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clashcityw

Jobs Act: la fine del diritto del lavoro in Italia

di Clash City Workers

imageax1Cosa sia e a cosa serva il Jobs Act lo abbiamo detto e ridetto: è la misura che più caratterizza e più è stata voluta dal Governo Renzi, attraverso cui vengono ridefiniti i rapporti tra padroni e lavoratori italiani, sancendo la totale subordinazione dei primi ai secondi.

Gli ultimi decreti attuativi della legge delega di Dicembre, di cui tanto si sta parlando in questi giorni, lo dimostrano definitivamente: dopo essere intervenuto nella fase di accensione del rapporto di lavoro attraverso il decreto del 2014, aumentando la “flessibilità in entrata”, cioè la possibilità per i padroni di assumere come meglio credono; dopo aver aumentato quella “in uscita”, intervento nella fase di chiusura del rapporto di lavoro eliminando l'articolo 18 e rendendo possibile il licenziamento senza giusta causa a Marzo di quest'anno; ora questi ultimi decreti attuativi intervengono nel rapporto di lavoro stesso nell'ambito della cosiddetta “flessibilità funzionale”, rendendo possibile il demansionamento e il controllo a distanza del lavoratore. In questo quadro essere flessibili significa quindi essere alla totale mercé del padrone e a poco servono le rassicurazioni del Governo e della stampa allineata sul rispetto della privacy del lavoratore o sul fatto che in vari casi dovrà essere chiesto previamente il consenso al lavoratore stesso: come ha spiegato bene l'avvocato del lavoro Giovanni De Francesco ai microfoni di Corrispondenze Operaie, a fronte di sempre meno tutele e sempre più grandi ricatti queste formalità sono solo chiacchiere.

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sbilanciamoci

Occupazione, c’è qualcosa che non torna

di Paolo Pini, Roberto Romano

I dati dell'Istat segnalano che l’occupazione cresce più del reddito. Significa che la produttività del lavoro, e quindi anche la competitività, sta scendendo pericolosamente

disoccupatoSvuotare il mare della disoccupazione reale, quasi 6 milioni di persone, con un secchio, forsanche non bucato, è una impresa titanica. Le politiche dell’offerta, più o meno, funzionano come quel secchio che vorrebbe svuotare il mare della disoccupazione secchiata dopo secchiata. I commentatori e politici giorno dopo giorno, con il loro secchio, svuotano il mare e sostengono che le cose stanno migliorando perché hanno cominciato a lavorare assieme. Nella centrifuga delle secchiate sono entrati anche gli ultimi dati occupazionali diffusi il 3 giugno scorso dall’Istat. La pubblicistica, inoltre, evita accuratamente di spiegare la differenza tra persone occupate e le unità di lavoro equivalente tempo pieno1. Potrebbe anche crescere il numero degli occupati, ma le ore complessivamente lavorate possono diminuire. Solo per fare un esempio: 2 part time – magari involontari - equivalgono ad una unità di lavoro equivalente. Un modo per dire che la statistica ha diverse sfaccettature, e l’utilizzo di alcune informazioni al posto di altre è, spesso, una scelta politica, non solo tecnica.

L’Istat comunica che ad aprile 2015 rispetto al mese precedente gli occupati salgono di 159mila unità, e ben di 261mila rispetto ad aprile dell’anno prima. Si tratta di incrementi consistenti: +0,7% il primo in un mese (ma il dato di marzo era davvero negativo) e +1,2% il secondo in un anno. Merito del jobs act dagli effetti esplosivi in meno di un mese che si somma al vantaggio decontributivo previsto da tre mesi per ben 8.000 euro annuali e 24.000 triennali, sempre che le imprese non licenzino prima della scadenza dell’incentivo i nuovi assunti a monetizzazione crescente pagando una manciata di euro per l’indennizzo previsto per recedere dal nuovo contratto2.

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minimamoralia

Una carta del precariato?

G Battiston intervista Guy Standing

Pubblichiamo la versione integrale di un’intervista a Guy Standing apparsa sull’Espresso online

precari scuolaI partiti della sinistra socialdemocratica? «Inservibili». I sindacati? «Su posizioni difensive». L’idea novecentesca del lavoro inteso soltanto come lavoro salariato? «Un ostacolo all’emancipazione e all’egualitarismo». L’obiettivo della piena occupazione? «Pura utopia». Anche nel suo ultimo libro, Diventare cittadini. Un manifesto del precariato (Feltrinelli, euro 19, pp.336, trad. Giancarlo Carlotti), non risparmia bordate e posizioni poco ortodosse Guy Standing, docente di Development Studies alla School of Oriental and African Studies di Londra, una vita trascorsa ad analizzare le trasformazioni del lavoro e, più recentemente, il mondo dei precari. Che da supplicanti, soggetti a un dominio arbitrario, privati dei diritti sociali e colpiti da una cronica insicurezza economica, possono diventare i veri protagonisti delle battaglie per una «società giusta». È questa per Guy Standing la parabola che deve compiere il precariato, la nuova «classe esplosiva». Una classe sociale colpevolmente tradita dai partiti di sinistra, ancorati al capitalismo industriale e perciò incapaci di archiviare l’immaginazione economica del Novecento.

Per farlo, spiega Standing, occorre partire da due priorità: ripensare lo stesso concetto di lavoro, includendovi sia le attività produttive sia quelle riproduttive e il tempo libero, e rivedere l’intero sistema della redistribuzione della ricchezza, introducendo un reddito minimo universale.

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contraddizione

Democrazia e Jobs Act

di Carla Filosa

jobs actParlare oggi della deriva della democrazia significa anche continuare con altre forze l’enorme lavoro analitico effettuato da Salvatore D’Albergo, di cui siamo stati compagni e amici, e di cui ora sentiamo di essere responsabilmente tra gli eredi. La nostra rivista [la Contraddizione] ha ospitato negli anni vari suoi interventi di cui, nel penultimo numero 149 [in “”Tombeau”di d’Albergo”] uscito nel dicembre 2014, abbiamo ripubblicato, come ci ripromettemmo, scrivendolo sul no 148 [“No al buffone: Renzichi?”], di ripubblicare un’ampia sintesi di “Democrazia alla sbarra” scritto nel no.113 marzo 2006, e “Ipocrisia istituzionale” scritto nel no.115 del luglio dello stesso anno, prima e dopo il referendum costituzionale del 2006. Le argomentazioni e le “previsioni” interne a quell’analisi di 9 anni fa, sono oggi più reali che mai, e i pericoli involutivi denunciati allora si sono concretizzati nell’impianto generalmente “riformatore” oltre che in particolari forme di legge.

La centralità del lavoro, che il sistema di capitale cerca sempre di esorcizzare in vario modo, è stata per l’appunto immobilizzata nella prima legge messa a punto dal governo Renzi, con il doppio intendimento di rendere a) il lavoro continuamente ricattabile nella realtà, e b) questa priorità fondamento della governance sul piano ideologico e propagandistico.

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manifesto

Il dominio che rende felici

Cristina Morini

Il libro del filosofo ed economista francese Frédéric Lordon «Capitalismo, desiderio e servitù» è una trascinante incursione nelle nuove forme di gestione del rapporto di lavoro, dove ad essere mobilitati sono gli affetti e le passioni dei singoli

20clt1Un pano­rama nuovo ha comin­ciato a sta­gliarsi davanti ai nostri occhi nel momento in cui il sala­riato, per alcuni secoli obbli­gato al lavoro indu­striale e per altret­tanti secoli tena­ce­mente impe­gnato a lot­tare con­tro di esso per eman­ci­par­sene, si è pro­gres­si­va­mente tra­sfor­mato in un sog­getto che «desi­dera» il pro­prio impiego. La appa­rente mise­ria cogni­tiva della vita for­di­sta, den­tro la ripe­ti­ti­vità di un auto­ma­ti­smo di fab­brica che pre­ten­deva di sop­pri­mere ogni livello rifles­sivo, è stata sop­pian­tata da un nuovo ter­reno economico-produttivo che colo­nizza l’esistenza delle per­sone. Allo stesso tempo, con l’affermazione del capi­ta­li­smo finan­zia­rio il desi­de­rio invade il ter­ri­to­rio del mer­cato e il mer­cato quello del desi­de­rio. All’interno di que­sto pro­cesso, lavoro e auto­rea­liz­za­zione fini­scono per mesco­larsi, con l’effetto di una assenza di distin­zione tra tempo di vita e tempo di lavoro, vei­co­lando sim­boli e valori capaci di imporsi sulla sfera più intima dei sin­goli, così da con­di­zio­narne azioni ed esperienze.

Per deco­di­fi­care l’ingresso in quella che dif­fu­sa­mente viene defi­nita «eco­no­mia del desi­de­rio», nella tos­sica assenza di sepa­ra­zione incon­scia tra lavoro sala­riato e desi­de­rio che vice­versa aveva retto nel corso dei secoli pas­sati, negli ultimi tempi si è fatto ampio ricorso alle teo­rie psi­ca­na­li­ti­che. Il gio­vane eco­no­mi­sta e filo­sofo fran­cese Fré­dé­ric Lor­don nel suo libro Capi­ta­li­smo, desi­de­rio e ser­vitù. Antro­po­lo­gia delle pas­sioni nel lavoro con­tem­po­ra­neo (Deri­veAp­prodi, pp. 216, euro 16).

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scenari

La recinzione dei diritti e il proletariato 2.0

di Lelio Demichelis

20121006 thatcher reaganUltime e penultime cronache dal mondo del lavoro. Primo fatto, i lavoratori volontari (o i volontari del lavoro?) per Expo 2015, lì dove si sperimenta – con il lavoro gratuito (quasi) di ultima generazione – l’ultima negazione della Costituzione (art. 36) e insieme la cancellazione del lavoro come diritto (ancora Costituzione, artt. 1, 2, 3, 4, 31, 32, 35, 37 e 41), oltre a violare la legge stessa sul volontariato (che deve essere gratuito, ma spontaneo). Secondo fatto, un’agenzia di lavoro interinale con sede in Romania ha offerto alle imprese la possibilità di assumere lavoratori italiani ma con contratti di lavoro rumeni, con risparmi del 40% sui costi del lavoro. Ovvero: se non è possibile de-localizzare in Romania (non è più di moda) si vorrebbe rumenizzare il mercato del lavoro italiano. Con un’aggravante: il titolare dell’agenzia ha dichiarato a la Repubblica: “Quella possibilità era del 2014. Orapurtroppo le cose sono cambiate. Da gennaio è entrata in vigore, in Romania una legge che aumenta il costo del lavoro. Così ai nostri clienti lo sconto del 40% non riusciremo più a garantirlo”. Alla fine è dovuto intervenire il ministero del lavoro italiano per ricordare l’illegittimità della proposta, senza tuttavia cancellarne l’oscenità.

Due casi tra i molti citabili e ormai quotidiani; passi ulteriori lungo il piano inclinato su cui è stato messo a forza un mercato del lavoro sempre più dominato dalla flessibilità e della competizione tra lavoratori.

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conness precarie 

Alla catena sotto una triplice cappa

di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto

Pubblichiamo l’introduzione di Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto al volume da loro curato Morire per un Iphone. La Apple, la Foxconn e la lotta degli operai cinesi, che comprende contributi di Pun Ngai, Jenny Chan e Mark Selden. Il libro è uscito in questi giorni per I tipi di Jaca Book. Una lunga anteprima dell’introduzione è stata pubblicata su «il Manifesto» del 12 maggio 2015 con il titolo L’atelier infernale degli smartphone.

Morire per un IphoneSe il computer potesse parlar di sé

Il computer e le sue applicazioni sono tra le prime macchine che potrebbero parlare ai loro fruitori in viva voce e in modo discreto. Potrebbero raccontare di sé, a cominciare da chi li produce. in altri termini, si tratta di macchine potenzialmente in grado di dialogare con i loro consumatori a proposito non solo delle varie fasi di lavorazione ma anche delle vite che in quelle fasi si sono consumate. Tuttavia chi è interessato a conoscere in quali condizioni è stato fabbricato il computer o il telefono che ha tra le mani si trova di fatto davanti a una cortina fumogena, quella che avvolge l’elettronica, uno dei settori industriali più segreti, insieme con quelli delle armi e del petrolio.

In genere, i fruitori dei prodotti elettronici si tengono tanto lontani dal mondo dei rapporti sociali della produzione elettronica quanto ne vengono tenuti lontani dalle imprese. Indubbiamente, il software attira qualche attenzione in più dell’hardware, poiché la storia del software è punteggiata da sorprendenti invenzioni. Per contro, l’elaborazione dei modelli di hardware appare pedestre, anche se si è dimostrata decisiva per le fortune di alcuni grandi marchi dell’elettronica, a cominciare dalla Apple. Nel software è lunga la galleria delle innovazioni presentate come colpi di genio di singoli individui. La galleria sarebbe più corta se si tenesse conto dei gruppi di ricerca non orientati al profitto, i cui risultati sono stati spesso fatti propri da predatori corporate1.

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palermograd

Lavoro, reddito, genere

Che dibattito sia...

Marco Palazzotto

4109848Reddito minimo, reddito incondizionato, reddito di dignità? Attraverso questo intervento di Marco Palazzotto – che esamina criticamente le proposte di legge attualmente in ballo - PalermoGrad entra nel dibattito in corso oggi in Italia, con l’ambizione di precisarne ulteriormente i termini e di allargarlo a tutte le realtà di movimento, sindacali, politiche etc. etc. disposte a confrontarsi. L’obiettivo politico che ci interessa è impedire che la montagna inaccessibile del Reddito Universale Incondizionato finisca col partorire il ratto di una riforma “alla tedesca”, con un mercato del lavoro spezzato in due tronconi; e, visto che siamo in Italia, col rischio tangibilissimo che il troncone “buono” cominci a gravitare verso il basso, “tanto c’è il reddito minimo”. Pensiamo che, accanto alla doverosa erogazione di un reddito sociale per i disoccupati, la crisi occupazionale vada affrontata nell’ottica del “Lavorare Meno, Lavorare Tutti”. Una logica solidale che peraltro può reggersi soltanto sulle gambe della creazione di nuovo lavoro, attraverso l’imprescindibile intervento del “pubblico”.

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contraddizione

Migrazione e lavoro

di Carla Filosa

immigrati lavoroMolte considerazioni politiche, e più o meno emotive, sono state già effettuate a favore o contro l’esodo di masse disgraziate verso i paesi “ricchi” dell’Europa. Il numero dei morti scandalizza più delle cause e delle sofferenze di queste morti, e nella conta – spesso impossibile – dei cadaveri, si evidenziano le paure, con reazioni difensive del “diritto” al privilegio del vivere “civile” o, all’opposto, le forme della solidarietà dell’accoglienza umana. Gli orrori della devastazione della vita, da cui questi sopravvissuti fuggono, hanno cancellato nelle loro menti perfino la difesa del diritto estremo all’esistenza, quello per cui si ha diritto ad ogni azione che ripristini l’universalità lesa del vivere individuale. A tanti di loro basta arrivare su un’altra sponda di terra, la morte o lo scempio dei loro affetti più cari è l’unico inseparabile bagaglio della loro interiorità minata per sempre. I più forti gridano alta la richiesta di aiuto. Se molti, ancora umani, rispondono a soccorrere, il potere al contrario osserva, dilaziona, si mostra compassionevole in qualche parata esteriore, organizza qualche aiuto ma poi opta per monitoraggi di polizia, interna in reclusioni forzate, ecc., da cui è fortunato chi riesce a fuggire ancora, dileguandosi nell’annullamento di un’identità “clandestina”. Di qui il rischio al rimpatrio, cioè alla morte per fame, guerre, malattie, mutilazioni, stupri, ecc., normalizzati nel superiore esercizio della “nostra” legge civile.

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effimera

Partitura per soggetti precari e pratiche politiche

di Andrea Fumagalli

Continuiamo il dibattito post 1 maggio. Stavolta ci soffermiamo sulle questioni aperte da quella giornata, in una prospettiva che non vuole analizzare i pro e i contro del 1 maggio ma piuttosto  sottolineare le questione aperte.

tagliPreludio

A più di una settimana dal primo maggio milanese, la discussione su ciò che è successo ha perso attualità. È tempo di spostarci dalle ragioni e dai torti di questo o di quel gruppo (discussione che non ci appassiona più di tanto) ai problemi e ai nodi che ci trasciniamo da tempo e che quella giornata ha posto ancor più in risalto.

La NoExpo-Mayday del primo maggio era organizzata da una rete (a cui poco può essere addebitato) e non da un singolo gruppo/collettivo che faceva da punto riferimento. E, in quanto rete, le relazioni di partecipazione – potremmo dire di cooperazione politica – che vengono attivate difficilmente riescono a convergere verso una gestione unitaria, su un unico obiettivo, con il risultato che prevalgono le forze centrifughe. L’autoreferenzialità, da sempre malattia del centrosocialismo nostrano, non è certo mancata in questa occasione, anzi. Possiamo parlare di una black (dark) side della cooperazione politica di movimento?

 

Adagio

D’altro lato, tutto ciò è esattamente specchio della “cooperazione sociale” agìta dalla condizione precaria. Le generazioni precarie sono infatti attivate dai processi di rete, si riconoscono dentro la pluralità del loro essere sociale, tuttavia stentano a ammettere che la propria evoluzione può darsi solo passando attraverso azioni non identitarie.

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antiper

Le forze del lavoro

di Danilo Corradi

Recensione al libro Beverly J. Silver, Le forze del lavoro. Movimenti operai e globalizzazione dal 1870, Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 312*

wotwuLe forze del lavoro è un libro di straordinario interesse, frutto di un lavoro collettivo sulle trasformazioni del lavoro e sull’evoluzione del conflitto operaio letto da una prospettiva storico-mondiale.

È un tema cui da anni si interessa un’ampia letteratura, la quale muove dalla domanda cruciale sulle cause della crisi del movimento operaio degli ultimi 30 anni. Una domanda sul passato che interroga il futuro, che potremmo esporre così: è possibile considerare questa crisi come strutturale e dunque definitiva, o siamo di fronte a un’epoca di trasformazione e transizione che collocherà e rilancerà il conflitto operaio su una nuova dimensione?

Quello di Silver è uno di quei rari testi capace di segnare una discontinuità metodologica, prospettica e analitica di cui difficilmente si potrà non tenere conto in futuro.

La prima novità dello studio risiede nello stesso strumento empirico costruito appositamente per analizzare l’evoluzione dei conflitti del/sul lavoro: il World Labour Group. Il WLG è infatti una mappatura storica mondiale dei conflitti operai costruita sulla base della schedatura quantitativo-qualitativa sistematica delle “agitazioni operaie”, costruita attraverso gli articoli apparsi sul «New York Times» e sul «Times» di Londra dal 1870 a oggi.

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conness precarie

Amazon e il futuro dei free lance: «felicità garantita» al 100%

di Eleonora Cappuccilli

amazon home service 276x300Dopo il Turco Meccanico, Amazon stupisce ancora con effetti speciali, appropriandosi di una delle più fantasmagoriche innovazioni provenienti dai cervelli californiani: l’economia on-demand di servizi acquistati attraverso le app degli smart-phone. Da poco ha infatti aperto un nuovo settore, per ora solo nelle maggiori città USA: gli home-services, i servizi a domicilio. Da colosso logistico e connettore di domanda/offerta di lavoretti informatici iper-parcellizzati, Amazon si allarga ancor più a diventare mostro dai mille bracci meccanici che consegna davvero tutto: libri, vestiti e professionisti per qualunque evenienza – si spera non proprio «qualunque», benché il sito reciti: «Non trovi quello di cui hai bisogno? Crea una richiesta personalizzata». Stufa di limitarsi a lucrare sul lavoro a bassissimo costo o persino gratuito con il Turco Meccanico, che permette ai manovali dell’industria dei servizi informatici di lavorare comodamente seduti a casa loro per un padrone che non ha volto e forse non li pagherà mai, ora Amazon vuole di più: i manovali di ogni specialità possono comodamente essere affittati – assunti non sembra la parola adatta, e d’altra parte assumere lavoratori è un’operazione oramai sfacciatamente demodé – e spediti dritti a casa tua. L’operaio folla sfonda lo schermo e approda nel mondo reale.

Così, se prima il lavoratore-folla non doveva guardare in faccia né lavoratori né colleghi, ora  tanto chi chiede quanto chi presta un servizio ha un volto e i due s’incontrano nel mondo reale, non in uno spazio virtuale. Tuttavia, la materialità del corpo di chi viene a fare un lavoro a casa tua è semplicemente un dettaglio: vendendo servizi di ogni sorta – dalla riparazione dei pc alle lezioni di yoga – ad anonimi compratori, il lavoro è completamente spersonalizzato.

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carmilla

Antropomorfosi del capitale

di Sandro Moiso

Melinda Cooper e Catherine Waldby, Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera, DeriveApprodi 2015, pp. 254, € 18,00

ficara21 bigDifficilmente Marx, quando scrisse le sue pagine sulla sussunzione reale di tutti i processi di produzione e valorizzazione delle merci all’interno del capitale e, quindi, della sua completa appropriazione di ogni attività umana, avrebbe potuto immaginare che si potesse giungere alla situazione affrontata dalla ricerca di Melinda Cooper e Catherine Waldby.

Un testo importante che induce, necessariamente, a rivedere gran parte della storia del lavoro in regime capitalistico e delle strategie messe in atto per mantenere nelle mani del capitale il comando sulla forza-lavoro, anche laddove si siano rese necessarie delle riforme “democratiche” per la sua gestione.

Una ricerca che, guarda caso, ha avuto modo di svilupparsi a partire dal mondo anglo-sassone, in cui il pragmatismo degli obiettivi da raggiungere impone il superamento dell’attività meramente speculativa e permette, perciò, di conseguire risultati concreti nella ridefinizione dei nuovi contesti operativi con cui l’antagonismo sociale si trova oggi a fare i conti. Svolta a partire dall’ambiente universitario di Sidney che ha aiutato significativamente, anche dal punto di vista economico, le due autrici, come le stesse tendono a precisare fin dai ringraziamenti.

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sbilanciamoci

Sulla produttività l’Italia è ferma agli anni Novanta

di Roberto Romano

Dagli anni novanta tutte le "riforme" del mercato del lavoro sono state legate a una visione neoliberista per cui il lavoro è una merce da scambiare sul mercato

69Le riforme

Dagli anni novanta i governi sia di centro destra sia di centro sinistra hanno introdotto diversi cambiamenti al mercato del lavoro, in nome della competitività e dei giovani, ma nei fatti tutte le riforme sono strettamente legate a una visione neoliberista secondo cui il lavoro è una merce da scambiare sul mercato. Termini come pensione di anzianità e retributiva, liquidazione, CCNL, contratto a tempo indeterminato e reintegro del lavoratore hanno perso progressivamente significato a favore di parole come flessibilità in entrata e uscita, deregolamentazione, precarietà, collocamento privato e libertà di contrattazione fra il datore di lavoro e il lavoratore.

Nel 1995 (legge 355/1995) il passaggio del sistema pensionistico dal metodo retributivo (la pensione è calcolata in proporzione agli ultimi anni di salario) a quello contributivo ( la pensione viene calcolata in funzione dei contributi versati durante l’arco della vita lavorativa) e l’istituzione della gestione separata dell’Inps è stato il primo passo verso lo smantellamento del modello di lavoro in essere dagli anni settanta grazie all’approccio bipartisan da parte delle forze politiche.

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ilbecco

Sharing Economy: come il capitale assorbe la sua critica

di  Alessandro Zabban

6a010535373ed2970c01538e044c93970bScegliete un lavoro, scegliete una carriera, scegliete la famiglia, scegliete un maxitelevisore del cazzo […], scegliete la vita”.

Tutti questi pressanti imperativi sociali, efficacemente descritti nella scena iniziale di Trainspotting e a cui il protagonista Mark Renton cerca disperatamente di fuggire, sulle note di Lust for Life di Iggy Pop, in nome di una vita più autentica e più libera, sono già il passato. Il sistema non ti chiede più di rispettare un orizzonte normativo ristretto e monotono; al contrario: la società e le forme economiche che la sorreggono gridano in coro la tua libertà rispetto alle istituzioni tradizionali, la tua autonomia e autenticità rispetto all’automatismo fordista, la tua originalità rispetto al livellamento massimalista prodotto dal welfare state, la tua flessibilità rispetto alla ripetitività del posto fisso.

La nuova economia parla il linguaggio anglofono della flexibility, della competitiveness, e più recente della sharing economy. La nuova narrazione liberista inventa un sistema ideologico complesso e raffinato che relega le vecchie forme del lavoro, stabili e protette, nel reame della noia e alle quali contrappone le eccitanti innovazioni “smart” del capitalismo globalizzato. Peccato che proprio dietro queste presunte nuove frontiere delle liberazione si nascondano condizioni lavorative decisamente deteriorate e la revoca dei più basilari dei diritti in un contesto di proliferazione dello sfruttamento e di crescita delle disuguaglianze.