Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Undicesima parte. “Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) parte I
La NEP è anche un periodo in cui emergono, in modo particolarmente rilevante, questioni e problemi a ogni livello, dal più superficiale e risolvibile con cambi di mansione o correzione di singoli comportamenti, a quello più profondo e strutturale, irrisolvibile senza modifiche sostanziali, ovvero altrettanto strutturali, al modo di produzione stesso.
Un modo di produzione ibrido non è destinato a durare a lungo: su questo concorda l’attuale storiografia incentrata sull’esperienza sovietica, prevalentemente autoctona (anche perché fuori dal perimetro russo han preso l’argomento, preparato la colata di cemento e chiuso tutto nella prima cassaforma a disposizione), ivi compresa la sua maggior parte revisionistica:
Parliamo, nella fattispecie, di quella storiografia russa démodé, figlia della restaurazione capitalistica di fine secolo, che declina alla sua maniera l’accademismo liberale-liberista-libertario di inizio anni Novanta e che tutt’ora campa nelle sue università e “fondazioni” eterofinanziate (e con marcato accento anglofono).
Parliamo però anche di una storiografia più recente, più à la page che, pur non disdegnando quanto fatto dalla “gestione precedente”, a partire dal Nobel con la voglia sulla pelata fino all’ubriacone che finì il lavoro sporco, è tuttavia nostalgica dei bei tempi andati, più che altro in termini di prestigio e potenza internazionali.
Entrambe queste storiografie, sulla falsariga della “libertà” o dell’esperienza cinese, periodicamente convergono su come sarebbe potuta essere la propria NEP se avesse vinto Bucharin, magari passando direttamente da Bucharin a Soros, nel primo caso, o da Bucharin a Putin, nel secondo, senza passare dal via del socialismo realizzato1. Di fatto, auspicando una transizione al capitalismo, e poco conta se oligarchico e transnazionale o capitalistico di Stato, che sarebbe dovuto essere la morte naturale della NEP, anziché e al posto dell’instaurazione della proprietà interamente sociale dei mezzi di produzione e della conduzione pianificata degli stessi. Come diceva un sensei nippo-statunitense in un film d’altri tempi, non si può camminare a lungo in mezzo alla strada. O di qua, o di là.
Se, tuttavia, l’impermanenza è forse l’unico dato oggettivo di un modo di produzione troppo in bilico per restare a lungo in equilibrio su quel crinale fra capitalismo e socialismo, a maggior ragione questo – secondo lorsignori - dovrebbe valere per un sindacato ibrido, di lotta e di governo, non destinato in quanto tale a durare molto di più.
E non perché magari si scelga, diononvoglia, ancora una volta come fu allora, di collettivizzare. Fu il socialismo realizzato a uccidere il sindacato, secondo questi signori. Ebbene, anche qualora si scelga la strada opposta, ovvero del più spregiudicato turbocapitalismo sotto l’ombrello del partito-Stato, un sindacato che “disturbi il manovratore”, qualora il manovratore sia amico del partito, o abbia la tessera del partito, o sia un dirigente del partito, non potrebbe che avere vita breve. Come da quarant’anni in Cina…
Ma questo lorsignori non lo dicono. No, a ulteriore conferma della strumentalità di certe ricerche e analisi (del resto, né più né meno che alle nostre latitudini...) nella fantapolitica di questi storiografi russi non sorge neppure la domanda di cosa sarebbe stato il profsojuz in una “NEP rinforzata” prima, e in un capitalismo capitalismo dove il partito avesse giocato un ruolo da protagonista da un lato e da arbitro dall’altro, legittimato nel suo agire da una retorica rappresentanza diretta e indiretta di un’imprecisata “nazione” (nei termini dei soggetti direttamente e indirettamente toccati da tale azione) da “mandare avanti, far crescere”, eccetera. Eppure la risposta è semplice: avrebbe fatto la fine di quello cinese.
Ecco, allora, che studiare i profsojuz in questa fase e individuare alcune delle questioni e dei problemi che li attraversavano allora è essenziale non solo per calarsi nel concreto della realtà sovietica, ma anche per trarne lezioni valide anche oggi, e alle nostre latitudini. Una buona base di partenza può essere rappresentata dalla Relazione di Michail Pavlovič Tomskij (1880-1936), capo dei profsojuz, in occasione del XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) (29 dicembre 1925).
Egli nel suo intervento a commento della relazione presentata in tale sede e intitolata “Sul lavoro dei profsojuz” (О работе профсоюзов), dedica all’argomento ben 25 pagine. Interessante è notare i riferimenti, agganciati operativamente a decisioni congressuali a loro volta frutto di analisi concrete (e tutt’ora valide, come sottolinea il Tomskij), anziché a dispute astratte in linea di principio.
E inizia con una severa critica (e autocritica) di certi eventi, certi atteggiamenti, certi comportamenti, certi modi di impostare (o ignorare bellamente!) i problemi che non dovevano accadere e che, a differenza dei suoi omologhi cinesi un secolo più tardi, denuncia pane al pane e vino al vino:
Tomskij: Compagni, per guadagnare tempo non mi soffermerò su tutte le tesi pubblicate nel mio documento, ma solo sui suoi punti fondamentali. Ritengo che presupposto fondamentale di un approccio corretto per l’individuazione dei compiti del partito all’interno del movimento sindacale, sia riconoscere che erano e sono tutt’ora valide l’impostazione e la definizione dei problemi dei profosojuz nella NEP, dati inizialmente dal CC del nostro partito, e poi dal XI Congresso; allo stesso modo erano e sono ancora valide l’impostazione della stessa politica economica in questo periodo, le sue connotazioni, il ruolo dell’industria statale, la definizione di industria capitalistica di Stato e il ruolo del sindacato nei suoi confronti, così come li troviamo scritti nelle risoluzioni ad opera dello stesso Vladimir Il’ič.
Momento fondamentale delle risoluzioni dell’XI Congresso è stato quello dedicato ai compiti dei sindacati al tempo della NEP. In una situazione operativa delle aziende statali fondata sul calcolo commerciale, con possibili e inevitabili eccessi di zelo da parte della direzione, piuttosto che errori delle organizzazioni economiche, ecco che i sindacati hanno il dovere – così come scritto nella risoluzione – e non solo nei confronti dell’azienda statale, ma anche e soprattutto verso quella privata e quella concessionaria, di difendere gli interessi economici degli operai da essi rappresentati. È questa una posizione che, come del resto tutte le altre risoluzioni di quel congresso, resta attuale e imprescindibile ancora oggi.
Vale a maggior ragione per certi conflitti (конфликты), verificatisi nella primavera di quest’anno in una serie di aziende – mi riferisco a scioperi attuati senza la conduzione né del sindacato, né del partito, né tantomeno delle organizzazioni economiche, in particolare nel settore tessile delle province di Mosca e di Ivanovo-Voznesensk, che mostrano come lì i sindacati si siano ben presto dimenticati di questo loro compito fondamentale2.
Senza aprire a mia volta polemiche, per giunta fuori tempo massimo e che interesserebbero solo uno o al massimo due di noi quattro gatti rimasti, ma unicamente per dimostrare come tali polemiche, che in passato vi furono, eccome, fossero fondate non solo sul nulla ma – a questo punto il sospetto è lecito – su tanta malafede, il Bettleheim a p. 262 dell’edizione italiana del suo Les luttes del classes en URSS3, riferendosi al XIV Congresso parla senza mezzi termini di “un Partito che sancisce il fallimento dei sindacati”, i quali “perlopiù” non sarebbero stati in grado di svolgere i compiti assegnati.
Nulla di questo si ricava dalla relazione del capo dei sindacati, che lancia un doveroso campanello d’allarme su alcuni episodi avvenuti in alcune regioni del Paese dei Soviet. Permettetemi a questo punto uno sfogo, perché non è la prima volta che mi succede di incontrare dati così contrastanti, e contrastanti è un eufemismo, con la realtà fattuale: certo che se uno, per recuperare l’autenticità storica di una ricostruzione ritenuta comunque autorevole, deve invece risalire agli originali citati perché riportati in parte o in modo errato, è finita, è un’eterna fatica di Sisifo… ma tant’è.
Torniamo a Tomskij:
Affronterò questo problema in diversi punti del mio documento, ma ora vorrei tornare ai conflitti di questa primavera, per constatare doverosamente che l’indagine, a cura dell’autorevolissima Commissione del CC, con a capo il segretario stesso del CC, il nostro autorevolissimo ed estremamente competente e professionale compagno Andreev, ha messo a nudo un’intera serie di errori sia da parte dei profsojuz, che della direzione degli stessi da parte del partito.
Alla base di questi conflitti vi è stata la scarsa attenzione (невнимательное отношение), da parte delle organizzazioni sindacali, verso le opinioni, gli stati d’animo, le esigenze più che legittime delle masse operaie. Alla base di questi conflitti vi è stato un blocco, nella maggior parte dei casi mostruoso (уродливый), formatosi fra direzione, sindacati e partito; un blocco, che consisteva nel fatto che i rappresentanti del partito (fosse esso cellula o collettivo), i rappresentanti e dirigenti sindacali (spesso il comitato di fabbrica, ma a volte anche i livelli superiori) e la direzione aziendale avessero formato un gruppo estremamente coeso e legato da una stretta comunità d’intenti, che affrontava e si metteva d’accordo al proprio interno su tutti i problemi, dimenticandosi tuttavia di mettersi d’accordo anche con le masse operaie. Questa è la radice del conflitto. 4
Il capo dei sindacati, come abbiam visto, non gira molto intorno ai problemi. Questa qualità, comune a tutti i rivoluzionari dell’epoca, poi nel tempo si perse. Basti vedere ancora oggi certi spettacoli pietosi di mani alzate all’unanimità per “votare” la mozione del capo.
La cosa paradossale, in tutto questo, è che questo UNANIME “tutto bene, madama la marchesa”, quando poi fu MESSO RADICALMENTE IN DISCUSSIONE, in piena “perestrojka”, “glaznost’”, eccetera, dall’uomo con la voglia in fronte e dal suo cerchio magico, fu EGUALMENTE CONDANNATO… ALL’UNANIMITÀ. E ALTRETTANTO ALL’UNANIMITÀ SMANTELLATO per restaurare il capitalismo, a beneficio dei capi di partito di allora, futuri oligarchi e satrapi.
Prosegue quindi nell’esposizione di quanto accaduto:
Per questo motivo anche quei provvedimenti pratici più importanti, come l’adozione di nuovi schemi di produzione, in grado di far lavorare ciascun operaio dalla propria postazione contemporaneamente su tre lati a tre diverse macchine (проведение трех станков и трех сторонок), furono totalmente calati dall’alto, non solo senza sentire il bisogno dell’approvazione degli operai, ma neppure senza interpellarli, o chiedergli cosa ne pensassero5.
Egli si riferisce a un caso concreto, avvenuto nel maggio di quell’anno alla fabbrica Tejkovskaja, a causa del quale cinquemila lavoratori scioperarono per quattro giorni di fila, chiedendo la rimozione dello schema di lavoro e degli “scienziati” che lo avevano imposto, nella fattispecie il direttore della fabbrica e il presidente del fabkom, oltre che il pagamento dei giorni non lavorati per gli scioperi dei mesi precedenti e il reintegro dei compagni licenziati nel corso di tali scioperi.
Direzione aziendale e sindacale sotto accusa, per una cosa che – tra l’altro – si trascinava da mesi, anche se non in quelle proporzioni: un orecchio neanche tanto attento, quanto sturato da un tappo messo lì apposta per ottenere l’assoluto silenzio, avrebbe potuto e dovuto ascoltare e agire di conseguenza. E invece no, a parte il danno di immagine per l’eco suscitata nelle fabbriche vicine!
Non possiamo non notare un’ulteriore discontinuità con la cosiddetta “NEP cinese” (qualche buontempone si ostina ancora a chiamarla così...): sindacati silenti (e assenti), manganello, galera per i recidivi e giù la testa per gli altri. Qui, come dicono i russi, дело совсем другое, avvenne esattamente l’opposto!
In occasione di tale sciopero, peraltro, intervenne direttamente proprio lui (per questo al Congresso se la ricordava bene…) e, dopo aver condotto un’indagine in prima persona, uscì con parole di fuoco prima con i suoi a Leningrado, quindi qualche giorno dopo sul giornale ufficiale del sindacato, Trud (“Lavoro”, 30 maggio 1925). Vale davvero la pena di riportarne qualche frammento perché oggi non sembra, è fantascienza. Per comodità divideremo questo intervento in sezioni, questa è la prima.
a. Sulle conferenze di produzione e i “problemi del mondo”
In questo intervento, infatti, si parla anche delle Conferenze di produzione (Производственные совещания): si trattava di uno strumento nato due anni prima dalla viva esperienza di fabbrica dei profsojuz di Leningrado, coinvolgendo sin da subito migliaia di lavoratori e attirando così l’attenzione della dirigenza nazionale del movimento; in sostanza, il sindacato organizzava dei momenti assembleari dove invitava TUTTI i lavoratori, iscritti e non, a dire la loro sulle tematiche immediatamente legate alla propria attività produttiva, in riferimento agli obbiettivi posti dalla direzione aziendale e, più in generale, dalla traiettoria individuata dal partito per la propria politica economica. Obbiettivi tra cui, per esempio, faceva sempre più capolino la parolina magica, toccasana di ogni problematica aziendale... “produttività”.
Proprio su questo punto Tomskij vede un cedimento, un voler tirare i remi in barca, un venire progressivamente meno al proprio ruolo di škola kommunizma e un lasciar emergere, nel cuore della lotta i prodromi, i germi di un’astratta, ingessata, burocratizzazione. E lo denuncia senza girarci troppo intorno:
Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti
Portare alla luce le proprie mancanze, rivelarle, è privilegio solo di chi è forte, chi è debole non può ammettere una cosa del genere. Certo, sappiamo bene che quando sveliamo i nostri difetti, i nostri nemici colgono la palla al balzo e si attaccano a quanto abbiam detto: è successo e anche molto spesso. Naturale, lo han fatto anche per l’articolo del compagno Glebov che è apparso sul giornale. Bel pezzo, giusto, ma loro han colto la palla al balzo. È facile che lo facciano anche sul mio discorso di adesso, o sul documento che ho appena presentato a Tver’ e che ho intenzione di portare anche qui al vostro Congresso. Ma, sinceramente, sapete quanto ce ne deve importare ora dei menscevichi!6 (risate) O dovremmo forse adattare la nostra politica a quello che dice una mezza dozzina di menscevichi, seduti belli comodi a Berlino? Che dicano quel che vogliono! La classe operaia li ha già criticati e gettati nella pattumiera della Storia. Cosa resta da fare a loro, se non consolare le loro anime belle, attaccarsi a nostre singole frasi e spalmarle per bene sul loro giornale, a beneficio dei loro due lettori e mezzo?
Ma noi non guardiamo i nostri nemici, tenendo bene a mente che sempre, qualsiasi siano le condizioni, noi dobbiamo dire alla classe operaia la verità, non nasconderle mai i nostri difetti, perché noi siamo forti. Portare alla luce e comprendere le proprie mancanze è già il primo passo per la loro eliminazione. [...]
Le conferenze di produzione non devono occuparsi di questioni astratte
Su molte questioni abbiamo questo approccio: parliamo tanto, concludiamo anche tanto, ma quel “tanto” resta lì sulla carta. Qui si parla di incrementare la produttività del lavoro, non è il classico primo punto all’ordine del giorno oggi e poi, una volta discusso e ridiscusso, morta lì. Su questo problema non potrai mai chiudere e mettere la parola fine. Non smetteremo mai di dirlo: non ci troviamo di fronte a una normale campagna propagandistica (agitkampanija), e neppure a un normale slogan, magari di moda.
No! La piena comprensione dell’importanza della produttività nel lavoro è e sarà oggetto di attenzione per anni, dando origine a un’intera serie di altre questioni. Per esempio, pensiamo alla scarsità della nostra tecnologia. Certo, è una questione di portata nazionale, ma noi dobbiamo occuparcene qui, nelle condizioni oggettive in cui ci troviamo, giorno dopo giorno, e mai smettere di farlo.
Il mio approccio alle conferenze di produzione deve basarsi non su numeri scritti sulla carta, ma su fatti concreti di vita operaia, di vita di fabbrica e di stabilimento. Penso che ancora non abbiam capito bene in cosa consistano queste conferenze di produzione. Ancora troppi sono gli argomenti trattati in astratto dalle conferenze di produzione! E neanche un tentativo di considerarli nella pratica quotidiana, di trasformarli in ordini del giorno di una seduta ordinaria! Si fan documenti sulla posizione dell’azienda, sul suo ruolo nel sistema economico generale nel suo complesso e nel suo settore specifico, si mostrano diagrammi, con frecce rosse, azzurre e gialle che vanno in su e in giù. E va bene, ci mancherebbe. Ma ora ditemi: un operaio della tessitura, o un’operaia della filanda, cosa avranno mai da dire in una riunione del genere? Dove si parla solo di ruolo o non ruolo dell’azienda all’interno del sistema economico generale del Paese? Così, per curiosità… in queste conferenze di produzione si discute di questioni che invece toccano e non poco grandi masse di lavoratori del tessile, come il passaggio al modulo a tre macchine per lavoratore? SI o NO? 7
La sua critica è a tutto campo, ed è in questo contesto completamente sbagliato, completamente fuori da quella che dovrebbe essere la concezione stessa di sindacato, che egli inserisce la propria accusa di mancata attenzione a un passaggio così delicato, come quello del modulo a tre macchine. In altre parole la dirigenza sindacale non solo promuove un’altra linea, ma è schierata apertamente contro ogni deviazione burocratica di chi, anche nella più piccola delle cellule sindacali, si sente ormai protetto nella propria nicchia ecologica di privilegi e se ne approfitta per tirare i remi in barca, e venir meno al proprio compito!
Lo vedremo anche tra qualche paragrafo: Tomskij fa redigere dai suoi un’inchiesta a tutto campo e non solo limitata a quella fabbrica, per capire l’entità del fenomeno, individuarne i responsabili e dichiarare guerra totale a quella che chiamerà “deviazione economica” (хозяйственный уклон) all’interno dello stesso sindacato.
Per inciso, cogliamo l’occasione per riprendere questo tema ancora una volta, e non per accanimento (o masochismo...), ma perché sia chiaro che il lavoro che stiamo conducendo non solo è storicamente molto importante, ma mantiene anche intatta la propria importanza ancora oggi: questo primo assaggio della strigliata di Tomskij ai suoi dovrebbe riportare sulla retta via chiunque avesse, per un momento, pensato anche solo di poter accostare il turbocapitalismo cinese a conduzione PCC, con relativa condizione servile dei sindacati, all’unica NEP storicamente esistita. Si trovasse nel turbocapitalismo cinese solo un grammo di questa NEP nei suoi ingranaggi, invece di un sindacato servile chiamato a fare da olio lubrificante o, alla meglio, proprio nulla, a quest’ora le navi ai porti cinesi salterebbero gli imbarchi non per mantenere alta la scarsità di mezzi di trasporto, e la conseguente speculazione in atto, che trova affratellati nello stesso cartello (si, “cartello”! partecipato ex aequo dai “compagni” della COSCO e dai “capitalisti” delle altre compagnie orientali – Evergreen, OOCL, ONE e Hyundai – e occidentali – Maersk, Hapag Lloyd, CMA CGM ed MSC – giusto per fare qualche nome, in barba a qualsiasi presunta lotta “antimperialistica” dei primi verso i secondi...), ma per i blocchi e gli scioperi operai nei confronti di quell’idra capitalistica a due teste che li divora ogni mese! E la Evergrande, di grande, avrebbe avuto soltanto il nome, e non la lista di burocrati di partito che a fine mese ricevono puntualmente quattro soldi per NON fare quello che sarebbero tenuti a fare.
Solo un grammo, di questa NEP… meglio tornare alla strigliata di Tomskij, che passa ora ad argomenti al cui paragone il passaggio al modulo a tre macchine sembra accademia… perché molto più terra terra. D’altronde, si deve sempre cominciare dal piccolo, per provare quantomeno a correggere il grande:
Son venuto a conoscenza di certe cose, da un’indagine sul campo compiuta in una fabbrica, che non nominerò perché al giorno d’oggi, compagni, la gente se la prende per un nonnulla. Se dici in un posto che in un altro han sbagliato basta, non ne esci vivo… lettere, scritti, una montagna. Diciamo allora che nella Repubblica dei Soviet c’è una fabbrica. Col suo bel Comitato sindacale di fabbrica (fabkom) e il bel suo direttore: come son carini insieme… due cuori e una capanna, l’organizzazione fra loro è buona, regnano pace e armonia, e il lavoro procede in totale affiatamento. Quand’ecco che accade uno sciopero!
Neanche tanto “non autorizzato”… proprio non ne sa niente nessuno, nemmeno del sindacato!
Gli tocca quindi fare un’indagine. E cosa emerge dall’indagine? Di cosa gli operai sono scontenti? Ecco di cosa son scontenti: lì c’è una macchina del 1909, con a fianco un’altra macchina risalente al lontano 1876. Entrambe le fanno andare uguale… ovvero qualche genio ha ben pensato di fissare per entrambe lo stesso quantitativo da produrre per unità di tempo. Peccato che, per esempio, quando si tratta di cambiare la spoletta sulla seconda, la sua costruzione è tale che tutti i fili saltan via e l’operaia deve ritorcerli di nuovo tutti prima di infilarli nella nuova spoletta. La prima invece non ha questo problema… e l’operaia sulla prima macchina prende lo stesso dell’operaia sulla seconda. Ma andiamo avanti. La seconda macchina dire che scassa le orecchie è dir poco, va avanti a musica, come una stazione radio che trasmette concerti a nastro, l’altra invece va bene… altra differenza ancora. Il cotone infine fa schifo, e si ottengono filati che fanno schifo. Ma noi siamo dei creativi, degli inventori, e mettiamo lo stesso quelle schifezze sulle nostre macchine. Macchine che non sono state concepite per fare anche i miracoli, e quei dannati filati si strappano, e allora bisogna fermare tutto, corrergli dietro e ritorcerli ancora, e ripartire.
Ma si dà qualcosa almeno all’operaia per tutto questo disagio? Nulla! L’operaia dice: “O togliete dalle macchine queste schifezze, o mi date qualcosa in più: perché io lavoro di più.”
Ora vi faccio una domanda: non dovrebbe essere un tema interessante per una conferenza di produzione? E lì di conferenze di produzione se ne son fatte… ma di cosa han parlato?
E ancora. Non è forse accaduto che oggi, da altre parti, nonostante la produttività sia aumentata, i salari sian diminuiti? SON CAPITATI CASI DEL GENERE SI O NO?
Magari non da voi, ma da altre parti si. Perché è successo? Non avran mica diminuito le retribuzioni di base... no, peggio… han proprio sbagliato a fare i conti e fissato i compensi unitari a un valore inferiore. E non è questo un argomento interessante da discutere in una conferenza di produzione? Non è forse interessante discutere su come fissare dei compensi unitari congrui e su come calcolarli, parlando anche di materie prime, specialmente in fase di processo produttivo?
È questo un approccio importante in particolar modo nel tessile, dove la materia prima fa la differenza non solo sul prodotto finito ma, come abbiam visto, anche su modi e tempi del processo produttivo stesso.
Un compenso unitario congruo dovrebbe quindi dipendere dal tipo di cotone, visto che ci sono diversi tipi di cotone: egiziano, persiano, turchestano, americano, piuttosto che quello talmente difettoso che il 30% è buttato fra i cascami e i rifiuti. Sarebbe istruttivo stabilire su quale tipo di merce fissare i compensi unitari e su quale tipo di macchina. Non è forse un tema interessante per una conferenza di produzione?
Non sarebbe forse interessante discutere di documenti dell’ufficio tecnico, piuttosto che delle commissioni paritarie su compensi e tariffe, in particolare a cura delle loro componenti operaie? Dopo tutto, gli operai cosa stanno lì a fare? Per occuparsi di cosa? Per risolvere i problemi del mondo?8
Come è facile notare, la sua critica riguardo alcuni comportamenti a opera di alcuni esponenti del sindacato, parte proprio dal non dare nulla per scontato, persino atteggiamenti e comportamenti che si vorrebbero assodati ma che poi, a ben vedere, tanto assodati non sono. E per “risolvere i problemi del mondo”, riprendendo la sua provocazione, occorre prima svolgere con coscienza il proprio compito all’interno del luogo di lavoro. Torniamo ora al discorso pronunciato in occasione del XIV Congresso, che ha ancora qualcosa da dirci in proposito:
Fra le risoluzioni del XI Congresso emerge chiaramente che la bontà del lavoro dei profsojuz è valutabile proprio da quanto essi riescano a prevenire questi scioperi, a evitare il verificarsi di simili episodi, grazie alla loro politica di costante attenzione e cura. E possiamo anche affermare la prova contraria: qualora, al contrario, si verificassero scioperi senza guida né sindacale, né degli organi di partito, né tantomeno degli organi dirigenti, possiamo dire con assoluta certezza, senza tema di sbagliare una virgola, di essere di fronte a una sconfitta, in quanto è del tutto assente il legame fra i profsojuz e le masse che essi dovrebbero unire. Mi soffermo su questi conflitti perché, da parte di qualcuno, si prova a spiegare questi conflitti primaverili in termini di lotta interna al partito, con toni decisamente deteriori, a colpi di kulak, Boguševskij e slogan come “arricchitevi!”9.
Cari compagni, come nei peggiori fogliettoni di fine secolo, il seguito nella prossima puntata. Spero che così, a piccole dosi, quanto rappresentato da questo immenso patrimonio riesca ad arrivare a più compagni possibile. E a restarvi, possibilmente, stimolando riflessioni e analisi che a me non son venute in mente e alimentando così, ulteriormente, quella ricerca e sviluppo di teorie della transizione al socialismo di cui oggi si sente così tanto la mancanza. A presto.
Su Tomskij ho appena chiuso altre dieci cartelle, proseguendo nell'analisi del suo intervento, ma ce ne sono altre ancora nelle puntate successive. Il suo fu un intervento fiume che toccava tantissimi punti, uno più interessante dell'altro.
Ti dico la verità: non lo conoscevo quasi per niente. Ma mentre lo traducevo continuavo ad annuire, a restarne ammirato... e sentivo la mancanza, oggi, di una figura simile: davvero meriterebbe uno studio più approfondito del mio, che gli rendesse pienamente onore.
Un abbraccio
Paolo