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minimamoralia

Il garante dello stato delle cose: Matteo Renzi

di Tomaso Montanari

Pubblichiamo il discorso tenuto daTomaso Montanari all’assemblea pubblica su «Firenze non è una merce. Renzi, il governo della città e la Costituzione» tenutasi a Firenze il 25 novembre. (Fonte immagine: ANSA/Maurizio Degl’Innocenti)

Tra meno di due settimane il Partito Democratico affiderà se stesso, quel che resta della Sinistra e soprattutto del Paese a Matteo Renzi.

Lo farà senza convinzione: per mancanza di meglio. Ed è forse per questo motivo che nessuno si chiede veramente chi sia e che cosa rappresenti Matteo Renzi. Come uno struzzo, l’Italia mette la testa sotto la sabbia: preferisce non sapere.

Si parla del clan di Renzi, dei poteri fortissimi che lo sostengono e ne tirano i fili, perfino dei suoi abiti firmati: ma non delle sue idee, del suo programma, dell’Italia che vuole.

Ma noi fiorentini sappiamo chi è Matteo Renzi. E non possiamo, non dobbiamo tacere.

Con il suo quinquennale non-governo Firenze si è trovata in una posizione del tutto singolare: da una parte è stata abbandonata a se stessa da un’amministrazione rinunciataria, latitante e ben decisa a non sostituire, ma semmai ad affiancare, i preesistenti centri di potere; dall’altra si è vista trasformare in un laboratorio politico in cui è stato possibile conoscere in anteprima i connotati dell’Italia del prossimo futuro.

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La parabola di Vendola e la giusta misura dello sfruttamento

di Giso Amendola, Girolamo De Michele, Francesco Festa

Archinà e VendolaNo, non avevamo bisogno di origliare le intercettazioni diffuse dal “Fatto Quotidiano”. Il gioco del cosa c’è dietro, della spiata indiscreta, del “guarda cosa si dicono in privato” non è per niente attraente, e non solo per una nostra convinta e radicata repulsione per i metodi inquisitori e per le posture da pubblici ministeri. Né per una questione di stile (per quanto le questioni di stile non siano questioni da poco). Ma perché l’attenzione al nascosto, all’intimo, al chiacchiericcio è essa stessa un dispositivo, piuttosto potente, per neutralizzare i conflitti, per produrre opinione pubblica tanto risentita quanto impotente, piuttosto che movimenti capaci realmente di far male. Non ci sembra casuale che, potendo pescare nella scatola delle notizie precotte e surgelate, nessuno abbia speso due parole di approfondimento sulla figura dello scattante felino, ancorché factotum di padron Riva: che, oltre a consegnare buste contenenti, secondo gli inquirenti, mazzette, commissionava paginate di pubblicità ILVA “legali” su tutte le testate locali (ad eccezione di due, una cartacea e una on line) per condizionarne la linea editoriale; che qualche volta è intervenuto col nickname di Angelo Battista, senza che alcuno ne avesse sentore. Giusto per chiarire come funzionava il sistema-ILVA, fino a che punto arrivasse a condizionare lo spazio pubblico della discussione, e di cosa si facesse finta di nulla a qualsivoglia livello politico e sindacale.

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affari italiani

"Napolitano massone. E la Cia..."

Tutti i panni sporchi della sinistra

L. Lamperti intervista Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara

Dalle amicizie pericolose di Bersani a quelle di D'Alema, dalle innovazioni ambigue di Renzi alle ombre dell'Ilva su Vendola. Fino al "nuovo compromesso storico" di Enrico Letta e ai segreti di Giorgio Napolitano. Non risparmia nessuno "I panni sporchi della sinistra", il libro di Ferruccio Pinotti e Stefano Santachiara (edito da Chiarelettere") che mette a nudo le magagne del centrosinistra. Un lavoro importante e "lungo due anni", come ha spiegato Santachiara intervistato da Affaritaliani.it, nel quale i due autori raccolgono e analizzano una serie di inchieste giudiziarie che riguardano, a vario titolo, il mondo della sinistra. Dalla galassia Bersani di Penati, Pronzato e Veronesi alla vicenda di Flavio Fasano, referente di D'Alema invischiato in una storia di mafia. Dallo scandalo Ilva al caso Unipol, passando per i trasferimenti di due magistrate, Clementina Forleo e Desirée Digeronimo (intervistata lo scorso settembre da Affari), che avevano indagato sulle responsabilità di importanti esponenti politici di sinistra. Pinotti e Santachiara ricostruiscono con dovizia di particolari tutta una serie di vicende, grandi e piccole, note e sconosciute, che offrono un ritratto impietoso di una sinistra che ha subìto "una mutazione genetica". Il libro si apre con un esplosivo capitolo su Giorgio Napolitano, del quale vengono indicati i rapporti (o presunti tali) con Berlusconi, la massoneria, la Cia e i poteri atlantici. Un capitolo del quale Affari pubblica un estratto e che certamente farà molto discutere.

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quiete o tempesta

Cacasotto a Cinque Stelle

di Davide Grasso

Di fronte ad atti criminali quali le guerre cui l’Italia partecipa e ha partecipato, l’opposizione nel nostro paese c’è stata ora più ora meno, e non sempre ha saputo essere all’altezza nella critica all’intervento militare. Spesso il pacifismo ha rivelato caratteristiche ipocrite, se non addirittura razziste: popoli bambini, quelli delle regioni colpite dai bombardamenti, che avrebbero dovuto essere “diversamente educati” alla democrazia dalle istituzioni occidentali (o dai pacifisti stessi, se non altro tramite sprezzanti condanne delle loro forme di resistenza). L’ostilità alla guerra, inoltre, non è stata giustificata, sovente, politicamente e moralmente, come sarebbe giusto, ma giuridicamente (mancata sanzione dell’ONU, art. 11 della costituzione italiana), lasciando aperta la porta all’idea che l’azione dell’esercito, se portata avanti con tutti i crismi del diritto nazionale e internazionale, sarebbe stata legittima. In questo quadro l’unica vera forma di opposizione mondiale alla guerra permanente di Bush e soci/successori sono state e sono le resistenze delle popolazioni occupate che, partendo dall’esigenza materiale e concreta di resistere all’espropriazione economica, umana e politica di cui sono oggetto, agiscono con tutti i mezzi che hanno a disposizione.

In oltre dieci anni, in quei paesi (senza che i nostri media si siano degnati di raccontarlo con un minimo di onestà, neanche quando le guerre facevano notizia) si sono svolte manifestazioni di dissenso all’occupazione militare dei territori in mille forme, per lo più pacifiche (preghiere, cortei, astensione dal voto, sabotaggi) ma anche violente (guerriglia, azioni armate).

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Errata corrige: Democrazia

di Sandro Moiso

Il sogno della democrazia consiste nell’elevare il proletariato a livello dell’idiozia borghese” (Gustave Flaubert)

Non è stata la manifestazione più grande, non ci ha lasciato immagini epiche da tramandare ai posteri e, nemmeno, slogan che passeranno alla storia…eppure, eppure…il corteo del 19 ottobre a Roma ha segnato il passaggio ad una fase nuova. Una massa che non si fa rappresentare, ma che si rappresenta. Una massa che non ascolta dichiarazioni e promesse, ma che si dichiara.Una massa combattiva e pacifica, determinata e multietnica. Una massa consapevolmente in guerra contro l’esistente e più pericolosa per le istituzioni di qualsiasi pubblica ed imbelle dichiarazione di guerra.

Perché la democrazia non sta nelle costituzioni, se queste non prevedono il conflitto e il diritto alla rivolta. E non sta nelle leggi elettorali se non esistono partiti in grado di difendere e diffondere il conflitto sociale. E non sta nei partiti e partitini se questi si arrogano, comunque e soltanto, la rappresentazione del conflitto. La democrazia è conflitto e vive soltanto nel conflitto.

Là dove il conflitto è negato, la democrazia non c’è. Che sia un governo liberista a negarlo, oppure un governo ancor più marcatamente autoritario oppure, ancora, un governo socialista come quello sovietico dagli anni venti del ‘900 in avanti, ci si trova davanti ad una dittatura.

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Operazione verità: a che punto è la notte italiana

notteecitaQuesto è un lancio corale: vari siti e blog economici indipendenti, tutti insieme oggi rilanciamo questa operazione di verità sulla vera deriva che in questo contesto dissennato inevitabilmente prenderanno i conti pubblici italiani - e sulla colpevole falsità di chi annuncia una ripresa impossibile che slitta di anno in anno... 

Il post è stato elaborato con la collaborazione di vari autori.

Premessa

In questi anni di crisi, oltre alle tasse e al disagio economico e sociale, c'è stata un'altra grande costante che ha tenuto compagnia alle nostre giornate, ai nostri momenti: la menzogna proferita in modo sistematico dai vari governi e dai politici di turno che, in maniera spudorata e vergognosa, hanno reiteratamente mentito e mistificato (e continuano a farlo) circa l'esatta situazione dell'economia e dei conti pubblici, in costante ed inesorabile deterioramento.

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Letta e la fine del Ventennio

Scritto da Diego Fusaro

“Si è chiuso un ventennio”: è quanto sostenuto dal premierEnrico Letta non molti giorni addietro, durante l’intervista di Maria Latella su Skytg24. Purtroppo Letta si sbaglia: e si sbaglia perché lui stesso e il suo partito sono pienamente organici – in senso gramsciano – alla stessa visione del mondo di Berlusconi e del suo schieramento. Più precisamente, portatrici della stessa visione ultracapitalistica del mondo, destra e sinistra accettano oggi in maniera ugualmente remissiva la sovranità irresponsabile di organismi economici sistemici (dal Fondo monetario Internazionale alla Banca Europea), che svuotano interamente la decisione politica, costretta a una funzione meramente ancillare. Nella forma della pura gestione dell’esistente, la politica e la democrazia non fanno altro che ratificare quanto viene autonomamente deciso dalla sapienza infallibile degli economisti, dalle multinazionali e dal mercato divinizzato.

Quale ventennio, dunque, sarebbe finito? Quello di Silvio Berlusconi come uomo politico? Può darsi. Non certo lo spirito del tempo neoliberale, giacché di esso si sostanziano in egual misura Berlusconi e il partito di Letta, ossia il tragicomico serpentone metamorfico PCI-PDS-DS-PD, che dalla lotta per l’emancipazione di tutti è oggi passato armi e bagagli a difendere le ragioni del capitale finanziario globalizzato.

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Balle fiscali e bolle mediatiche

Leonardo Mazzei

Le bugie di Letta e il «pilota automatico» dell'Europa. Intanto avanza, sullo sfondo, il modello cipriota

Presentando alla stampa la cosiddetta «Legge di stabilità», Enrico Letta ha detto almeno due bugie: che la pressione fiscale calerà, che non vi saranno tagli alla spesa sociale. Come mai tutto, all'improvviso, abbia virato verso il «bello», è un mistero assai buffo. Che merita di essere approfondito.

Per confondere le acque, il nipote dello zio confida come sempre su una stampa amica. Talmente amica che sembra quasi che egli sia più che altro il frutto di una bolla mediatica, quella degli osanna a prescindere in nome di una non meglio specificata «stabilità». Ora, però - e questa è una novità - questi amici (che a loro volta ad altri «amici» rispondono) sembrano assai insoddisfatti. «Cifre sull'acqua», è stato il significativo titolo dell'editoriale di commento del Corriere della Sera del 16 ottobre.

I feticisti della «stabilità», e - possiamo giurarci - i rigoristi di Bruxelles, speravano ormai d'aver vinto la guerra, mentre i fatti hanno dimostrato che quella del 2 ottobre (voto di fiducia) è stata solo una battaglia. Importante, ma non decisiva. Dal contraddittorio groviglio di questioni politiche irrisolte e dall'oggettiva, ma mai riconosciuta, impossibilità di affrontare la crisi senza liberarsi dalla gabbia dei vincoli europei, è venuta fuori una sorta di «finanziaria democristiana» che, scontentando un po' tutti, punta a non avere l'opposizione di alcuno.

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Sono pronti. E noi?

di Elisabetta Teghil

La manifestazione del 19 ottobre è andata molto bene sia per i numeri sia per la volontà che ha espresso, ma, soprattutto, è stata utile.

Intanto ha sancito l’impossibilità da parte del PD di strumentalizzare le lotte per fini propri, come era accaduto in occasione della manifestazione del 14 dicembre 2010, e poi ha ratificato quello che era emerso nella manifestazione del 15 ottobre 2011, vale a dire l’irreversibile rottura tra il movimento e i partitini della così detta sinistra radicale.

Questi ultimi, da anni, non hanno più la consistenza per indire manifestazioni e come paguri si attaccavano al movimento, usandone i numeri e la capacità di mobilitazione.

I loro leader si limitavano a presentarsi in piazza e a farsi fotografare, forti del fatto che i media avrebbero dato risalto alla loro fugace apparizione, salvo, poi, prendere le distanze nei confronti dei così detti “violenti” avallando ogni forma di repressione poliziesca, giudiziaria e mediatica.

Il PD, più raffinato, usava dei cavalli di troia, sigle di volta in volta coniate per nascondere il ruolo di burattinaio che tirava le fila dietro le quinte. L’ultima di queste operazioni è stata quella di “Se non ora quando”.

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Grillo comunica (II)

di Giuseppe Mazza

Seguire la vicenda di comunicazione di Grillo con i modi del diario. È sembrato il metodo più adeguato, davanti a un percorso si aggiornava in un infinito tempo reale, subendo continue modifiche e aggiustamenti.

Con la prima parte di "Grillo Comunica", qui pubblicata nel settembre 2012, abbiamo ripercorso la biografia politica di Grillo a partire dalla sue performance televisive degli anni '80. La vicenda dell'attuale leader del Movimento Cinque Stelle è costantemente interna ai mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi: dalla tv, che inizialmente lo ripudia per poi essere ripudiata a sua volta, fino al web, strumento esterno ai circuito media del potere costituito. L'analisi si arrestava nel settembre 2012, sulla soglia delle elezioni siciliane, sollevando due questioni la cui risposta veniva affidata ai mesi successivi.

Da lì ripartiamo.

La prima domanda sorgeva dallo status esterno di Grillo. Non avrebbe perduto di senso questa sua alterità, nel momento dell'ingresso nelle istituzioni? Come mantenere fede al personaggio dell'outsider? Anche entrato in Parlamento - ci si chiedeva - sarà possibile dichiararsi non appartenente?

La seconda domanda riguardava ancora una volta il sistema dei media.

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A qualcuno piace freddo

Giorgio Salerno

Su Matteo Renzi html 2ee97f9Due consumati democristiani, Franco Marini e Pierferdinando Casini, hanno dato di Matteo Renzi, anch’egli di provenienza democristiana, un giudizio alquanto sprezzante; di valore il primo, di metodo il secondo. Marini ha definito il giovane sindaco di Firenze un ambizioso, il secondo un abile parlatore che usa molti fuochi d’artificio verbali. Ricorda un po’, il giudizio del segretario dell’UDC, quello che l’allora giornalista de l’Espresso Giampaolo Pansa affibbiò a Fausto Bertinotti, il 'parolaio rosso'. Siamo ora di fronte ad un parolaio ‘bianco’?

Cerchiamo di capire Renzi partendo da ciò che egli stesso dice, scrive, dichiara e proclama; Renzi attraverso Renzi, leggendo le sue interviste e consultando i suoi ultimi libri.

Che Renzi sia un abile parlatore è fuori di dubbio ma quali sarebbero i fuochi d’artificio che evoca Casini? Renzi usa nei suoi discorsi molte figure della poesia e della retorica quali l’assonanza, la rima, l’ossimoro, l’anagramma, il gioco di parole, il calembour, battute ad effetto, a volte ironiche, a volte irridenti.

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gramsci oggi

All'origine delle crepe sul monolito PD

Giuliano Cappellini

Il PD non va a Congresso nelle migliori condizioni della sua breve vita. Molte sono le evidenze di una crisi interna come il drastico calo degli iscritti e la debolezza delle leadership, sia di quella decaduta dopo lo sconfortante esito elettorale che di quella provvisoriamente in carica, ma anche di quelle di cui si discute, ad esempio, quella di Renzi, destinata a radicalizzare le divisioni del partito.

Pur fortemente autoreferenziale, il PD soffre, poi, l’isolamento da molte intellettualità piccolo borghesi che lo hanno sostenuto e, a volte, (pateticamente) stimolato, ma che sono disilluse dal suo moderatismo, al quale imputano di aver ritardato la fine di Berlusconi. Oltretutto, la manovra di isolare la CGIL, che ha lasciato il sindacato senza referenti politici, gli si ritorce contro perché è piuttosto la maggiore Confederazione sindacale italiana [1] ad abbandonare il PD come partito di riferimento.

Le correnti del partito che fino a qualche anno fa parlavano un linguaggio largamente comune, marcano, ora, distanze importanti. Forze alla ricerca di un’identità di sinistra si misurano con altre, più legate ai diversi centri di potere e aperte solo alle politiche di compromesso che non modificano i rapporti di forza politici e sociali.

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politicaecon

Imprenditori arrabbiati

di Sergio Cesaratto

La piccola imprenditoria non ce la fa più. A Belluno la Camera di commercio ha organizzato un incontro di imprenditori a cui ha invitato un esponente MMT ed è stato proiettato un mio breve video. A Roma altri piccoli imprenditori di Reimpresa (che ha migliaia di associati) ha cercato di radunare le associazioni che si battono contro l'euro. Questo il mio intervento, forse il più moderato dato il clima, ma temo molto l'isolamento in cui possono cadere queste iniziative. Ma nel momento in cui si parla di tagli di oltre 3 miliardi alla sanità, veramente la misura comincia a essere colma.

Intervento integrale all’incontro di Reimpresa, Roma 13 ottobre 2013

Cari amici,

ieri mi sono letto ben tre documenti politici. Il documento congressuale di SEL, quello di Gianni Cuperlo e il documento economico  (“Documento dei 5 scenari”) predisposto da alcuni militanti qui presenti e indirizzato ai parlamentari M5S (che mi risulta l'abbiano più o meno ignorato). Sui primi due presto detto: il vuoto totale. Infarciti di chiacchiere, e naturalmente SEL è più brava in questo. Nessuna analisi seria e concreta sull'Italia e l'Europa. Un vero documento di un partito della sinistra spenderebbe una sola riga all'inizio per ribadire che la giustizia sociale e piena occupazione nella libertà sono gli assi centrali del partito da perseguire, aggiungerei, con riguardo particolare per il nostro popolo in un ambito di cooperazione internazionale, per poi andare giù pesanti nelle analisi e nelle prospettive di lotta e di governo. Il senso dei due documenti è in una frasetta che Cuperlo scrive all'inizio: Quello che per loro contava nella Terra Promessa non era la Terra, era la Promessa.

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«Stabilità»?

Cambiamenti veri e presunti di una nuova fase politica

Leonardo Mazzei

sul filoDunque, da una settimana siamo «stabili». Il che, detto nel cuore della peggior crisi economica del dopoguerra, non dovrebbe suonare troppo rassicurante per nessuno. La ripresa delle solite diatribe all'interno della maggioranza (ancora sull'IMU!) sta ora spegnendo le grida di trionfo del partito trasversale della «stabilità». E' dunque il momento di ragionare più a freddo su quanto avvenuto, sulla sua portata, le sue conseguenze, i suoi possibili sviluppi.

Di certo nessuno poteva prevedere il pittoresco dietrofront di Berlusconi. Quest'uomo, che ha costruito il suo successo sull'«immagine», ha chiuso la sua presenza in parlamento consegnando alle amate telecamere l'immagine di una persona distrutta, incerta, spaesata, tradita... E tuttavia convinta di poter in qualche modo congegnare l'ultima furbata.

Quanto sarà stata furba quest'estrema furbata ce lo dirà la storia. Al momento tanto scaltra non sembra: il Pdl è diviso e in netto calo nei sondaggi, la scissione sembra solo rimandata, il duo Letta-Napolitano è ben saldo al posto di comando, mentre il noto truffatore che a loro si appellava si acconcia ormai ai «servizi sociali».

Ma andiamo oltre. La vicenda personale di Silvio Berlusconi è strettamente intrecciata con la politica italiana da vent'anni ma, almeno da questo punto di vista, i fatti del due ottobre segnano una svolta. Concentriamoci allora sulle prospettive, ed in particolare sulle caratteristiche che avrà la nuova fase politica che la sconfitta del Cavaliere, nel partito da lui stesso fondato, ha evidentemente aperto.

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"Liberare" i migranti senza "arrestare" i capitali? Un suicidio politico

di Emiliano Brancaccio

Contestare il reato di immigrazione clandestina senza aprire una contesa più generale per il controllo dei movimenti di capitale e per un’alternativa di politica economica, costituisce un suicidio politico. Spunti di riflessione per una “sinistra” allo sbando, da tempo incapace di dare coerenza logica alle fondamentali battaglie contro l’avanzata dei movimenti xenofobi e razzisti

Pubblicato sul Financial Times il 23 settembre scorso, il “monito degli economisti”  denuncia la mancata volontà delle classi dirigenti europee di concepire una svolta negli indirizzi di politica economica, e individua in tale mancanza una causa delle “ondate di irrazionalismo che stanno investendo l’Europa” e dei relativi “sussulti di propagandismo ultranazionalista e xenofobo”.  La recente tragedia di Lampedusa costituisce un esempio terrificante delle conseguenze di questa palese ignavia politica. Il riferimento non è solo al raccapricciante tentativo del Presidente della Commissione europea Barroso di mettere un velo su questa vicenda ricorrendo a una elemosina.  Il problema sta pure nel modo in cui le forze di sinistra si sono lanciate in una battaglia per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina previsto dalla legge Bossi-Fini.

Naturalmente, nessuno qui nega che sia giusto cercare di intercettare il moto di sdegno che ha attraversato il paese, di fronte alla notizia che i superstiti del disastro di Lampedusa subiranno anche la beffa di essere imputati per il reato di clandestinità. Ma bisogna rendersi conto che oggi più che mai la politica non può esser fatta solo di sdegno o di mani passate sulla coscienza. Soprattutto in tempo di crisi, la politica è alimentata in primo luogo dalla volontà dei singoli e dei gruppi di difendere i propri interessi, di dar voce alle proprie istanze.