Fai una donazione
Questo sito è autofinanziato. L'aumento dei costi ci costringe a chiedere un piccolo aiuto ai lettori. CHI NON HA O NON VUOLE USARE UNA CARTA DI CREDITO può comunque cliccare su "donate" e nella pagina successiva è presente (in alto) l'IBAN per un bonifico diretto________________________________
- Details
- Hits: 973
Il governo Meloni continua a fare cassa sulle pensioni
di coniarerivolta
Mentre nel mondo si consumano tragicamente nuovi e vecchi scenari di devastazione e guerra e per milioni di persone il problema è svegliarsi al mattino vivi e con un tetto sopra la testa, nel nostro piccolo angolo di pianeta privilegiato la lotta dei forti contro i deboli del capitalismo globale mette sempre più a dura prova le condizioni di vita materiali delle classi subalterne esasperando le disuguaglianze sociali.
La prolungata fase inflattiva iniziata nel 2022 ha provocato un’enorme erosione del potere di acquisto dei lavoratori in moltissimi paesi e la stessa tendenza prosegue quest’anno.
In Italia la crescita dei salari è stata, come noto, molto più modesta di quella dei prezzi comportando così l’ennesima spinta redistributiva del reddito dai salari ai profitti e dal basso verso l’alto amplificando una tendenza che prosegue a ritmi alterni da ormai 40 anni.
L’attacco alle condizioni di vita dei subalterni nel nostro paese, e similmente altrove, si snoda attraverso un ampio spettro di misure adottate da tutti i governi negli ultimi anni e dal governo attuale in piena coerenza con i precedenti: riduzione degli ammortizzatori sociali, precarizzazione dei contratti, tagli allo stato sociale (sanità, pensioni, trasporti, etc.) e una politica macroeconomica restrittiva che comporterà prolungamento della crisi e disoccupazione cronica. Persino in quei ristretti ambiti, come le pensioni, in cui le destre avevano millantato misere promesse elettorali il governo Meloni mostra senza schermi la sua anima.
- Details
- Hits: 2052
Pulizia linguistica o pulizia etnica?
Note a margine di due articoli sulla guerra tra Israele e Palestina
di Carlo Formenti
Questo non è un articolo sulla questione palestinese, tema che richiederebbe argomentazioni più complesse e approfondite di quelle contenute nelle seguenti righe, ma su un paio di equivoci semantici e mistificazioni ideologiche che governi, forze politiche e media occidentali utilizzano per giustificare in tutto o in parte la politica israeliana e per condannare senza se e senza ma la resistenza palestinese. A tal fine prenderò in esame due articoli apparsi il 20 ottobre, rispettivamente, su “Repubblica” e sul “Fatto quotidiano”. Userò il primo (Edgar Morin, “Respingere l’odio” pagina 41 di “Repubblica”) per ragionare su una mistificazione ideologica che, pur essendo stata a più riprese contestata, sembra assolutamente inscalfibile; userò invece il secondo (Marco Travaglio, “Pulizia linguistica”, articolo di fondo del “Fatto Quotidiano) per mettere in luce un equivoco semantico altrettanto radicato nel senso comune occidentale.
Nel suo scritto Edgar Morin solleva un interrogativo radicale che già molti prima di lui si sono (purtroppo inutilmente) posti: la maledizione di Auschwitz è il privilegio che giustifica ogni repressione israeliana? Per la quasi totalità dei politici e degli intellettuali occidentali la risposta è sì. Da un lato molti intellettuali ebrei, un tempo esponenti di una cultura universalista e progressista, sono progressivamente diventati più sensibili al destino di Israele piuttosto che a quello del resto del mondo, e hanno sostituito la Torah al Manifesto del partito comunista, dall’altro lato la totalità dei loro colleghi occidentali (politici, giornalisti, accademici, ecc.) sembrano portatori di un complesso di colpa collettivo per i genocidi provocati da secoli di antisemitismo, per cui appaiono disposti a giustificare tutte le scelte – anche le più scellerate e criminali – dello stato ebraico.
- Details
- Hits: 1729
Cambiamenti climatici: un tentativo di analisi logica
di Luca Busca
Parlare oggi di cambiamenti climatici può sembrare anacronistico, visto che l’allarmismo sul caldo estivo è stato ormai abbandonato in favore di quello ben più reale di due guerre in atto, anche se una sembra già dimenticata. In realtà discuterne a mente “tiepida”, ancora lontano è infatti il grande freddo che ormai neanche a gennaio ci sfiora più, può aiutare ad analizzare le cose con una logica meno viscerale di quella che ha caratterizzato il dibattito estivo. Disputa questa contraddistinta, come è consueto da qualche tempo, dalla divisione netta in due fazioni: quella della Verità assoluta dettata dalla scienza dogmatica da un lato e quella dei terrapiattisti, complottisti, negazionisti dall’altra.
Prima di avventurarsi in questo tentativo di analisi logica è necessario premettere che, a parere di chi scrive, i cambiamenti climatici sono solo uno dei tanti elementi che compongono la più complessa “questione ambientale”. Con la locuzione “cambiamenti climatici” ormai si tende a restringere il campo delle gravi problematiche ambientali al solo fenomeno del riscaldamento globale. Un bombardamento mediatico incessante che sfrutta le ondate di caldo estivo per creare quell’atmosfera emergenziale utile ai regimi occidentali per promuovere una falsa transizione ecologica. Unico scopo di quest’ultima è quella di promuovere un sistema economico, il neoliberismo che in realtà è la causa principale dell’ingresso del pianeta Terra nell’Antropocene, l’era in cui i cambiamenti geologici del mondo sono causati da un suo abitante, l’Homo Poco Sapiens.
- Details
- Hits: 1343
A cosa serve ricordare? Di memoriali, guerre e, si parva licet, angeli della storia
di Matteo Bortolini
Non resta più ricordo degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito.
Qoelet 1:11.
Ogni mattina accompagno a scuola Ester Emilia e torno verso il centro. Ogni mattina supero la folla di liceali che aspettano la campanella fumando e chiacchierando e attraverso il ponte della stazione. Ogni mattina, fermo al semaforo di via Carracci, incontro il memoriale della Shoah di Bologna[1]. Sta lì dal 27 gennaio 2016. Un’ampia piazza chiara dominata da due grandi parallelepipedi rossastri divisi da un passaggio che si fa sempre più stretto via via che dalla periferia si cammina verso il centro città[2]. Scabro e compatto all’esterno, al suo interno il memoriale rivela una serie di alloggiamenti che rimandano ai letti a castello che abbiamo visto coi nostri occhi ad Auschwitz e Mauthausen[3]. Per chi percorre il memoriale tra i due blocchi, la luce viene dalla stazione, la Bolognina rimane alle spalle.
Il luogo, ha spiegato il presidente della Comunità Ebraica Daniele De Paz il giorno dell’inaugurazione, non è casuale. Shoah e strage di Bologna sono due momenti in cui la dignità umana è stata umiliata. Pur nella loro differenza abissale, i due eventi contribuiscono a costruire una medesima coscienza e un medesimo sentire. “La memoria,” ha detto De Paz alla cerimonia, “è universale, perché appartiene a tutti ed è essa stessa identità”. Da quel momento in poi ricordare la Shoah a Bologna diventa parte dell’identità cittadina e insieme (e senza cesura) una riflessione universale[4]. Perché, a ben vedere, il movimento della parola incarnata nell’acciaio va dal singolare—quell’evento, devastante nella sua unicità—al generale—una riflessione su cosa può significare “essere umani”—che si sofferma su un’altra singolarità—la memoria delle stragi di Bologna.
- Details
- Hits: 1704
In attesa della catastrofe: Gaza al centro del mondo
di Roberto Iannuzzi
Il “nuovo Medio Oriente” di Netanyahu. Israele e la rivalità con l’Iran. Gli USA tornano nella polveriera mediorientale
La tragica crisi di Gaza, evidentemente, non riguarda solo Hamas e Israele. Al contrario, dopo l’Ucraina Gaza sta divenendo un altro epicentro di un conflitto mondiale strisciante per la ridefinizione degli equilibri globali, in corso ormai da diversi anni.
Bakhmut, una cittadina di secondaria importanza nel Donbass, per una serie di fortuite coincidenze e ragioni strategiche non evidenti a prima vista, divenne un teatro chiave del conflitto russo-ucraino.
Analogamente, Gaza, un’esigua e povera lingua di terra, schiacciata fra Israele, il Mediterraneo e l’Egitto, si è trasformata in un focolaio di tensioni internazionali che ha la potenzialità di far divampare un esteso conflitto in una regione strategica come il Medio Oriente.
Naturalmente, le ragioni profonde della crisi sono locali, legate all’annosa questione israelo-palestinese (le ho indagate in un precedente articolo).
Ma la destabilizzazione mediorientale, spaventosamente accelerata dalle rivolte arabe del 2011, e i crescenti antagonismi fra le potenze dell’area, primo fra tutti quello fra Israele e Iran, hanno trasformato la crisi in un potenziale detonatore regionale e – in virtù della precarietà dell’ordine internazionale a guida americana – potenzialmente globale.
Il “nuovo Medio Oriente” di Netanyahu
A fine settembre, il premier israeliano Benjamin Netanyahu aveva pronunciato il suo discorso di rito all’Assemblea generale dell’ONU.
- Details
- Hits: 1516
Il pericolo della secessione dei ricchi
di Gianfranco Viesti
E’ in discussione al Senato il disegno di legge che aprirebbe la strada alla concessione di poteri e risorse finanziarie assai più rilevanti alle Regioni che fanno richiesta di autonomia differenziata. Ciò metterebbe a repentaglio l’unità d’Italia e configurerebbe una “secessione dei ricchi”, a partire dalla sanità
Quali sono il quadro e le prospettive del regionalismo italiano, e più in generale lo stato del decentramento politico e amministrativo nel nostro paese? Si tratta di una domanda importante, che riguarda il potere e i diritti dei cittadini in Italia: i livelli di governo che hanno maggiore possibilità, per competenze e risorse economiche, di prendere le decisioni più importanti sulle grandi politiche pubbliche; e come e quanto, a seconda dell’organizzazione del potere, possono essere garantiti i diritti costituzionali dei cittadini nei diversi territori del paese. Temi con una grande valenza politica, che influenzano tanto i principi di parità dei diritti di cittadinanza degli italiani quanto il funzionamento di alcuni grandi servizi pubblici nazionali, a partire dalla scuola.
La questione è analizzata nel mio volume Contro la secessione dei ricchi, le cui tesi di fondo sono due. La prima è che il grande processo di decentramento dei poteri, in particolare a favore delle Regioni – avviato in Italia negli anni Novanta e fortemente consolidato dalla riforma costituzionale del 2001 – ha determinato un quadro assai insoddisfacente, ricco di conflitti e di problemi, che merita senz’altro una paziente e incisiva azione di miglioramento e di riforma, senza eccessivi sbandamenti nelle opposte direzioni di un maggiore accentramento o di un ulteriore decentramento dei poteri.
La seconda tesi è che il dibattito politico degli ultimi anni non è orientato a risolvere questi problemi, ma a crearne di nuovi, gravi. È incentrato sulle richieste di decentramento asimmetrico e di maggiori poteri e maggiori risorse, ai sensi del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione.
- Details
- Hits: 1973
La cultura israeliana dell’inganno
di Chris Hedges
Israele, che cerca sempre di incolpare i palestinesi per le atrocità che compie, è la fonte meno attendibile per quanto riguarda il bombardamento dell'ospedale di Gaza
Israele è stato fondato sulla menzogna. La menzogna che il territorio palestinese fosse in gran parte non occupato. La menzogna che 750.000 palestinesi erano fuggiti dalle loro case e dai loro villaggi durante la pulizia etnica fatta dalle milizie sioniste nel 1948 perché così era stato detto loro dai leader arabi. La menzogna che erano stati gli eserciti arabi a scatenare la guerra del 1948 che aveva visto Israele impadronirsi del 78% della Palestina storica. La menzogna che Israele aveva rischiato di essere annientato nel 1967, cosa che lo aveva costretto a invadere e occupare il restante 22% della Palestina, oltre a territori appartenenti a Egitto e Siria.
Israele si sostiene con le bugie. La menzogna che Israele vuole una pace giusta ed equa e che sosterrà uno Stato palestinese. La menzogna che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente. La menzogna che Israele è un “avamposto della civiltà occidentale in un mare di barbarie”. La menzogna che Israele rispetta le regole internazionali e i diritti umani.
Le atrocità di Israele contro i palestinesi vengono sempre esaltate con le bugie. Le ho sentite. Le ho registrate. Le ho pubblicate nei miei articoli per il New York Times quando ero capo ufficio del Medio Oriente.
Mi sono occupato di guerra per due decenni, compresi sette anni in Medio Oriente. Ho imparato molto sulle dimensioni e sulla letalità degli ordigni esplosivi. Non c’è nulla nell’arsenale di Hamas o della Jihad islamica che potrebbe anche lontanamente avvinarsi all’enorme potenza esplosiva del missile che ha ucciso circa 500 civili nell’ospedale arabo cristiano di al-Ahli a Gaza.
- Details
- Hits: 1332
Diario della crisi | Lotta di classe in America
di Christian Marazzi
In questa nuova puntata del Diario della crisi, rubrica pubblicata su Effimera, Machina ed El Salto, Christian Marazzi analizza l’ondata di scioperi che nelle ultime settimana sta scuotendo gli Stati Uniti. È la somma, spiega Marazzi, di fattori contingenti e di lungo periodo: il Covid e il contesto economico post-pandemico, l’apparizione dei «lavoratori essenziali», il fenomeno delle grandi dimissioni hanno rafforzato il potere contrattuale degli operai e dunque le loro possibilità di conflitto. Le ragioni di lungo periodo risiedono invece nella crescente diseguaglianza degli ultimi quarant’anni. Queste lotte, che praticano nuove tattiche (ad esempio lo «stand up strike», cioè lo sciopero a singhiozzo), mostrano la crisi esistenziale del lavoro. Il rifiuto del modello di lavoro e l’urgenza di salvare l’ambiente stanno imprimendo dei cambiamenti profondi nella società, rivoluzionando la scala di valori di sistema.
* * * *
«La settimana scorsa (4 ottobre) hanno scioperato per tre giorni i 75.000 operatori sanitari della Kaiser Permanente, la più importante azienda privata senza scopo di lucro del settore. È stato il più grande sciopero sanitario della storia degli Stati Uniti. È l’ultimo di una serie impressionante di scioperi che stanno scuotendo il mondo del lavoro americano. Se le luci della scena erano state occupate dallo sciopero dell’industria cinematografica a stelle e strisce, nell’ombra altre centinaia di migliaia di lavoratori hanno incrociato le braccia negli ambiti più disparati. I baristi di Starbucks, il personale alberghiero della California, gli assistenti di volo, i portuali della West Coast, solo per citarne alcuni. L’altra novità è che i lavoratori vincono. Esemplare il caso dei 340.000 corrieri di Ups.
- Details
- Hits: 1624
Il morbo neoclassico
di Sandro Moiso
Steve Keen, L’economia nuova. Moneta, ambiente complessità. Pensare l’alternativa al collasso ecologico e sociale, Meltemi editore, Milano 2023, pp. 220, 18 euro
Al contrario di quanto riguarda il Covid 19 e altri virus e morbi manifestatisi sul pianeta negli ultimi decenni, vi è un morbo altrettanto pericoloso, e forse ancor più devastante dal punto di vista sociale, di cui si può affermare con certezza che si è diffuso a partire dai laboratori universitari, in questo caso americani, nel corso degli ultimi cinquant’anni: quello dell’economia cosiddetta neoclassica.
Steve Keen, professore di Economia alla Western Sidney University e Distinguished Research Fellow alla University College di Londra, importante critico della scienza economica convenzionale e uno dei pochi economisti ad aver previsto la crisi economica del 2007-2008, in questo testo appena uscito per Meltemi, nella collana «Rethink», cerca di dimostrarne l’infondatezza soprattutto sulla base dell’attuale e più che evidente cambiamento climatico di cui la suddetta teoria non ha mai tenuto sufficientemente conto.
Il giudizio espresso dall’autore sull’insieme degli assiomi del paradigma neoclassico è netto e tagliente:
Ripensando ai cinquant’anni trascorsi da quando mi sono reso conto dei difetti dell’economia neoclassica, il termine che esprime al meglio i miei sentimenti a riguardo è, come Marx disse del proto-neoclassico Jean-Baptiste Say, “insulsa” (Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica,1857). Al meglio, il capitalismo è visto come un sistema che evidenzia l’armonia dell’equilibrio, dove ognuno viene pagato il proprio giusto salario (secondo il suo “prodotto marginale”), la crescita procede senza intoppi secondo un tasso che massimizza nel tempo l’utilità sociale e tutti sono mossi dal desiderio di consumare, invece che dall’accumulazione e dal potere, perché, per citare Say, “i produttori, benché abbiano tutti l’aria di chiedere soldi in cambio dei loro prodotti, in realtà vogliono scambiarli con altri prodotti” (Say, Catechisme d’economie politique, 1821, capitolo 18).
- Details
- Hits: 4963
La censura militare israeliana vi nasconde la verità
di Thierry Meyssan
Era l’informazione più importante dell’operazione “Diluvio di Al Aqsa”, eppure ci è sfuggita. L’attacco a Israele non è stato sferrato dagli jihadisti di Hamas, ma da quattro formazioni armate. È la prima volta dopo cinquant’anni che i palestinesi di Gaza si uniscono.
Lo si voglia o no, i lunghi anni d’indifferenza occidentale alla sorte dei palestinesi finiscono. Si dovrà cominciare ad applicare il Diritto internazionale
Contrariamente a quanto ho scritto la scorsa settimana basandomi su dispacci di agenzia occidentali e arabi, filtrati dalla censura militare israeliana, l’attacco a Israele del 7 ottobre 2023 (operazione “Diluvio di Al Aqsa”) non è stato sferrato unicamente da Hamas. È stato deciso da un nucleo operativo unitario delle forze della Resistenza palestinese. Hamas, la formazione di gran lunga più rilevante, ha fornito la parte essenziale delle truppe, ma vi hanno partecipato altri tre gruppi:
• la Jihad islamica (sunnita e khomeinista);
• il Fronte popolare di liberazione della Palestina (marxista);
• il Fronte popolare di liberazione della Palestina-Comando generale (FPLP-CG).
La stampa occidentale ha dato conto dei barbari crimini commessi da alcuni assalitori, ma non del rispetto di altri. La verifica ha dimostrato che le accuse di stupri e di decapitazione di neonati [1] sono propaganda di guerra. Un giornalismo miope e bugiardo che non deve più stupirci.
Questa precisazione modifica l’interpretazione dell’accaduto. Non è un’operazione jihadista dei Fratelli Mussulmani, ma un attacco unitario dei palestinesi di Gaza. Solo Al Fatah di Cisgiordania che si tiene a distanza dai gruppi citati e il cui presidente Mahmoud Abbas è gravemente malato non vi ha partecipato.
- Details
- Hits: 1421
Fermare la spirale della violenza
di Mario Pezzella
È difficile “schierarsi” – come si diceva una volta – da una parte o dall’altra nei conflitti che avvengono in questi anni; perché, tramontata ogni forma di internazionalismo, si tratta per lo più di scontri fra nazionalismi autoritari ed estremi, quando non tra diverse sfumature di fascismo, luogotenenti del nulla. Così, se è impossibile solidarizzare con la deriva violenta di Hamas, non si può provare alcuna simpatia per il governo israeliano che ha pesantissime responsabilità nella terribile situazione attuale. Sono già stati ricordati in questo giornale il procedere della colonizzazione israeliana in Cisgiordania, le condizioni di vita a Gaza, l’apartheid a cui sono sottoposti ovunque i palestinesi, la provocatoria dichiarazione di Gerusalemme come capitale di Israele, le uccisioni e le aggressioni nei villaggi palestinesi. Vorrei aggiungere qualcosa su un fenomeno più generale e cioè l’abbandono di qualsiasi tentativo di coesistenza e convivenza tra i due popoli e il procedere di un processo di colonizzazione diffuso, che ha provocato quegli effetti misti di padronanza, umiliazione e risentimento intollerabile, che Fanon aveva messo in rilievo nel secolo scorso.
La colonizzazione – riteneva Fanon – comporta la radicale reificazione del colonizzato. I coloni, in questo caso gli israeliani estremisti che hanno espanso continuamente il loro potere anche nelle aree destinate in teoria a uno stato palestinese, non sono solo i proprietari di beni materiali e di armi micidiali: si ritengono e si affermano detentori di un modello identitario, che è l’unico a essere veramente “umano” di fronte all’esistenza animalesca dei colonizzati, “belve” da tenere a freno.
- Details
- Hits: 1326
Putin dice no alla moneta unica dei Brics: non faremo la fine dell’Euro
di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
L’errore più grande che può fare chi scrive articoli, non sotto dettatura, ma all’interno di quella che è la missione fortemente sentita di informare correttamente il lettore: è quello di pensare di avere la verità in tasca. Non per questo dobbiamo privarci del fatto che, operando con professionalità ed onestà intellettuale, si possa anche giungere al risultato di veder certificate prospettazioni più volte ribadite.
Sul tema moneta unica dei BRICS+, da tempo vengono riempite le pagine dei principali mezzi di informazione, direi quasi a cadenza quotidiana se a livello temporale consideriamo l’inizio del conflitto in Ucraina.
Una moneta unica, per di più legata a oro o metalli preziosi, da usare per gli scambi internazionali tra i paesi appartenenti ai BRICS+, è quello che il mainstream, ci ha prospettato in questi anni e forse ci prospetterà ancora, non appena andranno nel dimenticatoio le parole pronunciate dal presidente russo Vladimir Putin, pochi giorni fa nel corso del Valdai Club meeting, tenutosi a Sochi.
Chi vi scrive ha sempre manifestato, attraverso i vari articoli redatti, forti dubbi su questa prospettazione a dir poco insistente da parte dei mezzi di informazione occidentali, vuoi perché i fatti e le dichiarazioni ufficiale dei vari leader più influenti del mondo dei BRICS+ andavano nella direzione opposta, vuoi perché fermamente convinti, dai dettami della dottrina economico-monetaria, dei disastri che si materializzano sui popoli, quando a sistemi economici diversi viene imposto l’uso di una stessa moneta. Costringendoli a vivere in quella che è la ben nota – gabbia dei cambi fissi – propedeutica a far accettare quello che ormai possiamo tranquillamente definire un crimine contro l’umanità, ovvero la frode sulla scarsità della moneta. [1]
- Details
- Hits: 1952
I maiali dell’informazione
di Dante Barontini - Redazione
I.
Siamo abituati da sempre alle menzogne dell’informazione di regime. E sapevamo bene che in tempi di guerra ci saremmo trovati davanti a un muro di merda spacciata per “notizie verificate”.
Un anno e mezzo di guerra in Ucraina hanno dimostrato fin troppo bene la verità di questo assunto. Ogni parola di Kiev è stata presa per oro colato. Persino gli attacchi in territorio russo o gli attentati a Mosca sono stati inizialmente “passati” come “azioni dei russi contro se stessi”.
Resta indelebile l’esempio dell’attacco al ponte di Kersh, in Crimea, rivendicato solo dopo un anno dal regime ucraino e solo allora registrato anche dai media occidentali tra i “successi” di Kiev.
Ma è con la guerra su Gaza che i media stanno dando il peggio di sé. Perché Israele deve essere “angelicata” anche e soprattutto quando commette evidenti crimini di guerra.
Nei giorni scorsi avevamo centrato l’attenzione su singoli casi, enormi per la copertura mediatica ricevuta da queste parti. Per esempio il caso dei “40 bambini decapitati” che nessun testimone terzo ha mai visto, con Netanyahu a spargere improbabili foto in giro e le scuse della Cnn per avergli dato inizialmente credito.
Oppure quello della donna e i due bambini rilasciati dai miliziani di Hamas già nelle prime ore dopo il clamoroso attacco nel sud di Israele.
O ancora quello di un’altra donna fuggita dal rave nel deserto, finita in un kibbutz sotto attacco e infine tornata libera, che narra come sono andate le cose dal suo punto di osservazione.
- Details
- Hits: 2280
Da questa parte per il genocidio, Signore e Signori
di Chris Hedges - Scheerpost
Ho visto la guerra urbana in El Salvador, Iraq, Gaza, Bosnia e Kosovo. Una volta che combatti strada per strada, appartamento per appartamento, c'è solo una regola: uccidi tutto ciò che si muove. I discorsi sulle zone sicure, le rassicurazioni sulla protezione dei civili, le promesse di attacchi aerei “chirurgici” e “mirati”, la creazione di vie di evacuazione “sicure”, la fatua spiegazione secondo cui i civili morti sarebbero rimasti “in mezzo al fuoco incrociato”, l’affermazione che le case e i condomini ridotti in macerie dalle bombe fossero la dimora di terroristi o che i razzi erranti di Hamas fossero responsabili della distruzione di scuole e cliniche mediche, fa parte della copertura retorica per effettuare massacri indiscriminati.
Gaza è un’area così piccola – 25 miglia di lunghezza e circa 5 miglia di larghezza – e così densamente popolata che l’unico risultato di un attacco terrestre e aereo israeliano è la morte di massa di quelli che il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant chiama “animali umani” e il Primo Ministro Benjamin Netanyahu li definisce “bestie umane”. Il membro della Knesset israeliana Tally Gotliv ha suggerito di lanciare “armi apocalittiche” su Gaza, ampiamente visto come un appello per un attacco nucleare. Il presidente israeliano Isaac Herzog venerdì ha respinto le richieste di proteggere i civili palestinesi. "C'è un'intera nazione là fuori che è responsabile... questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti, non è assolutamente vera", ha detto Herzog. “Avrebbero potuto ribellarsi, avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza con un colpo di stato”. Ha aggiunto: “Gli spezzeremo la spina dorsale”.
- Details
- Hits: 2409
Il ritorno di Gaza al Medioevo, Israele e il sostegno dell’Occidente ai crimini contro l’umanità
di Alberto Bradanini
Davanti alle tragedie in corso in Medio Oriente i popoli dovrebbero imporre ai loro governi il rispetto del criterio filosofico, prima ancora che politico, della logica dialettica: la critica – lo affermava anche Mao Zedong – va fatta prima, e non, comodamente, dopo che gli eventi hanno avuto corso[1].
In una sintetica riflessione, Jonathan Cook[2], audace analista britannico[3] della Palestina, una terra dove ha trascorso vent’anni, getta uno sguardo dissonante su quanto accade. Va subito rilevato, tuttavia, che l’irriflessivo sostegno dell’Occidente alla politica di Israele, e alla distruzione di Gaza e dei suoi abitanti, costituisce il punto di caduta di fattori strutturali che meritano una preliminare attenzione.
Sia chiaro che nell’analisi che segue la religione non vi ha posto alcuno. La tragedia sofferta dal popolo ebraico nel secolo scorso per mano dei nazisti tedeschi (e non solo) resterà scolpita per sempre nella nostra memoria e nei nostri cuori. Tanto meno trova posto la nozione di etnia ebraica, anch’essa turpe manipolazione dei mestatori di un razzismo che si spera consegnato per sempre alla spazzatura della storia. Israeliani e Israele stanno dunque a designare i cittadini e lo stato da essi abitato, che persegue fini politici talvolta condivisibili, altre volte no. Quanto precede è banale, oltre che scontato, ma non si sa mai. Sono molti gli episodi di persone accusate di antisemitismo (che poi dovrebbe essere semmai antigiudaismo), per aver espresso critiche politiche allo stato di Israele.
- Details
- Hits: 1314
Gaza sarà la tomba del progetto sionista israeliano?
di Giacomo Marchetti
La reazione israeliana all’operazione Diluvio d’Al-Aqsa, lanciata da Hamas ed appoggiata da tutte le forze della Resistenza palestinese, sta scatenando un conflitto su scala regionale dalle implicazioni internazionali e dagli esiti quanto mai incerti per Israele, proprio come fu nel 1948, nel 1967 e nel 1973.
La dirigenza israeliana che guida il nuovo Governo di Unità Nazionale e che sta attuando l’escalation, porta per intero sulle proprie spalle la responsabilità di un conflitto da cui potrebbe però uscire con le ossa rotte a livello interno, regionale e internazionale.
L’imperialismo euro-atlantico che in questi decenni – dalla firma degli Accordi di Oslo in poi – ha assecondato totalmente la politica dello Stato d’Israele è co-responsabile della situazione che si è creata, perché non ha neanche lontanamente prefigurato uno sbocco positivo alla questione palestinese, ma ha invece contribuito al suo “politicidio”, derubricandola a questione secondaria.
Ora influenti attori del mondo multipolare, come la Russia e la Cina, hanno rimesso sul tappeto l’ipotesi di una risoluzione comprendente la costituzione di uno Stato palestinese, secondo la formula dei “due Stati”.
La causa palestinese è oltretutto fortemente sostenuta dal nuovo “fronte del rifiuto” (Algeria, Iran, Iraq, Siria), pronto forse ad intervenire anche manu militari in questa nuova tappa del conflitto arabo-israeliano, a cominciare dall’Iran e dall’arco della forza della Resistenza della cosiddetta “Mezzaluna sciita”, Hezbollah in primis.
- Details
- Hits: 1816
Il neo-nazionalismo morale occidentale
di Pierluigi Fagan
L’argomento è complicato e si debbono usare termini carichi di stratificazioni storiche e ideologiche, termini spesso imprecisi che coltivano fraintendimenti, lo spazio è breve e le mie capacità limitate, tuttavia sento l’esigenza forte di trattarlo ugualmente. Partiamo dalla presentazione della tesi: in Occidente, si va formando un sentimento identitario di appartenenza meta-nazionale, basato sulla superiorità morale. Trattiamo qui Occidente come una macro-nazione coincidente nei bordi con la sua definizione di civiltà. Civiltà, tuttavia, è una definizione storico-analitica, nessuno ha mai provato sentimenti per l’appartenenza a una civiltà, a una “nazione” sì.
Il concetto di nazione (o il precedente “popolo”) ha dato storicamente vita a due sentimenti, uno debole come auto-identificazione di appartenenza, l’altro forte come ideologia che dal difensivo (noi siamo diversi da loro) passa facilmente all’offensivo (noi siamo superiori a loro e abbiamo diritti su di loro in base a tale superiorità). Da coloro che partono dal “sangue comune” fino a chi pensa che il concetto di nazione sia una pura tradizione inventata, c’è un ampio dispiegarsi di posizioni. Mondato il concetto di ogni sentimento e ideologia, di per sé, si possono rinvenire gruppi umani che hanno una certa coerenza interna più di quanto il loro stare assieme abbia con l’esterno. Se li analizzate stando al loro interno e rivolgendovi a questo, sembreranno anche troppo vari e disomogenei per ritenere il concetto sostenibile. Se però li analizzate dall’esterno in contesti più ampi dove ci sono altri gruppi di diversa storia e tradizione, effettivamente l’appartenenza a una certa nazionalità è congruente, distinguente, “emerge” dalla comparazione. Dire se per cultura o natura è ereditare una falsa dicotomia, insostenibile in biologia e storia.
- Details
- Hits: 1725
Stato di Israele, niente è eterno
di Michele Castaldo
Il clamore che sta suscitando l’azione di Hamas in territorio israeliano ha dell’incredibile, la stampa occidentale si mostra sgomenta e meravigliata per l’improvvisa azione di un gruppo di persone con rudimentali mezzi ma con tanta rabbia in uno Stato fra i più potenti al mondo dal punto di vista militare. Verrebbe da dire: signori ma che vi aspettavate? Zagare profumate e pasticcini? Chi semina vento raccoglie tempesta e come sempre i fatti si pongono all’attenzione dell’individuo che è chiamato a schierarsi secondo i suoi interessi e le sue inclinazioni. Una legge che vale per tutti. Titolo queste brevi note «niente è eterno» volendo affermare da subito che lo Stato di Israele è entrato ormai in un cuneo obbligato della storia che lo porterà alla dissoluzione. Capisco che questa affermazione può provocare anche ilarità, ma la storia ha leggi proprie e se ne frega dei fessi che si lasciano abbagliare dalla potenza delle sembianze del momento. Proprio il clamore suscitato dall’azione di Hamas è uno dei sintomi del destino ormai segnato della sua dissoluzione.
Faccio mia la tesi di fondo di Gilles Kepel, che a tutta pagina sul Corriere della sera di martedì 10 ottobre, cioè immediatamente dopo i fatti del 7 ottobre, dice «l’offensiva di Hamas è un colpo sferrato contro tutte le potenze occidentali». Com’è possibile si chiede lo scettico che un gruppo di poche migliaia di palestinesi, in nome del suo popolo, sia in grado di lanciare una sfida di portata storica a tutto l’Occidente? Questa diffidenza è dovuta all’ignorantitudine, (il lettore mi perdonerà per il “neologismo” ovvero per l’abitudine all’ignoranza), legata a non capire le ragioni storiche che fecero sorgere in quella precisa area geografica e in quel preciso momento storico lo Stato di Israele.
- Details
- Hits: 1493
Una stagione di pensiero militante
di Sergio Bologna
Il seguente testo di Sergio Bologna, tratto dal volume, a cura di Alberto Magnaghi, La rivista «Quaderni del territorio». Dalla città fabbrica alla città digitale. Saggi e ricerche (1976-1981), edito da DeriveApprodi nel 2021, ripercorre le intuizioni teoriche della rivista connesse ai processi di ristrutturazione produttiva compiutisi in quegli anni: dal decentramento produttivo nel quadro di una nuova divisione internazionale del lavoro all’utilizzo della flessibilità come metodo di gestione della forza-lavoro; dalla terziarizzazione – e al suo stretto rapporto con il processo industriale – alla precarizzazione della forza-lavoro. Percorsi di ricerca sviluppati poi negli anni successivi e che spiegano l’importanza ricoperta dalla rivista nel pensiero operaista.
* * * *
«Quaderni del Territorio» comincia a nascere nel 1972-73 con i progetti di ricerca che troveranno spazio nel primo numero. Un anno decisivo il 1973, un anno di svolta, che per certi versi rappresenta il punto più alto raggiunto dalle lotte iniziate con il ciclo del ’68 e al tempo stesso il punto di rottura di quel ciclo, provocato da un evento che avrebbe scosso il mondo capitalistico di tutto l’Occidente: la cosiddetta «crisi petrolifera» (ottobre 1973). In aprile si era conclusa la lotta per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, deludente sul piano degli aumenti di salario (erosi in anticipo da circa 200 ore di sciopero) ma importante per il peso che finalmente veniva dato alla questione ambientale, per l’inquadramento unico operai-impiegati e soprattutto per la conquista del diritto allo studio (150 ore).
- Details
- Hits: 1742
La questione palestinese tra totem e tabù
di Alessandro Mantovani
L’attacco palestinese contro il territorio israeliano iniziato il 6 ottobre è stato paragonato alla vittoria dei nativi indiani al Little Big Horn nel 18761. In questa similitudine, le brigate Ezzedin Al-Kassam legate ad Hamas e le altre formazioni militari della resistenza palestinese coinvolte nelle incursioni rappresentano i gloriosi guerrieri di Toro Seduto e di Cavallo Pazzo; Netanyahu e i vertici dell’esercito e dell’intelligence della Stella di David la stupida e razzista sottovalutazione dell’avversario da parte del generale Custer; l’operazione “Tempesta Al-Aqsa" una splendida vittoria incapace però di mutare la realtà di una sconfitta storica. Vediamo.
Si tratta in ogni caso di un episodio destinato a rimanere scolpito negli annali, e come tutti i fatti di tale portata, il colpo scoccato (non solo da Hamas, ma sotto la sua egemonia) pone problemi teorici e politici complessi, che richiedono un’analisi scevra di pregiudizi, e non limitata al presente.
Prevalgono invece, non è cosa nuova, forti emozioni, reazioni contrapposte e ricadute in totem e tabù. Da noi, in Occidente, al vomitevole coro mainstream contro i “terroristi” palestinesi e di solidarietà con lo Stato razzista e colonialista israeliano (e chi obietta è tacciato al minimo di anti semitismo!) si contrappone, nel ben più ristretto ambiente della sinistra “radicale”, il ritornello di appoggio “incondizionato” alla resistenza palestinese; dal quale si dissocia, nell’ambito di una sinistra ancor più minoritaria (e che si pretende più rivoluzionaria) l’altra litania, quella dell’indifferenza, che sdegna la rivendicazione nazionale palestinese perché “le questioni nazionali sono questioni borghesi”, buone tutt’al più, se mai lo furono, nelle rivoluzioni democratiche del passato capitalismo nascente, impossibili e superate ormai nell’epoca dell’imperialismo.
- Details
- Hits: 2013
Calvino è stato marxista. In memoriam
di Roberto Fineschi
Presento qui, in occasione della ricorrenza del centenario della nascita e in forma estremamente schematica, alcune idee che sto sviluppando in uno studio di carattere organico sulla “filosofia” di Italo Calvino che uscirà l’anno prossimo
Italo Calvino è stato un grande intellettuale comunista e marxista. Se nella seconda fase della sua vita si allontanò da quelle posizioni, permanevano tuttavia importanti linee di continuità che permettono di ricondurlo nell'alveo di quella tradizione filosofica, politica, civile e morale.
* * * *
1. Italo Calvino, sanremese cui “capitò” di nascere a Cuba, è stata una figura di intellettuale tra le più grandi della storia italiana recente, tra i pochi con un ampio respiro internazionale e universalmente apprezzato per originalità e profondità. Viaggiatore del mondo, parigino di adozione, ebbe notoriamente forti legami con il territorio toscano: oltre a morire infaustamente proprio a Siena nel 1985, amò profondamente il litorale prossimo a Castiglion della Pescaia, scenario di alcune delle sue opere; vi passò per molti anni l’estate nella sua residenza immersa nella pineta di Roccamare e scelse la cittadina toscana come luogo per la propria sepoltura.
Al di là della memorialistica locale, mero pretesto per avviare il discorso, è altro il ricordo che vorrei rievocare. Se sempre viene a ragione ricordato il periodo della sua militanza politica diretta come membro del Partito Comunista Italiano - interrotta con le dimissioni del 1957 in seguito ai fatti ungheresi e alla timidezza con cui il PCI procedeva con la destalinizzazione -, meno frequentemente tale esperienza viene collegata a ragioni teoriche e filosofiche - oltre che, ovviamente, pratiche - che lo spinsero a questa adesione e che restarono vive ben al di là del fatidico ‘56.
- Details
- Hits: 1137
La questione palestinese tra multipolarismo e decolonizzazione
di Nico Maccentelli
Piaccia o no ai nostri commentatori, veri aedi del suprematismo occidentale, gli eventi di questi giorni in Palestina collocano il conflitto israelo-palestinese dentro le dinamiche internazionali odierne. Le misure fasciste prese da Macron in Francia, che vietano le manifestazioni pro Palestina, punibili con l’arresto, dimostrano che le classi governanti atlantiste stanno comprendendo che il declino dell’impero americano davanti alle potenze emergenti in Asia e a modelli economico-sociali alternativi come in America latina, nel contesto dell’affermazione dei BRICS e dei processi di decolonizzazione come in Burkina Faso, Mali e Niger, ha forti ricadute in tutta la catena imperialista.
Piaccia o no a lor signori, e al netto di fatti specifici accaduti o esagerati o addirittura inventati nell’attacco della Resistenza palestinese nel Diluvio di Al Aqsa, Hamas e le organizzazioni di Resistenza rappresentano le aspirazioni alla liberazione dal colonialismo di insediamento razzista, suprematista e nazista del regime sionista, spacciato per “democratico” dai media occidentali e dagli agenti sionisti in Occidente. Una democrazia infatti è tale se tutta la popolazione che vive in un medesimo territorio ha i medesimi diritti, servizi e possibilità nella vita quotidiana e politica di un dato paese. Ma sappiamo bene che gli arabi non ce l’hanno né in Israele, né in quel simulacro di autorità palestinese che negli anni ha esercitato solo il compito di collaborazionista con i sionisti.
E proprio questo è il nodo della questione palestinese. L’esperienza di tre Intifade (1987, 2000 e 2015), del fallimento degli accordi di Oslo del 1993, lo sprezzante rifiuto di ottemperare alle risoluzioni ONU (1) e il conseguente stillicidio dell’oppressione su un intero popolo, hanno portato all’unica soluzione oggi possibile in quel contesto.
- Details
- Hits: 1813
Il nuovo disordine mondiale / 22: Al di là delle banalità sul “male assoluto”
di Sandro Moiso
Somdeep Sen, Decolonizzare la Palestina. Hamas tra anticolonialismo e postcolonialismo, Meltemi editore, Milano 2023, pp. 260, 22 euro
Mai fu più tempestiva e utile la pubblicazione di un testo, anche se probabilmente è stato il gioco del caso ha far sì che quello di Somdeep Sen, appena edito da Meltemi nella collana Biblioteca/Antropologia, uscisse in contemporanea con uno dei momenti più drammatici, divisivi e, probabilmente, risolutivi dell’infinito conflitto mediorientale legato all’occupazione israeliana dei territori un tempo considerati palestinesi.
Così, mentre la situazione a Gaza sembra precipitare in un buco nero, di cui a pagare le conseguenze saranno nell’immediato i civili palestinesi ma in futuro anche il destino di Israele, diventa quasi indispensabile la lettura di un testo che, indirettamente, serve a smontare quell’immagine di “male assoluto” che oggi i media occidentali embedded tendono a dare di Hamas, rimuovendo i 75 anni di storia trascorsi dalla Nakba (espulsione dei palestinesi dalle loro terre) e le conseguenze che le scelte politiche dello stato colonizzatore e dei suoi alleati hanno avuto anche sulla formazione e il successo dello stesso movimento.
Una rimozione vergognosa della memoria che serve oggi a demonizzare quello che, piaccia o meno, rappresenta in Palestina il maggior movimento di resistenza all’occupazione e alla segregazione dei territori palestinesi e dei loro abitanti originari e, allo stesso tempo, allo sforzo continuativo e collettivo delle potenze occidentali teso alla cancellazione dell’identità palestinese e del diritto all’esistenza di un intero popolo.
- Details
- Hits: 1613
Elogio dei reietti
di Martina Bastianello
I Magnifici 7: 1. La Lezione frontale, 2. Il Libro-libro, 3. I Contenuti (volevo solo insegnare i Fenici…), 4. L’Alfabeto, 5. Distillati, 6. La Cartina muta, 7. W “I Mona”! (senza certificazione)
1. La Lezione frontale.
Non potevo che iniziare da Lei. Da oltre vent’anni – da quando, in buona sostanza, ho iniziato le prime supplenze – Lei viene bistrattata, offesa, vituperata, considerata fonte di sciagure: alla stregua della bella Elena – responsabile d’aver scatenato la guerra di Troia – la Lezione frontale pare abbia inflitto infiniti lutti… non agli Achei, questa volta, ma a generazioni di sfortunati studenti. Sembra che tutti, insomma, siano convinti che sia arrivato, oggi, il momento di liberarsi definitivamente della scellerata: la maggioranza dei genitori, dei docenti, dei formatori, degli opinionisti, delle aziende e dei rappresentanti del Miur forma un nutrito quanto deciso plotone di esecuzione.
Ma con chi/con cosa se la prende chi se la prende con la Lezione frontale?
“Se la prende con un fantoccio, uno spettro, un nemico costruito appositamente per poterlo combattere”, mi sono risposta – sempre più allibita – nel corso degli anni. Forse è arrivato il momento di condividere la mia risposta, sperando che a essa si unisca un nutrito coro di risposte affini.
Primo: la Frontalità è un valore che solo i valorosi riconoscono come tale e proteggono. Per stare di fronte a qualcuno (agli studenti, nel nostro caso) ci vuole coraggio perché ci stai solo, tutto intero, con quel poco che ti sembra di sapere e quell’oceano di non-sapere che ti circonda e preme da ogni lato. Ci stai con il tuo corpo (faccia struccata, calvizie incipiente, rughe, pancetta da birra, calze smagliate, patta semiaperta…); ci stai con la tua voce che è lo strumento (scordato, stridente, tremulo, sfiancato) che racconta storie, snocciola dati, propone metafore, presenta teorie, richiama, rimprovera, elogia, interroga, grida e sussurra.
- Details
- Hits: 1368
Contro l’idea della vittoria
di Alfonso Gianni
"Deve essere sembrato a molti che in un convegno sulle prospettive del mondo di domani fosse almeno impertinente (…) chiedere la parola per ricordare ai convenuti che 'domani' il mondo, in quanto mondo culturale umano, può finire e che una qualsiasi risposta a come possa e debba essere “domani” il mondo comporta la domanda preliminare se 'domani' vi sarà un mondo e se oggi non vi sia il rischio che almeno certe forze cospirino alla sua fine”1
Con una modifica certamente non irrilevante, di parole e di senso, rispetto al sacro testo da cui è estrapolato,2 si potrebbe riproporre il celebre interrogativo: “Sentinella a che punto è la guerra?” e la risposta sarebbe “In stallo”. Naturalmente se si guarda il campo di battaglia. La pluriproclamata controffensiva ucraina ha dato scarsi e deboli segnali di sé e soprattutto nessun successo sostanzioso. D’altro canto l’avanzata russa si è fermata a consolidare le posizioni fin qui raggiunte. Naturalmente non tutte le narrazioni sono concordi, come sempre succede in tempo di guerra per ogni guerra. Il segretario della Nato Jens Stoltenberg non perde occasione di magnificare le possibilità di vittoria finale dell’Ucraina esaltando i passi in avanti fin qui fatti. In una visita improvvisata a Kiev lo scorso 28 settembre, parlando in una conferenza stampa congiunta con Volodymir Zelensky, ha affermato con enfasi che le forze ucraine starebbero “gradualmente guadagnando terreno … ogni metro che le forze ucraine guadagnano è un metro che la Russia perde”.3
Page 102 of 613
Gli articoli più letti degli ultimi tre mesi
Carlo Di Mascio: Diritto penale, carcere e marxismo. Ventuno tesi provvisorie
Carlo Lucchesi: Avete capito dove ci stanno portando?
Carlo Rovelli: Una rapina chiamata libertà
Agata Iacono: Cosa spaventa veramente del rapporto di Francesca Albanese
Barbara Spinelli: La “diplomafia” di Trump: i dazi
Domenico Moro: La prospettiva di default del debito USA e l'imperialismo valutario
Sergio Fontegher Bologna: L’assedio alle scuole, ai nostri cervelli
Giorgio Lonardi: Il Mainstream e l’omeopatia dell’orrore
Il Pungolo Rosso: Una notevole dichiarazione delle Brigate Al-Qassam
comidad: Sono gli israeliani a spiegarci come manipolano Trump
Leo Essen: Provaci ancora, Stalin!
Alessio Mannino: Contro la “comunità gentile” di Serra: not war, but social war
Sonia Savioli: Cos’è rimasto di umano?
L'eterno "Drang nach Osten" europeo
Gianni Giovannelli: La NATO in guerra
BankTrack - PAX - Profundo: Obbligazioni di guerra a sostegno di Israele
Alessandro Volpi: Come i dazi di Trump mettono a rischio l’Unione europea
Marco Savelli: Padroni del mondo e servitù volontaria
Fulvio Grimaldi: Siria, gli avvoltoi si scannano sui bocconi
Enrico Tomaselli: Sulla situazione in Medio Oriente
Mario Colonna: Il popolo ucraino batte un colpo. Migliaia in piazza contro Zelensky
Gianandrea Gaiani: Il Piano Marshall si fa a guerra finita
Medea Benjamin: Fermiamo il distopico piano “migliorato” di Israele per i campi di concentramento
Gioacchino Toni: Dell’intelligenza artificiale generativa e del mondo in cui si vuole vivere
Fulvio Grimaldi: Ebrei, sionismo, Israele, antisemitismo… Caro Travaglio
Elena Basile: Maschere e simulacri: la politica al suo grado zero
Emiliano Brancaccio: Il neo imperialismo dell’Unione creditrice
Fabrizio Poggi: Abituare gli italiani alla guerra
Gli articoli più letti dell'ultimo anno
Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista
Giovanna Melia: Stalin e le quattro leggi generali della dialettica
Andrea Del Monaco: Landini contro le due destre descritte da Revelli
Andrea Zhok: La violenza nella società contemporanea
Carlo Di Mascio: Il soggetto moderno tra Kant e Sacher-Masoch
Jeffrey D. Sachs: Come Stati Uniti e Israele hanno distrutto la Siria (e lo hanno chiamato "pace")
Jeffrey D. Sachs: La geopolitica della pace. Discorso al Parlamento europeo il 19 febbraio 2025
Salvatore Bravo: "Sul compagno Stalin"
Andrea Zhok: "Amiamo la Guerra"
Alessio Mannino: Il Manifesto di Ventotene è una ca***a pazzesca
Eric Gobetti: La storia calpestata, dalle Foibe in poi
S.C.: Adulti nella stanza. Il vero volto dell’Europa
Yanis Varofakis: Il piano economico generale di Donald Trump
Andrea Zhok: "Io non so come fate a dormire..."
Fabrizio Marchi: Gaza. L’oscena ipocrisia del PD
Massimiliano Ay: Smascherare i sionisti che iniziano a sventolare le bandiere palestinesi!
Guido Salerno Aletta: Italia a marcia indietro
Elena Basile: Nuova lettera a Liliana Segre
Alessandro Mariani: Quorum referendario: e se….?
Michelangelo Severgnini: Le nozze tra Meloni ed Erdogan che non piacciono a (quasi) nessuno
Michelangelo Severgnini: La Libia e le narrazioni fiabesche della stampa italiana
Diego Giachetti: Dopo la fine del comunismo storico novecentesco
E.Bertinato - F. Mazzoli: Aquiloni nella tempesta
Autori Vari: Sul compagno Stalin
Qui è possibile scaricare l'intero volume in formato PDF
A cura di Aldo Zanchetta: Speranza
Tutti i colori del rosso
Michele Castaldo: Occhi di ghiaccio
Qui la premessa e l'indice del volume
A cura di Daniela Danna: Il nuovo volto del patriarcato
Qui il volume in formato PDF
Luca Busca: La scienza negata
Alessandro Barile: Una disciplinata guerra di posizione
Salvatore Bravo: La contraddizione come problema e la filosofia in Mao Tse-tung
Daniela Danna: Covidismo
Alessandra Ciattini: Sul filo rosso del tempo
Davide Miccione: Quando abbiamo smesso di pensare
Franco Romanò, Paolo Di Marco: La dissoluzione dell'economia politica
Qui una anteprima del libro
Giorgio Monestarolo:Ucraina, Europa, mond
Moreno Biagioni: Se vuoi la pace prepara la pace
Andrea Cozzo: La logica della guerra nella Grecia antica
Qui una recensione di Giovanni Di Benedetto