto della bizzarra fusione tra la cultura bohémienne di San Francisco e la nuova industria hi-tech, in effetti il reddito di base è un tema di discussione; per Andrew McAfee e Erik Brynjolfsson, autori de La nuova rivoluzione delle macchine, Google, Facebook, Apple e gli altri giganti dovrebbero inoltre pagare più tasse, argomento attualissimo anche in Europa dopo lo scontro tra la Commissione Ue e il governo irlandese sui maxi-sconti fiscali garantiti per anni alla Apple.

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vocidallestero

Classe Lavoratrice, Politiche Identitarie e Neo-Vittorianismo

di Maximilian C. Forte

Da Zero Anthropology (account twitter che vi suggeriamo di seguire) traduciamo l’estratto di un saggio che traccia un parallelelismo tra l’imperialismo attuale e quello dell’era vittoriana. Nella prima parte l’autore fa una sorta di tagliente antropologia del piddino, e scopriamo che l’appiattimento e il conformismo della cosiddetta “sinistra” verso le posizioni del potere capitalista era già stato ben individuato e descritto negli anni ’90 negli Stati Uniti (nota: il Partito Democratico di cui si parla è quello americano). Nella seconda parte l’autore interpreta la Storia attuale come una riedizione o una continuazione (in declino) dell’imperialismo vittoriano ottocentesco

pane lavoroContro la classe lavoratrice: Le politiche identitarie nell’era neo-vittoriana

Il neo-vittorianismo non serve solo a distrarre la politica verso le questioni della moralità e dell’identità, ma anche a offuscare le basi della crescente disuguaglianza. Se ci concentriamo sul Partito Democratico e sul suo abbandono della classe lavoratrice nel corso degli ultimi quaranta anni, Adolph Reed Jr. (professore di scienze politiche all’Università di Pennsylvania) sembra aver inteso fin dall’inizio come tutte queste questioni siano collegate tra loro — sebbene lui non usi l’espressione “neo-vittorianismo”, lo descrive con altre parole. Parlando dei democratici e dei “liberals” i generale, scrive:

la loro capacità di dimostrare il più sublime fervore per i più vuoti e insipidi luoghi comuni, la loro tendenza a fare dei modi un feticcio trascurando la sostanza, a cercare le soluzioni tecniche ai problemi politici, la loro capacità di trascurare il crescente massacro sociale nelle stesse città in cui vivono mentre cercano i locali migliori dove bersi un buon caffè con le focaccine, la loro propensione ad estetizzare l’oppressione delle altre persone chiamandolo attivismo, il loro riflesso di storcere il naso e accigliarsi di fronte a un conflitto e, più di tutto, la loro inettitudine e inaffidabilità nel corso delle crisi” (Reed, 1996).

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effimera

Mercato del lavoro: il giallo dei dati

di Andrea Fumagalli

eiffel18 MGZOOMCome per ogni thriller che si rispetti, partiamo dai fatti, o meglio, dai comunicati stampa. Il 9 settembre, il  Ministero del Lavoro rende noto i dati relativi alle comunicazioni obbligatorie relative ai licenziamenti e alle assunzioni del II trimestre 2016 (aprile-giugno). In sintesi, il quadro che emerge si può facilmente riassumere nel seguente modo: calano le assunzioni e aumentano i licenziamenti complessivi  (+7,4% su base annua).

Nel periodo considerato, infatti,  i licenziamenti sono stati 221.186, (15.264 in più, rispetto al secondo trimestre 2015). Da notare, che sono aumentate quelli promossi dal datore di lavoro (+8,1%) mentre si sono ridotte le dimissioni del lavoratore (-24,9%). Si cominciano così a registrare gli effetti della liberalizzazione dei licenziamenti padronali, introdotta dal Jobs Act.

Fra le assunzioni risultano invece in netto aumento, del 26,2%, gli avviamenti in apprendistato, mentre calano vistosamente (- 29%) le assunzioni con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Si sta così verificando un effetto sostituzione, che ha cause ben precise. Da un lato, come era prevedibile, la riduzione dei forti incentivi fiscali, ridotti di quasi 2/3 dal 1 gennaio 2016, ha penalizzato il ricorso al contratto a tutele crescenti, fiore all’occhiello del Jobs Act, dall’altro, il maggior ricorso all’apprendistato (a basso costo) è il frutto dell’avvio del progetto Garanzia Giovani. In altre parole si sostituisce lavoro a termine (perché tale è il contratto a tutele crescente) con lavoro precario sottopagato.

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contraddizione

Capitale in affanno e "lavoro agile"

Ultimo ritrovato, in ordine di tempo, per l’aumento dello sfruttamento lavorativo

Carla Filosa

acciaio ACome terza volta in cui proviamo ad affrontare il cosiddetto “smart work” – le prime due pubblicate su “La Città futura” e poi sul blog di “Contraddizione” con i titoli ‘La “nuova svolta” lavorativa’ e ‘“Smart working”: sfruttamento illimitato alla costrizione al lavoro’ – si tenterà ora di mettere a fuoco le origini storiche più lontane, nonché vicine, per cogliere appieno il senso e la funzione attuale di questa parvente riorganizzazione del lavoro. Più che nuova organizzazione, si deve intendere, nell’uso ideologico di “agile”, una pedissequa continuità e perfezionamento degli obiettivi che da sempre il sistema di capitale ha perseguito, ultimamente attraverso le ristrutturazioni – quelle sì - del taylorismo prima, del toyotismo o onhismo poi, confluite solo attualmente in questa dicitura anglofona non a caso senza paternità teoriche definite. Emergono nella trovata “agilità” solo consulenti e apprendisti realizzatori, o controllori di un prêt à porter dell’ultima ora, autolegittimantisi con innovazioni informatiche, peraltro aspecifiche per il modo di produzione capitalistico tuttora in vigore.

In questi lunghi anni di crisi del sistema la disoccupazione a livello mondiale è aumentata a un ritmo crescente rispetto alla rivoluzione tecnologica continuamente in atto, limitandone in parte la piena estensione nei settori produttivi e improduttivi di tutti i paesi.

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centrostudieiniz

E se il lavoro fosse senza futuro? (V Parte)

Perché la crisi del capitalismo e quella dello stato sociale trascinano con sé il lavoro salariato

Giovanni Mazzetti

Quaderno Nr. 7/2016 - Formazione online - Periodico di formazione on line a cura del centro studi e iniziative per la riduzione del tempo individuale di lavoro e per la redistribuzione del lavoro sociale complessivo

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 Quiquiquiqui le parti precedenti.

 

Presentazione Settimo quaderno di formazione on line

In questi ultimi due capitoli di E se il lavoro fosse … senza futuro?  affrontiamo un’interpretazione della fase storica del keynesismo nella quale furono gettate le basi per un superamento dei rapporti capitalistici. Un superamento che certamente era caratterizzato da una continuità col passato, ma che era anche contraddistinto dal confuso prender corpo di una serie di istanze e di pratiche che, in qualche misura, trascendevano i rapporti capitalistici. Certo, i cambiamenti sociali hanno molte similitudini con i processi evolutivi naturali. Il fondamento razionale di tutto il progetto è confuso, e viene anticipato in forme grossolane; ma quando emergono i problemi si debbono saper raccogliere i nessi che legano quei problemi alla confusa spinta al cambiamento. E’ quello che non si è fatto nel momento in cui è esplosa la crisi dello stato sociale keynesiano. Ai conservatori, che spingevano per riportare la società a pratiche e valori del passato, si sono opposti i progressisti che si limitavano a riaffermare con forza la validità delle pratiche keynesiane, nonostante la loro evidente crisi. Questo approccio, del tutto improduttivo, ha caratterizzato anche le organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori, che sono precipitate in una situazione di progressiva impotenza.

Nell’ultima parte del testo si cerca di delineare il perché solo il tramonto del lavoro salariato può costituire la base di un nuovo sviluppo sociale.

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conness precarie

La politica della logistica

di Giorgio Grappi

22 dhlmilanoIn occasione della sua uscita, pubblichiamo l’introduzione di Giorgio Grappi al volume Logistica (Roma, Ediesse, 2016, pp. 265). È un lavoro documentato e preciso che non si limita però a considerare la logistica solo come una tecnologia applicata all’organizzazione e alla distribuzione. Essa è descritta come la forma politico-organizzativa di un capitale che ha ormai raggiunto una dimensione compiutamente globale. Mentre si espande ovunque e si concentra occasionalmente in certi punti, la rete logistica impone una ridefinizione dell’organizzazione spaziale e politica di intere regioni. La «logistica fa politica» perché connette segmenti produttivi e ordinamenti giuridici, coniuga la forza dei protocolli informatici e le tecnologie tradizionali di governo, riarticola le catene globali del valore e obbliga gli Stati a riconfigurare il loro ruolo politico a livello globale. La logistica è il capitale in movimento assieme alle regole costantemente riformulate delle sue dinamiche materiali. La logistica muove le merci nell’incessante ricerca del profitto ma, proprio per questo, essa è costretta a organizzare luoghi produttivi in grado di catturare una forza lavoro che tende costantemente a sfuggirle. La logistica è il rovescio delle migrazioni globali e della ricerca quotidiana di un salario e di una vita migliori da parte di milioni di uomini e di donne. Dire logistica significa nominare la forma contemporanea e globale del rapporto sociale di capitale e della costituzione materiale che lo sostiene.