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sinistra

Dialettica o eclettismo?

di Eros Barone

Fort Vimieux 1831 JMW Turner«L'eclettismo è sostituito alla dialettica; nei confronti del marxismo questa è la cosa più consueta, più frequente nella letteratura socialdemocratica ufficiale dei nostri giorni. Questa sostituzione non è certo una novità; si poté osservarla persino nella storia della filosofia greca classica. Nella falsificazione opportunistica del marxismo, la falsificazione eclettica della dialettica inganna con più facilità le masse, dà loro una apparente soddisfazione, finge di tener conto di tutti gli aspetti del processo, di tutte le tendenze dello sviluppo e di tutte le influenze contraddittorie ecc., ma in realtà non dà alcuna nozione completa e rivoluzionaria del processo di sviluppo della società.»

Lenin, Stato e rivoluzione, 1917.

  1. La struttura concettuale dell’eclettismo

Qualsiasi dizionario ci informa che l’eclettismo è un atteggiamento che consiste nello scegliere da differenti teorie le tesi che più si apprezzano, senza considerare la coerenza di queste tesi fra di loro e la connessione di esse con le teorie da cui sono state desunte. La definizione testé riportata mette in rilievo la duplice natura - teorica e pratica - di un atteggiamento mentale, che «si fonda» sulla congiunzione di un elemento soggettivo, arbitrario, con un elemento logico, contraddittorio. Si tratta, in effetti, della struttura che caratterizza l’ideologia come falsa coscienza all’interno di una società divisa in classi e le assegna un ruolo specifico nella riproduzione delle condizioni spirituali di questa società. Parafrasando l’asserzione con cui Lenin apre lo scritto su Marxismo e revisionismo (1908) 1 - asserzione la quale ricorda che «un noto adagio dice che se gli assiomi della geometria urtassero gli interessi degli uomini, si sarebbe probabilmente cercato di confutarli» - si riesce più facilmente a comprendere come l’eclettismo si sforzi di conseguire il medesimo risultato, cioè l’inconfutabilità, con la giustapposizione, opportunamente dosata, di ingredienti eterogenei, ricavati da differenti teorie e resi compatibili non attraverso qualche forma, ancorché problematica, di riduzione concettuale, ma attraverso la loro finalizzazione pratica al progetto «sistemico» di cui l’eclettismo è lo strumento principe: la riproduzione della egemonia ideologica della classe borghese entro le «forme belle» della democrazia rappresentativa e dello Stato di diritto e l’occultamento della dittatura congiunta del profitto e della rendita esercitala sulle masse lavoratrici dal capitale finanziario.

Cionondimeno, il risultato cui approda l’eclettismo non è, sul piano strettamente logico, l’inconfutabilità, ma l’insensatezza, cui corrisponde, sul piano socio-politico, la «neutralizzazione» degli interessi di classe contrapposti. L’eclettismo è il figlio del medesimo processo in virtù del quale - come ha spiegato Marx nel I libro del Capitale - «la forma del salario oblitera (...) ogni traccia della divisione della giornata lavorativa in lavoro necessario e plus lavoro, in lavoro retribuito e lavoro non retribuito» e «tutto il lavoro appare come lavoro retribuito»; processo operante in modo tale che «su questa forma fenomenica [cioè sul salario], che rende invisibile il rapporto reale e mostra precisamente il suo opposto, si fondano tutte le idee giuridiche dell’operaio e del capitalista, tutte le mistificazioni del modo di produzione capitalistico, tutte le sue illusioni sulla libertà, tutte le chiacchiere apologetiche dell’economia volgare». 2 D’altronde, se è vero che l’eclettismo affonda le sue radici, alla pari della «forma del salario», nella sfera della circolazione delle merci, è altrettanto vero che esso, in quanto schema fondamentale dell’ideologia dominante, si costituisce all’intero di una tradizione epistemologica che, per il suo duplice contrassegno strumentalistico e convenzionalistico, può essere ricondotta alla matrice del «compromesso bellarminiano». Con un atto d’autorità, destinato ad influenzare la storia della scienza e della cultura a partire dal periodo storico della «rivoluzione scientifica» (ossia a partire dal Seicento) sino ai giorni nostri, la Chiesa, rappresentata appunto dal cardinale Bellarrmino, impose a Galileo, il quale sosteneva un’interpretazione realistica della teoria copernicana, di rinunciare alla pretesa che quest’ultima fosse fisicamente vera e di accettare un’interpretazione strumentistica della medesima teoria, in base a cui essa poteva essere usata solo come uno strumento matematico utile per la descrizione dei fenomeni astronomici. Il «compromesso bellarminiano» fu dunque il mezzo, epistemologicarnente sofisticato, con cui venne attuata la separazione fra la scienza e la religione, ossia fra la tendenza materialistica connaturata alla scienza moderna, di cui occorreva disinnescare la carica esplosiva, cioè il potenziale di sovversione degli assetti socio-culturali vigenti, incarnato dalla borghesia del Seicento - che era la classe a cui appartenevano o a cui guardavano gli esponenti della «rivoluzione scientifica» - e l’ontologia religiosa tradizionale, considerata come la più sicura garanzia della conservazione di quegli assetti.3

Il contrassegno convenzionalistico attribuito alle teorie scientifiche (grazie al quale diviene possibile mettere sullo stesso piano teorie contrapposte, come la teoria tolemaica e la teoria copemicana, ritenute entrambe valide in quanto ipotesi di calcolo «comode», cioè praticamente funzionali alla risoluzione tecnica di un problema) non è se non il frutto di tale «compromesso», che ha consentito, da un lato, all’idealismo, al soggettivismo e all’oscurantismo religioso di stabilire un quasi-monopolio sulle discipline umanistiche ed ha introdotto, dall’altro, il germe velenoso di questi orientamenti reazionari non solo nelle concezioni teoriche, ma anche negli stessi procedimenti metodologici delle scienze naturali. Diviene, a questo punto, sempre più chiara la funzione epistemologica dell’eclettismo, la quale consiste, per un verso, nel produrre l’illusione della sintesi all’interno di un sapere che la divisione tecnica e sociale del lavoro, così come si configura entro l’attuale regime capitalistico, ha frantumato sia in senso orizzontale, moltiplicando il numero delle discipline, sia in senso verticale, elevando il grado di specializzazione all’interno delle singole discipline (illusione della sintesi, un aspetto della quale è il mito, tipicamente borghese, dell’interdisciplinarità), 4 e, per un altro verso, nel realizzare una forma di falsa unificazione del sapere, ottenuta mediante una semplice somma aritmetica di entità disornogenee, previamente sottoposte ad un processo di astratta parificazione formale (identico a quello, prima evocato, in base al quale «la forma del salario oblitera (... ) ogni traccia della divisione della giornata lavorativa») e quindi trasformate in addendi della medesima somma. Non meraviglia, allora, il fatto che uno dei maggiori progressi della scienza contemporanea - la nascita della fisica quantistica - costituisca anche uno dei maggiori scacchi della razionalità scientifica, dal momento che, a causa del predominio delle concezioni convenzionalistiche, uno stesso fenomeno è suscettibile di essere rappresentato con due o più modelli interpretativi.

Pertanto, l’esame critico e teorico della forma di pensiero che definiamo con il termine di eclettismo ci ha consentito di mettere in luce la struttura concettuale eminentemente contraddittoria di tale forma di pensiero, che trae origine, in piena età moderna, dal «compromesso bellarminiano», si manifesta, nel corso del Novecento, attraverso l’interpretazione strumentalistica che caratterizza la «nuova fisica», basata sul principio di indeterminazione, 5 e si configura, nella fase attuale, come la radice di quello che abbiamo definito uno scacco della razionalità scientifica e, conseguentemente, per il rilievo indiscutibile che tale tipo di razionalità ha assunto nella cultura del nostro tempo, come un fattore propulsivo dell’irrazionalismo. Infine, la funzione vicaria (non logica ma ideologica) che svolge l’eclettismo nell’ambito della cultura borghese risulta con particolare chiarezza dalle difficoltà che incontra la ricerca di una sintesi del sapere, la quale, essendo condotta in base ad un metodo combinatorio e sommatorio, cioè antidialettico, si risolve o in una mera aggregazione delle discipline esistenti o in una loro unificazione puramente formale. In entrambi i casi, sfugge necessariamente al pensiero borghese la categoria dialettica della totalità, che anzi viene confusa, ad arte o per ignoranza, con la caricatura fascista di tale categoria, ossia con una concezione organicistica ed eternitaria, vale a dire mitica, dell’«ordine» sociale, laddove la giusta concezione della totalità riflette, come ogni categoria logica, i rapporti reali (Marx, a questo proposito, scrive che «le condizioni di produzione di ogni società formano un tutto»). 6

La categoria della totalità - che costituisce il punto archimedico della teoria marxista-leninista - significa, allora, per un verso, che la realtà obiettiva è un tutto coerente, ogni elemento del quale è in rapporto con gli altri elementi, e, per un altro verso, che questi rapporti formano, nella stessa realtà obiettiva, correlazioni concrete, insieme unitari, collegati fra di loro in modi completamente diversi, ma sempre determinati (Lenin, a questo proposito, riprende l'immagine hegeliana della filosofia come un cerchio la cui circonferenza è fatta di cerchi). 7 Nello stesso tempo ciò significa che, essendo la totalità inesauribile ed essendo la conoscenza della totalità relativa, tale conoscenza non può che essere un’approssimazione. Se, dunque, la mistificazione dell’eclettismo si esprime nel falso concetto della verità totale come somma aritmetica delle verità parziali, la demistificazione operata dal marxismo-leninismo si esprime nel giusto concetto della verità totale come somma dialettica delle verità parziali.

 

  1. La natura sociale, le molteplici forme e la funzione politico-ideologica dell’eclettismo

Un esame epistemologico della struttura concettuale del pensiero eclettico resterebbe tuttavia monco, se non includesse almeno un accenno a quella concezione la quale, in virtù dello sforzo di conciliare le antitesi che la caratterizza, va considerata come un esempio paradigmatico del pensiero eclettico. La critica marx-engelsiana di Proudhon giova ad una migliore comprensione delle molteplici forme in cui l’eclettismo può presentarsi, giacché, nello schema concettuale che regge tale forma di pensiero, rientra anche il dualismo. Ciò diviene evidente nel dualismo kantiano tra ideale e reale, che non a caso rappresenta un punto debole della «critica della ragione» svolta dal filosofo di Königsberg. Infatti, la rigidità di tale dualismo, proprio per lo iato che determina tra la teoria e la pratica, finisce con l’essere assai comoda sul piano dell’azione: un simile dualismo permette di costruirsi gli ideali più elevati e di situarli nel «migliore dei mondi possibili», senza preoccuparsi minimamente di far passare gli «ideali» nella «realtà». Come osserva Plechanov, cui si deve questa acuta osservazione, non vi è niente di più pratico: idealmente, per esempio, possiamo annientare le classi e sopprimere lo sfruttamento, ma nella realtà farci avvocati dello Stato di classe. Il medesimo pensatore marxista, in un articolo scritto Per il 60° anniversario della morte di Hegel (1 891), polemizzando con quegli eclettici «che rimproverano ai materialisti il loro materialismo, agli idealisti il loro idealismo, e sono pazzamente soddisfatti di se stessi col pretesto che la loro personale filosofia del mondo evita ogni estremo, mentre in realtà non è che una misera ed indigesta minestra di idealismo e di materialismo», afferma che «la filosofia di Hegel possiede almeno il merito incontestabile di non contenere un’oncia di eclettismo». 8

Ma vi è un’altra forma in cui l’eclettismo, frutto dell’incomprensione della dialettica, si manifesta: una forma che si presenta a prima vista come radicale ed è definibile come «logica del ribaltamento». Secondo le incisive argomentazioni svolte da Engels e da Kautsky in un articolo contro il «socialismo giuridico», pubblicato nel 1887 sulla Neue Zeit e diretto contro le tendenze antimarxiste della componente di destra della socialdemocrazia tedesca e contro le tendenze riforrniste della frazione parlamentare socialista, si tratta di distinguere fra le rivendicazioni giuridiche del movimento operaio quelle che rappresentano un semplice ribaltamento delle richieste borghesi (in base alla convinzione che basti «prendere-in-parola» le rivendicazioni e le esigenze giuridiche borghesi per assumere una posizione «avanzata», cioè non solo contrapposta alla borghesia, ma anche rivoluzionaria) e quelle che, per la diversità radicale del modo e del contenuto che le informa, oltre a generare nel proletariato un «effetto di de-identificazione» contro i pilastri dell’ideologia dominante («Stato», «diritto», «società») - effetto anch’esso ben diverso dal semplice «effetto di contro-identificazione» generato dal primo tipo di rivendicazioni -, sono in grado di produrre effetti diversi da quelli che “consolidano” il dominio della borghesia. Engels distrugge la fiducia idealistica che per assicurare il carattere rivoluzionario delle rivendicazioni giuridiche sia necessario assumere una posizione che ribalti in modo simmetrico la posizione della borghesia; sottolinea che da una simile concezione consegue che una lotta ideologica per le rivendicazioni giuste sia tendenzialmente inutile, poiché questa si risolverebbe in una semplice questione di «logica», e dimostra che una siffatta «logica del ribaltamento» coincide con una variante dell'eclettismo, definibile come «eclettismo a corrente alternata» e rimane quindi, per la sua natura intrinsecamente riformista, sul terreno dell’esistente. 9

L’eclettismo teorico è dunque un elemento costitutivo dell’ideologia liberal-borghese ; esso procede dall’integrazione della piccola borghesia, della burocrazia sindacale, degli intellettuali borghesi e piccolo-borghesi e di una frazione della classe operaia entro le strutture dello Stato capitalistico «di tutto il popolo», il cui carattere di classe e le cui funzioni di classe - guerre di aggressione all’esterno e controrivoluzione preventiva all’interno - sono ad un tempo occultati e rivelati dall’armonicismo concordistico di tale ideologia. Tuttavia, qualora non bastassero a convincerci che l’armonicismo concordistico ha un inconfondibile carattere di classe, il poeta, il quale ammonisce che «quando non hai più un nemico, è lui che ha vinto», 10 e lo studioso di scienze sociali, il quale osserva che «la pecca del paradiso pluralistico è che il coro celeste canta con un forte accento borghese», 11 sarebbe sufficiente ad infonderci quella convinzione il riconoscimento materialistico che la base oggettiva dell’eclettismo è la politica della spesa pubblica. Così, per un verso, l’eclettismo, in quanto posizione teorica, è il tratto distintivo del piccolo borghese che, come scrive Marx nella Miseria della filosofia , elevando Proudhon a pensatore eponimo di questa «mezza classe», «vuole essere la sintesi, ed è invece un errore composto», «vuole librarsi come uomo di scienza al disopra dei borghesi e dei proletari; e non è che il piccolo borghese, sballottato costantemente fra il capitale e il lavoro, fra l’economia politica e il comunismo»; 12 per un altro verso, l'eclettismo, in quanto elemento costitutivo dell'ideologia liberal-borghese acquista un carattere di classe conforme alla necessità di assicurare il dominio economico e politico del capitalismo monopolistico, seguendo la stessa sorte di altre ideologie, prodotte dalle classi medie ed improntate ecletticamente alla ricerca di una «terza via», quali il cattolicesimo, il fascismo e il liberal-socialismo, efficacemente definiti come «ideologie da rigattieri della cultura». 13 Per quanto riguarda, poi, il ruolo che il revisionismo svolge quale supporto del dominio di classe della borghesia imperialistica, va rilevato che esiste una complementarità organica tra il revisionismo e il liberalismo, giacché entrambi impongono un eclettismo selettivo: tutto è permesso, salvo il ricostruire un vero partito comunista; tutto è permesso, salvo il dichiarare apertamente che fondare una banca è un atto più criminale di quanto non sia lo svaligiarla; tutto è permesso, salvo il definire l’attuale governo e l’opposizione ad esso un’accolta di fascisti e di cialtroni; tutto è permesso, salvo la rivoluzione socialista. Tuttavia, a mano a mano che si approfondisce la crisi di sovrapproduzione assoluta che travaglia il sistema capitalistico mondiale, a mano a mano che il “vincolo esterno” con la progressiva riduzione della spesa pubblica restringe i margini delle politiche riformiste e delle relative pratiche ideologiche, a mano a mano che parallelamente si rafforza e si generalizza la svolta reazionaria nella organizzazione e nella direzione delle istituzioni statuali in tutti i paesi imperialisti, non solo si stabilisce una correlazione sempre più stretta fra la ristrutturazione dei rapporti produttivi e sociali e il mutamento delle ideologie, talché, ad esempio, l’eclettismo tende a divenire sempre più selettivo a causa della crescita del coefficiente politico-ideologico rappresentato da una propaganda anticomunista di tipo preventivo all’interno degli apparati della comunicazione sociale. In realtà, la stessa ragione - materiale, teorica e progettuale - che spiega la irriducibile differenza che intercorre tra l’eclettismo, il quale resta, anche nelle sue forme più seducenti ed aggiornate, una ideologia piccolo-borghese, e il marxismo, il quale, come teoria scientifica del proletariato rivoluzionario, è, secondo la calzante definizione di Lenin, «un blocco di acciaio» 14 che non consente né di prendere un pezzo della teoria e di lasciarne cadere un altro, né di sostituire questo o quel pezzo della teoria con pezzi provenienti da altre teorie; quella stessa ragione spiega l’impossibilità per la classe operaia di rinunciare alla propria autonomia e al proprio compito storico di unificazione ideologica delle masse popolari e di conquista del potere politico, condizione di successo di tutta la sua lotta, per rimanere ancora classe subalterna nel «paradiso eclettico» del tardo capitalismo. Alla spoliticizzazione del conflitto sociale ed alla rimozione della lotta teorica di classe cui aspira l’eclettismo, alla ideologia borghese che nasconde la sua tendenza totalitaria sotto lo schermo di un falso pluralismo, i marxisti-leninisti debbono contrapporre un sistema di difesa e di attacco articolato ed efficace che, attraverso l’intreccio tra la lotta economica, la lotta politica e la lotta teorica di classe, sfoci nella ricostruzione del partito comunista, la cui sola esistenza costituisce di per se stessa, all'interno della società capitalistica, un fatto rivoluzionario.

 

  1. Materialismo dialettico vs. eclettismo: Lenin, Bucharin e Trotsky a confronto sul ruolo dei sindacati

Negli ultimi mesi del 1920 e nei primi del 1921 si accese in Unione Sovietica una vivace discussione sul ruolo dei sindacati nella nuova società e quindi sulla linea del partito comunista nei loro confronti. Due erano le posizioni in conflitto: quella del partito, secondo cui “i sindacati sono innanzitutto una scuola di comunismo”; quella di Trotsky, secondo cui “i sindacati sono innanzitutto un apparato tecnico-amministrativo di gestione della produzione”. Bucharin, dal canto suo, tentò di mediare tra la posizione del partito e quella di Trotsky: «Il compagno Zinoviev ha detto che i sindacati sono una scuola di comunismo e Trotsky ha detto che essi sono l’apparato tecnico-amministrativo di gestione della produzione. Non vedo nessun fondamento logico che dimostri che il primo o il secondo punto di vista non sia giusto: entrambe queste definizioni sono giuste, come è giusta la loro combinazione». Bucharin si ingegnò di argoementare la propria posizione (ovviamente eclettica) ricorrendo ad un’analogia: «Compagni, le discussioni che qui si svolgono suscitano in molti di voi all’incirca questa impressione: arrivano due persone e si chiedono reciprocamente che cos’è il bicchiere che sta sulla scrivania. L’uno dice: “È un cilindro di vetro e sia colpito da anatema chiunque dica che non è così”. L’altro dice: “Il bicchiere è uno strumento che serve per bere e sia colpito da anatema chiunque dica che non è così”».

Lenin intervenne nella discussione prefiggendosi due obiettivi: sostenere la posizione politicamente corretta, secondo cui “i sindacati oggi sono anzitutto una scuola di comunismo”, ed educare il partito all’analisi dialettico-materialistica della realtà contro la posizione unilaterale (e perciò astratta) di Trotsky e contro l’eclettismo di Bucharin. Ecco come articolò la sua argomentazione.

«I sindacati contano circa sei milioni di iscritti – questa fu la premessa -. Circa 900 di questi iscritti gestiscono attualmente la produzione. Ammettiamo pure che in un futuro prossimo tale numero aumenti di cento volte. Avremo allora una percentuale dell’1,5% di membri dei sindacati in grado di “gestire la produzione” e il 98,5% che studia e deve studiare a lungo per essere in grado di farlo. Ciò significa che i sindacati sono destinati ad essere, per un lungo periodo, principalmente una scuola di gestione della produzione da parte dei lavoratori, cioè una scuola di comunismo.» 15

In questa prima parte dell’argomentazione Lenin dimostra che, non appena si passa dall’astratto al concreto, non appena si sviluppa, cioè, l’analisi concreta della situazione concreta, la posizione di Trotski si rivela unilaterale e campata in aria. Lenin quindi prosegue e nota, riprendendo l’esempio di Bucharin, che «Trotsky afferma che “il bicchiere è uno strumento per bere”; sennonché il bicchiere presentatoci è senza fondo». Essere unilaterali vuol dire dunque essere astratti (nel senso negativo dell’astrattezza, non in quello positivo dell’astrazione), vedere un solo aspetto dei problemi o, vedendone più d’uno, considerarne separatamente ciascuno assolutizzandolo. 16 In definitiva, vuol dire essere metafisici (laddove la ‘metafisica’ è rispetto alla dialettica, per dirla con Aristotele e con Kant, un opposto per privazione, come la cecità e la vista).

Vediamo ora come Lenin, confutato l’errore di Trotsky, passi a criticare l’argomentazione di Bucharin riprendendone l’esempio.

«Un bicchiere è indiscutibilmente sia un cilindro di vetro sia uno strumento che serve per bere. Ma un bicchiere non ha soltanto queste due proprietà, o qualità, o aspetti, ma ha un’infinità di altre proprietà, qualità, aspetti, correlazioni e ‘mediazioni’ con tutto il resto del mondo. Un bicchiere è un oggetto pesante che può servire come strumento da lanciare. Un bicchiere può servire da fermacarte e da prigione per una farfalla catturata; un bicchiere può avere un valore artistico per la sua decorazione disegnata o incisa, indipendentemente dal fatto che sia adatto o no per berci, che sia di vetro, che la sua forma sia cilindrica o non del tutto, e così via. Proseguiamo. Se mi serve subito un bicchiere come strumento per bere, non m’importa affatto di sapere se la sua forma è perfettamente cilindrica e se esso è realmente fatto di vetro; m’importa invece che non vi siano fenditure sul fondo, che non ci si possa tagliare le labbra adoperandolo, ecc. Se invece mi occorre un bicchiere non per bere, ma per un uso al quale sia adatto qualsiasi cilindro di vetro, allora mi va bene anche un bicchiere con un fenditura sul fondo o addirittura senza fondo, ecc.

La logica formale (...) si serve di definizioni formali, attenendosi a ciò che è più consueto o che salta agli occhi più spesso e qui si ferma. Se, in questo caso, si prendono due o più definizioni diverse e si collegano in modo assolutamente casuale (cilindro di vetro e strumento per bere), si ottiene una definizione eclettica che si limita a indicare aspetti differenti dell’oggetto. La logica dialettica esige che si vada oltre. Per conoscere realmente un oggetto bisogna considerare, studiare tutti i suoi aspetti, tutti i suoi legami e le sue ‘mediazioni’. Non ci arriveremo mai interamente, ma l’esigenza di considerare tutti gli aspetti ci metterà in guardia dagli errori e dalla fossilizzazione. Questo in primo luogo. In secondo luogo, la logica dialettica esige che si consideri l’oggetto nel suo sviluppo, nel suo “moto proprio” (...), nel suo cambiamento. Per quanto riguarda il bicchiere, ciò non è subito chiaro, ma anche un bicchiere non resta immutabile, e in particolare si modifica la sua destinazione, il suo uso, il suo legame con il mondo circostante. In terzo luogo, tutta la pratica umana deve entrare nella ‘definizione’ completa dell’oggetto, sia come criterio di verità, sia come determinante pratica del legame dell’oggetto con ciò che occorre all’uomo. In quarto luogo, la logica dialettica insegna che ‘non esiste verità astratta, la verità è sempre concreta’».

Riguardo al ruolo dei sindacati, Lenin accusava Bucharin di non tentare neppure un’analisi concreta della questione, limitandosi «a prendere un pezzetto da Zinoviev, un pezzetto da Trotsky». Questo è proprio eclettismo. «I sindacati sono, da una parte, una scuola; dall’altra, un apparato; da una terza, un’organizzazione dei lavoratori; da una quarta, un’organizzazione composta quasi esclusivamente da operai dell’industria; da una quinta, un’organizzazione per branche di industria, ecc. ecc. In Bucharin non troviamo neppure l’ombra di una motivazione, di una analisi personale che dimostri perché bisogna considerare i due primi ‘aspetti’ della questione o dell’oggetto, e non il terzo, il quarto, il quinto, ecc. Perciò le tesi del gruppo di Bucharin non sono che vuoto eclettismo. Bucharin pone tutta la questione del rapporto tra ‘scuola’ e ‘apparato’ in modo radicalmente errato, eclettico.» 17

Come si evince dalla ricostruzione della polemica intercorsa tra Lenin, Bucharin e Trotsky, l’eclettico, nel momento in cui insiste sulla necessità di tener conto di questo, di quello e di cento altre cose ancora, è, per così dire, cento volte unilaterale. Non può allora sorprendere che l’eclettismo sia sempre stato il punto di vista degli opportunisti, dei revisionisti e dei “cercatori di terze vie”. 18 Il materialista dialettico afferma, sì, che è necessario esaminare tutti gli aspetti della contraddizione, ma afferma pure che questo è un processo infinito. Nel corso di tale esame bisogna, però, in ogni momento stabilire e precisare, sia pure come verità relativa e in riferimento alla situazione concreta, quale sia l’aspetto principale, quale la causa principale e quale il ruolo principale nella contraddizione.

Del resto, la posizione di Lenin sui sindacati non nega che essi abbiano tanti ruoli e aspetti diversi, ma afferma che nella concreta fase della dittatura del proletariato, cioè della transizione dal capitalismo al comunismo, che si presentava allora in Unione Sovietica, l’aspetto e il ruolo principali dei sindacati sono quelli di scuola di comunismo. L’eclettico, invece, accusa di unilateralità questo procedimento e sostiene la necessità di considerare uno accanto all’altro, in modo indifferenziato ed empirico, tutti i particolari e le circostanze connessi all’oggetto in esame. Sennonché, data l’infinità di legami che ogni oggetto intrattiene con l’ambiente, egli finisce con l’ingolfarsi nell’affermazione dell’“infinita complessità del mondo”, scivolando nell’agnosticismo e finendo con l’abbracciare la tesi fideistica e irrazionalistica dell’inconoscibilità del mondo. Il dialettico afferma, al contrario, l’infinita conoscibilità (e modificabilità) del mondo.

 

  1. Maschere nel carnevale dell’eclettismo

Che il pensiero eclettico tragga origine da una intrinseca tendenza liberaleggiante connessa sia alla divisione sociale fra lavoro manuale e lavoro intellettuale sia alla crescente integrazione di quest’ultimo negli apparati ideologici di Stato (scuola, università, televisione, giornali, case editrici, Rete) - la funzione dei quali è, innanzitutto, quella di riprodurre tale divisione e, quindi, la tendenza ed il pensiero che le sono connessi - è dimostrato da alcune figure politicamente e ideologicamente perniciose. Queste maschere carnevalesche, dotate, come tutte le maschere (e come tutti gli eclettici), di molteplici identità, teorizzano l’esistenza di un capitalismo... senza borghesia (così come Alice nel paese delle meraviglie afferma l'esistenza del sorriso senza il gatto) e recano in tal modo il loro contributo gastronomico a quelli che sono stati efficacemente definiti come «usi culinari del marxismo» (in realtà si tratta, se vogliamo chiamare le cose con il loro nome, di post-marxismo). Va da sé che tali personaggi rimproverano a quegli ingenui (non necessariamente marxisti), i quali affermano che fra il capitalismo e la borghesia esiste un nesso inscindibile, di essere succubi di una metafisica sociologica. 19

Se abbiamo accennato a simili personaggi - che in fin dei conti rientrano nella fenomenologia, piccolo-borghese e lorianesca, del trasformismo ideologico-culturale - lo abbiamo fatto non solo perché riteniamo che le loro posizioni eclettiche, il loro soggettivismo ed il loro opportunismo abbiano rappresentato un fattore di confusione e disorientamento che, in una fase delicata della ricostruzione del partito comunista, ha portato acqua al mulino delle forze reazionarie nascondendo l’identità del nemico di classe, ma anche perché le loro posizioni eclettiche hanno fornito un esempio significativo di «decostruzione» della teoria marxista-leninista. Tale «decostruzione» procede con due metodi variamente combinati: quello delle sottrazioni (del tipo «Marx - Engels», «Marx - Hegel», «Marx - Ricardo» ecc.) e quello delle addizioni (del tipo «Marx + Freud», «Marx + Nietzsche», «Marx + Menger» ecc.).

È evidente, allora, che una simile metodologia si fonda su due premesse che rappresentano i cardini del revisionismo antimarxista (il cui tratto distintivo, teorizzato apertamente da Bernstein, è proprio l’eclettismo): a) la negazione del carattere unitario e ‘totalitario’ del metodo-concezione che è proprio del materialismo dialettico e storico; b) la negazione del nesso organico tra marxismo e comunismo. 20

Fra i beati nel «paradiso dell’eclettismo», il cui accesso è regolato, per la verità con criteri sempre più selettivi, dagli Stati democratico-borghesi del nostro tempo, incontriamo Rifondazione Comunista, ossia l’ala social-liberale del moderno revisioniamo italiano. Anche un sommario esame dei disparati orientamenti politico-ideologici, di cui questo partito è stato ed è il contenitore, basta a farci comprendere come l’eclettismo che lo caratterizza sia il marchio inconfondibile della sua natura revisionista e della sua vocazione opportunista (che raggiunse l’acme con il verboso massimalismo bertinottiano). Natura e vocazione che ne fanno in radice il deuterantagonista del PD, cioè una forza complementare ad esso, storicamente sua alleata-concorrente, contraddistinta proprio da quella «logica del ribaltamento», da noi precedentemente esaminata, su cui si fonda il metodo di azione politica di questo partito. In effetti, anche se alcune parole d’ordine radicali e perfino estremistiche, lanciate, nel corso del tempo, dalla succitata formazione nei vari campi della politica economica e sociale, hanno potuto far pensare ad un indirizzo quasi rivoluzionario, va detto che si è sempre trattato di parole d'ordine che svolgevano una funzione oppiacea nei confronti dei settori popolari cui erano rivolte, poiché eludevano sistematicamente la «conditio sine qua non» di ogni reale trasformazione dei rapporti di produzione capitalistici: ossia la conquista del potere politico e l’instaurazione della dittatura proletaria. 21 In realtà, il PRC è, sia dal punto di vista teorico (in quanto si ispira ad un marxismo debitamente disossato ed integrato dai contenuti propri di talune correnti dell'ideologia borghese contemporanea) sia dal punto di vista organizzativo (in quanto si oppone al centralismo democratico), un patchwork intessuto di pezze multicolori, che perpetua, in una diversa situazione storico-politica, le equivoche ideologie e le fallimentari esperienze di formazioni eclettiche ed opportuniste come il PSIUP degli anni ’60, il PDUP degli anni ’70 e la DP degli anni ’80, formazioni con le quali il PRC manifesta un’affinità profonda. Fra le molteplici identità di questo partito prevale quella che reca l’impronta indelebile del revisionisrno togliattiano e berlingueriano, cioè quella di un partito socialdemocratico ‘di sinistra’ la cui prospettiva politica, di là dagli orpelli pseudo-rivoluzionari, movimentistici e terzomondistici di cui si ammanta la sua propaganda, è interamente subordinata alla tattica elettorale e parlamentare . 22

Divertiti dal carnevale dell’eclettismo, di cui essi sono storicamente i principali impresari, e deliziati dal «paradiso dell’eclettismo» di cui sono da tempo beneficiari, gli esponenti del giornale manifesto rappresentano la variante più sofisticata del post-marxismo cui è approdato il moderno revisionismo italiano: abilitati dalla loro attività giornalistica a svolgere nei confronti delle aree sociali di opposizione cui si rivolgono (e che essi definiscono con vacua espressione sociologica «popolo comunista») il doppio ruolo di mosche cocchiere e di tartufi, essi sono un tipico prodotto della ideologia borghese-revisionista. Il loro eclettismo da circo Barnum , costantemente impegnato nella ricerca di nuovi soggetti sociali minoritari (dal momento che per loro l’immensa maggioranza dei lavoratori salariati, in quanto priva di evidenza sociologica, ha cessato di esistere), in cui sia possibile incarnare il principio costituzionale secondo cui la fisiologia del conflitto non deve mai tra sformarsi nella patologia del sistema, viene tuttavia meno e rivela la sua natura selettiva allorquando assumono forza, consistenza e pericolosità i veri protagonisti della lotta di classe (il proletariato e le masse popolari, i movimenti di lotta armata contro 1’imperialismo, i paesi socialisti diretti da forze marxiste-leniniste). Accade così che, quando si tratta di scegliere e di schierarsi nelle situazioni concrete della lotta di classe ove si pone all’ordine del giorno lo scontro tra capitalismo e socialismo, questi «spiriti liberi» si comportano regolarmente come coloro che, nel mondo tardo-antico, volevano stare con Simmaco e Cassiodoro contro la «barbarie» e l’«incultura» del cristianesimo irrompente, ma intanto stavano con Bisanzio.

Non solo l’eclettismo (quale si manifesta nel campo della cultura borghese-revisionista) produce effetti disgreganti sulla composizione di classe, rendendo particolarmente difficile lo sviluppo del processo di ricostruzione dell’unità ideologico-politica del proletariato, ma anche l’eclettismo che si manifesta in alcuni gruppi (i quali pretendono di volersi battere per il comunismo) è fonte di confusione ideologica e di artificiose contrapposizioni. 23 Così, è motivo di forte perplessità il dover constatare come qualcuno di essi continui ad usare nei propri documenti un'espressione equivoca come «marxismo e leninismo», anziché l’espressione corretta «marxismo-leninismo», che non soltanto è consacrata dalla tradizione lessicale del movimento comunista internazionale, ma è altresì coerente con la classica definizione formulala da Lenin, ripresa da Stalin e adottata da tutti i comunisti antirevisionisti. 24 La questione della presenza o dell’assenza del trattino, lungi dall’essere una minuzia filologica, assume un significato del tutto particolare. E assume tale significato non solo perché il rigore teorico si deve estrinsecare anche nella correttezza delle scelte lessicali, ma anche perché chi conosce la storia del movimento comunista sa che l’atto di nascita del revisionismo togliattiano fu segnato proprio da questa scelta lessicale.

Vi sono, poi, le posizioni di coloro che seguono ecletticamente, ne siano o no consapevoli, la teoria luxemburghiana dell’«organizzazione-processo», quale si esprime, politicamente, nell’assunzione della priorità della linea di massa rispetto alla priorità rappresentata dalla costruzione del partito comunista o, teoricamente, nella priorità del materialismo storico rispetto al materialismo dialettico, laddove, come i marxisti-leninisti sanno bene e come implica necessariamente la critica dell’eclettismo che si è qui cercato di sviluppare, l’ordine di successione non è opzionale, ma rigorosamente determinato, in quanto il materialismo dialettico, cioè la teoria delle contraddizioni reali attraverso cui si articola il divenire della materia, va messo al primo posto (contrariamente a tutta una tradizione di marca revisionista influenzata dall’idealismo e dall’empirismo). Dal canto suo, il materialismo storico, che fornisce il canone interpretativo critico-scientifico dei processi strutturali, sovrastrutturali e pratici delle società umane, segue quello dialettico nello stesso modo in cui la specie segue il genere. Infatti, la connessione logica di quei processi diviene intelligibile grazie alle categorie dialettiche di «determinazione in ultima istanza», «influenza reciproca» ed «autonomia relativa», la cui validità non è - come ci insegna Engels - limitata al mondo storico-sociale, ma si estende a tutto il mondo fisico-naturale. 25 Una validità che abbiamo implicitamente sottolineato analizzando il nesso tra il modo in cui si manifesta l’eclettismo nella scienza contemporanea e il modo in cui lo stesso eclettismo si manifesta nella cultura e nella ideologia del blocco borghese e nelle sue propaggini revisioniste.

 

  1. Alcuni punti fermi in tema di lotta all’eclettismo

Le conclusioni che si ricavano da questa «profana commedia» dell’eclettismo sono le seguenti:

1)l’eclettismo è il tratto distintivo dell’ideologia borghese; esso nasce, sul piano teorico, dalla incomprensione della dialettica e può assumere forme molteplici (dualismo, «logica del ribaltamento» ecc.); sul piano strutturale esso intrattiene uno stretto rapporto con la politica della spesa pubblica, dal cui corso sempre più restrittivo dipenderà anche la sua consistenza ed incidenza come pratica ideologica; sul piano sociale, l’eclettismo è un’ideologia tipicamente piccolo-borghese, sussunta e sovradeterminata dal blocco borghese e dalle sue propaggini revisioniste;

2) i maestri del socialismo scientifico hanno sempre strenuamente lottato contro tutte le deformazioni, adulterazioni e falsificazioni eclettiche della teoria marxista, riconoscendo in esse il veicolo di propagazione dell’influenza della piccola borghesia e della borghesia all’'interno del movimento operaio (esempi: le polemiche condotte da Marx ed Engels contro il “socialismo conservatore o borghese di Proudhon, contro le teorie di Lassalle, contro il «socialismo di Stato», contro le teorie di Dühring e contro il «socialismo giuridico», le polemiche condotte da Lenin contro il populismo, contro il revisionismo e l’opportunismo, nonché contro l’empiriocriticismo e contro l’eclettismo di Bucharin - polemiche depositate in opere memorabili che costituiscono splendide lezioni di teoria e di metodo a cui non può non attingere chiunque desideri non solo conoscere ed approfondire le concezioni del materialismo dialettico e storico, ma anche applicarle nella pratica sociale e politica rivoluzionaria);

3) la lotta contro l’eclettismo è un aspetto specifico e rilevante della lotta contro il revisionismo e l’opportunismo; essa procede di pari passo con la lotta per sviluppare scientificamente il marxismo-leninismo, per affermare la direzione marxista-leninista nel movimento operaio, per aprire la strada alla rivoluzione socialista;

4) il centralismo democratico, in quanto principio organizzativo comunista che nasce dalla posizione oggettiva che la classe operaia occupa nella produzione e nella società e in quanto principio organizzativo che esprime il ruolo egemonico della classe operaia nel processo rivoluzionario, garantisce, assieme alla massima libertà di critica e facoltà di proposta nella discussione, la massima disciplina, coesione e unità nell’azione; assicura, inoltre, la correttezza della strategia e della linea politica grazie all’orientamento scientifico fornito dalla teoria marxista-leninista; esso è anche un potente antidoto contro l’eclettismo teorico, le deviazioni ideologiche, la disgregazione organizzativa e le oscillazioni politiche (esso esclude in linea di principio ed impedisce in via di fatto che si possa verificare una situazione del tipo «due socialdemocratici-tre concezioni»);

5) l’eclettismo è una caricatura della dialettica; esso può essere combattuto ed eliminato (non tanto attraverso postulazioni ideologiche quanto) attraverso una corretta applicazione del circolo metodico «pratica-teoria-pratica» («concreto-astratto-concreto») alle situazioni reali, cioè attraverso un esame completo, multilaterale ed accurato che consenta di determinare la «logica specifica» dell’«oggetto specifico»;

6) l’eclettismo è la forma alienata in cui si esprime la ricerca della totalità da parte della cultura borghese (esso procede da uno scacco della razionalità e conduce ad un ulteriore scacco: la sua essenza profonda è infatti lo scetticismo, la sua inevitabile conseguenza l’irrazionalismo e il fideismo).

Ancora una volta, la verità è rivoluzionaria: mentre l’eclettismo, forma di pensiero della borghesia conservatrice e delle sue propaggini revisioniste, rinuncia a conoscere la realtà e si limita a sommare, contrapporre ed alternare le diverse risposte date ad una medesima domanda, 26 il marxismo, teoria scientifica della liberazione del proletariato e dell’intera umanità, conosce per ogni domanda soltanto una risposta: quella conforme alla realtà obiettiva.


Note
1 Lo scritto è reperibile sulla Rete al seguente indirizzo: https://www.resistenze.org/sito/ma/di/cl/madcl5.htm .
2 K. Marx, Il Capitale, trad. di Delio Cantimori, L. I, Sesta Sezione, capitolo 17°, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 590.
3 La categoria di «compromesso bellarminiano» è stata elaborata da György Lukács in quel classico del pensiero marxista novecentesco che è la Ontologia dell’essere sociale (cfr. Ontologia cit. , a cura di Alberto Scarponi, Editori Riuniti, Roma 1976-1981, 2 voll). Sul conflitto tra lo scienziato pisano e la Chiesa merita attenzione il saggio, eccezionalmente acuto e sempre attuale, di Guido Morpurgo-Tagliabue, I processi di Galileo e l’epistemologia , Armando, Roma 1981 (ed. orig. Bocca, 1947).
4 L’interprete oggi maggiormente vulgato di questo mito liberal-borghese è Edgar Morin. Ma per la demistificazione di tale mito si veda di L. Alhusser, Filosofia e filosofia spontanea degli scienziati , De Donato, Bari 1976, ove l’autore afferma, a proposito dell’applicazione della matematica alle scienze umane, quanto segue: «La nozione di interdisciplinarità indica non già una soluzione, ma una contraddizione ; il fatto, cioè, che esiste un’esteriorità relativa delle discipline messe in rapporto. Questa esteriorità (le matematiche come ‘strumento’…) traduce il carattere problematico di questi rapporti o delle loro forme tecniche ( che uso facciamo delle matematiche in ‘psicologia’, in economia politica, in sociologia, in storia…? quali complicità sono di fatto coperte sotto il prestigio di quest’uso?)» (Althusser, Op. cit., pp. 35-36).
5 Se si considera la natura operazionale e la funzione euristica di tale principio è più esatto, a giudizio dei fisici della “scuola di Catania”, parlare (non di principio ma) di relazione di indeterminazione.
6 Si veda l’ Introduzione alla marxiana Critica dell’economia politica (1857) e, in particolare, il terzo capitolo concernente Il metodo dell’economia politica. L’opera può essere consultata in Rete al seguente indirizzo:
https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1857/introec/index.htm#topp .
7 V.I. Lenin, Quaderni filosofici , Feltrinelli, Milano 1970, p. 245 e passim.
8 G. Plekhanov, Œuvres philosophiques, Éditions en langues étrangères, Moscou, s.d., t. 1, p. 442.
9 Friedrich Engels – Karl Kautsky, Il socialismo giuridico (Juristen-Sozialismus), a cura di Enrico Maestri, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2015. Lo scritto in parola è definibile anche come “Anti-Menger” dal nome del principale esponente del “socialismo giuridico”, il professore viennese di filosofia del diritto Anton Menger, per l’appunto, contro le cui tesi è indirizzata la polemica engelsiano-kautskiana. L’articolo ha una grande importanza teorica e politica ed è di impressionante attualità, perché dimostra che anche nell’età odierna i dispositivi del consenso borghese continuano a reggersi sul mito secondo il quale i diritti giustificano «una concezione giuridica del mondo».
10 André Frénaud, Il silenzio di Genova e altre poesie, trad. di Giorgio Caproni, Einaudi, Torino 1967, p. 19. Non bisogna dimenticare che la poesia in generale è la maggiore possibilità liberatoria offerta all’uomo nell’àmbito dell’esercizio della parola e quella novecentesca in particolare, nei suoi esiti maggiori (rappresentati da autori quali Majakovskij, Brecht, Éluard e Fortini), è, nel contempo, una “critica spietata dell’esistente” e una prefigurazione dialettica del socialismo/comunismo.
11 Cfr. il par. 4, intitolato Un paradiso pluralistico? , del cap. VII, Problemi teorici del «capitalismo di transizione» , compreso nel fondamentale volume di Valentino Gerratana, Ricerche di storia del marxismo, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 289, nota 32.
12 Si veda al seguente indirizzo:
https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/miseria-filosofia/capitolo2.htm . La caratterizzazione sarcastica di Proudhon come “errore composto” è formulata nella chiusa del primo capitolo.
13 P. Togliatti, Lezioni sul fascismo, Editori Riuniti, Roma 1970. Si tratta del celebre corso di partito tenuto da Togliatti a Mosca in preparazione del VII congresso dell’Internazionale Comunista.
14 Lenin, nella sua opera filosofica principale, Materialismo ed empiriocriticismo (Note critiche su una filosofia reazionaria) , sottolinea con forza, in chiave antirevisionista, il carattere ‘totalitario’ del marxismo: «[Dalla] filosofia del marxismo, fusa in un sol blocco d’acciaio, non si può elidere neppure uno dei postulati fondamentali, neppure una delle parti essenziali, senza allontanarsi dalla verità obiettiva, senza cadere nelle braccia della menzogna borghese» ( Opere complete, vol. XIV, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 321).
15 A questo riguardo, giova osservare che il passaggio chiave dell’analisi con cui Lenin conclude che nella fase allora in atto i sindacati erano principalmente una scuola in cui i lavoratori apprendevano a gestire assieme la produzione, ossia una scuola di comunismo, consiste in ciò, che allora in Russia 900 iscritti su sei milioni (15 ogni 100.000) partecipavano alla gestione della produzione e che, secondo la previsione più favorevole, nel prossimo futuro essi sarebbero diventati 90.000 (15 ogni 1.000). A mano a mano che la formazione dei lavoratori si fosse sviluppata, la gestione collettiva della produzione da parte degli stessi, ossia il comunismo, sarebbe stato un obiettivo quasi raggiunto, poiché, come afferma la prima legge della dialettica, la crescita quantitativa avrebbe determinato un’altra qualità.
16 Chi pensa astratto? È un gustoso scritto satirico-filosofico di Hegel, che Palmiro Togliatti, non ancora divenuto uno dei principali esponenti del revisionismo moderno, tradusse e commentò sulla rivista «Rinascita» nei primi anni Cinquanta. Il fine era quello stesso di Lenin: educare alla dialettica materialistica, avvalendosi delle armi teoretiche forgiate dal maestro di Marx e di Engels. In un periodo di “astrazioni indeterminate e unilaterali”, come quello attuale (saturo di parole d’ordine antifrastiche o iperboliche del tipo “decreto dignità”, “prima gli italiani”, “governo del cambiamento”, “è finita la pacchia” e così via delirando, aizzando e segregando), Riaffermare il primato della ragione dialettica e di un sobrio materialismo contro le metafisiche populiste e razziste è uno dei compiti politico-culturali e ideologici più urgenti.
17 L’articolo di Lenin da cui sono tratte le citazioni, Ancora sui sindacati, sulla situazione attuale e sugli errori di Trotsky e di Bucharin, si trova nel vol. XXXII delle Opere complete . In Rete è reperibile al seguente indirizzo: https://paginerosse.wordpress.com/2012/09/08/v-i-lenin-ancora-sui-sindacati/ .
18 Sono “cercatori di terze vie” tutti coloro che, più o meno in buona fede, ricercano un’alternativa tra materialismo e idealismo, tra comunismo e capitalismo, tra proletariato e borghesia, tra rivoluzione e conservazione. Costoro sostengono che vi è del buono in entrambi gli elementi della contraddizione e che è possibile prendere un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Ma tale possibilità è una chimera, poiché i suoi fautori dimenticano che l’unità degli opposti è condizionata, temporanea e relativa, mentre la lotta degli opposti che si escludono reciprocamente è assoluta. Un concetto dialettico differente è invece l’affermazione, coerentemente materialista, che nel passaggio dal vecchio al nuovo la negazione del vecchio non è mai distruzione completa. Il nuovo sorge infatti dal vecchio come negazione del vecchio, negazione che però conserva, ad un livello superiore, ciò che nel vecchio è stato sviluppato di positivo e di progressivo. Il comunismo nega il capitalismo conservandone gli elementi positivi, ad esempio l’alto sviluppo delle forze produttive.
19 Ci riferiamo qui a Costanzo Preve e a Gianfranco La Grassa, nonché ai loro epigoni. La durezza del giudizio politico e intellettuale non esclude tuttavia il rispetto dovuto a studiosi che, nei loro momenti ortodossi, hanno fornito importanti contributi all’approfondimento della teoria marxista. Sennonché la massima latina, secondo cui “extrema de antefactis judicant”, ammonisce a considerare le posizioni finali che sono scaturite dalle tesi summenzionate e, in particolare, da quella, tipicamente eclettica, che propugna il superamento dell’antitesi “destra-sinistra”.
20 «L’ortodossia non deve essere ricercata in questo o quello dei discepoli di Marx, in quella o questa tendenza legata a correnti estranee al marxismo, ma nel concetto che il marxismo basta a se stesso, contiene in sé tutti gli elementi fondamentali, non solo per costruire una totale concezione del mondo, una totale filosofia, ma per vivificare una totale organizzazione pratica della società, cioè per diventare una integrale, totale civiltà. […] Una teoria è rivoluzionaria in quanto è appunto elemento di separazione completa in due campi, in quanto è vertice inaccessibile agli avversari. Ritenere che il materialismo storico non sia una struttura di pensiero completamente autonoma significa in realtà non avere completamente tagliato i legami col vecchio mondo» (A. Gramsci, Quaderni del carcere, ed. critica a cura di V. Gerratana, Einaudi, Torino 1977², Q. 4, 14, p. 435).
21 La vera centralità non è infatti quella del conflitto capitale-lavoro, tesi che può essere appannaggio anche di partiti socialdemocratici, ma è la centralità e l’attualità (sia pure in senso storico, non ancora politico) del principio secondo cui «gli strumenti di produzione devono appartenere al proletariato». Ancor oggi questa proposizione prescrittiva fa bella mostra di sé sul monumento in memoria di Roberto Franceschi - un maglio alto sette metri e pesante cinquanta tonnellate - eretto nel 1977 di fronte all’università “Bocconi” di Milano per iniziativa del “Movimento Studentesco” (poi “Movimento lavoratori per il socialismo”).
22 Che poi l’esclusione dal parlamento confini buona parte della sinistra cosiddetta “radicale” in un àmbito forzatamente extraparlamentare è il giusto contrappasso che l’ironia della storia ha inflitto a questa frazione delle forze opportuniste.
23 Ne citiamo uno per tutti, “Potere al popolo”, la cui linea, ideologia e organizzazione non sono ben chiare, a parte la fraseologia massimalista di derivazione più o meno bertinottiana, mentre sono del tutto palesi l’ispirazione eclettica e la natura piccolo-borghese, ancorché progressista, che lo caratterizzano.
24 Ci riferiamo, in questo caso, all’attuale PCI, alcune posizioni del quale sono, per un verso, apprezzabili e, per un altro verso, fortemente condizionate dai limiti, dalle aporie e dalle resistenze che incontra il necessario processo di depurazione dalla pesante e fallimentare eredità togliattiano-berlingueriana.
25 Ho trattato questo tema in alcuni articoli pubblicati su questo sito, fra cui, in particolare, https://www.sinistrainrete.info/marxismo/12032-eros-barone-note-sul-rapporto-base-sovrastrutture-prassi.htm e https://www.sinistrainrete.info/teoria/10628-eros-barone-materialismo-dialettico-e-vernalizzazione.html .
26 Victor Cousin, nell’età della Restaurazione, è stato un tipico rappresentante dell’eclettismo, di cui ai nostri giorni è il segreto, ancorché spesso disconosciuto, Mentore. Egli affermava che la verità è parzialmente contenuta in ogni singolo sistema, talché nessun sistema rappresenta tutta la verità, così come nessun sistema è assolutamente falso. In tal modo, con Cousin la “monarchia borghese” di Luigi Filippo fece valere anche in campo filosofico il principio del ‘juste-milieu’, cui s’ispirava in sede politica. D’altronde, questo (debole) pensatore francese sosteneva che l’eclettismo insegna ad avere buoni rapporti con le idee, così come la cortesia insegna ad avere buoni rapporti con le persone...

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