Fai una donazione

Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________

Amount
Print Friendly, PDF & Email

linterferenza

Marxisti e credenti

di Salvatore Bravo

costanzo preve mr.jpgCostanzo Preve fu hegelo-marxiano, egli testimoniò lungo la sua esistenza la necessità ontologica del dialogo. Con il dialogo si attraversano le divisioni ideologiche per ritrovarsi sul fondamento, mai definitivo, della verità. Quest’ultima si rivela nella parresia, ma non è mai “morta cosa”, perché a essa ci si deve sempre riaccostare per ridefinirla e ascoltarne la presenza. L’incomunicabilità è “assenza di pensiero” che la filosofia contribuisce a sanare. Le barriere sclerotizzano la parola e la confinano nel silenzio irrazionale.

La contrapposizione fra marxisti e credenti ha favorito il “potere” che si consolida nel guerreggiare delle opposizioni, le quali contribuiscono alla disgregazione del popolo. Tale condizione ha accompagnato la Guerra fredda e, con la fine del comunismo reale, si è ulteriormente incancrenita, poiché la sconfitta storica ha inoculato nei marxisti sopravvissuti la vergogna di essere tali. Il confronto necessita di “chiarezza emotiva”, per cui la vergogna è sicuramente un limite alla parola. Colui che porta l’impronta della sconfitta e la vive come una colpa non è nelle condizioni di dialogare. Solo la pari dignità dei dialoganti consente alla parola il confronto creativo e razionale:

“Per un confronto infatti occorre essere in due, e mentre i cristiani esistono ancora e si fanno sentire, i marxisti sembrano vergognarsi di esser rimasti tali, e non sembrano neppure essere riusciti a mantenere quella rete minima di contatti e di lavoro comune da cui nascono le “rivoluzioni scientifiche” ed i mutamenti di paradigmi. In proposito l’entusiasmo e la solidarietà verso la cosiddetta “teologia della liberazione” (fenomeno essenzialmente latino-americano) sono fenomeni assai positivi, ma non possono sostituire una riflessione che si voglia realmente “interna” alle nostre difficoltà di “marxisti che non hanno mollato” nei confronti delle nuove problematiche culturali dei credenti[1]”.

La cultura marxiana ha il merito di aver liberato l’economia dai suoi processi di ipostatizzazione. Il metodo genealogico e il materialismo storico hanno liberato l’economia da una visione dogmatica. La critica alla religione mediante la ricostruzione della genesi sociale e di classe dimostra l’uso che di essa è stato fatto per eternizzare i principi economici delle classi dirigenti.

Le categorie marxiane hanno reso reale e razionale l’economia con i suoi principi e la religione con i suoi usi ideologici-sovrastrutturali. Con tale lavoro i marxisti hanno contribuito fortemente a gettare luce sulle ombre dell’economia e della religione. I marxisti non devono cadere nella trappola dell’ateismo, essi devono criticare la religione senza cadere nella professione di ateismo. Ateo è colui che crede che la verità non esista. Marxisti e credenti devono ritrovarsi sul comune terreno della verità e della definizione della natura umana con le quali valutare il tempo storico vissuto. La filosofia “è il proprio tempo appreso nel pensiero”:

“A proposito della questione dell’ateismo “marxista”, che viene vista da molti come il vero e proprio ostacolo ad ogni forma di collaborazione politica organica fra comunisti e credenti, non bisogna dimenticare mai che si tratta di un problema concettualmente assai chiaro e semplice, nonostante il polverone sollevato negli ultimi decenni da tonnellate di bibliografia confusionaria e interessata alla manipolazione. In breve, ci limiteremo a sviluppare quattro “passaggi” concettuali. In primo luogo, non bisogna confondere la questione della critica della religione con la questione dell’ateismo, come se l’oggetto inevitabile e teleologicamente prefissato fin dall’inizio della critica della religione fosse la consapevolezza “ateistica” che qualcuno o qualcosa chiamato “dio” in realtà non esiste, a differenza di come opinano in modo superstizioso i grulli che ci credono. In secondo luogo, sosterremo che il marxismo ha tutto da guadagnare a rinunciare alla “difesa dell’ateismo”, in quanto si tratta di un falso problema, e anzi di una vera e propria “trappola” pratica e teorica. In terzo luogo, ribadiremo che il marxismo non può assolutamente rinunciare invece alla critica della religione, che è non solo “omologa” alla critica dell’economia politica, ma che ne costituisce la struttura filosofica portante (mentre invece l’ateismo, a nostro parere, è omologo semmai al campo concettuale “naturalistico” dell’economia politica classica. In quarto luogo (ed è questo il “pezzo forte” di queste riflessioni) sosterremo che l’impossibilità assoluta di rinunciare alla critica della religione non è affatto un impedimento alla collaborazione politica nella lotta per il comunismo con i cristiani consapevoli, dal momento che basta in proposito ispirarsi all’insigne esempio di un radicale critico della religione vissuto circa duemila anni fa in Palestina, il cui nome è Gesù di Nazareth, della cui vita sappiamo certo poco, ma comunque abbastanza per aver pochi dubbi del fatto che la sua teoria e la sua prassi siano state assolutamente incompatibili con una difesa della “religione”, comunque definita[2]”.

 

Dialogo veritativo

Il dialogo fra credenti e marxisti deve abbandonare il tema della fede su cui la contrapposizione è insanabile, in quanto la fede non può essere oggetto di logica discussione. Il dialogo dunque dev’essere portato su un terreno comune per individuare i punti di contatto: la verità storica e ontologica. Gesù è il profeta del I secolo dopo Cristo, pertanto il pensiero cristiano va compreso a partire dalla condizione sociale ed economica della Palestina in quel quadro storico. In Gesù si svela lo scontro tra due modi di produzione: lo schiavile-romano nel quale prevale il valore di scambio e l’antico-orientale in cui l’economia risponde “in modo parziale” ai bisogni reali dell’essere umano che per natura è “finito ed etico”. Pertanto marxisti e credenti possono ritrovarsi nella lettura del contesto storico di Gesù con i suoi significati. Nel tempo di Gesù religione ed economia non erano disgiungibili. A marxisti e credenti si deve richiedere di emanciparsi da facili proiezioni concettuali che impediscono di decodificare “il tempo storico di Gesù”. Il lavoro è comune:

“Dal momento che la società palestinese del I secolo dopo Cristo è poco nota, facciamo prima un esempio facile di quanto intendiamo dire, relativo alla più conosciuta antichità greco-romana. Coloro che si occupano anche superficialmente di antichistica sanno, ad esempio, che quando assistevano alle Olimpiadi i greci antichi non assistevano a uno spettacolo “sportivo” in senso moderno, e quando assistevano a una tragedia di Eschilo non assistevano a una rappresentazione “teatrale” nel senso che diamo oggi a questo termine (in generale messo nei giornali sotto la rubrica “spettacoli”). Il termine moderno “economia” rappresenta, come è noto, un complesso unico di valori d’uso e di valori di scambio, fra i quali si può instaurare equilibrio oppure crisi: si tratta di qualcosa di assolutamente estraneo ai Greci antichi, che definivano “economia” il sapere che aveva come oggetto i valori d’uso, mentre connotavano come “crematistica” il sapere che aveva come oggetto i valori di scambio (ed è questa la ragione per cui — fra l’altro, il pensiero antico non poteva giungere neppure concettualmente ad una vera critica dell’economia politica). Per fare ancora un ultimo esempio, il termine moderno “scienza politica” implica, dandola per scontata, la distinzione tra politica e morale che caratterizza Machiavelli e Hobbes, mentre una simile distinzione è quasi “impensabile” da un punto di vista platonico, aristotelico o stoico[3].

Gesù è la risposta del popolo palestinese al declinante modo di produzione antico-orientale e all’avanzare dell’economia schiavistica improntata alla crematistica. Gesù è la voce dei palestinesi che si oppongono alla sperequazione sociale imperante e al pervertimento dell’economia in crematistica. La richiesta di giustizia sociale è il messaggio evidente e primo delle “ideologie messianiche”:

“Non appena ci si mette in questa ottica, il problema della conoscenza del Gesù storico non è affatto risolto, ma almeno è impostato con il piede giusto. Nella Palestina di quei tempi, formazione economico-sociale specifica in cui al vecchio modo di produzione antico-orientale (caratterizzato dal potere “unico”, economico, politico e ideologico di un Tempio gestito da una casta di sacerdoti e di scribi — i sacerdoti sono analoghi alla somma dei moderni politici più i preti, mentre gli scribi sono gli antenati dei moderni economisti più gli amministratori) si stava sovrapponendo il nuovo modo di produzione greco-romano schiavistico (caratterizzato dalla proprietà privata non solo della terra e delle merci, ma anche delle persone), fiorivano specifiche “ideologie messianiche” che tendevano a un radicale mutamento politico e sociale, e dunque anche religioso ed economico. È oggi ormai scontato che senza comprendere i contenuti, le modalità e le forme delle “ideologie messianiche” di allora è impossibile comprendere Gesù[4]”.

In Gesù si esprimono compiutamente le istanze del “comunismo della distribuzione” che incontrano la ferrea opposizione del modo di produzione schiavile e crematistico, il quale ha come obiettivo il saccheggio di ciò che è comune. La purificazione religiosa per i palestinesi è liturgia di liberazione dalle pulsioni individualistiche. Gesù difendeva il senso etico dell’anno della “misericordia” con cui si poneva riparo alle ingiustizie economiche più insopportabili e si procedeva ad una più equa ridistribuzione dei beni tanto che i “debiti erano cancellati”. Nell’anno della “misericordia” sopravviveva il “ricordo” dell’economia comunitaria che ancora riusciva a limitare le derive del sistema crematistico:

“Al tempo di Gesù, all’interno del modo di produzione “antico-orientale” palestinese non ci si può limitare a dire che religione e politica erano indistinguibili (analogamente a quanto avveniva nel medioevo cristiano europeo — e di qui si veda la funzione delle eresie nel modo di produzione feudale); occorre andare ben oltre, dal momento che religione ed economia facevano tutt’uno (utilizziamo qui ovviamente per capirci l’improprio e fuorviante linguaggio moderno), in quanto la “purificazione del tempio” e l’annuncio messianico del cosiddetto “anno di misericordia del signore” facevano tutt’uno con una ridistribuzione in senso “comunista” dei beni e dei servizi che erano prodotti nel contesto del modo di produzione antico-orientale stesso. Un Gesù di Nazareth “comunista”, dunque? Esattamente, occorre avere il coraggio morale e scientifico di dirlo chiaramente: un Gesù “comunista”, proprio così. Ovviamente, si trattava di un “comunismo della distribuzione”, basato sulla purificazione religiosa del tempio e sul “consenso” del Dio degli ebrei, consenso sovrannaturale necessario per far “riuscire” con successo il progetto messianico portato avanti dal “figlio dell’Uomo”, disposto a divenire un “servo sofferente” per amore del prossimo e per impietosire il Padre, nel frattempo sdegnatosi per i peccati dei propri figli. In quanto tale, questo comunismo della distribuzione garantito attraverso la realizzazione messianica dell’“anno di misericordia del Signore” non ha ovviamente in comune null’altro che un lontanissimo rapporto analogico con il comunismo marxiano moderno derivato dalla critica dell’economia politica. In ogni caso, comunque si rigirino le interpretazioni desunte da un’onesta applicazione del “metodo di storia delle forme” inserito nella logica globale del modo di produzione antico-orientale, ne viene fuori che il “rimettere i debiti ai propri debitori” significa letteralmente questo, e non si presta a nessuna soporifera e tranquillizzante interpretazione “figurata”, dal momento che la logica dello “scambio del debito” in questo modo di produzione era assolutamente “omologa” alla logica dello scambio fra lavoro salariato e capitale (da cui — come è noto nasce il plusvalore) tipico del moderno modo di produzione capitalistico. A questo punto, si chiami pure come si vuole il contenuto pratico del messaggio del Gesù storico, si decida pure di non chiamarlo “comunista’’ (anche se esso era per l’appunto “comunista” nel più rigoroso valore tecnico, semantico, del termine — e lo si può pacatamente dimostrare) purché non si finga ipocritamente che esso era un messaggio integralmente “spirituale” e “religioso”[5]”.

Il messaggio di Gesù ha attraversato i secoli, in esso è forte la richiesta della giustizia sociale. Gesù non attendeva la giustizia, egli da rivoluzionario del suo tempo, poneva al centro “la misericordia”, ovvero l’economia che fa fiorire la vita e non la riduce a merce da cui estrarre plusvalore che alimenta la disgregazione sociale e l’umiliazione dei più fragili:

“Per dirla con Gramsci, la verità è sempre rivoluzionaria, e la verità sul Gesù storico, contro ogni manipolazione e ogni riduzionismo, non può che unire sempre più in una comune prospettiva storica di fondo i marxisti e i credenti[6]”.

Credenti e comunisti potrebbero ritrovarsi sul senso storico del messaggio di Gesù e, dunque, potrebbero progettare una comune piattaforma su cui riprendere la lotta politica in un tempo che non conosce misericordia e giustizia. La crematistica, ormai modello unico e trasformata in “malvagia religione”, è il nemico comune dei credenti e dei marxisti, i quali potrebbero ritrovare un comune campo d’azione contro il nemico comune. La storia non è finita, per divergere dal fatalismo bisogna ritrovare la strada comune che conduce alla “tangibile verità” della prassi.


Note
[1]Ateismo e Gesù storico [In: Democrazia Proletaria, Anno V, Set. 1987, pag. 37]
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem
Pin It

Comments

Search Reset
0
jimmie
Saturday, 15 November 2025 08:33
Molto interessante e grazie per l'esposizione. E' direi naturale riflettere su come e quanto le idee espresse nell'articolo possano riflettere o rispecchiarsi nel proprio 'Weltanschauung' - a sua volta maturato con gli anni e l'esperienza. Chi scrive, per esempio, si considera un 'cattolico-ateo' - non per amore del paradosso o dell’eccentricità, ma come risultato di quell'incertezza radicale sul significato della vita che - direi - coinvolge tutti. Vale a dire, come conciliare i paradossi dell'esistenza con una prospettiva personale. E il tutto con l'obbiettivo (o la speranza) di raggiungere un equilibrio psichico, necessario - direi - per affrontare l'implicita irrazionalità del fenomeno vita. Irrazionalità legata, a sua volta, all’incomprensibilità dell'infinito. Ergo, ogni tentativo di conciliare ideologie apparentemente antitetiche, è, a mio avviso, sintomo di progresso ideologico, necessario ma anche molto pratico. Considerando altresì gli abissi di assurdità che la mancanza di una bussola ideologica genera inevitabilmente urbi et orbi, ma anche spesso nel singolo. JM. Portland, Oregon - www.yourdailyshakespeare.com
Like Like Reply | Reply with quote | Quote
0
Carlo Tarsitani
Friday, 14 November 2025 11:59
Preve crea un nuovo mito di Gesù, che nulla ha a che fare con la trascendenza (figlio di Dio?), e che si rivela fin dall'inizio reazionario (nostalgico dei tempi originari). E' questa l'ambiguità di fondo di Preve e dei suoi seguaci, come Diego Fusaro, con la loro ricostruzione mitica che li avvicina alla destra estrema.
Like Like Reply | Reply with quote | Quote

Add comment

Submit