Škola kommunizma: i sindacati nel Paese dei Soviet
di Paolo Selmi
Diciottesima parte. “Ammettere i propri difetti è privilegio dei forti”: l’intervento di Tomskij al XIV Congresso del Partito Comunista di tutta l’Unione (bolscevico) PARTE VIII
I. I club
Indubbiamente il fulcro, il punto nodale, più importante e diffuso del lavoro di risveglio ed educazione culturale dei sindacati è dato dai club. Ho già sottolineato quanto continui a impetuosamente crescere il numero dei club. Si tratta del lavoro più nuovo, e quindi sconosciuto, di quelli affrontati, per cui siamo tenuti a cercare, a escogitare dalla A alla Z forme di attuazione altrettanto nuove, correggendo i nostri errori sul campo, in base all’esperienza maturata.1
Continuiamo l’analisi dell’intervento fiume del compagno Tomskij partendo da dove ci eravamo lasciati. Il capo dei profsojuz poneva l’accento sul LAVORO CULTURALE che il sindacato era chiamato a compiere. Qui comincia a mettere i puntini sulle i.
E siccome nessuno dei nostri ha mai pensato di popolarizzare la questione, lasciandola ad ambiti puramente accademici (dove, sinceramente, ammesso e non concesso che si sia mai andati a fondo nella questione, il bacino di utenza, la ricaduta di tali risultati su una platea di milioni di compagni è stata, storicamente, del tutto irrilevante) è il caso anche qui di conoscere un po’ più da vicino questi club o, così come erano definiti ufficialmente, gli “enti clubistici” (клубные учреждения).
Nascono verso la fine del XIX secolo2, come Case del popolo () dove convivevano biblioteca con sala lettura, aula per i corsi serali, piuttosto che sala conferenze e piccoli teatri. Ovviamente l’autofinanziamento e la scarsità di mezzi non erano un buon viatico per la loro diffusione e, nel 1914 il totale di tali strutture era di 237.
Numero che sarebbe aumentato, nel giro di pochi anni, in maniera esponenziale. Diamo subito un quadro della loro evoluzione da allora, così da toglierci ogni suspense… e cominciare ad avere una prima idea delle dimensioni del fenomeno3:
Come è facile notare, stiamo parlando di un fenomeno letteralmente esploso con la Rivoluzione d’Ottobre e sviluppatosi in maniera ininterrotta fino alla fine dell’esperienza sovietica, ma soprattutto nelle campagne dove dagli anni Cinquanta la quantità di club si stabilizzava fra le 115 e 120 mila unità.
Questo, peraltro, al netto dell’urbanizzazione che portava progressivamente popolazione e aree rurali sotto l’altra voce statistica. Un sindacato che, oltre a partecipare attivamente alla vita culturale di ciascuno di essi, nel 1950 gestiva direttamente 10.335 di questi club, saliti a 21.639 nel 1970.
I numeri mostrano, in maniera volutamente esplicita (i dati sono stati rielaborati unicamente per creare un’unica tabella, ma la divisione fra città e campagna c’era già), come le zone rurali fossero tutt’altro che abbandonate e, anzi, sulle stesse fosse concentrata sin da subito l’iniziativa culturale di partito e sindacato. Salta subito all’occhio come queste associazioni, che prima della rivoluzione erano meno di niente in quello che era già un nulla generale, persino durante la guerra civile e l’invasione imperialistica andavano formandosi nei territori non occupati e liberati dal nemico.
Alla fine del conflitto, nelle sole campagne, si era arrivati 8.600 unità, il 70% del totale e, alla fine della NEP, le unità erano più che triplicate, raggiungendo 28.600 unità pari all’86,93% del totale! È facile capire come fosse quello lo strumento prediletto, perché
- polifunzionale,
- relativamente facile da costituire e far funzionare,
- in un centro rurale non servono decine e decine di punti diversi di aggregazione, ma basta un club, per l’appunto, dove trovare biblioteca, sala di lettura (inizialmente accorpate nella stessa Casa del popolo), auditorium o piccolo teatro, fino poi a riadattarlo per proiettare film.
In quella sede i sindacati egualmente partecipavano, davano volontariamente il loro contributo alla riuscita dell’iniziativa e al suo funzionamento, anche se non faceva parte di quelle migliaia, perlopiù localizzate sui luoghi di lavoro, da loro direttamente gestite. Alla fine dell’esperienza sovietica questi club rurali, pur restando sempre in una percentuale tra l’85% e il 90% del totale, erano più che quintuplicati rispetto al 1928, raggiungendo una punta di 118.600 unità.
Capiamo quindi ora l’importanza attribuita da Tomskij a questo lavoro, compiuto peraltro in quel tempo sotto l’egida del Glavpolitprosvet (Glavnyj polit-prosvetitel’nyj Komitet Respubliki), ovvero il Comitato generale politico-educativo della Repubblica, organo del Narkompros (Narodnyj komissariat prosveščenija, Commissariato del popolo per l'istruzione della RSFS, laddove prosveščenie è da intendersi nel significato di cui sopra), alla cui direzione – sin dalla sua costituzione nel novembre 1920 e fino al suo scioglimento nel giugno 1930 – vi fu una certa Nadežda Kostantinovna Krupskaja:
È davvero un peccato che in italiano sui suoi lavori teorici, che abbracciano la pedagogia, il lavoro culturale, il rapporto fra quest’ultimo e azione politico-sociale, oltre a un volumetto, edito peraltro nemmeno da noi ma dalla casa editrice Progress di Mosca nel 19784, ci sia il deserto, mentre in russo siano pubblicati numerosi lavori tra cui una raccolta completa in undici volumi. Pertanto vale la pena ricordare come fosse lei, che all’istruzione e alla formazione rivoluzionaria del proletariato, dai più piccoli agli adulti, dai totalmente analfabeti ai quadri e alla cosiddetta intellighenzia, aveva dedicato la propria intera esistenza, la responsabile della cultura nel Paese dei Soviet. Ed è proprio la Krupskaja a scrivere, già nel 1919 sui club:
Parallelamente alle biblioteche e alle scuole e corsi di vario tipo cominciarono a formarsi ovunque, sia nelle città che nelle campagne, per discutere delle proprie cose, per studiare insieme e per relazionarsi con i compagni accomunati da una stessa passione o interesse, sia i club sia, laddove possibile, quelle Case del popolo, che costituiscono il cuore pulsante di una cultura nuova e socialista. Una Casa del popolo organizzata correttamente diviene il centro della vita spirituale delle masse: qui si fanno lezioni o si leggono e spiegano documenti, qui invece si tengono conferenze, o si svolgono spettacoli e concerti, qui invece si fa scuola, si studia, si legge, eccetera.
Il significato dei club e delle case del popolo è enorme: uniscono le masse, dando loro la possibilità
- di condividere le stesse esperienze spirituali (одинаковые духовные переживания), il che li avvicina sempre di più fra loro;
- di ampliare i propri orizzonti (расширить свой горизонт), di meglio comprendere ciò che vive intorno a loro;
- di sviluppare i propri, innati, talenti (развернуться природным талантам), di esprimere loro stessi e, più in generale, di elevare il proprio livello culturale ed espandere il campo dei propri interrogativi intellettuali (расширяют умственные запросы).5
In queste poche righe troviamo già la differenza fra il nostro dopolavoro e i loro circoli, o club. La versione italica, infatti, trova una loro coeva e pallida caricatura nell’Opera Nazionale Dopolavoro, “creata fin dal 1925 con lo scopo di estendere il controllo del regime anche sul versante delle manifestazioni aziendali e delle iniziative ricreative”6. Ai sovietici, tuttavia, non bastava condire agitazione e propaganda con un po’ di calcetto, col “cicchettino” serale (o mattutino!) e col mazzo di carte o la partita a bocce… leggiamo ancora una volta i punti, segnati in grassetto, evidenziati dalla Krupskaja.
“Condividere esperienze spirituali”… ma dai! Ma i comunisti non eran quelli che mangiavano i bambini e prima ancora i preti? Eppure… neppure loro hanno mai avuto come riferimento il cosiddetto “materialismo volgare”, e se per “spirituale” si intende quella parte di noi stessi che non attiene al corpo e che tuttavia concorre a formare il marxiano totaler mensch, i comunisti russi non solo ne riconobbero esistenza e istanze, ma ne ebbero sempre cura, preoccupandosi di svilupparla e soddisfarne i bisogni al pari di quelli materiali. E quando – non a livello autoriale e intellettuale… anzi!” – ma a livello di massa, cominciò ad allentarsi questo movimento, a perdere di slancio, iniziarono quei problemi profetizzati da una antesignana “Pioggia di luglio” (Юльский дождь)7… argomenti di cui abbiam già parlato nel paragrafo precedente, sull’emulazione socialista.
Stessa “sorpresa” potrebbe venire a qualcuno nel leggere, fra gli obbiettivi, quello di “espandere il campo dei propri interrogativi intellettuali”. Ohibò, cari fautori della pseudo-teoria degli “opposti estremismi”… non era, quindi, fra gli obbiettivi bolscevichi quello di creare tanti soldatini, formandoli al loro “credere, obbedire, combattere”. Un operaio non solo doveva porsi domande, ma porsene sempre di nuove e più qualificate! Anche qui, ne abbiam già discusso parlando di emulazione socialista e non è il caso di ripetersi.
Qui la Krupskaja però ribadisce il concetto. E pare giusto e doveroso riprendere anche questo spunto. E torna utile, ancora una volta, l’aver svolto un lavoro di ricerca come quello che abbiamo impostato, dove – se fatto bene e in un certo modo – si arriva ad un punto dove i punti si uniscono da soli. A proposito di “sviluppare talenti innati” (развернуться природным талантам), Gramsci così si rivolgeva a suo figlio dal carcere:
Mi domandi ciò che mi interessa di più. Devo rispondere che non esiste niente che «mi interessi di più», cioè che molte cose mi interessano molto nello stesso tempo. Per esempio, per ciò che ti riguarda, mi interessa che tu studi bene e con profitto, ma anche che tu sia forte e robusto e moralmente pieno di coraggio e di risolutezza; ecco quindi che mi interessa che tu riposi bene, mangi con appetito ecc.; tutto è collegato e intessuto strettamente e se un elemento del tutto viene a mancare o fa difetto, l'intiero si spappola. Perciò mi è dispiaciuto che tu abbia scritto di non poter rispondere alla quistione se vai con risolutezza verso la tua meta, che in questo caso significa studiar bene, essere forte ecc. Perché non puoi rispondere, se dipende da te il disciplinarti, il resistere agli impulsi negativi ecc.? Ti scrivo seriamente, perché vedo che tu ormai non sei più un ragazzino, e anche perché tu stesso una volta mi hai scritto che vuoi essere trattato con serietà. A me pare che tu abbia molte forze latenti nel cervello; la tua espressione che non puoi rispondere alla domanda significa che rifletti e sei responsabile di ciò che fai e scrivi. Eppoi, si vede anche dalla fotografia che ho ricevuto che c'è molta energia in te.8
Tutto è collegato, tutto si tiene… Ma torniamo alla nostra Nadja, che subito dopo ammonisce di non passare da un estremo all’altro. Per la prima volta nella storia dell’umanità le classi oppresse sono entrate nella stanza dei bottoni. Meglio, le avanguardie delle classi oppresse. Lo scopo del gioco è che tutti, non solo le avanguardie, si rendano partecipi di quei meccanismi, abitino quei luoghi, familiarizzino con quelle situazioni che fino ad allora li avevano esclusi. I club possono e devono servire anche a questo, a farli crescere in questa nuova consapevolezza, in questa nuova presa di coscienza. Questa enorme differenza con un normale dopolavoro, con un circolino, foss’anche di “divertimenti intelligenti”, è da lei rimarcata a gran voce:
Oggi nell’organizzare le case del popolo e i club si presta la massima attenzione alla messa in scena di spettacoli, alla creazione di laboratori teatrali, di cori… tutto questo è molto importante. Non è neppure il caso di parlare del significato ricoperto dall’arte: chiunque sa come nella vita di un uomo essa abbia un enorme significato, come egli possa, attraverso il canto o il disegno esprimere cose per lui inesprimibili a parole, come l’arte serva da mezzo estremamente potente di comprensione reciproca, come infine essa possa innalzare l’uomo a livelli a lui ignoti.
Tutti lo sanno, ma non tutti sanno quale errore madornale sia concentrare tutta l’attività della casa del popolo o del club solo sull’arte. Stiamo vivendo un momento politico veramente epocale, un momento in cui l’intera vita si sta ricostruendo ex novo, ed è qui, in questo momento, che le masse devono essere equipaggiate di tutta la forza del sapere, e capire perfettamente cosa sta accadendo a loro e intorno a loro. Per questo il lavoro nei club e nelle Case del popolo deve essere principalmente diretto ad ampliare le loro conoscenze e ad approfondirle. Senza di questo, se non trasformiamo i club e le Case del popolo in centri vivi e vitali per la vita dell’intera comunità, li faremo diventare, come ai tempi che furono, semplici luoghi di “divertimenti intelligenti”, completamente avulsi dalla politica...9
Qui ci sarebbe da aprire un capitolo su casa nostra, su un ARCI “cinghia di trasmissione” del PD, e sulla sua relativa, continua, deriva anticomunista: che è qualcosa di peggio di dargli addosso, come si faceva prevalentemente negli anni Novanta, quando c’era da buttar fuori “quelli di rifondazione”, laddove i rapporti di forza locali lo consentivano.
Ora non se ne parla più, il caso è chiuso, morto e sepolto, e per “impegno politico” si intende tutt’altro, in tutto e per tutto organico alle cinquanta sfumature di grigio del capitalismo borghese. Meglio tornare alla preoccupazione della Krupskaja, soffermandoci sui cosiddetti luoghi dei “divertimenti intelligenti” (места «разумных развлечений»): altro non erano che i circoli borghesi creati sulla falsariga dei club inglesi, o dei cercles francesi, piuttosto che dei caffè italiani, anche se il nome, di fatto, apre a una serie di considerazioni sulla peculiarità russa.
L’espressione “divertimento intelligente”, infatti, non ha analoghi in Occidente. Non tanto perché qui non vi fossero loisirs intellectuels (o fossero in quanto tali definiti), anzi. La differenza era che qui non avevamo più uno zar che proibiva ai borghesi divertimenti “non intelligenti”. Nell’Impero Russo, invece, dove esisteva un controllo estremamente rigido delle autorità sulla gestione borghese del tempo libero, con quel termine erano indicati tutti i club ricreativo-culturali consentiti10. Ecco, quindi, cosa intende la Krupskaja con quel termine: dobbiamo differenziarci da quanto fatto finora dai borghesi, sia nei modi che negli argomenti.
I nostri club devono servire il proletariato, ma devono anche servirgli come strumento di continua appropriazione culturale e sociale di ambiti che li avevano sinora esclusi, il tutto in una altrettanto continua crescita di coscienza politica e di classe.
Appare chiara, quindi, la logica entro cui si colloca anche lo sforzo del sindacato nella promozione delle attività ricreative e culturali. Tomskij scrive sei anni dopo la Krupskaja. Molto lavoro è stato fatto e, come è normale che sia, diversi problemi a esso collegati sono emersi. Problemi, in particolare, di atteggiamento e di metodo, legati a vecchi schemi che, in tale campo, risultano ancor più deleteri. Ma alcune cose, dopo sei anni, ahinoi non erano ancora chiare... Così prosegue:
In questo lavoro di associazione in generale e, più nello specifico, di risveglio ed educazione culturale, è particolarmente necessario e importante introdurre metodi per una più ampia democrazia operaia e per una sempre maggior crescita della capacità di iniziativa autonoma. Se, in generale, nel lavoro sindacale metodi autoritaristici e burocratismo sono i meno applicabili, lo stesso vale ancor più per il lavoro di risveglio ed educazione culturale. In passato abbiamo sofferto, continuiamo a soffrire – e mi auguro che guariremo nel brevissimo termine – di un brutto male: cercare di far stare a tutti i costi un lavoro che è vivo, di massa, e pure ancora mezzo sconosciuto, dentro le rigide, preconfezionate, caselle di circolari e norme, che ne prescrivano e imbriglino ogni fase e ogni movimento. Il lavoro di risveglio ed educazione culturale è ancor più difficile di quello sindacale, perché nel condurlo occorre tenere conto del livello culturale differente esistente nei diversi strati della classe operaia.
Errori e sbagli nel lavoro dei club ci sono ancora anche nella diatriba su cosa essi debbano diventare: organismi di formazione politica o luoghi di divertimento intelligente. Ciò che non è chiaro è che è la diatriba stessa a essere sbagliata, dal momento che i club devono farsi carico di tutte le istanze culturali dei lavoratori. In altre parole, il club deve essere organismo sia di crescita e formazione politica, che di crescita culturale tout court; allo stesso tempo, il club deve diventar luogo di riposo e divertimento intelligente per i lavoratori, perché non vadano a cercarseli da un’altra parte, perché non entrino in un cinema da due soldi borghese e restino incollati alla sedia per la solita americanata o, peggio ancora, finiscano in osterie e trattorie.
Forzare i club operai a occuparsi esclusivamente del lavoro di formazione politica sarebbe soltanto rigorismo da intellighenzia tanto intransigente quanto ottusa. Abbiam già visto che, quando abbiam fatto così, i nostri club sono morti, si sono disgregati, come per esempio durante il comunismo di guerra. Perché l’operaio è anche lui un essere umano e, in quanto uomo, nulla gli è estraneo del suo essere.11
Tomskij, ancora una volta, non la manda a dire. E rincara la dose subito dopo, con parole chiare e inequivocabili, pronunciate non dimentichiamo in occasione di un Congresso, ovvero nel momento ufficiale più importante della vita di un partito:
È semplicemente ridicolo affermare che un operaio pensi e possa solo pensare alla rivoluzione proletaria e ai suoi problemi. Per lui son necessari anche un salutare riposo e un ridere altrettanto salutare! Tutte le richieste di un operaio devono trovare nel club il luogo del loro soddisfacimento. Per questo, a suo tempo, han cercato e trovato nei club possibilità di fare anche sport, musica, e via discorrendo. E oggi, per colpa di qualche compagno «bigotto», si prova a buttar fuori dai club i vari circoli artistici, musicali e sportivi per mettere al loro posto gli «amici dei libri», le «società dei bambini», le «società della salute», eccetera. Questa politica è sbagliata! Il nostro compito è costruire un’unione di lavoratori in sintonia con la vita di ciascun operaio sia dentro che fuori dalla fabbrica. Per quest’ultimo caso ci sono i club. Solo così, noi possiamo contribuire a una vera crescita dei nostri operai: una crescita piena, e a trecentosessanta gradi, sia lavorativa, che politica, che culturale. 12
Ancora oggi, e da noi, qualche compagno “bigotto” («ортодоксальный» товарищ), magari ormai neppure più compagno, nemmeno bigotto e solo affetto da inguaribile snobismo, guarda alla questione del divertimento, delle salamelle che girano sulla griglia, della musica di sottofondo, della battuta sopra le righe, unicamente con quella logica di sufficienza, dall’alto verso il basso, con cui appaga il proprio narcisismo. La stessa con cui guardava alla televisione alla fine degli anni Settanta, salvo poi risvegliarsi quindici anni più tardi con un popolo che, anche grazie a un lento, ma continuo martellamento mediatico che faceva leva, essenzialmente, sul proprio basso ventre, aveva bruscamente virato a destra, lasciandolo letteralmente con un palmo di naso ma non solo, dequalificando del tutto anche quanto di buono e pur con mille difetti era stato compiuto sull’altro versante. Quella era divenuta “la vita vera” (individuata proprio nelle cosiddette “americanate” già condannate da Tomskij oltre mezzo secolo prima), quelli erano divenuti i “valori veri”, non quelle “cose da sfigati di sinistra”. Tomskij voleva proprio evitare che si arrivasse a questo, ben sapendo che il primo passo verso la sconfitta è proprio dato dal distacco con i lavoratori.
Non è neppure questione di AMMICCARE CONDISCENDENTEMENTE, di strizzare l’occhio agli “svaghi” di classi ritenute inferiori, o di livello inferiore al proprio, come purtroppo invece accade, prima magari che lo faccia qualcun altro. Il salto di qualità richiesto era un altro: RICONOSCERE ANCHE IN QUESTA DIMENSIONE, DA LORO SICURAMENTE TRASCURATA NEL PROPRIO PERCORSO DI VITA, PIENO DIRITTO DI CITTADINANZA INSIEME ALLE ALTRE. Paradossalmente, se necessario, “rieducarsi” a tornare a essere esseri umani come tutti gli altri.
Per questo Tomskij rincara la dose e chi, fra i compagni, non lo aveva ancora capito, o – il che è peggio! – faceva finta o preferiva non capirlo, perché tanto “ora siamo al potere” e non serve neppure “ammiccare condiscendentemente” (visione funzionale e opportunistica dell’educazione e della cultura), diviene bersaglio delle sue palle incatenate.
Siccome, tuttavia, la natura umana è bella proprio perché varia, avevamo anche chi eccedeva nel senso opposto. Pur non grave come la prima deviazione, anche questa non era simpatica, per niente, tanto da divenire oggetto di critica nei paragrafi successivi:
Ci sono stati e ci sono due tipi di errori dei nostri club. C’è quello iniziale, del nostro partito, dei nostri organismi di partito, che hanno prestato troppo poca attenzione al lavoro nelle associazioni. Poi c’è quello attuale, dove i nostri organismi di partito invece ne prestano sin troppa, al punto che dalla commissione del club passano all’esame del partito questioni come dove debbano esser collocati i lavandini per gli artisti, piuttosto che come vadan posati i mattoni per fare il forno – e ho qui i documenti di queste discussioni – o chi occorra nominare e dove, chi dirige cosa, eccetera.
È ovvio che il partito comunista, i comunisti che lavorano nei club, non possano restare indifferenti di fronte alla linea intrapresa dai lavori delle associazioni. È ovvio che, in questo senso, la loro influenza eserciti un ruolo di massima, decisiva, importanza. Ma stringere zelantemente i cordoni di amministrazione, economia, finanze e quant’altro nel tentativo di far la guardia a tutto è altrettanto sbagliato, scorretto e ingiusto.
È vero invece il contrario: è proprio qui, e non da altre parti, che l’iniziativa spontanea degli operai non iscritti deve emergere, anziché esser trasferita “rimanendo sempre in casa”, come invece sta iniziando ad accadere, dalle mani dei club a quelle delle associazioni scoutistiche dei pionieri, da un lato, e della gioventù comunista, dall’altro. Ecco dove c’è un altro pericolo.13
Che dire… Tomskij è impazzito a preferire i non iscritti ai pionieri (pionery) o alla gioventù comunista (komsomol)? In un settore delicato come quello della formazione politica e culturale? In realtà, vale quanto denunciato a inizio paragrafo: si è passati da un eccesso (disinteresse) all’altro (invadenza).
Togli spazi a uno che già guarda queste iniziative con sospetto e ti dice: “fattele tu da solo!” Normale, umano, universale, anche a un secolo di distanza.
Il gruppo, il collettivo, non cresce, ma non solo; si fossilizza, si sclerotizza, su rituali consolidati, a cui partecipano sempre meno persone, fino a restare i soliti quattro gatti a cantarsela e a suonarsela.
Il tutto, ricordiamolo, come evidenziato all’inizio di questo lavoro, in un periodo in cui i lavoratori iscritti erano 7 milioni su un totale di 47.
Ecco allora che risulta non solo profondamente errato, ma altrettanto dannoso, caricare il partito di compiti del tutto superflui ed estranei, ma anche trasferirli a bacini di manodopera ed energie volontari interni al partito, come pionieri e komsomol, che nascono con altre finalità, diverse dal gestire o contribuire alla gestione di un circolo, di una casa del popolo, piuttosto che di un loro comitato o sezione.
Per inciso, qualche anno dopo con Stalin medesima sorte sarebbe toccata allo stesso sindacato, laddove le resistenze sindacali a una mobilitazione generale, a una chiamata alle armi vera e propria, strutturata essenzialmente su un’emulazione socialista puramente quantitativa, cottimistica, sarebbero state fatte fuori dall’ingresso nelle fabbriche di un komsomol che, fino ad allora, in fabbrica non aveva fatto neanche un giorno per sbaglio.
Ce ne occuperemo più tardi, di questo movimento, ma non possiamo non notare come tale movimento fosse partito da lontano, dalle case del popolo e dai club. E fosse l’esatto opposto di quanto Tomskij propugnava:
Assistiamo oggi a una diminuzione dei non iscritti ai nostri club. Perché? Perché gli poniamo unilateralmente troppe condizioni, perché lasciamo loro troppo poco perché emerga la loro capacità di iniziativa spontanea. Qui meno di tutto il resto, lo ripeto, meno di tutto il resto, sono applicabili imposizioni, comandi, tentativi di convogliare, confinare il lavoro vivo in griglie predefinite: cosa si può fare e cosa no (что можно делать и чего нельзя).
Da qui in avanti può darsi che sbaglieremo, tutti insieme, e non una volta sola in questo lavoro. Ma è l’unico sistema giusto, l’unica possibilità di individuare correttamente percorsi di crescita per il nostro lavoro di risveglio ed educazione culturale: studiare, e studiare in modo attento e dettagliato, il lavoro vivo delle nostre associazioni basato sull’esperienza di un’ampia partecipazione e iniziativa dei lavoratori non iscritti. Aver fretta di avere risultati, mettere pressione a questo riguardo, provare ad aggiustare e controllare il lavoro a colpi di regolamenti e circolari, è solo di intralcio alla nostra causa comune.14
Il capitolo sui club si chiude, infine con la richiesta di Tomskij di fare chiarezza su come soldi destinati ai sindacati per questo tipo di lavoro fossero invece distratti da altri enti, in primo luogo ministeriali, per le loro esigenze. Questo non solo depotenziava le risorse a disposizione dei sindacati, ma creava situazioni di potenziale malversazione e, più in generale, falsava dati e bilanci, rendendo sempre più difficile tenere sotto controllo e debitamente rendicontare i fondi a disposizione e il grado di utilizzo degli stessi.
Che dire, cari compagni: il rapporto di Tomskij parla all’oggi, a noi, in pieno 2025. E non solo dentro il sindacato.
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