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La tempesta perfetta

di Sandro Moiso

La tempesta perfetta più famosa, dal punto di vista meteorologico, fu quella che si abbatté sull’Oceano Atlantico  in prossimità dei banchi di Terranova nel 1991, descritta nell’omonimo libro di Sebastian Junger del 1997 e nel  film di Wolfang Petersen, dallo stesso titolo, del 2000.  Ma la tempesta perfetta di cui occorre qui parlare è quella che sta per abbattersi sull’intero sistema politico-economico occidentale a partire dal quello che un tempo si sarebbe chiamato l’anello  debole: l’Italia.

L’attuale crisi politica italiana, con tutte le conseguenze sociali ed economiche che ne deriveranno, va inquadrata infatti in un orizzonte molto più ampio, in cui la sempre più evidente debolezza diplomatica e militare dell’impero americano incrocia il costante rischio di défaut economico dello stesso (rinviato sino ad ora soltanto dalla continua immissione sul mercato di nuovi dollari che valgono come carta straccia e sono garantiti unicamente dalle portaerei di Washington); la crisi del progetto europeo (misurabile nella distanza sempre più evidente tra la Germania e gli altri paesi del Sud e dell’Ovest, nei sempre più marcati dubbi Londra nei confronti del progetto e nell’inutile rigonfiamento di penne militari da parte del galletto francese); la presa di distanza che per la prima volta, dalla Seconda Guerra Mondiale, ha caratterizzato le scelte del parlamento inglese rispetto a quelle politico-militari americane e la gigantesca crisi economica (caratterizzata da una disoccupazione senza precedenti) che caratterizza l’assetto generale dell’economia occidentale.

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La via “maldestra”

di Elisabetta Teghil

La velocità con cui si è realizzata in Italia la trasformazione del PD in partito neoliberista che cerca qui di imporre i dettami di quella ideologia e gli interessi dei circoli atlantici, capofila dello smantellamento dello Stato sociale e sponsor delle guerre neocolonialiste, ha creato nuovi spazi per la sinistra riformista e socialdemocratica che spera di ritagliarsi un ambito, sia pure solo in termini elettorali gestendo in qualche modo il movimento.

E’ la miseria dei partitini, a sinistra del PD, che implementati nell’omologazione dentro il dettato di potere, hanno come unico scopo la propria riproduzione.

Questo è il senso della manifestazione del 12 ottobre prossimo “La via maestra”, trasformazione e appiattimento che si riduce tutto ad un problema di difesa della Costituzione, mentre non è altro che un tentativo presuntuoso e maldestro di dirigere il dibattito e di ritagliare il movimento a propria immagine e somiglianza.

Nella crisi del riformismo, nell’incapacità di rappresentare anche solo dal punto di vista dei numeri elettorali, interessi di classe o segmenti di essi, si strumentalizza tutto e tutti e volutamente si omette che il PD ha violato e viola la Costituzione là dove vota, partecipa e finanzia le guerre umanitarie e foraggia le scuole private.

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Crisi governo: crolla il capolavoro del Peggiorista

di Pino Cabras

Crisi di Governo. A Napolitano servirebbe un progetto, ma non ha altro progetto che conservare la poltiglia. Solo che ormai questa poltiglia è polvere pronta a esplodere  

La crisi di governo si incrocia da subito con una profonda crisi istituzionale. Beppe Grillo sta già chiedendo perfino le dimissioni di Giorgio Napolitano. Quando il PD e il PDL rielessero il Peggiorista del Quirinale, parlammo di «Vilipendio al Popolo Italiano ». Ci risultava ben chiaro che Napolitano Due avrebbe dato vita a un governo peggiore di quello - già disastroso - di Rigor Montis (il minor economista della nostra epoca, che Napolitano Uno aveva fatto senatore a vita per poi indirizzarlo a Palazzo Chigi). Peccavamo però di ottimismo. Nemmeno certi governi balneari di Giovanni Leone o di Amintore Fanfani al suo crepuscolo avevano congelato in modo tanto miserabile la funzione di governo quanto il governo di Enrico Letta, ora al capolinea.

Perciò la crisi rivela bene quanto siano cadute in basso le cupole delle "larghe intese". Al minimo di azione di governo (un minimo sotto zero), è corrisposto il massimo di fuga in avanti per stravolgere l'assetto della Repubblica. Nonostante la paralisi lettiana, gli "strateghi" del PD e del PDL, rifugiati sotto le vecchie ali del Peggiorista, pensavano infatti di cambiare metà della Costituzione, cioè distruggerla, proprio come piace a JP Morgan .

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Tanto tuonò che piovve

Leonardo Mazzei

«Se ne vadano tutti!» e un bel «vaffa!» all'Europa. Una formula semplice e probabilmente vincente.

Dunque il cerino si è consumato del tutto. Con le dimissioni dei berluscones il classico giochetto del teatrino bipolare italiano, durato addirittura due mesi interi, è giunto al termine. Chi si è scottato le dita? Secondo i più, il solo Silvio Berlusconi. Non siamo d'accordo: se le sono scottate tutti, tutte le forze della maggioranza che hanno fin qui sostenuto il governicchio presieduto da Letta. Ma c'è uno sconfitto che è più sconfitto degli altri. Ed è il sant'uomo che siede al Quirinale.

Egli, con una pervicacia senza limiti, ma certamente sostenuta in sede europea, ha preteso di veder volare gli asini, pensando di poter trasformare il più raccogliticcio dei governi in un esecutivo capace di reggere, di affrontare la crisi, di approvare le (contro)riforme costituzionali.

Il bluff, dietro il quale si manifestava tutta questa presunzione quirinalesca, lo si è visto nell'afoso pomeriggio del 1° agosto. Quel giorno la Cassazione, anziché cassare la condanna al secondo azionista del governo in carica, ha cassato le speranze del presidente della repubblica, che certamente non aveva mancato di esercitare le sue pressioni sui giudici di Piazza Cavour.

Come annotammo a caldo, la vera notizia di quel giorno, più che la stessa sentenza, fu la sconfitta del bis-presidente. E' da quel momento che il conto alla rovescia è iniziato.

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La svendita di Telecom

di Vincenzo Comito

L'Italia avrebbe bisogno di grandi investimenti nella banda larga, ed è improbabile che gli spagnoli di Telefonica, i nuovi proprietari della Telecom, vogliano occuparsene. È giusto che una infrastruttura di base del paese venga abbandonata al capitale estero e per giunta senza alcun vincolo?

Un governo inetto e senza idee ha rispolverato nelle scorse settimane la geniale idea di privatizzare i beni pubblici. Intanto non sappiamo cosa effettivamente si vorrebbe vendere e Letta non lo dice a noi, ma andrà a raccontarlo in giro per il mondo. Evidentemente nessuno ha apparentemente pensato che cedere un rilevante volume di immobili in un mercato estremamente depresso significherebbe andare incontro ad un fallimento totale. Se invece si trattasse di esitare delle quote di imprese ancora a controllo pubblico, vorrebbe dire che si è cancellata del tutto la memoria degli eventi passati, come è ormai del resto normale nel nostro paese. Da questo punto di vista vogliamo pensare, per essere benevoli, che l’annuncio sia stato forse imposto dalla troika ad una governo sempre più commissariato, per placare un po’ i burocrati di Bruxelles e i funzionari della Bundesbank.

L’Italia, negli anni novanta, ha portato avanti la più grande dismissione di beni pubblici dell’intera Europa. La vendita si è rivelata uno dei più grandi fallimenti politici del dopoguerra e le sue conseguenze le stiamo sentendo ancora oggi.

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L'ascaro

La sottomissione di Matteo Renzi ad Angela Merkel

nique la police

I servi felici sono i nemici più agguerriti della libertà.
(Marie Ebner-Eschenbach)

I tempi, e gli esiti, degli incontri diplomatici vanno capiti come si fa per gli avvertimenti mafiosi. Anche in questo campo, come per il linguaggio di Cosa Nostra, chi conosce il contesto, i linguaggi e i codici deve saper far decantare il clamore degli avvenimenti per interpretare il significato di quanto accaduto. L'incontro tra Matteo Renzi e Angela Merkel, avvenuto in forma privata ma reso noto alle agenzie di stampa l'11 luglio scorso, aveva quindi bisogno di tempo per essere interpretato. Oggi, in questo lasso di tempo, non è che non sia accaduto niente: Renzi ha fatto passi da gigante nel proporsi come segretario del Pd, incassando l'alleanza con gli ex dc di Franceschini, Angela Merkel ha vinto le elezioni in Germania. Con un chiaro risultato che, anche senza una maggioranza, gli permetterà di tenere le leve del governo federale per i prossimi quattro anni.

Come possiamo leggere oggi quell'incontro? Vediamo un attimo le prospettive dei due personaggi e cerchiamo di capire se si possono incontrare.


Angela Merkel


La vittoria elettorale della Cdu-Csu, e quindi della cancelliera uscente Angela Merkel, è netta quanto tutta da leggere.

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ILVA, l’errore si ripete

di Guido Viale

ILVA Unità produttiva di Taranto Italy 25 Dec 2007Letta ha annunciato che il prossimo impegno del governo, se resterà in piedi, sarà un grande programma di privatizzazioni, cioè di svendita di quote di aziende statali e di misure per costringere i Comuni a disfarsi del loro residuo controllo sui beni comuni e sui servizi pubblici locali. Il tutto, naturalmente, per far quadrare i bilanci, abbattere il debito pubblico e riportare il deficit (che ormai viaggia verso il 3,5% del Pil) entro il margine “prescritto”. Tutti obiettivi impossibili: ai prezzi odierni, la svendita anche di tutti i beni pubblici vendibili (un grande affare per chi compra) non porterebbe nelle casse statali che un centinaio di miliardi o poco più; cioè meno di quanto lo Stato pagherà in un anno tra interessi e rateo di rimborso del debito imposto dal fiscal compact. E l’anno dopo ci si ritroverà al punto di prima, ma senza più beni comuni e aziende pubbliche. La realtà è che il debito pubblico italiano è insostenibile e l’unico modo per farvi fronte è congelarlo.

Ma per capire dove portano le privatizzazioni già largamente praticate dai precedenti governi di centrosinistra guardate l’Ilva: un gioiello tecnologico (di 50 anni fa) creato dall’industria di Stato e ispirato alla cultura allora imperante del gigantismo industriale; poi svenduto, una ventina di anni fa – a una famiglia già compromessa che aveva fatto i soldi con i rottami di ferro – in ossequio alla cultura delle privatizzazioni messa in auge dagli allora campioni del centrosinistra: Andreatta, Ciampi, Prodi & Co.

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L’ attuazione della Costituzione è la via maestra

Paolo Ciofi

L'assemblea che si è svolta a Roma l'8 settembre per iniziativa di Lorenza Carlassarre, don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky sulla base del documento significativamente intitolato La via maestra costituisce un evento di notevole rilievo, in aperta e dichiarata controtendenza rispetto al degrado in cui si sta sfiancando il sistema politico. Le ragioni che rendono questo evento rilevante, e da seguire con grande attenzione per gli effetti che potrà generare, sono principalmente tre.

Innanzitutto, dopo anni di sottovalutazioni, tentennamenti e attenuazioni che hanno coinvolto anche le sinistre comunque denominate, tra incomprensioni e connivenze di chi ha governato, tra la retorica di chi si definisce democratico e gli strappi di chi si dichiara liberale, l'assemblea ha messo in chiaro qual è la posta in gioco nella crisi che soffoca l'Italia, ben al di là della formazione di un governo e del destino di un padrone megalomane. In gioco (e non da oggi) è la democrazia costituzionale. Vale a dire una conquista storica del popolo italiano sulla via dell'uguaglianza e della libertà: qualcosa di molto concreto, che riguarda la vita delle donne e degli uomini di questo Paese, il loro lavoro, i loro diritti, le loro aspirazioni. Non per caso il diritto al lavoro per un'intera generazione è diventato un' irragiungibile utopia, mentre la Fiat pretende di abolire i diritti costituzionali nelle sue aziende e J. P. Morgan, tra i maggiori responsabili della crisi globale, sentenzia senza mezzi termini che le Costituzioni del sud Europa sono intrise di idee socialiste e perciò vanno tolte di mezzo.

In secondo luogo, si è affermato con altrettanta chiarezza che lottare per l'attuazione della Costituzione è il tema del momento. Non si tratta semplicemente di difendere in astratto i principi costituzionali, ma di attuarli.

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Ancora su Tav e violenza

Diego Fusaro

Ha fatto molto discutere l’intervista rilasciata a “Lo Spiffero” qualche settimana fa da me e da Gianni Vattimo in merito alla TAV e alla violenza. Oltre all’usuale chiacchiericcio di internet, anche il “Corriere della Sera”, il 15 agosto, ha dato ampio spazio ai temi trattati nell’intervista. Con questo mio intervento, non intendo far altro che riprendere alcuni plessi teorici a cui avevo fatto cenno in modo necessariamente impressionistico e che, sciaguratamente, nel dibattito giornalistico e su internet sono passati del tutto inosservati e, di più, sono stati (artatamente?) occultati, come se non esistessero.

Il mondo della manipolazione organizzata, del resto, funziona così e non bisogna meravigliarsene. Per dirla con Antonio Gramsci, la stampa resta “la parte più ragguardevole e più dinamica” dell’organizzazione dell’egemonia ideologica. Essa dà costantemente luogo a quella – sono ancora parole del filosofo sardo – “situazione di grande ipocrisia sociale totalitaria” che ottunde quotidianamente le nostre menti. Si tratta di una questione ampiamente nota, ma che non bisogna mai perdere di vista, pena lo smarrirsi nel caos organizzato dell’ideologia dominante, il pensiero unico neoliberale che ha colonizzato l’immaginario collettivo con il dogma religioso “non avrai altra società all’infuori di questa!”.

Nel nostro caso, l’intorbidamento ideologico della questione sta esattamente in questo: la discussione circa l’essenza della violenza – il solo punto interessante per inquadrare l’affaire TAV e le proteste in Val Susa ad esso connesse – è stata integralmente evitata e si è riportata l’attenzione sulle solite manfrine, gravide di ideologia, circa la legittimazione della violenza dei contestatori della Val Susa.

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Dal Pci al governo Letta: alla ricerca dell’identità smarrita

di Emilio Carnevali

«Chi fa politica non aderisce a una linea filosofica prima di agire. Eppure, se non si padroneggia anche il registro della filosofia, il livello della teoria, non si capisce ciò che si fa»: nell'ultimo libro di Carlo Galli “Sinistra. Per il lavoro, per la democrazia” un'interessante “diagnosi teorica” dei mali profondi della sinistra italiana e una proposta per la sua rinascita

L’ultimo libro di Carlo Galli – “Sinistra. Per il lavoro, per la democrazia” (Mondadori, pp. 162, euro 17,50) – è un testo interessante e difficile. Sono due qualità importanti, anche se la seconda può non sembrarlo. Non lo è, in effetti, se la difficoltà è riconducibile all’opacità dell’apparato argomentativo o al carattere criptico ed esoterico del linguaggio. Lo è, al contrario, se raccoglie una sfida terribilmente “inattuale” (per ammissione dello stesso autore). Ovvero quella di parlare di politica «come di una cosa seria, sottratta al ghigno e al vituperio, allo scandalismo e alla faciloneria, agli slogan e alla superficiale mancanza di concettualità che la caratterizza da tempo».

Già in un precedente volume (“Perché ancora destra e sinistra”, Laterza, 2010) Galli aveva indagato le ragioni della persistenza nella nostra età “oltremoderna” di categorie proprie della modernità politica. In questo nuovo lavoro si propone di approfondire uno dei due elementi della diade, rintracciando le diverse tradizioni teorico-filosofiche che hanno accompagnato il proteiforme sviluppo storico di partiti, movimenti, formazioni variamente riconducibili al campo della sinistra.

E qui sorge un primo e fondamentale interrogativo: che utilità può avere questo volo nelle impalpabili atmosfere della riflessione filosofica in un momento in cui, non solo in Italia, la politica sembra essere completamente catturata dagli imperativi della contingenza, dal corto respiro, dalle leggi del marketing e della comunicazione?

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Gioco di società : il Tav, il femminicidio, l’odio, le armi, lo Stato…

di Elisabetta Teghil

Siamo d’estate perciò lanciamoci in un gioco di società dato che, soprattutto, in questa stagione i giochi impazzano.

Naturalmente questo invito vale per tutte/i, sia per quelle/i che si possono permettere le vacanze –se la godano fino in fondo perché potrebbe essere l’ultima vista la china che ha preso questo sistema sociale- che per quelle/i che sono rimaste/i a casa a cui va tutta la nostra affettuosa solidarietà.

Il gioco di società che vorrei proporre consiste in questo: andare a vedere quali sono gli articoli più commentati nei siti e nei blogs. Scopriremmo che sono quelli che riguardano il movimento NoTav e, partendo da questo dato, fare il “Gioco dell’oca incazzata”, gioco inventato da un collettivo femminista qualche anno fa per scoprire come ci vogliono turlupinare.


In un paese dove ci si lamenta della scarsa sensibilità civica e della poca partecipazione civile, si scopre che il Tav “coinvolge e appassiona i cittadini italiani”.

Ma questo interesse si manifesta con una valanga di commenti negativi e magari aggressioni verbali ai NoTav e con una miriade di spam.

La contrarietà a qualsiasi lotta ha delle caratteristiche di fisiologicità, ma in questo caso assume caratteri biblici che non trovano riscontro nelle pur tante vicissitudini che questo paese sta passando.

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Non opponiamo il reddito al lavoro

Alfonso Gianni

Non è vero che è impossibile perseguire la piena occupazione, come i teorici del «mainstream» neoliberista vorrebbero farci credere. E una sinistra moderna non può non essere fondata sul lavoro. Quello che è in discussione è il ruolo dello Stato: solo un suo intervento pubblico diretto nell'economia potrebbe portare a scelte produttive alternative a quelle monetariste

Dobbiamo a William Baumol una famosa metafora economica, quella di Mozart e dell'orologiaio, sulla quale conviene tornare a riflettere di fronte alle sconsolanti cifre e prospettive che tutti i centri studi, senza eccezione, ci offrono in materia di incremento della disoccupazione. Gli organi della Ue prevedono una moderata ripresa nel 2014. Non è la prima volta che dispensano ottimismo ingiustificato, ma in ogni caso avvertono che tale possibile inversione di tendenza rispetto alla pesante recessione in atto non potrà avere effetti, se non in tempi molto successivi, sull'occupazione. In sostanza quella perduta in questa crisi non verrà mai più recuperata, almeno nello scenario europeo.

Anche a sinistra, purtroppo, molti pensano che la riduzione dell'occupazione sia l'inevitabile prodotto dello sviluppo delle tecnologie applicate alla produzione. Non potendo contrapporsi a queste ultime, a meno di non cadere in una sorta di riedizione del luddismo, bisognerebbe abituarsi a convivere con un'elevata e crescente disoccupazione o inoccupazione - mi riferisco in questo caso a quella giovanile - le cui esplosive conseguenze sociali andrebbero temperate e prevenute con forme di distribuzione della ricchezza prodotta, fino ad assumere anche la forma di un reddito di base del tutto separato dal lavoro.

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Presidenzialismo via Violantum?

di Leonardo Mazzei

3 agosto. Che quello di Letta fosse un "governicchio", noi, lo avevamo detto subito. La sola cosa che frena i berluscones dal farlo cadere subito è la minaccia del reuccio Napolitano di dimettersi. Quest'ultimo esige che prima di votare si faccia almeno la nuova legge elettorale. Ma quale legge? Leonardo Mazzei, specialista in materia, spiega perché la proposta Violante potrebbe mettere d'accordo Pd e Pdl 

Un sistema ispano-franco-tedesco: ovvero il Super-porcellum presidenzialista di lorsignori

Riuscirà il governo Letta ad arrivare all'autunno? La cosa non è certa, viste le fibrillazioni del campo berlusconiano. E tuttavia non è neppure impossibile, considerato il pressing quirinalizio e la volontà dei «poteri forti», così ben leggibile nell'offensiva mediatica sul bene supremo della «stabilità».

Sia chiaro, quello presieduto dal Nipote dello Zio è e rimarrà un governicchio, un esecutivo destinato a rinviare le scelte di fondo, votato per sua natura alla logica del «comprare tempo». Dalla sua questo governicchio ha però un'arma. Si chiama legge elettorale. Per essere usata essa ha bisogno di una sola condizione: l'accordo oligarchico e bipartisan di una casta ormai delegittimata in termini di consenso.

In altre parole, l'accordo ha da essere conveniente tanto per il Pd quanto per il Pdl. Ma, soprattutto, esso dovrà risultare confacente agli interessi sistemici delle oligarchie dominanti, protese più che mai a far man bassa dei salari, delle pensioni, dei diritti del popolo lavoratore. Tanto meglio, poi, se si troverà un sistema elettorale spacciabile per più democratico. Così quello stesso popolo verrebbe ad un tempo impoverito e turlupinato.

E' a questo che si sta lavorando.

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“E’ il momento di unire le forze”

Eleonora Martini intervista Stefano Rodotà

La grazia a Berlusconi? «Inaccettabile. Anche perché sarebbe come istituire una super-Cassazione». Il giurista Stefano Rodotà parla di «rischio istituzionale che non va corso». È un momento delicato questo, dice, che richiederebbe un po’ di «coraggio e lungimiranza politica» da parte dei partiti. «Subito la riforma della legge elettorale, e poi il voto», auspica. E nel frattempo, «insieme ad altri», sta pensando a un modo di «unire le forze dei soggetti civili, politici e sociali» tornati da tempo protagonisti e che «non possono più essere trascurati».


Mentre per il Financial Times «cala il sipario sul buffone di Roma», Sandro Bondi usa toni apocalittici minacciando la «guerra civile». Frasi che il Quirinale giudica come «irresponsabili». C’è da preoccuparsi o è solo un’altra farsa?

Ciò che sta avvenendo non è solo una reazione simbolica, rivolta a impressionare l’opinione pubblica. I comportamenti tenuti sono qualificabili come eversivi, nel senso che negano i fondamenti della democrazia costituzionale… La richiesta ufficiale del Pdl che, dicono, formalizzeranno nell’incontro con Napolitano, è di «eliminare un’alterazione della democrazia». Sono parole e comportamenti da valutare come rifiuto dell’ordine costituzionale. Al di là delle conseguenze, non si può cedere ancora all’abitudine di derubricare e sottovalutare quelle che vengono considerate «intemperanze verbali». Sono molto colpito dalla parola «irresponsabile» attribuita al presidente Napolitano, che di solito è molto cauto.

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Quasi settant’anni di quasi democrazia

Anzi, per nulla

di Nico Macce

Il 2 agosto 1980 è la data che viene segnata dalla peggior strage avvenuta in Italia dal secondo dopoguerra. Alla stazione di Bologna morirono 85 persone dilaniate da un ordigno collocato nella sala di seconda classe e furono oltre 200 i feriti. A tutt’oggi è rimasta inascoltata la domanda di verità che i parenti delle vittime e un’intera città chiedono con forza a uno Stato sordo e volutamente reticente. E ogni anno si rinnova questa richiesta, ritorna in piazza una protesta sacrosanta verso le autorità del momento, che tanto parlano ma nulla fanno. Il segreto di Stato rimane la pietra tombale su questa e altre vicende.

Molto è stato detto e scritto su quella maledetta mattina, e non è qui mia intenzione entrare nel merito di questo specifico evento.

Questo mio contributo intende piuttosto delineare un quadro generale e una traiettoria dalla “democrazia” e della politica italiana, condizionata da sempre dall’azione legale e criminale di poteri forti del tutto interni e ai posti di comando nella società italiana e in un contesto internazionale.

 

Primo atto: stragi fasciste?

La storpiatura della verità sta nella definizione stessa che i partiti istituzionali e sindacati concertativi danno da sempre di questo fatto: strage fascista, frutto di una strategia eversiva.

In realtà fu strage di Stato.