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micromega

L’articolo 18, la moderazione salariale e la recessione

di Guglielmo Forges Davanzati

“Quanto più la depressione procede e con essa si accentua il disagio dei capitalisti, tanto più veemente si fa la reazione di questi contro gli operai, la resistenza alle loro pretese, la riduzione violenta dei salari” (Achille Loria, 1899).

Renzi-e-il-nodo-art.18La definitiva abolizione dell’art.18 è destinata a intensificare la recessione. L’ulteriore indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori, riducendo i salari, accentua il circolo vizioso che va dalla compressione della domanda interna alla caduta dell’occupazione e del tasso di crescita della produttività del lavoro. L’evidenza empirica smentisce la convinzione secondo la quale la moderazione salariale favorisce l’aumento delle esportazioni e, per questa via, l’aumento dell’occupazione.

Non è l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori a frenare la crescita economica in Italia e a tenere alto il tasso di disoccupazione. Non lo è perché la sua applicazione interessa una platea ristretta di lavoratori e perché è già stato, di fatto, superato con la c.d. riforma Fornero; non lo è perché le scelte di assunzione delle imprese non sono motivate da presunte ‘rigidità’ della normativa a tutela dei lavoratori, ma semmai dalle aspettative di profitto (e, dunque, dalla dinamica della domanda aggregata); non lo è – soprattutto – perché è ormai ampiamente provato che non è la deregolamentazione del mercato del lavoro ad accrescere l’occupazione. Per contro, vi è ampia evidenza empirica che mostra che all’aumentare della flessibilità del lavoro – misurata dall’EPL (Employment protection legislation) – l’occupazione non aumenta. Ancora più certo, sul piano empirico, è il fatto che la flessibilità riduce i salari.

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orizzonte48

Il saggio "consiglio dei saggi" e la via italiana al ...rilancio dell'occupazione

di Quarantotto

art.18Epigrafe di Mauro Gosmin:

"Ciao Quarantotto, un saluto a tutto il forum. Io credo che siamo all'interno di una follia collettiva paragonabile solo a quella delle due grandi guerre. Leggevo oggi su Voci Dall'Estero che anche nella ricca Germania due lavoratori su tre guadagna meno del 2000. 

Ora ditemi con questi dati, come è possibile che all'interno della CGIL, in particolar modo i loro quadri, si difenda questa Unione in modo fideistico, religioso ed ultraterreno. 

Non c'è verso di fargli capire che l'UEM è stata fatta per permettere ai paesi forti di colonizzare i paesi deboli, e all'interno dei singoli paesi per favorire il grande Capitale a tutto discapito del Lavoro e dei diritti acquisiti. 

Qui secondo me non è più un problema Economico/Giuridico/Storico, ma un problema che investe la Psichiatria. Perchè tanti nostri concittadini ai quali viene sottratto redditi/diritti/futuro si sono innamorati del loro carnefice e nulla scalfisce questo amore, nemmeno la condizione dei propri figli disoccupati e privi di futuro?"

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militant

Lo specchietto per le allodole dell’articolo 18

Militant

licenziamento-Eutelia h partbLa discussione intorno al cosiddetto “jobs act” rischia di essere monopolizzata da una diatriba assolutamente fuorviante, quella cioè sulla presunta conservazione o abolizione dell’articolo 18. Non è quello il centro del discorso, anzi paradossalmente è l’aspetto meno decisivo della riforma proposta. Intendiamoci, l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori non solo è un perno centrale dei diritti dei lavoratori sul posto di lavoro perché protegge effettivamente i lavoratori dai licenziamenti ingiustificati, ma anche perché li protegge simbolicamente. Senza quel simbolo, vero e proprio argine ideale allo strapotere capitalista anche nei rapporti insiti nella formalità contrattuale, la deriva sarebbe inevitabile. Per intenderci, basta fare un esempio: in Spagna l’abolizione di un vincolo simile all’articolo 18 ha visto non solo l’aumento indiscriminato dei licenziamenti senza giustificato motivo, ma il corrispettivo indennizzo economico al lavoratore licenziato si è mano a mano ristretto fino a diventare una ridicola liquidazione di poche mensilità, anche solo due. Insomma, l’argine dell’articolo 18 permette anche – o forse soprattutto –  il mantenimento di un alto eventuale indennizzo economico per cui potrebbe optare il lavoratore licenziato. L’azienda, cercando di impedire ad ogni costo il reinserimento del lavoratore, con l’articolo 18 è portata a pagare tanto l’eventuale licenziamento.

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quaderni s precario

Articolo 18, che? Renzi, Camusso ma soprattutto noi

di Andrea Fumagalli e Cristina Morini

arton21218In questi giorni si discute tanto dell’art. 18, un refrain  che a fasi alterne diventa il fulcro della discussione sulle politiche del lavoro in Italia. Si tratta in realtà di una discussione surreale, perchè da tempo in Italia tale questione ha perso di qualsiasi parvenza di realtà. La “verità” è un’altra. L’art. 18 è già morto. Sul suo cadavere si gioca ben altra partita: il controllo diretto sui lavoratori/trici e l’istituzionalizzazione della condizione precaria come paradigma del rapporto capitale/lavoro.

* * * * *

Il dibattito sull’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori è già superato nei fatti. La discussione in corso è puramente ideologica, strumentale per entrambe le parti in causa, cioè governo da un lato e sindacati tradizionali (specie la Cgil) dall’altro. Il governo accusa, ideologicamente, i sindacati di essere ideologici e di non occuparsi delle persone, di essersi sempre occupati solo degli occupati e non dei disoccupati, dei (supposti) garantiti e non dei precari (surreale: potremmo, proprio noi, dargli torto?). La Cgil risponde, su un piano altrettanto ideologico, che depotenziare ulteriormente l’art. 18 significa attaccare direttamente i diritti dei lavoratori, così come fece la Thatcher in Inghilterra alla fine degli anni Settanta, oltre 40 anni fa (in un contesto di valorizzazione e organizzazione del lavoro completamente diversi, tocca ricordare).

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conness precarie

Il declino del lavoro standard

di Maurizio Fontana

Declino-del-lavoro-standard-300x201Come attestano i dati più recenti sulle tipologie occupazionali, il processo di frammentazione del lavoro dentro la crisi ha subito nel nostro paese un’accelerazione, favorita dai provvedimenti legislativi assunti da tutti i governi succedutisi dall’inizio della crisi, che non ha eguali in Europa. Per quanto la crescente precarizzazione del lavoro sia una tendenza di fondo omogenea a livello continentale, come conferma lo studio Accessor reso pubblico lo scorso autunno (studio che peraltro ha anche evidenziato la connessa contrazione del welfare previdenziale collegato alle prestazioni lavorative atipiche), in Italia il decreto legge del duo Renzi-Poletti (34/2014), con l’introduzione della a-causalità totale nel rapporto di lavoro a termine, ha aggiunto all’ordinamento l’ennesima nuova fattispecie di contratto non standard che rende il lavoro a tempo pieno e indeterminato sempre più residuale, favorendo ulteriormente una tendenza che vede già da due anni le assunzioni a tempo pieno e indeterminato attestarsi intorno al 20% del totale dei rapporti di lavoro avviati. Secondo i dati, aggiornati all’inizio del 2013, forniti dai sindacati europei lo scorso autunno (vedi tabella), l’Italia si colloca un punto sotto la media dell’Unione Europea a 27 paesi per quanto riguarda le due principali tipologie di contratti atipici: il part-time (introdotto in Italia dalla legge 86 del 1984) e il contratto a tempo determinato (rilanciato dalla legge 56 del 1987).

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quaderni s precario

Per una metamorfosi della rappresentanza e del conflitto sociale

di Andrea Fumagalli

Le trasformazioni della composizione tecnica e politica del lavoro, verso una composizione sociale in cui l’uno si è fatto in due, impongono un ripensamento nelle forme della rappresentanza e del conflitto. A proposito di un dibattito in corso per pensare un nuovo sindacalismo

stress-da-lavoro-12La precarietà istituzionalizzata

Le recenti lotte nel settore della logistica hanno dimostrato l’esistenza di una tensione conflittuale mai doma, ma, al momento attuale, per limiti oggettivi e per la particolarità della situazione e della composizione tecno-sociale del lavoro, non sono (ancora?) in grado di farsi forza trainante. Nel corso dell’ultimo anno si è anche sviluppato un poderoso movimento per la casa e gli sgomberi recenti lo rendono ancor più attuale, visto che si tratta di una necessità di vita.

Ciò che è drammaticamente mancato è un solido movimento sul tema della precarietà e di critica propositiva alle trasformazioni del lavoro (e della vita). Come già osservato, il Jobs Act renziano ha sancito istituzionalmente, dopo 30 anni tutti sotto il medesimo segno, che la condizione di precarietà è condizione strutturale e collettiva di vita sino a prefigurare la “norma” del ricorso al lavoro non pagato (un tempo definito forma di “schiavitù”, oggi diventato espressione del “volontariato).

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euronomade

Sindacalizzazione, lavoro digitale e economia della condivisione negli Stati Uniti

Tiziana Terranova intervista Trebor Scholz

DisoccupazioneTiziana Terranova: Trebor, in Italia come altrove immagino, stiamo discutendo cosa sta succedendo a forme tradizionali di organizzazione del lavoro come i sindacati e di nuove forme di sperimentazione che potremmo definire di ‘sindacalismo sociale’. Ci interessa la relazione tra nuove forme di sindacalizzazione e la loro relazione con lotte più ampie e meno definite. Pensiamo per esempio alle lotte ambientali, a lotte informali nella città attorno al precariato ecc, che confondono la relazione tra vita e lavoro. Tu d’altro canto stai seguendo da vicino le trasformazioni del sindacalismo negli Stati Uniti, ma anche l’impatto globale della riorganizzazione del lavoro indotto dall’uso di Internet come infrastruttura lavorativa. Hai notato un ritorno di sindacalismo in luoghi di lavoro in cui è stato tradizionalmente molto difficile organizzarsi come l’industria del fast food o grandi magazzini come Walmart. Ma quello che sembra preoccuparti di più, però, è la sfida di organizzare quello che chiami lavoro digitale e in particolare il crowdsourcing che hai ribattezzato crowdmilking (la mungitura delle folle). Qui ‘lavoratori anonimi’ incontrano ‘datori di lavoro’ anonimi. Ci puoi parlare un po’ di questo nuovo modo di organizzare la produzione e la sfida che pone alla sindacalizzazione?

Trebor Scholz: Ciao Tiziana e grazie per il tuo invito a parlare del futuro dei sindacati tradizionali e di nuove forme emergenti di solidarietà e mutuo soccorso. Facciamoci una camminata nei campi del lavoro e per non perderci, stabiliamo prima i termini. Voglio essere chiaro che sono concentrato soprattutto sugli Stati Uniti e specialmente su quello che io chiamo il ‘lavoro digitale’ e in questo vasto labirinto di pratiche diverse, discuterò dei lavoratori più poveri e sfruttati nell’industria del crowdsourcing.

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conness precarie

L’algoritmo del profitto

Comandare il lavoro al tempo del technical intellect

di Michele Cento

lavoro-usa h partbGrazie allo sviluppo tecnologico di sicuro non diventeremo tutti uguali, ma almeno saremo gentlemen di fronte al lavoro. Suonava grosso modo così una promessa annunciata con una certa autorevolezza ormai più di un secolo fa. Alle promesse di chi vorrebbe affidare all’evoluzione il nostro destino abbiamo imparato a non dare ascolto, tanto più quando quell’evoluzione oggi si presenta con il volto neutro dell’algoritmo. È quest’ultimo, infatti, la struttura portante di quelle che, all’alba della società post-industriale, Daniel Bell definiva intellectual technologies, il cui perfezionamento ha condotto oggi all’elaborazione di Computer Business Systems (CBS), software preposti alla gestione e all’organizzazione di imprese sempre più complesse, integrate e globali. Si tratta di strumentazioni adottate regolarmente da grandi aziende multinazionali, spesso introdotte da società esterne di consulenza come Accenture e Gartner, per procedere tanto a ristrutturazioni aziendali, quanto alla normale amministrazione della forza-lavoro in chiave iper-efficientista. Eppure, per quanto diffuso sia il loro utilizzo, finora non esistevano studi sull’argomento. Una lacuna che Simon Head ha provato a colmare andando direttamente alla fonte, studiando cioè i manuali rilasciati dalle aziende produttrici dei CBS (tra queste le più note sono IBM, Oracle, SAP): un materiale impervio e spesso inaffrontabile, scritto da specialisti per specialisti, in cui però, annota Head, si trovano informazioni che di norma vengono occultate al pubblico di habitués delle celebrazioni del progresso tecnologico.

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quaderni s precario

I veri obiettivi della politica sul lavoro di Renzi

di Andrea Fumagalli

Non passa giorno che il nuovo governo Renzi, forte del 40% ottenuto alle elezioni europee,  non emani una declamatoria in nome della semplificazione e delle riforme (Costituzione, Giustizia, Tasse, Legge elettorale, ecc.). Finora alle parole non sono seguiti i fatti. Con un’eccezione significativa: il mercato del lavoro. In questo campo, l’attivismo del governo – bisogna riconoscerlo – è stato particolarmente vivace e la trasformazione del decreto Poletti in legge, come prima parte del Jobs Act, ne è la testimonianza. E’ quindi necessario analizzare dove questo attivismo vada a parare. E il quadro che si prospetta non promette nulla di buono per i precarie e le precarie (siano essi/e occupati/e in modo stabile, in modo atipico o disoccupati/e). Nulla di nuovo sotto il sole, anzi d’antico….

1971-Torino-Manifestazione-in-Piazza-S.-CarloIl 1 luglio è iniziato il semestre europeo a guida italiana. Renzi debutta in Europa con la dote del 40% dei voti delle ultime elezioni europee. L’11 luglio avrebbe dovuto esserci l’importante summit sulla (dis)occupazione giovanile, che molto saggiamente, visto il clima di accoglienza … poco benevola che si stava preparando, è stato spostato in autunno in luogo e data da decidere ancora. A tale appuntamento, Renzi avrebbe voluto presentarsi con la sua ricetta, pardon, riforma salvifica. Ma a differenza delle chiacchiere che hanno accompagnato altre declamatorie di riforme, quella sul mercato del lavoro si preannuncia già in fase operativa. E gli effetti, purtroppo, non saranno indolori.

In un contributo di Gianni Giovannelli, siamo già entrati nel merito dei provvedimenti che il jobs act ha già introdotto nel mercato del lavoro italiano. A un mese di distanza e nel corso del dibattito sulla legge delega del legge Poletti, vogliamo cominciare a studiarne gli effetti e a definire la strategia che il governo di Renzi, targato PD, intende perseguire per la definitiva normalizzazione (leggi precarizzazione) del mercato del lavoro italiano

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carmilla

La fabbrica della disperazione

di Alexik

pomigliano-300x225Ci sono tradizioni Fiat (pardon, FCA) che sfidano lo scorrere del tempo, uniscono memoria e innovazione, fondano il “nuovo che avanza” su solide radici piantate nella storia. Sono la tradizione dei reparti confino, quella dei licenziamenti politici, della persecuzione degli operai più combattivi, delle espulsioni di massa.

E’ su questo know how, tutto orgogliosamente made in Italy, che la “fabbrica del futuro” di Marchionne produce ancor oggi uno dei suoi risultati di eccellenza: il progressivo annientamento fisico e psicologico sia di chi rimane nel ciclo produttivo, sia di chi ne è espulso.

L’annientamento degli espulsi, dei cassaintegrati, dei licenziati, è fatto di miseria, paura del futuro, mancanza di prospettive, di suicidio. L’annientamento di chi resta sulle linee è fatto di turni/ritmi/orari, di sudore ed infortuni, degli insulti dei capi, di umiliazioni sopportate in silenzio.  Entrambi sono legati in un binomio indissolubile: la disperazione dei primi è garanzia della sottomissione degli altri.

A debita distanza dalla fabbrica vera e propria, come un lazzaretto di appestati, il reparto confino si erge a monito permanente per chi è rimasto in produzione: “puoi finire qui”, sembra dire. Ancor più che a punire i riottosi, esso serve a disciplinare la fabbrica.

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euronomade

La torsione neoliberale del sindacato tradizionale e l’immaginazione del «sindacalismo sociale»

Appunti per una discussione

di Alberto De Nicola, Biagio Quattrocchi

IMG 6752Introduzione

Lo scopo di questi appunti è quello di stimolare una duplice riflessione. Assistiamo, oramai da lungo tempo, ad una profonda trasformazione della funzione del sindacato tradizionale. Con esso intendiamo le organizzazioni eredi del movimento operaio: come la forma sindacale confederale e le esperienze “cogestionarie” tedesche. Questa trasformazione sembra essere profondamente segnata da una torsione in chiave neoliberale del soggetto sindacale, divenuto “istituzione” attiva nel sistema della governance, al pari degli altri soggetti che in essa vi operano. In quanto tale, questa istituzione, sembra sempre di più introiettare quella razionalità governamentale tipica dell’impresa. Dal sindacato come soggetto autonomo per il conflitto sul salario, si assiste alla formazione di una organizzazione manageriale che svolge una funzione attiva nella segmentazione della forza-lavoro e nel processo di trasformazione del welfare.

Il contesto storico in cui questo processo sembra accelerarsi e giungere a compimento è quello della crisi e delle politiche dell’austerity. Le politiche fiscali restrittive e la ferrea disciplina di bilancio hanno momentaneamente raggiunto i risultati stabiliti: in termini redistributivi tra le classi sociali e nello stabilizzare alcuni rapporti di forza in Europa, tra le aree centrali e quelle periferiche.

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economiaepolitica

Gli insuccessi nella liberalizzazione del lavoro a termine

Riccardo Realfonzo e Guido Tortorella Esposito

GRANDE-FRATELLOL’effetto sociale più grave della crisi economica scoppiata alla fine del 2007 è l’impennata della disoccupazione. In Italia i senza lavoro sono più che raddoppiati rispetto al 2007 e oggi superano i 3,2 milioni. Anche nel 2014 la disoccupazione continuerà ad aumentare: secondo le previsioni del governo il tasso di disoccupazione a fine anno giungerà al 12,8%, contro il 6,1% del 2007. Non si tratta di uno scenario solo italiano, dal momento che nell’Eurozona si muovono oggi 19 milioni di disoccupati, ben 7 milioni in più rispetto al 2007, e alcuni paesi - come la Grecia e la Spagna - hanno visto addirittura triplicare la disoccupazione.

In questo contesto, gli interventi espansivi di politica fiscale vengono ostacolati dai vincoli sul deficit e sul debito pubblico previsti nei trattati europei. Insomma, in Europa continua a prevalere l’austerità, benché il suo insuccesso sia ormai sempre più spesso riconosciuto anche dai principali istituti di ricerca internazionali (ad esempio il FMI). L’attenzione si sposta allora sulle politiche del lavoro e in particolare sulla possibilità, sostenuta dalla letteratura economica più conservatrice, la stessa che difende l’austerity, che una sempre maggiore flessibilità del mercato del lavoro possa favorire la crescita occupazionale. In Italia, dopo la riforma Fornero, si prova con il decreto Poletti ad agire ancora sui contratti a termine, nella convinzione che una ulteriore liberalizzazione di questo tipo contrattuale possa fornire un contributo alla riduzione della disoccupazione. Per questa ragione, si interviene prevedendo, tra l’altro, l’eliminazione dell’obbligo di indicazione della causale economico-organizzativa, l’aumento del numero delle proroghe possibili,  la trasformazione di obblighi ad assumere in sanzioni amministrative.

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paginauno

La Governabilità del lavoro

di Giovanna Cracco

“Caro Primo ministro, [...] c’è anche l’esigenza di riformare ulteriormente il sistema di contrattazione salariale collettiva, permettendo accordi al livello d’impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende e rendendo questi accordi più rilevanti rispetto ad altri livelli di negoziazione. L’accordo del 28 giugno tra le principali sigle sindacali e le associazioni industriali si muove in questa direzione”.
Lettera della Bce al primo ministro italiano, a firma di Mario Draghi e Jean-Claude Trichet, 5 agosto 2011

madsmisg06aLa riforma del lavoro è tornata a tenere banco. nel marzo scorso il governo Renzi ha approvato un decreto legge che mette mano ai contratti a termine e all’apprendistato: i primi possono essere rinnovati per tre anni senza causale (prima erano 12 mesi) e senza alcuna pausa tra un rinnovo e l’altro, mentre per il secondo non esiste più l’obbligo di confermare almeno il 30% dei precedenti apprendisti per poterne assumere di nuovi. Contemporaneamente l’esecutivo ha annunciato la futura presentazione in Parlamento di un disegno di legge delega, il famigerato Jobs Act, per riorganizzare “l’intero sistema”, dagli ammortizzatori sociali al riordino delle tipologie contrattuali al nuovo codice del lavoro.

La CGIL si è scagliata contro il decreto legge, affermando, con ovvia ragione, che aumenta ulteriormente la precarietà, mentre Cisl e Uil hanno avuto tiepide reazioni positive. Il problema è la mossa in due tempi, decreto e legge delega, che mette il sindacato di ‘sinistra’ in una scomoda posizione. La Cgil attendeva infatti una riforma unica e complessiva, che contenesse anche la riduzione della miriade di forme contrattuali ‘flessibili’ e la creazione di un contratto unico di inserimento con raggiungimento progressivo delle varie garanzie nell’arco di tre anni, come più volte Renzi aveva annunciato; la riforma unica le avrebbe dato la possibilità di valorizzare alcuni aspetti rispetto ad altri e di farla digerire ai propri iscritti come un compromesso necessario, visti i tempi di crisi e disoccupazione dilagante.

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conness precarie

Il regime del salario 2

Naspi, ovvero del triste tramonto del welfare

di Lavoro Insubordinato

incertezza-300x300C’era una volta il progetto di mettere al lavoro l’intera società italiana senza eccezioni e senza possibilità di sottrazione. Nel 2001 l’allora ministro Maroni in un celebre libro bianco proponeva una «società attiva e una nuova qualità del lavoro». Dopo quasi 15 anni di lotte e di resistenze quel progetto sembra oggi realizzarsi grazie al nuovo regime del salario che il governo Renzi sta progressivamente instaurando. Sarebbe perciò quanto mai sbagliato leggere le politiche del lavoro del nuovo governo come la trovata estemporanea e vagamente populista di un decisionista allo sbaraglio. Non si tratta nemmeno della truffa di un giocoliere più abile di altri. Non basta cioè denunciare l’ingiustizia o la furbizia dell’imbonitore, affinché i truffati si rendano conto dei loro diritti violati. Tutte queste misure sono invece il compimento di un processo e pretendono di registrare lo spostamento dei rapporti di forza che è oramai avvenuto all’interno della società italiana ed europea. Il regime del salario che il governo sta imponendo mira a stabilire le condizioni grazie alle quali la coazione del lavoro investa anche il non lavoro, stabilendo una paziente disponibilità a una nuova occupazione, in altri termini all’occupabilità. Questo regime del salario non punta a una salarizzazione dell’intera società, non fa cioè corrispondere un salario certo a un lavoro sicuro, esso stabilisce piuttosto le basi di un’incertezza generalizzata che investe tanto il salario quanto il reddito, facendo di quella stessa incertezza il solo e unico criterio di giustizia.

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Il Vangelo secondo Matteo. Un commento al Dl 34/14

CAU Napoli

Se ne sentiva parlare da mesi, sicuramente da prima che il nuovo Governo si insediasse. Il gioco iniziale consisteva nel decantare di tutto un po' in materia di lavoro, proponendolo come la soluzione a tutti i mali - dalla disoccupazione, alla mancata “crescita” dell’Italia, passando per la morte di Lazzaro (Matteo 9:2-8.) - ma parlandone sempre in maniera evanescente. Eppure, infine, Jobs Act fu .

Il programma di Renzi, enunciato come unico Vangelo da seguire parla, ovviamente, anche di lavoro. Fin dall’incipit il Decreto Legge 34/14 (per ora prima e unica parte stilata del Jobs Act) chiarisce le proprie finalità. La più indicativa è la prima: “semplificare alcune tipologie contrattuali di lavoro, al fine di generare nuova occupazione, in particolare giovanile”.

Non c’è niente di nuovo, a dispetto del clima di novità ostentato dal nuovo Premier: se non vogliamo risalire alla Legge Biagi, basta guardare la “riforma” Fornero per trovare un filo conduttore e una continuità tra i vari governi. Ma procediamo per piccoli passi.


Cosa mette in campo questo rinomato Jobs Act?

La prima tranche, già approvata tramite il decreto legge 34/14, pone al centro “la flessibilità in entrata” e “l’occupazione giovanile”, modificando il contratto a termine e quello di apprendistato.

Nello specifico, la durata del contratto a termine (Art. 1) viene alzata da 12 a 36 mesi, eliminando la causale, ovvero l’obbligo di spiegare la motivazione della temporalità “anomala” del rapporto di lavoro.